Capitolo 5: Occasioni

Passai alcuni giorni insieme alla mia coinquilina, per cercare di conoscerla meglio; tuttavia, capii dopo il primo giorno che, per quanto fosse una persona socievole, aveva molto da nascondere. Per questo ad un certo punto semplicemente smisi di chiedere cose sul suo conto.

Evitai mio fratello anche al campus, e così anche lui. Ryan di tanto in tanto mi lanciava occhiatacce, mentre mio fratello scappava da me.

Dan era sempre stato il mio fratellone, sapevo di essere la sua preferita. L'avevo ferito molto, ne ero convinta, e le occhiatacce del suo migliore amico erano una conferma, ma non potevo continuare in questo modo. Mio fratello doveva capire che non poteva distruggere tutte le persone che mi ronzavano intorno. Più andavamo avanti e più il suo comportamento peggiorava, soprattutto dopo la morte di nostra mamma.

Doveva iniziare a capire.

Una mattina, a pochi passi dalla mia auto, mio fratello decise di venirmi a parlare poco prima della mia prima ora di lezione.

Venne verso di me con un'espressione colpevole. Sapeva di aver esagerato. - Buongiorno, D. Possiamo parlare? - chiese.

- Devo andare a lezione - borbottai.

- Per favore, D - mormorò, fermandomi. - Ti prego... Mi dispiace, davvero. Ho esagerato. Speravo di convincere il papà di Ryan facendogli vedere dove lavoravi, e invece ho finito per rovinare tutto. Mi dispiace, davvero. Io voglio solo il meglio per te.

- E allora smettila di essere così protettivo nei miei confronti - ringhiai io, avvicinandomi a lui. - Non sono più una bambina.

- Fidati, lo so bene. Prima col cazzo che ti si avvicinavano così tanto i ragazzi - borbottò.

Gli lanciai un'occhiataccia. - Devi lasciarmi respirare. Quello che fai, come lo fai... non è sano, Dan.

Annuì. - Hai ragione. È solo che dopo l'ultimo anno di liceo, non voglio che ti accada niente.

Il mio cuore sussultò e dovetti guardare altrove. - Ormai so cavarmela, Dan.

- Per favore, non avercela con me.

Mi trattenni dall'abbracciarlo. Accennai un sorriso. - E tu non esagerare.

Dan ricominciò a parlare, ma smisi completamente di sentirlo. Da una macchina nera scese forse l'ultima persona che mi aspettavo di vedere. Iniziai a non sentire più le labbra, le mani... Mi resi conto di non stare più respirando. Trasalii ed annaspai, in cerca di aria.

- D? - mi chiamò mio fratello, posando le mani sulle mie esili spalle. - Ti senti bene?

Incrociai lo sguardo di Aiden.

Scossi la testa. - Io... io devo andare.

Mi allontanai di scatto da mio fratello, per poi avanzare velocemente verso la mia macchina. Passai accanto al mio ex ragazzo, il quale mi guardò per tutto il tempo. Io, d'altro canto, abbassai lo sguardo. Entrai in macchina, misi la retromarcia e partii.

Dovetti inchiodare. Mi resi conto di stare contromano. Mi ritrovai davanti una macchina. Ma non era una macchina qualunque, era quella di Ryan. Non appena mi riconobbe iniziò a lanciarmi occhiate di fuoco. Annaspai ancora, misi nuovamente la retromarcia e scappai.

***

Con la testa tra le mani, ricominciai a respirare a fatica. Ancora all'interno della macchina, in un parcheggio poco lontano da quello del campus, mi ritrovai ad annaspare e piangere.

Che diavolo ci faceva Aiden là? Perché proprio nel mio stesso campus? Mi venne immediatamente in mente la sua foto, con la descrizione che diceva "cambiare aria". Beh, l'aveva cambiata di certo.

