Capitolo 51: Non ho bisogno di te
Capii ben presto l'enorme errore.
Perché il Ryan che avevo conosciuto fino a quel giorno non avrebbe mai fatto tutto quello. O forse si. Forse semplicemente non avevo mai visto Ryan, il bambino ferito.
Di certo non avevo mai visto Ryan ubriaco. Ancora di meno Ryan immerso in una pista a ballare. E non con me.
Teneva stretta in una mano una birra e con l'altra stava facendo volteggiare Louisa. Almeno non era un'estranea.
Nonostante quello però molte ragazze lo osservarono, intente a farsi notare da quel ragazzo così bello e che soprattutto non era mai stato tanto... libero o distrutto, la differenza la si trovava nei suoi occhi. Ma non a tutti era possibile leggerli.
Avevo bisogno di sapere. Che cosa diavolo le aveva detto quella donna per renderlo così? E perché non trovavo un modo per farlo stare meglio?
Lo osservai in un punto indistinto della sala, mentre beveva avidamente e si avvicinava terribilmente vicino a Louisa.
Strinsi le mani in pugni.
– Bevi, ti servirà, fidati.
Trasalii.
Nella mia visuale apparve un bicchiere pieno di liquido aranciato. Alzai lo sguardo su mio fratello, il quale annuì. – Fidati di me. Conosco Ryan, ma quello che sto vedendo adesso mi porta ad avere una paura fottuta di quella stronza della madre – ringhiò. – E se è dura per me, che non lo amo, figuriamoci per te. Conoscendolo, è così arrabbiato e spaventato da auto sabotarsi. Qualsiasi cosa sia successa, non è ancora pronto ad affrontarla.
Feci una smorfia disgustata. – Che cosa dovrei fare? Lasciare che si strusci addosso a Louisa e fare finta che vada tutto bene? – borbottai, lanciando un'occhiata veloce alle mani di lui sui fianchi di lei, mentre muoveva il sedere addosso a lui. Ringhiai come un cane.
– Louisa conosce determinate sfaccettature di Ryan che a noi saranno sempre oscure – cercò di tranquillizzarmi Dan. – Sfaccettature che Ryan ha deciso di far vedere solamente a lei. Ma non è stupida, sa che non potrà mai sostituire la tua presenza.
Mi morsi il labbro inferiore fino a farlo sanguinare. – Che cosa devo fare? – ripetei, nervosa.
– Non lo so.
Girai il viso verso di lui, sbalordita. – Sei il suo migliore amico!
– Mi dispiace, ma non so come farlo sbloccare da questa situazione – borbottò, mi sembrò seriamente in difficoltà.
Sospirai e bevvi il mio drink. Quasi lo sputai addosso a mio fratello. – Che cazzo ci hai fatto mettere, Dan?!
– Ti servirà, fidati – ripeté, dandomi una pacca sulla spalla, prima di dileguarsi nella folla.
Ryan buttò indietro la testa e sbottò a ridere, continuando a strusciarsi addosso alla sua amica. Strinsi i denti e per non buttare via tutta la mia razionalità decisi di andare in un'altra sala.
Il locale dove ci trovavamo era così grande da potersi perdere senza troppa difficoltà. Era diviso in tre piani, ognuno dei quali aveva una sala con uno stile di musica diverso. Scesi velocemente i gradini, non facendo caso al modo in cui la gonna mi si alzava lievemente.
Trovai una cascata di capelli rossi e mi ci fiondai. – Aiutatemi – urlai.
Callie e Michael si girarono verso di me, rivelando anche Justin ed un suo amico. Strinsi la presa sul bicchiere, ma decisi di sorridere ugualmente. – Che succede? – chiede Callie. – Ryan si è ubriacato?
Annuii. – E si sta strusciando addosso a Louisa.
Callie strabuzzò gli occhi.
Michael alzò un sopracciglio, accigliato. – E perché stai qua?
– Per non perdere totalmente la pazienza.
Il mio amico non sembrò affatto contento della mia risposta. – Preferisci scappare, invece di staccare il tuo fidanzato dal culo di una? – se ne uscì.
Sgranai gli occhi. – N-non credo sia il mio fidanzato – borbottai.
