Capitolo 52: Non capisco

Il giorno seguente ero ancora troppo arrabbiata per parlare. Avevo chiesto a Callie e mio fratello di riportargli la macchina, proprio per non creare troppi problemi.

Callie mi aveva raccontato però che la reazione di Ryan non era stata di gelo. A detta della mia coinquilina, mio fratello era dovuto stare più di un'ora a parlare con Ryan.

Fu proprio Dan a chiamarmi, due giorni dopo.

– Che diavolo sta succedendo? – mi chiese.

– Mi ha ferito.

Sbuffò. – E quindi adesso hai deciso di non vederlo più?

– No, ho solo bisogno di tempo.

– Sappi solo che sta perdendo la testa e per quanto dica in giro di non aver bisogno di nessuno, mente.

Mi attaccò senza aspettare una risposta.

Mi recai al lavoro, cercai di concentrarmi e ci riuscii per gran parte del tempo. Almeno fino a quando non venne Mr. Mark nel nostro reparto. Tutti si girarono verso di lui, ma capii appena alzò lo sguardo su di me che ero spacciata.

Posò le mani sulla mia postazione e mormorò: – Ti devo chiedermi di seguirmi.

Annuii e ci incamminammo verso l'ascensore, per andare all'ultimo piano di quell'edificio. Il suo ufficio era sobrio, sui colori neutri come il beige ed il bianco, così a contrasto coi colori scuri che regnavano in ogni posto dove il figlio metteva piede. Si mise seduto sulla poltrona e mi fece segno di sedermi sulla poltrona proprio davanti alla sua, colore avorio.

Deglutii, in difficoltà, ma lo ascoltai. Una volta seduta, mi osservò a lungo, così gli chiesi con occhi grandi: – è successo qualcosa?

– So benissimo che non provi simpatia per il modo in cui ho cresciuto mio figlio – annunciò. Mi irrigidii immediatamente, appena capii il motivo che lo aveva spinto a cercarmi. Non confermai e non negai quello che aveva detto. – So anche che mia moglie ti ha raccontato quello che è successo.

Strinsi i denti, ma non riuscii a non riprenderlo. – Ex moglie.

Mi lanciò un'occhiataccia. – Non mi aspetto comprensione da parte tua, men che meno pena – continuò, la voce rigida tanto quanto la postura. Dovette farci caso anche lui, perché appoggiò la schiena e posò la caviglia sulla coscia, con finta serenità. – Sai, Deitra... Non è che io non creda nell'amore. Penso semplicemente che ci siano diverse tipologie di amori e diverse persone. C'è chi è fatto per amare, chi è fatto per essere amato e chi semplicemente è destinato ad altro nella vita. Io non mi sono mai aspettato amore nella mia vita, mi sono sempre visto destinato ad altro. Mia moglie ne è stata l'ennesima conferma. Ryan... è capitato. Volevo diventare padre, ma mi sono accorto poco dopo di essere troppo apatico anche per crescere un figlio.

– Perché in questi giorni vi state confidando con me? – borbottai.

– Personalmente, lo sto facendo per mio figlio – rispose. – Perché è vero che non sono in grado di amare come la maggior parte delle persone, ma quel ragazzo è mio figlio e non voglio vederlo in quello stato.

– Poteva pensarci prima – mi sfuggii. Trasalii, ma non mi rimangiai niente.

– So di averlo educato ad un amore diverso – riprese, facendo finta di non cadere nelle mie provocazioni. – Quello a cui non ho pensato, è che lui potesse amare in modo diverso dal mio. Non pensavo potesse essere possibile.

Strinsi i denti e lo incolpai terribilmente. Lo guardai con odio. Ma non dissi niente.

– Ti sto dicendo questo perché tu in questi mesi per lui non ci sei stata, ed è comprensibile – disse, senza staccare mai gli occhi da me. – Ma io ci sono stato, seppure non nel modo in cui un padre normale avrebbe potuto esserci. L'ho visto per mesi con occhiaie nere, perché non riusciva più a dormire bene. L'ho visto dimagrire. L'ho visto distruggersi, perché semplicemente ti amava e quello che ti era successo lo aveva distrutto. Si è incolpato per troppo tempo, Deitra.

Ero stufa di sentire tutti gli altri parlare delle conseguenze che aveva avuto Lucas su di loro. Mi assaliva una rabbia cieca, ogni volta, che mi faceva quasi perdere il controllo.