Aiden era stato il mio primo ed unico ragazzo. L'unico che sembrava aver messo almeno un po' da parte la figura di Ryan. Aiden era sempre stato un ragazzo quasi perfetto agli occhi di chi non lo conosceva: aveva sempre avuto ottimi voti, amava giocare a baseball ed era anche piuttosto bravo. Insomma, durante il mio terzo anno di liceo mi era sembrato il Principe Azzurro. Dopo poco più di due mesi di frequentazione, in realtà, avevo capito che tutto era tranne che un Principe. Nonostante le sue mille insicurezze, dovute ai suoi genitori iperprotettivi e perfezionisti, io avevo comunque avuto la bellissima idea di innamorarmi di lui.

Mi aveva reso la ragazza più felice dell'universo, e con la stessa facilità era riuscito a prendere il mio mondo e trasformarlo in tutto ciò che odiavo.

Continuai a ricevere e rifiutare chiamate da parte di mio fratello, che chiaramente non lo aveva riconosciuto. In effetti si era fatto crescere i capelli, esattamente come gli avevo consigliato anni prima, ed anche il vestiario era molto più sportivo.

Dopotutto però mio fratello lo aveva visto raramente, dato che già viveva lontano da casa. Inoltre, avevo sempre cercato di farli incontrare il meno possibile, a causa dell'eccessiva gelosia di mio fratello. Quello che spingeva mio fratello ad allontanare tutti i ragazzi era ovviamente il fatto che per lui nessuno era alla mia altezza, probabilmente perché aveva un'idea assolutamente distorta di quello che ero io.

**

Nei corridoi della scuola io ero sempre stata quella invisibile, insieme alla mia amica Alice. Non mi aveva mai dato fastidio, fino a quando non avevo visto Aiden. Quel mantello dell'invisibilità a cui tanto ero abituata, sin da piccola, mi era diventato un po' stretto, a tratti soffocante, da quando io avevo puntato gli occhi sull'unico ragazzo della scuola per cui stravedevo, senza ricevere nemmeno uno sguardo.

Non so bene dopo quanto tempo, non so nemmeno come; tuttavia, sembrò notarmi dal giorno alla notte. Non cambiai atteggiamento, non ci fu una cosa diversa. Eppure, un giorno, continuai a guardarmi attorno, mentre Alice mi parlava del suo ragazzo, e lo ritrovai a fissarmi, insieme al suo migliore amico.

Quando mi sorrise, arrossii e tornai a guardare la mia amica, in preda al panico.

Da quel giorno, tutto cambiò. Ben presto, iniziò a sedersi al tavolo vicino al mio in mensa, fino ad arrivare a sedersi nel mio stesso tavolo.

Dopo una settimana, probabilmente quando capì che non gli avrei mai parlato per timidezza, decise di sedersi vicino a me ed Alice, proprio mentre stavamo parlando dell'ultima lezione.

-- Ciao! - esclamò, sedendosi vicino a me. Guardai la mia amica e divenni paonazza. Alice si mordicchiò il labbro inferiore.

Girai lentamente il viso verso di lui, come impaurita. - Emh... Ciao...

- Tu devi essere Deitra.

Trasalii. - S-Sì, ma tu come fai a saperlo? - mormorai io, sempre più rossa in viso.

Ridacchiò. - Perché ho chiesto di te.

Trattenni una risata nervosa. - Ah.

Mi porse la mano. - Io sono Aiden, piacere. Sto al secondo anno.

Tentennai alcuni secondi, prima di stringergli la mano. - Piacere. Primo anno.

Mi sorrise calorosamente, i suoi occhi divennero più piccoli ed una luce bellissima li illuminò. In un batter d'occhio, mi ritrovai a sorridere. - Mi piacerebbe invitarti a prendere un caffè.

- Oggi? - chiesi io.

Rise, facendomi arrossire nuovamente. - Quando vuoi. Anche oggi, se sei libera.

- Oggi dovrei studiare...

- Dammi il tuo numero, così ci organizziamo.

Mi fermai a guardare i suoi occhi verdi, quasi rapita. Non ero abituata a parlare coi ragazzi, figuriamoci ad essere corteggiata da uno di loro. Ryan era sempre stato l'unico ragazzo, l'unico con cui avevo parlato e l'unico per cui avevo mai provato qualcosa di vero.

Ci vedemmo direttamente quel giorno. Provai a studiare, tuttavia l'ansia e l'eccitazione mi portavano a pensare sempre ad Aiden, questo mi spinse a chiudere i libri ed a scrivergli un messaggio. Mi rispose poco dopo e ci vedemmo ad un bar vicino casa mia.