Justin sbuffò. – Se non lo è, fallo diventare stasera – commentò. – Sono sicuro che non gli dispiacerà.
Non ero sicura che fosse esattamente la scelta giusta. Ero gelosa, ma la sua sofferenza era abbastanza evidente e... forse preferiva sfogarsi in questo modo con Louisa.
Buttai indietro la testa e tracannai il drink, nervosa.
Finito il drink, nonostante il bruciore alla gola, afferrai la mano di Calliope e la portai in pista. Michael ci raggiunse, per controllare la situazione. Io e la mia amica iniziammo a muovere i fianchi, ridacchiando e cantando le canzoni.
Mio fratello, come una pantera, si avvicinò alla sua fidanzata. D'istinto, mi preoccupai per Ryan, che si trovava in una sala senza nessuno a controllarlo.
Michael dovette capire la mia preoccupazione, perché scosse la testa, mi afferrò la mano e mi fece girare su me stessa. Ridacchiai e cominciammo a ballare insieme, senza avvicinarci troppo.
Justin ed il suo amico si avvicinarono a tutti noi. Nonostante l'occhiata torva da parte di mio fratello, Jus mi sorrise calorosamente e si avvicinò per ballare con me e Michael. Nei suoi occhi, forse per la prima volta da quando lo conoscevo, non vi trovai malizia.
Mossi i fianchi con più convinzione, canticchiando per scacciare la brutta sensazione che mi stava attraversando le vene.
Se Ryan avesse avuto bisogno di spazio, avrei dovuto allontanarmi.
Sarebbe tornato, lo sapevo. Ma non avevo idea in quali condizioni.
Qualcuno mi diede una spallata, facendomi perdere lievemente l'equilibrio e mi dovetti aggrappare a Justin per non cadere a terra. Non sembrò pensarci minimamente: afferrò i miei fianchi, con gli occhi lievemente sgranati dalla preoccupazione.
– Stai bene? – mi chiese.
Annuii.
Ci pensò un po' prima di lasciarmi andare. Quando lo fece, gli sorrisi dolcemente.
Non ce l'avevo con lui, in realtà mi era dispiaciuto perdere completamente qualsiasi contatto, visto il rapporto che si era creato. Potevo capire però la sua posizione, il modo in cui aveva cercato di tenere le distanze da me per non creare ulteriori problemi all'interno del gruppo.
Era ancora molto dispiaciuto per quello che era successo con Ryan... e anche io. Anche se Ryan non lo aveva mai reputato un suo caro amico, il suo modo di reagire era stata una dimostrazione... Non lo avevo mai visto così deluso, se non con Daniel, quando non aveva accettato inizialmente la nostra "relazione".
Justin lanciò un'occhiata torva al ragazzo che mi aveva dato una spallata.
Fu proprio il ragazzo a parlare.
– C'è qualche problema? – chiese urlando per farsi sentire.
Justin fece per parlare, quando gli posai una mano sul petto. – No, mi hai solo spinto – intervenni io, per non creare problemi.
– Se ti fossi spostata, non sarebbe successo – replicò il ragazzo in modo altezzoso.
Lo guardai da capo a piedi, dai capelli corti scuri, gli occhi grandi, le labbra fine ed il corpo muscoloso. – Si può sempre chiedere – sputai, arrabbiata.
Fece un passo verso di me. – Si può sempre guardare – disse, abbassando il viso verso il mio.
Mi tremarono le vene per l'agitazione. – Potrei dirti la stessa cosa – ringhiai.
Mi fece un sorriso cattivo. – La prossima volta mettiti dei tacchi più alti, e sarà più facile notarti – commentò.
– Quelli servono per ficcarteli su per il-
Il ragazzo sbottò a ridere. Poi guardò Justin e gli disse: – Tieni a bada la tua cagna.
Trattenni il respiro.
Sembrò sentirlo anche mio fratello, perché d'un tratto la sua espressione divenne il ritratto della cattiveria. Mi spostò ed anche Justin sembrò pronto ad attaccare il ragazzo.
– No, no! – urlai, mettendomi in mezzo tra il ragazzo e Justin. Dan mi guardò, furioso, intimandomi di spostarmi. – Non ne vale la pena!