– Ryan... non è abituato ad amare ed essere amato – concluse. – L'ha imparato tramite tuo fratello, ma è stato un amore diverso. In questi due giorni l'ho sentito e sono anche andato a cena fuori con lui e mia moglie. – Mi osservò a lungo, come a mettermi paura. – Non lo voglio più vedere così. Ha degli obiettivi ed il dolore lo sta battendo.

Ripensai a Ryan, al suo modo di dirmi che era molto più incasinato di quanto pensassi.

– Il dolore che gli sto procurando io – iniziai, decisa ed arrabbiata, – equivale ad un terzo del dolore totale che lo sta distruggendo. Il restante, mi dispiace dirglielo, ma è tutta opera vostra.

Alzò il mento, con diffidenza, esattamente come faceva il figlio. Ma fu impossibile non notare un lampo di panico nei suoi occhi.

***

Era notte fonda e mi ritrovavo di nuovo da sola in casa. Callie ormai dormiva quasi sempre da mio fratello ed ero felice per loro... ma qualcosa nel silenzio della notte mi inquietava da mesi. Forse perché mi sentivo scoperta, forse perché sentivo tutto...

Sobbalzai, avvolta nelle coperte, sentendo qualcuno bussare forte alla porta. Guardai velocemente l'ora sul cellulare: le due di notte.

Scivolai giù dal letto e mi diressi verso la porta, passando per la cucina a prendere un coltello, con le mani tremanti.

Avevo il cuore in gola a causa della paura, dei brividi di gelo mi squassarono il corpo...

Cercai di vedere oltre l'occhiello...

– Cazzo... Porca troia...

Sospirai. – Ryan? – chiesi.

– Fanculo, penso di aver pestato una merda.

Posai il coltello sul davanzale ed andai ad aprire. Ancora mi tremavano le mani. Quando aprii la porta, per poco non mi cadde addosso, inciampando miseramente. Trasalii e dovette accorgersene, perché imprecò nuovamente. – Dio, Ryan... – commentai, sentendo immediatamente l'odore di alcol perforarmi le narici. Mi alzai in punta di piedi per cercare di intravedere la sua macchina nel parcheggio. – Hai guidato in queste condizioni?

Ridacchiò, lasciando le scarpe davanti allo zerbino. – No – mentì, passando una mano sul mento, con un sorrisino.

Sospirai e mi feci da parte per farlo entrare.

– Se avessi saputo che per parlarti potevo passare semplicemente a casa tua, lo avrei fatto prima – bofonchiò, guardandosi intorno. – Cazzo, non si vede niente.

Accesi la luce del salone e chiusi la porta. – Da dove vieni? – borbottai.

Si girò lentamente verso di me. – Ben – rispose a bassa voce. – Stavi dormendo? – mi chiese, notando i capelli arruffati, la canottiera ed i pantaloncini.

– Si – mentii. – Mettiti seduto. Ti prendo un po' d'acqua.

Non se lo fece ripetere una seconda volta. Si buttò sul divano senza alcuna grazia, gemendo lievemente.

Scossi la testa, scioccata. Ryan si era ubriacato solo pochi giorni prima ed adesso era nelle stesse condizioni. E lui non si era mai ubriacato in mia presenza, prima di quella settimana. – Da quando bevi in questo modo? – volli sapere, porgendogli un bicchiere d'acqua.

Lo prese facendo attenzione a non farlo cadere, con tanto di fronte aggrottata. – Da quanto stavi dormendo? – mi chiese distrattamente.

– Non l'ho cronometrato – risposi, acida.

Rise. – Non stavi dormendo – mormorò, sdraiandosi, dopo aver posato il bicchiere vuoto sul tavolino.

– Si, invece – replicai aspramente.

– Conosco i tuoi occhi da sonno. Non stavi dormendo – ribatté sorridendomi maliziosamente. Abbassò lentamente gli occhi sulle mie gambe nude. – Mm...

– Che vuoi, Ryan? – sputai, incrociando le braccia.

– Non mi hai più chiamato – rispose, sbiascicando, socchiudendo un po' gli occhi. – Ero curioso di vedere che cosa stessi facendo.

– Che cosa dovrei fare alle due di notte, a casa?!