Fu il mio primo appuntamento, non pensai nemmeno una volta a Ryan. Mi ritrovai seduta su una sedia piuttosto scomoda a guardare negli occhi un bellissimo ragazzo, chiedendomi mentalmente più volte che cosa lo avesse spinto ad uscire con una sfigata come me.

Mi rapii, il primo mese di frequentazione ero così euforica che non pensai quasi mai a Ryan. Quasi. Ben presto, mi ritrovai a vedere Aiden sempre più spesso e Ryan sempre di meno. Dopo due mesi, Aiden conobbe la mia famiglia ed io la sua. Mi innamorai perdutamente delle sue fragilità, della sua finta perfezione e di quegli occhi così verdi.

**

Capii di dover tornare a lezione dopo alcuni giorni di reclusione. Non avevo parlato con nessuno, addirittura mia sorella aveva provato a contattarmi, il ché voleva dire che mio fratello era veramente preoccupato.

La mia coinquilina invece era stata molto sulle sue, non mi aveva chiesto troppo, una volta capito che non ne volevo parlare. Le ero molto grata per questo.

Sapevo di non poterle chiedere molto sul suo conto, e questo sembrava valere anche per me. C'era una sottospecie di rispetto, che ci spingeva a rimanere in silenzio quando l'altra non voleva parlare o voleva semplicemente un po' di spazio.

Erano delle ottime basi su cui costruire una convivenza.

Quando mi presentai al campus, mio fratello sembrò individuarmi immediatamente. Mi inchiodò con lo sguardo, infuriato, per poi fermarmi. - Io capisco il doverti dare spazio, ma pensavo ti fosse successo qualcosa! Davvero, così non va bene, D. Non puoi prendere e sparire per giorni interi, senza nemmeno rispondere ad un semplice messaggio.

Sbuffai. - Sono qua, come vedi sto bene.

- No che non stai bene! - esclamò lui, attirando l'attenzione del suo migliore amico, che si avvicinò velocemente a noi, probabilmente perché sapeva che avrebbe dovuto chiedere a Dan di abbassare la voce da lì a poco. - Hai delle occhiaie paurose e la faccia di chi ha pianto per giorni!

Feci una smorfia disgustata. - Non ho mai pianto, Daniel. Non esagerare.

- Solo... dimmi che diavolo è successo - ringhiò lui. - Quando te ne sei andata, avevi l'aria di chi aveva appena visto un fantasma, cazzo!

- Non esagerare - si intromise Ryan. - E abbassa la voce se non vuoi attirare l'attenzione.

- Non me ne frega un cazzo!

- Beh, a me sì! - esclamai io, nell'esatto momento in cui Ryan disse: - A D interessa e lo sai.

Trasalii e puntai gli occhi su di lui, con il cuore a mille. Gli interessava non farmi sentire a disagio. Il modo in cui raccoglievo le sue briciole mi dava veramente ai nervi. D'altro canto, lui sembrò evitare il mio sguardo come la peste.

Proprio in quel momento, notai un ragazzo scendere dalla sua macchina costosa. Un ragazzo dai capelli ricci e scuri, con dei vestiti altrettanto costosi. Sentii il sangue defluire dal mio viso. Il cuore ricominciò a battere velocemente.

- Hai di nuovo quell'espressione. Chi diavolo è che ti dà così fastidio?! - sbottò nuovamente mio fratello, guardandosi intorno.

Il suo migliore amico invece sembrò non avere nemmeno bisogno di guardarsi attorno, perché adocchiò immediatamente Aiden. Aggrottò la fronte, confuso. Sembrò quasi riconoscerlo. Iniziò a guardarmi, come in cerca di una risposta. Scosse la testa quasi impercettibilmente.

Mio fratello ci smascherò. - Chi cazzo è quello? È lui il problema? Che cosa ti ha fatto?! Aspetta, che adesso gli vado a dire quattro...

- Fermati, tigre - lo prese in giro Ryan, afferrandolo per la spalla. - Conosco quel tipo, è nuovo, ma è innocuo.