Il ragazzo sembrò pensarci un secondo, ma dopo aver visto mio fratello decise di allontanarsi.
Mi accorsi troppo tardi che Dan si era allontanato insieme al ragazzo.
Strabuzzai gli occhi. – Dan?! – chiesi a Justin e Callie. Quest'ultima si irrigidì immediatamente, capendo quello a cui stavo pensando. Justin, invece, non cambiò espressione: perché aveva capito le intenzioni di mio fratello sin dal momento in cui mi ero messa tra loro.
Mi girai e rigirai, per cercarli. Callie mi prese per mano ed iniziammo ad ispezionare la sala, insieme a Michael. Justin alzò gli occhi al cielo, ma poi decise di venire insieme a noi.
Li trovammo sulle scale. Mio fratello aveva afferrato il ragazzo per la maglia e lo stava alzando da terra. Gli abbaiò qualcosa addosso.
– Dan! – urlammo io e Callie.
Delle persone si avvicinarono a loro, per osservare, altri per registrare il video.
– No, no... – mormorai.
Dan colpì il ragazzo in pieno viso. – Ti faccio diventare la cagna di mia sorella! – tuonò.
Fece per tirargli un altro cazzotto, ma Ryan scese velocemente le scale, per poi urlare il nome di mio fratello.
Quest'ultimo lasciò la presa sul ragazzo, appena Ryan posò una mano sulla sua spalla.
Corsi per le scale, per dividere una volta per tutte il ragazzo da mio fratello. Vidi il ragazzo alzare una mano, mentre mio fratello stava probabilmente raccontando tutto a Ry.
– No! – tuonammo io e Callie, ma fui più veloce di lei. – Dan!
Ryan alzò lo sguardo su di me, appena sentì la mia voce. Notò il ragazzo, quindi diede una spinta a Dan per cercare di allontanarlo dal cazzotto del ragazzo.
Piombai sul ragazzo, proprio mentre dava un cazzotto allo spazio ormai libero grazie a Ryan, spingendolo. Gli afferrai la maglietta da dietro, ma il cazzotto a vuoto gli aveva fatto perdere l'equilibrio.
– No, no, D! – urlò Ryan, la voce piena di apprensione.
Il ragazzo si girò verso di me. Mi prese per le spalle, per trovare un appiglio, ma mi cadde addosso, imprecando. Justin venne nuovamente in mio soccorso, afferrandomi da dietro, ma qualcun altro piombò su di noi, tirandomi violentemente.
Successe tutto troppo velocemente.
Trattenni il respiro.
Vidi nero.
Ma non mi resi conto nemmeno di aver chiuso gli occhi.
Forse perché non li avevo chiusi.
Sentii solo il mio respiro affannato. Nemmeno la musica sembrò aiutarmi.
– No, no! – tuonò una voce.
Il mio respiro.
Solo... inspirai, espirai... sentii il rumore del mio cuore.
C'era qualcosa di soffocante nel distacco, ma altrettanto caotico e riparatore.
Inspirai.
Espirai.
Passarono pochi secondi, ma mi sembrarono minuti interi.
Tutte le persone stavano guardando i buttafuori allontanare malamente il ragazzo. Io mi trovavo alla fine delle scale, in piedi, senza sapere come. Alzai lo sguardo. Ryan e Dan mi stavano osservando, le espressioni completamente terrorizzate.
Dan scosse la testa e se ne andò velocemente, urlando: – A casa!
***
Mentre stavamo in macchina, Callie mi porse una bottiglietta d'acqua. – Bevi un po' – mi sussurrò.
Daniel era alla guida, dal modo in cui stava tenendo il manubrio potei capire che era furioso. Ryan non sembrava stare meglio, visto il suo modo di guardare fuori dal finestrino, taciturno, con la mascella completamente contratta.
Quando parcheggiò davanti il loro nuovo appartamento, capii di non aver altra scelta.
Dan chiuse lo sportello senza alcuna gentilezza, facendo tremare perfino la macchina. Ryan non lo rimproverò.
– Daniel... – lo chiamai. – Smettila.
– No, smettila tu! – sbottò Daniel, avvicinandosi a me con l'indice alzato. Era furioso. – Perché cazzo ti sei messa in mezzo?!