– Piccola D – mi chiamò, mettendosi nuovamente a sedere. Si sporse verso di me e mi sorrise con il viso proprio davanti alle mie braccia conserte. – Un paio di idee mi sono passate per la testa e, calcolando il fatto che non c'ero, non me n'è piaciuta nemmeno una.

Aggrottai la fronte, confusa. – Ma che cosa stai dicendo? – chiesi. – E perché pretendi sempre di parlare con me quando sei così ubriaco da non riuscire a formulare una frase sensata?

Ridacchiò, per poi umettarsi le labbra. – Ha senso – borbottò.

Scossi la testa, perché per me in quel periodo davvero poche cose stavano avendo senso. E di certo quello che stava dicendo non faceva parte di quelle. – Ti vado a prendere una coperta, dormi qua – dissi a bassa voce.

– Stiamo insieme e mi fai dormire sul divano? – rise.

Trasalii leggermente. Mi girai verso di lui, ma aveva il viso coperto dal braccio sollevato; quindi, non riuscii a vedere la sua espressione. – Non stiamo insieme.

Rimase in silenzio così a lungo da farmi credere che si fosse addormentato. Poi, proprio mentre stavo in camera a prendere la coperta, lo sentii mormorare: – Proprio per questo.

Quando tornai, si era sdraiato completamente, ancora il viso coperto dal braccio. Deglutii sonoramente, ormai davanti al divano. La maglietta celeste era leggermente sollevata, rivelando la v e la leggera peluria che spariva oltre la cintura. I jeans rigidi gli fasciavano le cosce in modo sensuale, evidenziandone la muscolatura.

– Sono ubriaco, non cieco.

Sobbalzai e tornai a guardarlo in viso, rossa. Mi stava osservando con un sorrisino malizioso. Mi schiarii la voce. – Togliti i vestiti. Questa è la coperta – mi limitai a dire.

Si alzò lentamente dal divano. In piedi, davanti a me, a pochi centimetri di distanza, si sfilò le scarpe. Mi conficcò i suoi occhi blu dentro i miei, come a sfidarmi a guardarlo. Poi fu il turno della maglietta, che buttò sul tavolino. Passò una mano lentamente tra i capelli, nel tentativo di sistemarli.

Si umettò le labbra ed i miei occhi seguirono quel movimento. Strinsi la coperta tra le mani, mentre osservavo il suo ampio petto, leggermente muscoloso. Non disse una parola, nonostante fossi diventata quasi sfacciata. Anzi, fece un passo avanti ed i nostri piedi si scontrarono. Rabbrividii, mentre le sue dita si fermavano proprio sulla cintura.

La slacciò con una lentezza disarmante. Qualcosa rimase incastrato dentro la mia gola. Abbassò la zip e poi fu il turno del bottone.

– Questo dovrebbe essere il momento in cui smetti di guardarmi – disse, la voce rauca.

Mi morsi l'interno della guancia e passai nuovamente al suo petto, la lieve peluria, il collo, il pomo d'Adamo che si muoveva su e giù... e quel sorrisino sul suo viso. Il luccichio nei suoi occhi blu. D'un tratto, facevo fatica a respirare.

Annuii e gli lasciai la coperta sul divano, per poi ordinare alle gambe di girarsi e andarsene. Lo sentii togliersi i pantaloni ed ebbi un brivido.

Ridicola.

Chiusi gli occhi.

Ero ridicola.

Quello era un corpo che avevo già visto.

Più volte.

Lo sentii ridacchiare. – Ci caschi sempre.

Girai il viso oltre la spalla. Era in piedi, con solo i boxer addosso, e mi stava guardando con le mani appoggiate sui fianchi. – In che senso? – chiesi.

– Quando ti voglio far arrossire in questo modo – replicò indicando pigramente il mio viso.

– Perché vuoi farmi arrossire?

– Perché lo trovo affascinante.

Alzai un sopracciglio, non molto convinta. Non mi ero dimenticata tutto quello che aveva fatto. Ero ancora arrabbiata con lui... e con Louisa.

– Domani mattina parliamo? – propose.

Sospirai. – Dormi, Ryan.

– Ho mantenuto la distanza in questi giorni, non ti ho chiamato e non ti ho cercata – disse, serio. – Adesso penso sia arrivato il momento di parlare.

– Per questo sei venuto qua in questo stato? – lo derisi.