Trasalii nuovamente. Aiden innocuo? Lui non sapeva, ma d'altronde come poteva saperlo. La rabbia fece capolino e Ryan se ne accorse, perché mi guardò ancora più confuso.

- Perché ha una faccia così familiare? - ringhiò Dan, guardando Ryan. Non aveva ancora collegato Aiden a me.

Ryan tentennò. - Non so, amico. A me non sembra di conoscerlo - rispose, per poi osservare me. Lo aveva riconosciuto. Oh, eccome se lo aveva riconosciuto. Perché mi guardava come in attesa di sentire qualcosa da me.

Scossi la testa. - Devo andare a lezione - mormorai, non appena Aiden mi passò accanto.

Una volta finita anche la penultima lezione, rimasi comunque in aula, seduta, a guardare gli appunti sulla lavagna del professore.

Dalla porta entrò Callie, la quale si mise seduta accanto a me. Sospirò. - Io lo so che mi dovrei fare gli affari miei, come mi dici ogni volta. Ma ti vedo veramente sotto un treno, Deitra, e sono un po' preoccupata. Voglio dire, tu sei sempre quella ragazza che mi ha preso in giro il primo giorno che ci siamo conosciute?

La guardai, stranita. - Perché mi fai questa domanda? Sai già la risposta.

- Perché pensavo fossi più cazzuta di così.

Alzai le sopracciglia, furiosa. - Scusami?

- Sì, insomma... che cos'è questa faccia da vittima? Non pensavo fossi una di quelle ragazze che preferiscono deprimersi, piuttosto che-

- Piuttosto che cosa? Almeno io non mi nascondo dietro a tremila bugie, Calliope - sputai con cattiveria.

Passò un'ombra sul suo viso. - Beh, io preferisco le bugie al vittimismo.

Mi alzai dalla sedia, sempre più nervosa.

- Ok, ok! - esclamò, afferrandomi il braccio. - Ho esagerato. Volevo semplicemente farti sfogare un po', ma vedo che mi stai per mandare a fanculo.

- Ci sono veramente vicina.

Mi sorrise. - Va bene. Non è la tattica adatta allora. Semplicemente... se ne vuoi parlare, io sono qua, va bene?

L'osservai. Non avevo più amici, a causa di Aiden. La mia fiducia nelle ragazze era scomparsa molti anni prima. Ero stata tradita e buttata in un angolo da Alice, e con lei anche quelle poche amiche che avevo. - Grazie - dissi semplicemente, prima di andarmene.

Non appena uscii dall'aula, mi ritrovai davanti Aiden, anzi ci andai proprio a sbattere contro. Mi tenni stretta lo zaino, pur di non farlo cadere, e trattenni il respiro non appena il mio petto si allontanò dal suo.

- Dei, stavo cercando proprio te - disse semplicemente Aiden, tenendo la mano sulla mia spalla, come a non farmi scappare.

- Che culo, io stavo facendo l'esatto opposto - borbottai, guardandomi in giro, pur di non incontrare i suoi occhi verdi.

Ridacchiò. - Sì, l'ho notato. Mi stai evitando da quando sono arrivato - confermò.

- E questo che cosa ti fa capire? - ringhiai. Continuai a guardarmi intorno, all'inizio fu solo per cercare di distrarmi; tuttavia, poco dopo i miei occhi caddero letteralmente dentro quelli del migliore amico di mio fratello, il quale stava parlando con una ragazza dai capelli biondi, non molto lontano da dove mi trovavo io. Il panico prese il sopravvento.

- Che dobbiamo parlare, sai... per chiarire.

Fu più forte di me: lanciai un'occhiata di fuoco ad Aiden. - Chiarire? Dopo quanto, più di un anno? - chiesi, prima di ridere, nervosa. - Sai cosa, Aiden?! Perché non facciamo così: tu continua a cercarmi, nel frattempo io cercherò di evitarti fino alla fine dell'anno. Ci si vede in giro, coglione.

Cercai di dargli una spallata, nonostante la differenza di stazza. Infatti, venne fuori una scena piuttosto patetica.