– Il ragazzo se n'era andato! – urlai, rispondendo al suo corpo. – Che necessità c'era di attaccarlo in quel modo?
– Ti aveva dato della cagna! – tuonò Dan. – Avevo tutto sotto controllo!
– Ti stava per prendere in pieno! Questo non è avere la situazione sotto controllo! – ribattei io.
– Ryan ci ha pensato! Non tu! Tu hai peggiorato la situazione! Quello stronzo ti stava per-
– Perché tu non sei in grado di lasciar perdere!
– No, perché tu non sei in grado di essere lucida!
Trasalii, ferita. Ryan sospirò.
– Non c'eri più, Deitra! – urlò ancora mio fratello. – Mi dovrò portare nella tomba l'immagine di te, dei tuoi occhi terrorizzati, perché non sei in grado di rimanere lucida!
– Non farlo – sussurrai, con le lacrime agli occhi.
– Non puoi intervenire in situazioni del genere! – continuò Dan, rosso in viso, con gli occhi completamente sbarrati dalla rabbia. – Lo sai benissimo, eppure ti ci butti lo stesso!
– Ti stavano per fare male! – esclamai, trattenendo le lacrime.
– Non sei in grado di intervenire! – tuonò Daniel, eliminando qualsiasi distanza tra il mio ed il suo corpo.
– Non esagerare, Daniel – intervenne Calliope. – Ti sei spaventato e sei stanco. Andiamo a dormire.
– Fanculo, Deitra! – finì Dan.
Sparì nelle scale. Callie mi accarezzò delicatamente la schiena, prima di correre appresso al suo fidanzato, probabilmente per rimproverarlo.
Ryan si appoggiò alla macchina, guardando a terra. Sospirò rumorosamente tirandosi indietro i capelli. – Che cazzo... Sono troppo ubriaco per questo – bofonchiò Ryan. – Andiamo a dormire.
– Vaffanculo, Ryan!
Roteò gli occhi, seccato. – Ok, quindi adesso te la prendi con me. Grandioso.
– Vado a casa – borbottai, girandomi per andarmene. Non era un capriccio. Non volevo entrare per la prima volta dentro quella casa in quello stato. Ero terribilmente stordita da quello che era successo ed ero anche furiosa con mio fratello. Ma ero anche delusa dal comportamento di Ryan.
– Sono le due di notte – replicò Ryan, sbiascicando le parole. – Come pensi di tornare a casa?
– Non sono affari che ti riguardano! – esclamai, prendendo in mano il telefono. Avrei chiamato Michael o Justin.
Ryan sbuffò. – Certo che mi riguarda!
– Vai a dormire, ne hai bisogno – ringhiai, senza girarmi verso di lui.
– Si può sapere perché ce l'hai con me?! – sbottò Ryan, alzando un po' la voce. – Io non ti ho fatto niente.
Non mi aveva fatto niente?
Scossi la testa, era evidentemente troppo ubriaco per parlare di certe cose.
– Rispondimi!
Cercò di camminare, ma inciampò. Per poco non cadde a terra. Imprecò.
– Vai a dormire – mi limitai a dire.
Sibilò. – Non voglio dormire, perché so già che cosa sognerò.
Non lo volli sentire, non ne ero in grado.
Cercai il nome del mio amico in rubrica.
– Ti fai venire a prendere? Davvero?
Non gli risposi.
– Porca troia, Deitra, rispondi! Ti fai venire a prendere?
– Sì! – tuonai, girandomi verso di lui, furiosa. – Vai a dormire.
– Quindi è così? Quando tu hai bisogno di me io devo stare a disposizione, ma quando sono io a stare male tu scappi?
Sbarrai gli occhi. Un cazzotto forse avrebbe fatto meno male. – Che cosa hai detto? – sibilai, tremando dalla rabbia.
– Mi hai sentito benissimo.
Scossi la testa, mi avvicinai a lui velocemente. Mi alzai in punta di piedi, con le mani chiuse a pugni ed il mento alzato per cercare di arrivare ai suoi occhi. – Hai strusciato il cazzo addosso a Louisa per tutta la serata, ed adesso mi dici che hai bisogno di me? Vaffanculo, Ryan. Chiama Louisa – gli ringhiai addosso.