Un'ombra gli passò davanti al viso e per qualche momento di troppo mi sembrò distante. – Ti chiedo di capirmi, D – sussurrò. – Non ti volevo veramente ferire. Stavo... è difficile da spiegare.

La rabbia mi fece tremare le vene. – Ti strusciavi su di lei come se-

– Nella mia testa... non esiste esclusività – borbottò. – Tutte le relazioni sono una finzione. Volevo provare a me stesso... e a te che era così.

– Complimenti – dissi, con il mento tremante. – Ci sei riuscito.

– Non capisci...

– No, non capisco – confermai. – Quindi vai a dormire.

– Non ci riesco!

Scossi la testa, lanciandogli un'occhiata di fuoco, e feci per tornare in camera, arrabbiata.

– Stavo fingendo – mi disse, avvicinandosi velocemente verso di me. Mi afferrò le spalle, per fermarmi, e vidi la disperazione nei suoi occhi. Sgranai gli occhi. – Devi credermi. Stavo fingendo. Ero ubriaco e ti stavo provocando, ma in realtà... Non avevo la testa là.

– Mi sembravi piuttosto consapevole del modo in cui ti ballava addosso – borbottai, ricordandomi le sue mani sui fianchi di lei ed il modo in cui aveva buttato la testa indietro per sbottare a ridere.

– No, cioè sì... ma stavo studiando te – cercò di dire.

Scossi la testa. – Non mi piace...

– Lo so, lo so – mormorò, prendendomi il viso tra le mani. Cercò disperatamente i miei occhi. – Ho contattato la psicologa. Ci tornerò. D, io... non...

Nei suoi occhi blu intravidi delle lacrime.

Trattenni il respiro, ferita.

– Voglio te, solo te – concluse. Delle lacrime vagarono sulle sue guance. – Non sono stato abituato a questo, ma amo solo te. Voglio solo te.

– Ryan...

– Io l'ho visto, quello che il finto amore ha fatto alla mia famiglia. Sono cresciuto vedendoli odiarsi, scoparsi altra gente... La presenza di mia madre mi ha incasinato più del previsto, ma-

– Basta – lo pregai. Gli asciugai le lacrime, passando delicatamente le dita sulle sue guance e sotto gli occhi. – Basta, per favore. Mi uccidi.

– Ci sto provando – aggiunse. – Ma non distruggiamo tutto questo.

Annuii. – Non lo faremo. Sono solo arrabbiata, ma... non è mai stata mia intenzione chiudere.

Guardò attentamente i miei occhi, come se non fosse sicuro di aver sentito bene. Con ancora le mani attorno alle mie guance, le sue labbra catturarono le mie. Mi baciò disperatamente. Spinse la lingua contro la mia bocca, che si aprì immediatamente.

Sospirò sonoramente. Inciampò sui miei piedi, facendomi ridacchiare, ma non sembrò intenzionato a smettere di baciarmi. Mi fece indietreggiare, fino ad arrivare alla porta della mia camera. La chiuse affannosamente e mi spinse contro di essa.

– Ryan – lo chiamai, sentendo dei brividi attraversarmi il corpo.

Sentii le sue mani vagare sui miei fianchi, armeggiare con il tessuto dei pantaloncini e della canottiera. Mi stava toccando con disperazione.

– Sei ubriaco... – cercai di dire, ma si mise a mordicchiarmi la mascella. La mia risposta fu istintiva, inarcai la schiena. E lui si spinse immediatamente verso di me, facendo premere il mio petto contro il suo. Gemetti sentendolo strusciarsi contro di me. – Ry... Aspetta...

– Non riesco – mi disse, prima di abbassarsi e mordermi un capezzolo.

Trasalii e urlai, gettando indietro la testa. – Cazzo... – mormorai, ansimando.

– Spettacolare – commentò, mordendo ancora, nonostante il tessuto della canottiera. Replicai, spingendomi contro di lui. – Spettacolare, cazzo.

– Basta, per favore... Sei ubriaco...

Tornò a baciarmi, come a tacermi. Ed infilò velocemente una mano dentro i miei pantaloncini, facendomi sobbalzare. Ansimò contro la mia bocca, toccandomi. – E mi stai pregando di fermarmi? – mugolò, facendo entrare un dito dentro di me. Annaspai, spingendo i fianchi contro la sua mano. – Ti senti? – mi chiese.