A pochi passi da me, lo sentii girarsi e ridere. - Preferirei tornare ai nostri vecchi giochi piuttosto.

Arrossii violentemente non appena vidi l'espressione di Ryan. All'inizio sembrò quasi scioccato, poi addirittura arrabbiato e schifato.

Passai accanto anche a lui, con lo sguardo a terra, completamente rossa dalla vergogna.

***

Non so bene per quale motivo, ma non appena vidi Ryan appoggiato alla mia macchina non ne fui assolutamente sorpresa. Con il petto appesantito da quella che era stata una mattinata veramente stressante, mi convinsi a continuare a camminare.

- Quindi... Aiden, giusto?

Cercai di sembrare impassibile. - Chi?

- Mi hai sentito benissimo - replicò Ryan, con tanto di occhiataccia. - Non fare finta di non aver capito per guadagnare tempo.

Trattenni un sorrisino compiaciuto, perché ogni tanto sembrava conoscermi più di chiunque altro. - Non è Aiden. E tu come fai a conoscere Aiden?

Incrociò le braccia, con tanto di espressione seria. - L'ho incontrato due o tre volte a casa vostra, quando stavate insieme. Sembrava... un tipo apposto - disse, a denti stretti, facendomi capire che non lo pensava affatto.

Ridacchiai, senza alcun entusiasmo. - Aiden è il migliore - lo presi in giro.

- Strana decisione la sua - se ne uscì. Lo guardai, leggermente confusa. - Intendo quella di decidere di cambiare campus.

Trattenni un brivido. - Già. Per fortuna non sono nella sua testa - mormorai. - Mi fai entrare in macchina o devi dirmi altro?

Sembrò pensarci su. L'osservai, ma non ci fece caso. Era sovrappensiero e mi apparve anche preoccupato. - Credo sia ovvio il motivo di questa sua scelta, D - disse.

- Ah sì? Beh, può farci quello che vuole col suo motivo - ringhiai. - Posso entrare?

Aggrottò la fronte. - Perché ce l'hai tanto con lui? Che cosa ti ha fatto? Insomma, non credo non si possa rimediare ad un cuore spezzato - disse con finta leggerezza.

Strinsi i denti, furiosa. Pensava davvero che tutta la mia rabbia fosse dovuta ad un semplice cuore spezzato, pensava fosse solo perché mi aveva lasciato, quando in realtà ero stata io a lasciare Aiden. Ero stata costretta a farlo.

- Spostati.

La sua espressione si fece ancora più confusa. - Come, scusa?

Ridacchiai, nervosa, per poi ravvivare i capelli. - Ti ho detto spostati. Questa è la mia macchina ed io voglio tornare a casa. Tu no, Ryan?

Di tanto in tanto si scioccava ancora per il mio comportamento completamente diverso da quello di anni prima. Per questo forse ci mise un po' a rispondere. Tuttavia, ogni volta che mi comportavo come mi veniva più naturale, qualcosa nei suoi occhi mi sembrava cambiare; sembrava quasi piacergli. - Sto cercando di parlare con te, non ne sei felice? - mi chiese, con aria da saccente.

- Mi sembra di averti già detto che, se sei lo stronzo che sei stato fino ad oggi, non voglio sapere niente di te, quindi figuriamoci parlarti del mio ex fidanzato - borbottai, poco convinta. In realtà, sapevo che c'era dell'altro. Ryan poteva far finta di essere uno stronzo con me, ma avevo avuto la possibilità di osservarlo per anni. Era una persona fredda, ma non era cattivo.

Scosse la testa. - Non ti capisco, D. Questa potrebbe essere una bella occasione per voi.

Digrignai i denti. - Vai a fare cupido altrove - ringhiai, nera dalla rabbia, per poi spostarlo malamente. Stranamente, si fece spostare e mi diede il tempo di entrare in macchina.

***

Due giorni dopo, il pomeriggio andai a studiare a casa di mio fratello, dato che Ryan lavorava. Tuttavia, dopo più di due ore sui libri, chiusi per un attimo gli occhi e quando li riaprii mi ritrovai davanti il papà di Ryan in persona.

Trasalii.

- Oh, si è svegliata - disse semplicemente il signor Mark. - Daniel, si è svegliata tua sorella.