– Io ho strusciato... – cercò di ripetere, ma si mise a ridere. – Louisa è la mia migliore amica!
– Si, già, beh... Vorrai scusarmi se deciderò di chiamare il mio migliore amico per andarmene via da qua – ringhiai, girandomi nuovamente, consapevole di non poter parlare con lui in quelle condizioni.
– E chi sarebbe il tuo migliore amico? – sputò, arrabbiato.
Silenzio.
– Visto che ci sei stata così bene stasera, perché non chiami Justin? – mi provocò.
Girai il viso verso di lui, rabbiosa. Forse non eravamo in grado di parlare. – Probabilmente lo farò, sai? – accettai la provocazione.
Trattenne il respiro, geloso. – Entriamo dentro, Deitra. Subito.
Ripresi a cercare il nome.
– Che cazzo, Deitra! – urlò, afferrandomi il cellulare. Mi prese il mento per fare in modo che lo guardassi. – Vai. Dentro.
– Dammi il cellulare.
– Dentro.
– Il cellulare.
Non mi lasciò il cellulare, ma decise di tornare dentro a chiamare l'ascensore. Incrociai le braccia e chiusi gli occhi, per non sbottare una volta per tutte.
Io volevo esserci per lui, ma non ero in grado di accettare determinati comportamenti. E vederlo così attaccato al corpo di Louisa... Non era uno di quei comportamenti che ero disposta ad accettare.
Avevo mantenuto la calma, ero riuscita a non fare scenate di gelosia davanti a tutti... ma non riuscivo a fare finta di niente.
Non avevo altra possibilità se non quella di prendere un taxi o un autobus... o chiedere a Callie un passaggio. Poteva prendere la macchina di Dan e portarmi a casa.
Bussai alla porta dell'appartamento di mio fratello. Sentii alcuni suoni venire da casa di Ryan, ma decisi di non dargli troppo peso.
Callie aprì la porta e si appoggiò allo stipite, storcendo la bocca. – Hai bisogno di un passaggio? – sembrò leggermi la mente.
– Non ci riesco – sussurrai.
Annuì, lanciando un'occhiata alla porta della casa di Ryan. – Sei sicura?
Annuii, convinta.
Sembrò non aver bisogno di altre conferme. Urlò: – Esco, torno subito! – per poi chiudere la porta, nonostante le imprecazioni di mio fratello.
Ci avviammo verso l'ascensore, quando sentii un rumore di vetri che cadevano a terra provenire da casa di Ryan.
Il silenzio che ne seguì mi fece accapponare la pelle.
Callie mi guardò, con la fronte aggrottata. – D...
Sospirai. Non me ne potevo andare. Non con lui in quelle condizioni.
– Vai da lui – mi disse semplicemente Callie. – Starà passando le pene dell'inferno.
Non dovetti nemmeno bussare alla porta, perché mi aveva lasciato le chiavi attaccate. Le girai e senza fare troppo rumore aprì la porta, non appena Callie rientrò in casa.
La casa era immersa nel buio, se non fosse stato per una sola luce proveniente dall'abat-jour sul tavolino vicino all'enorme divano color grigio antracite. Ryan si trovava proprio seduto là, coi gomiti sulle cosce e le mani davanti al viso.
Mi si strinse il cuore.
Stava sussultando lievemente.
Mi avvicinai lentamente, un po' spaventata dal vedere Ryan in quello stato. Mi misi seduta vicino a lui, facendo attenzione alla ciotola di vetro che aveva scaraventato a terra. Non dissi una parola, ma posai una mano sul suo avambraccio e l'altra sulla sua schiena, sentendo i sussulti derivanti dal pianto.
Mi vennero le lacrime agli occhi. – Ry...
– Lasciami stare, Deitra. Non ho bisogno di te.
Aveva la voce incrinata dal pianto.
Sospirai e poggiai la fronte sulla sua spalla, in silenzio. – Mi dispiace – dissi. – Non volevo peggiorare la situazione.
Si spostò, anzi si alzò proprio dal divano, per poi chiudersi in camera.
A chiave.
Mi aveva lasciato aperta casa, eppure non mi voleva più attorno. Questo era quello che accadeva quando una persona era sempre stata abituata a rimettersi in piedi da sola, immaginai.