Sentivo sicuramente il mio cuore battere furiosamente ovunque dentro di me.

Ma era sbagliato.

Ryan era ubriaco.

Gli scostai la mano. Gemette per protestare, posando le labbra sulle mie, ma senza baciarmi. – Non puoi... Non puoi dirmi che non lo vuoi. Eri... Il tuo corpo mi sta dicendo l'esatto opposto.

– Non così, Ry. Sei troppo ubriaco – mormorai, con il respiro affannato.

Spinse i fianchi verso di me, facendomi tremare. – Lo voglio, sono al cento percento presente e consapevole – ribatté.

Scossi la testa.

Si mosse nuovamente contro di me, facendomi ansimare. – D...

– Vieni qua – mormorai, prendendolo per mano e strusciando via dalla sua presa. Sospirò, ma si fece tirare verso il mio letto, il quale aveva già le lenzuola in disordine.

Si sdraiò accanto a me, con la schiena sul materasso ed il viso rivolto verso il soffitto. Mi girai su un fianco per osservarlo. Aveva ancora il respiro leggermente affannato. Si coprì nuovamente il viso con un braccio e sbuffò. – Se questo è il tuo modo per farmela pagare, sappi che ci stai riuscendo benissimo – commentò, come un bambino che stava facendo i capricci.

– Sssh, cerca di rilassarti – replicai, avvicinando il mio corpo al suo, per poggiare una mano sul suo petto, proprio sopra il suo cuore, che scalpitava furiosamente.

Lo sentii ringhiare come risposta. Trattenni una risata. Iniziai a fare dei movimenti circolari con le dita, lentamente, sui pettorali, per cercare di tranquillizzarlo.

– D... – mi chiamò. Girò il viso verso il mio e quando caddi nei suoi occhi, vidi solamente amarezza e preoccupazione. – Tu... le tue manine delicate ed il tuo cuore... siete impegnate? – mi chiese, il respiro accelerato che batteva contro il mio viso.

Ci misi un po' di tempo a comprendere il significato di quella domanda. – Certo che lo siamo – sussurrai, allargando le dita sul punto in cui sentivo il suo cuore. – Lo siamo.

– Anche noi lo siamo – confermò, annuendo. – Anche se ti ho fatto credere il contrario... lo siamo pienamente.

– Ryan...

– Per favore, D – mi fermò, posando una mano sulla mia, che ancora stava disegnando pigramente dei cerchi sulla sua pelle. – Perché ti ho vista. Ho visto che stavi con Justin, nella sala inferiore. L'ho visto, come è scattato per venire da te. Dopo quello, per tre giorni non hai voluto più sapere niente, e Justin-

– Hai paura che ti possa tradire con Justin? – chiesi, leggermente scioccata.

Mi guardò a lungo, facendomi capire che non era una paura... pensava realmente che fosse successo qualcosa tra noi in quei giorni. Scossi la testa. – Lo capirei, davvero. Il modo in cui ti ho trattata, come ti ho fatto credere di volere Louisa...

Aveva il tono di voce incrinato dall'ansia.

– No. Cavolo, no – sussurrai. – Non farei mai una cosa del genere solo per fartela pagare.

– Non si tratta di questo – ribatté. Girò di scatto il viso verso la mia mano, che stava continuando a disegnare dei pigri cerchi sui suoi addominali. I suoi muscoli ebbero un leggero spasmo. Sibilò e, probabilmente d'istinto, roteò i fianchi. – Si tratta di... – Deglutì sonoramente e riabbassò lo sguardo verso la mia mano, che non era scesa ulteriormente. Girò il viso verso di me, leggermente confuso. – Si tratta di... essere liberi, non essere in una relazione chiusa. L'hai detto anche tu: non stiamo insieme.

Aggrottai la fronte. Non era il caso di parlare di relazioni con lui in quello stato. Si era leggermente ripreso dalla sbornia, ma non totalmente. – Ti sei sentito libero, Ry? – chiesi. Fu più forte di me.

– No! – esclamò. – Cazzo, proprio no.

Non stava mentendo. Alzai leggermente la mano, facendo raschiare delicatamente le unghie sulla sua pelle, ormai a pochi pollici dall'elastico dei boxer.

– Per favore... – mi pregò Ryan, inarcando la schiena, con il respiro affannato. Aveva la fronte aggrottata, sapevo che stava cercando di controllarsi. Lo sguardo rivolto verso il soffitto. – O ti fermi e metti quella manina sotto al cuscino... o vai avanti.