Aggrottai la fronte, confusa. - Signor Mark? Che cosa ci fa lei qua? - volli sapere io, alzandomi dal divano. - Mi scusi, devo avere un'aria orribile. Come sta? - chiesi io, cercando di riallacciarmi il bottone del jeans e lisciare la maglietta bianca.

Il papà di Ryan trattenne una risata. - Stavi dormendo, cara. Non ti devi preoccupare, anzi mi dispiace averti disturbata. Sembravi dormire così bene...

Pensandoci bene, il mio svegliarmi e trovarmi il signor Mark intento ad osservarmi mi aveva tolto del tutto sonno e quel senso di pace che si prova non appena svegli. - Mio fratello le ha già offerto qualcosa? - chiesi, ravvivandomi i capelli.

- Sì, non ti preoccupare - rispose, sedendosi sul divano. Posizionò le braccia lungo i cuscini reclinabili del poggiatesta, per poi posare la caviglia sulla coscia. Sospirò. - In realtà sono qui per te, Deitra.

Il mio cuore fece un sussulto. - Come, mi scusi? - cercai di capire.

Mi sorrise. - Vorrei che tu venissi a lavorare per me.

Guardai Daniel, che era da poco sbucato dalla cucina, e mi misi a ridere. - Emh, la ringrazio, ma non credo sia-

- D.

Trasalii nuovamente, alle mie spalle c'era Ryan. Mi girai verso di lui, con il cuore a mille, e la testa piena di domande. I miei occhi impauriti sembrarono addolcire la sua espressione.

- Io e papà ci abbiamo pensato a lungo. È un'ottima occasione per te - continuò Ryan, convinto.

Portai il peso del corpo da un piede all'altro, affatto convinta. Dopotutto era stato Ryan stesso a chiedermi di stare il più lontano possibile da lui, era stato Ryan a trasalire quando a Dan era venuta in mente l'idea di farmi lavorare per il padre.

- E sarebbe un'ottima occasione anche per noi, ovviamente - continuò il signor Mark, sorridendomi. C'era sempre stato qualcosa nello sguardo e nel sorriso di quell'uomo... Al contrario del figlio, il suo sorriso non mi aveva mai trasmesso altro se non freddezza. Era un calcolatore, lo era sempre stato.

Mi girai nuovamente verso Ryan, nervosa. Lui annuì impercettibilmente, per farmi coraggio. - Posso pensarci? - chiedi guardando il papà di Ryan.

- Oh, ma dai! - esclamò Dan. - Devi pensarci?! Cosa c'è, preferisci stare nuda in un locale?!

- Daniel - lo ammonì il signor Mark. Tornò a sorridermi. - Pensaci, Deitra. Mi raccomando, fai la scelta giusta. Mi è dispiaciuto vederti in quello stato, pochi giorni fa. Puoi aspirare a qualcosa di molto più alto.

Strinsi le labbra, perché tutti me lo dicevano, ma nessuno sembrava capirmi. - La ringrazio.

Si alzò dal divano e posò la mano sulla mia esile spalla. - Sei come una di famiglia per me e Ryan.

Il mio stomaco si contorse. Anche lui sapeva che avevo sempre avuto una cotta per il figlio. Trovai la sua uscita quasi cattiva. Mi stava forse dicendo che tra me e suo figlio non ci sarebbe stato altro? Accennai un sorriso annuendo, perché non c'era veramente bisogno di dirlo: il figlio era già stato abbastanza chiaro.

Si allacciò i bottoni della sua giacca elegante e se ne andò, salutando da lontano tutti.

Non appena mio fratello smise di farmi la paternale e tornò ad urlare al telefono, notai che Ryan non si era mosso di un centimetro, anzi stava continuando ad osservarmi dallo stipite della sua porta. Non appena i nostri occhi si incrociarono, sembrò risvegliarsi, quindi si rigirò, pronto a chiudersi dentro la sua camera da letto.

- Ryan, aspetta - mormorai, nervosa, posando la mano sulla porta. Si fermò, quasi scocciato. - Perché lo fai?