Non sapevo come fare. La mia testa era appesantita da tutto quello che era accaduto quella sera e la paura non aveva ancora tolto tutti i suoi artigli dal mio cuore.
Mi diressi in bagno per lavarmi i denti e togliermi il vestito. Rimasi in biancheria intima e tornai davanti la porta, cercai di abbassare la maniglia ma era ancora chiusa a chiave. – Ry... Ti prego...
Aprì di scatto la porta e mi prese le mani per posarci il mio cellulare. – Chiama chi devi – mi ringhiò addosso, ad un palmo dal mio viso.
– Rimango qua – annunciai, cercando di posare una mano sulla nuca.
Mi tolse la mano bruscamente. – Chiamalo.
Aggrottai la fronte. – Perché fai così adesso?
– Perché non ho bisogno di te.
– E di chi hai bisogno? – provai.
Un lampo illuminò i suoi occhi. Ma rabbrividii. – Vuoi veramente saperlo? – mi ringhiò. Annuii, nonostante avessi già capito che mi avrebbe detto qualcosa solo per ferirmi. – Di Louisa.
Ridussi le labbra in una linea fina. – Proviamo a chiamarla allora.
– Si, così magari me la scopo con te presente.
Trasalii. – Sei- Cosa? – balbettai.
Fece un passo indietro e richiuse la porta davanti a me.
Piansi sommessamente, coprendomi il petto. Andai verso il divano e mi rannicchiai là.
***
Sognai mani che mi afferravano, che scendevano verso l'orlo del vestito. Sognai un respiro affannato, un gemito ed un tremore.
Quando nei film si svegliano di soprassalto, urlando o alzandosi di scatto in realtà stanno cercando di esprimere un dolore, una paura diversa.
Diversa dalla mia.
Perché ogni volta che mi svegliavo da sogni del genere non riuscivo mai a muovermi o a respirare. Il mio corpo si irrigidiva così tanto da provare dolore.
Ricominciai a vedere e fu anche peggio.
Perché quella stanza non la conoscevo.
I miei occhi saettarono lungo le pareti bianche, in cerca di qualche indizio. Fu il comodino nero con sopra una cornice bianca a farmi collegare tutto alla camera di Ryan.
– D?
Trasalii.
Mi resi conto solo in quel momento di avere il respiro affannato.
– Stai bene?
Rimasi in silenzio, a causa dell'enorme nodo in gola.
Mi posò una mano sul braccio e questo fu abbastanza da farmi scattare fuori dal letto. Quando mi girai verso di lui, notai immediatamente i suoi occhi sbarrati dalla paura. Alzò le mani, come per tranquillizzarmi. – Va tutto bene. Era... solo un incubo – mormorò.
Mi guardai attorno e poi notai di indossare una maglia bianca. – Mi hai portato tu qua? – chiesi, diffidente, coprendomi il seno.
– Si... stavi dormendo sul divano e sembrava avessi freddo – rispose.
L'orologio sul comodino segnava le cinque di mattina. Ispezionai l'enorme letto nero, con le lenzuola bianche, l'armadio nero attaccato alla parete. Chiusi gli occhi, sentendo un forte mal di testa. Uscii velocemente dalla camera, per andare a prendere un bicchiere d'acqua.
Quando mi rigirai, bevendo avidamente, notai Ryan appoggiato allo stipite. Aveva delle profonde occhiaie, come se non avesse dormito, ma gli occhi luccicarono di preoccupazione. In quel momento mi resi conto che aveva solo dei boxer neri. In realtà, era un'informazione che avevo captato momenti prima, senza averla registrata realmente.
– Andiamo a prendere un po' d'aria? – propose.
– Adesso fai il gentile? – ringhiai, arrabbiata. – Torna a dormire e lasciami stare.
Sospirò, mettendosi indietro i capelli in disordine. – Mi dispiace per prima – borbottò. – Ero ubriaco, arrabbiato, spaventato, geloso e maledettamente distrutto. Non volevo ferirti.
– Si che volevi ferirmi.
Rimase in silenzio per un po'. – Si, ma era... Ero ubriaco, D.
Scossi la testa. – Sei stato cattivo.