Portai le dita poco più su, per poi avvicinarmi totalmente il mio corpo al suo. I seni premettero sulla sua spalla e portai una gamba sopra la sua. Buttò la testa indietro, mormorando un'imprecazione. – Allora dormiamo – lo presi in giro.

Lo sentii tremare leggermente. Il braccio che era a contatto con il mio corpo ebbe un piccolo spasmo. Portò lentamente la mano sulla gamba che non stava sopra le sue, ma non aveva molto movimento. – D...

– Si? – chiesi, con voce angelica, riportando le dita più giù e toccando l'elastico dei boxer.

Gemette. – Ti prego...

– Mi stai supplicando, Ry? – lo provocai, abbassando lo sguardo sulla protuberanza. Trattenni una risata quando notai i suoi fianchi emettere gli stessi giri che stava facendo la mia mano.

– S-sì... – ansimò.

– Mm – mormorai, posando la bocca sul suo collo leggermente luccicante a causa del lieve sudore. Succhiai avidamente ed infilai la mano dentro i suoi boxer. Inarcò la schiena, stringendo la mia coscia, mentre iniziavo a massaggiare la sua lunghezza lentamente.

Annaspò, seguendo il ritmo della mia mano. Mi stava stringendo così forte la coscia da lasciare mezzelune sulla mia pelle bianca. – Deitra... – mi chiamò, cercando di aumentare il ritmo coi fianchi. Gemetti appena sentii le sue dita fermarsi sulla mia nuca. Strinse di scatto i capelli e buttò la testa indietro, sibilando. – Oh...

– Rifallo – dissi, contro la sua pelle, marchiandone i pettorali.

– Cosa? – chiese affannosamente.

Mordicchiai la pelle più sensibile e lo sentii pulsare. Mi tirò i capelli, senza pensarci e... gemetti sonoramente. Lo sentii annaspare, muovendosi più velocemente.

– Non-

– Lo adoro – lo fermai. Si irrigidì leggermente, preoccupato, e per tranquillizzarlo portai le labbra attorno al suo capezzolo, mordicchiando e baciandolo. Portò nuovamente la mano all'interno della coscia, stringendola, non ancora convinto. Quindi roteai i fianchi verso la sua mano.

Mi sfregai contro le sue dita e sentii l'effetto che mi stava facendo. Tremò terribilmente e girò il viso verso il mio viso. – D... D... guardami.

Alzai il viso verso di lui, posando il mento sul suo petto, senza smettere di muovere la mano sulla sua lunghezza.

Annaspò e mormorò: – Baciami.

Lo accontentai. Lo baciai appassionatamente e lo sentii sobbalzare. Mi mordicchiò il labbro inferiore, portando le dita sul punto che più mi stava pulsando. Gemetti nelle sue labbra. Ma non volevo che mi toccasse. Non ero nemmeno sicura che quella potesse essere una soluzione decente, visto il suo stato così alterato.

Appena iniziò a fare movimenti circolari, proprio in quel fascio di nervi, sobbalzai. Mi fermai totalmente. – Non farlo – gli ordinai.

Cosa? – chiese, mi sembrò quasi inorridito.

– Hai sentito.

Avevamo entrambi il respiro affannato, ma il suo petto ed i suoi respiri erano aritmi e veloci, sembrava completamente sconquassato da quel piacere. Il fatto che mi fossi fermata lo stava portando a muoversi lentamente dentro la mia mano, che però era poco più di una carezza. – Non puoi. Non è così che-

– O così, o ci mettiamo a dormire – lo imitai, senza però staccare il mio corpo pulsante dal suo.

Un lampo di rabbia gli balenò negli occhi. – Perché? – chiese, con la fronte aggrottata.

– Perché sei ubriaco.

– Sono lucidissimo, D – ringhiò.

Scossi la tesa.

Posò di nuovo la testa sul cuscino, sospirando sonoramente. La sua erezione ancora pulsava terribilmente. Strinse la presa sulla mia pelle. – Non lo voglio così – ringhiò.

– Ah, davvero? – gli chiesi, con voce angelica, stringendo la presa sulla sua lunghezza, per poi carezzare dolcemente la punta. Si irrigidì immediatamente. – Perché non mi sembra.