– Mi dispiace. Mi sono comportato male per tutta la serata, è vero.
– Accompagnami a casa.
Sgranò gli occhi. – Fammi spiegare...
– Che cosa?! – sbottai, con le lacrime agli occhi, alzando le mani al cielo. – Perché ti sei comportato male? Perché ti sei strusciato addosso a Louisa tutta la notte, senza vedermi minimamente? Perché ti sei ubriaco in questo modo? Perché prima volevi che venissi qua e poi mi hai cacciata? O perché volevi che ti vedessi scopare con un'altra?
Ebbe un sussulto ed abbassò lo sguardo a terra. – Non avrei dovuto. Ero ubriaco. Ti... ti stavo provocando.
Aggrottai la fronte, cercando il suo sguardo. Era terribilmente bello anche in quel momento, con il mento abbassato, il corpo nudo e muscoloso rigido... nonostante le occhiaie e la fronte aggrottata, nonostante le braccia incrociate e le labbra ridotte ad una linea fina. – Mi stavi provocando? – ripetei, scioccata. – E per quale motivo? Solo un momento prima eravamo a casa a discutere su come fare sesso qua dentro!
– Sono più incasinato di quanto pensi, D – mi avvertì.
Scossi la testa. – No, sei confuso a causa di quello che ti sta succedendo! – esclamai. – E lo posso capire, ma fino ad un certo punto. Non mi farò usare come capro espiatorio. Non sarò la stronza che ferisci perché non vuoi affrontare il resto.
– Non lo sarai, non lo permetterei.
– Stanotte mi hai provato il contrario! – ribattei, furiosa. Ancora silenzio. Ancora lo sguardo a terra. Ancora le braccia incrociate. Mi stava chiudendo fuori. Mi chiesi se mi avesse mai fatto entrare. – Io non ti voglio a metà – dichiarai, andando a prendere i miei tacchi ed il vestito. – Non me lo merito.
Mi tolsi la maglietta velocemente. Sentii i suoi occhi seguire i miei movimenti, ma non lo guardai. Infilai il vestito con qualche difficoltà e poi fu il turno dei tacchi. – Te ne vai? – volle sapere.
– Secondo te? – sputai. – Dove sono le chiavi della macchina?
Strinse la mascella e mi guardò negli occhi. – Fammi vestire. Sei troppo arrabbiata per guidare.
Risi. – E tu sei ancora troppo brillo per guidare! – esclamai. – Dammi le cazzo di chiavi.
I muscoli della mascella guizzarono. – Fammi spiegare...
Scossi la testa. – No, non oggi. Siamo entrambi troppo arrabbiati.
Ci pensò, mi guardò a lungo, come spaventato. – Va bene... ma ne dobbiamo parlare. Domani davanti ad un caffè? – propose, andando a prendere le chiavi della macchina, che si trovavano all'ingresso, proprio sulla credenza scura ed elegante.
Afferrai velocemente le chiavi. – Non lo so, ti faccio sapere – borbottai.
– D...
– Prendi il cazzo di caffè con Louisa – gli ringhiai addosso. Alzò il mento, non aspettandosi una reazione del genere da parte mia. – Visto che ci parli e ci scopi così bene!
Sbuffò, tirandosi leggermente i capelli, nervoso. – Fammi sapere se ti liberi domani... e mandami un messaggio appena arrivi a casa.
– Fottiti – ringhiai, voltandogli le spalle.
– Vorrà dire che userò il GPS della macchina – borbottò.
– Fottiti, Ryan! – urlai.
– Sai una cosa, Deitra? – urlò. – Prima di dare la colpa al mio modo di fare, pensa anche al tuo! – Non si avvicinò. Mi girai, ormai davanti alla porta d'ingresso. – Non sei nemmeno in grado di raccontarmi gli incubi che fai. E la colpa sarebbe mia perché ti do metà del mio essere? Beh, lo stai facendo anche tu.
Strinsi i denti così tanto da provare dolore. – Tu sai tutto di me.
– Non so che cavolo ti è successo, non mi parli degli incubi che ancora ti immobilizzano in quel modo...
Aprì la porta e me ne andai.
Non eravamo pronti a discutere in quel modo. Io avevo bisogno di staccarmi, prima di riprendere.
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