– D...

– Non ti preoccupare per me – gli mormorai, posando le labbra sull'orecchio.

– Non ci riesco – borbottò, abbassando però lo sguardo sulla mia mano che continuava a muoversi lentamente su di lui.

– Lasciami fare – gli sussurrai, una richiesta dolce. Mi guardò in faccia, solo per incontrare i miei occhi grandi ed imploranti. – Lasciami fare. Lo vuoi?

– Ti voglio – confermò, digrignando i denti.

– Sono qua – mormorai, mordicchiandogli il lobo.

Mi afferrò il polso con la mano libera, sibilando. Lanciò un'occhiata preoccupata sul mio viso, come ad accertarsi che fosse realmente quello che desideravo, e quando tornai a baciarlo... Lasciò la presa sul mio polso e tornò a muoversi nella mia mano.

Portò la mano dalla mia coscia alla nuca, baciandomi affondo, quasi divorandomi. – Più veloce – mi disse dolcemente. E lo ascoltai. Sentii il suo corpo irrigidirsi. Annaspò e si girò completamente verso di me, portandomi ad aprire ancora di più la bocca. – D... Oh... D... – mi chiamò, mentre mi muovevo con più decisione.

Gemette. – Spostati – mi avvisò. Si rimise di schiena, affinché non sporcasse il letto. – D... – ritentò, ma continuai a muovere la mano su di lui, completamente appoggiata.

Buttò la testa indietro, con le labbra semichiuse, mormorando il mio nome, durante l'apice del piacere.

Sorrisi, baciandogli il collo, proprio dove la vena sembrava sul punto di scoppiare. – Sei mio – gli sussurrai.

***

Furono dei sussurri a svegliarmi, poche ore dopo.

– No, no.

Mi girai verso Ryan. Aveva il respiro corto e la fronte aggrottata. Le mani strinsero le lenzuola con così tanta foga da mettere in evidenza le nocche e le vene.

– No, per favore. Dov'è? – chiese, la voce a malapena udibile. – Fatemi entrare. No. No, no. Fatemi entrare!

– Ry? – cercai di chiamarlo, posando una mano sul suo petto.

– No, per favore, no. Dov'è? Dov'è?!

– Ryan... – riprovai, con il cuore a pezzi. – Svegliati.

– Fatemi entrare. Devo... devo...

– Ryan!

– No! – esclamò, con più forza. – No! Le fate male! No!

Lo scossi con foga, spaventata. – Ryan, svegliati! – urlai.

Spalancò gli occhi.

All'iniziò sembrò non mettere nemmeno a fuoco.

Strinse ancora di più la presa sulle lenzuola, annaspando terribilmente. – D? – mi chiamò.

– Era... era un incubo – mormorai, tenendo una mano sul petto. – Ehi...

Si mise immediatamente seduto e si portò all'orlo del letto, posando i piedi a terra. Notai la schiena completamente contratta ed il modo in cui stava ancora respirando affannosamente.

– Ryan – mormorai.

Il corpo ebbe un sussulto.

Un conato.

Sgranai gli occhi. Ma che diavolo aveva sognato?!

Posò le mani sullo stomaco, la schiena era imperlata di sudore. Mi misi proprio dietro di lui, con le ginocchia sul materasso. Poggiai una mano sulla sua spalla sinistra. – Respira – sussurrai. – Va tutto bene. Sei qua, io sono qua.

Scosse la testa, ma sembrava sentirsi meglio. Non rimise niente. Aveva il viso completamente rivolto verso il pavimento.

Mi avvicinai ancora di più, fino a toccare la sua schiena. Posai il mento sulla sua spalla destra e gli accarezzai i capelli dolcemente. – Siamo qua – ripetei, prima di baciargli la pelle sotto l'orecchio. – Va tutto bene.

Sospirò ed i muscoli si fecero meno rigidi, quindi poso una mano sulla mia. – Adesso mi riprendo – cercò di mandarmi mia.

– Abbiamo tutta la notte – lo tranquillizzai, baciandolo nuovamente. – Non vado da nessuna parte.

Sembrò spezzarsi terribilmente. Il respiro gli si mozzò e sembrò sul punto di piangere.

Lo abbracciai da dietro.

– Ti amo – mi mormorò nel buio.

– Ti amo anch'io – dissi, con una mano ancora tra i suoi capelli.

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