- Te l'ho già detto. È una bella occasione per te - borbottò, senza guardarmi negli occhi.

- Beh, ma quello che mi hai detto...

- Dimentica tutto - mi fermò lui. - Non sono così egoista. In quel pub non ci puoi stare. Mio padre può darti una bella spinta nel mondo del lavoro.

Scossi la testa. - Lo so, ma non credo sia comunque una buona idea.

- Siamo in due - borbottò, guardando altrove, nervoso. - Ma non sono riuscito a collocarti in nessun'altra azienda come quella di mio padre.

Rimasi ad osservarlo. Da quanto tempo stava cercando lavoro per me? E non un semplice lavoro, ma un lavoro in un'azienda importante. Mi mordicchiai le labbra, sempre più nervosa, mentre qualcosa nel mio stomaco iniziava a pizzicarmi. Era la speranza. La speranza di contare veramente per lui. - Perché? - sussurrai.

Mi guardò, come costretto. - Ti conosco da anni, D. Non ho intenzione di lasciare che cerchino di trasformarti in una ragazza che non sei - disse. Sembrò sincero e non staccò gli occhi dai miei.

Trattenni un sospiro. - E tu credi di sapere chi sono?

Non mi rispose per tanto tempo. Rimase ad osservare attentamente il mio volto, come intento a studiarlo e fotografarlo allo stesso tempo. - Non del tutto, no. Ma credo non ti conosca del tutto nemmeno tu - mormorò, la voce quasi roca.

Feci un passo in avanti, come attratta da lui. Si irrigidì. Scossi impercettibilmente la testa, come a riprendermi. - Grazie, Ryan.

Continuò a guardarmi, guardingo ed ancora rigido, con quella postura e quegli occhi che nascondono qualcosa, che ti fanno capire che non sono stati completamente sinceri. - Di niente, Deitra.

***

Parcheggiai la macchina nel parcheggio privato dell'azienda. Scesi un po' titubante, con il cuore a mille e l'ansia che da ore non mi faceva respirare correttamente. Mi ero maledetta più volte durante la mattina ed ancora non riuscivo a frenare le parolacce.

Abbassai la gonna a tubino, con le mani sudate, ed entrai nella porta principale di vetro, attenta a non lasciare impronte. Sospirai e mi diressi verso la segreteria, chiesi del Signor Mark, il quale spuntò dopo pochi secondi. Mi incitò a prendere l'ascensore insieme a lui e salimmo al terzo piano. I secondi nell'ascensore mi sembrarono minuti, durante i quali rimanemmo in silenzio.

Se c'era una cosa che avevo capito, era che il Signor Mark non faceva mai niente a caso, era tutto studiato. Sapevo quindi che la mia presenza là non poteva essere collegata semplicemente al mio "essere di famiglia". Tuttavia, non avevo ancora capito in che modo avrei potuto servirgli.

Non appena le porte dell'ascensore si aprirono, ricominciai a respirare e, dopo un'occhiata fugace al signor Mark, mi fiondai fuori prima di lui non appena mi fece un cenno con il capo. Venni praticamente investita da persone, che parlavano tenendo il caffè in mano.

Il signor Mark si mise a ridere. - Non ti preoccupare, ti abituerai alla confusione.

Tuttavia, non c'era affatto confusione. Semplicemente un leggero ronzio di computer e persone che parlavano, ma la maggior parte dei dipendenti era intenta a fissare il computer, sovrappensiero.

- Ryan è il tuo capo, al momento. Non è assolutamente ai vertici del settore, data la giovane età, ma ho pensato potesse esserti utile ritrovare una persona amica come capo.

Annuii, sorridendogli dolcemente. Ma era tutta una maschera. Per quanto fossi più a mio agio a lavorare con Ryan, che conoscevo da anni, probabilmente sarebbe stato più opportuno fare diversamente.

Lo sapevo io, lo sapeva Ryan... Di certo lo avrebbe capito anche il signor Mark.

Nonostante la giovane età di Ryan, lo ritrovai all'interno di un ufficio. Le pareti erano di vetro, quindi potei osservarlo da lontano, mentre faceva dei calcoli con la calcolatrice e passava lentamente l'indice sulle labbra ripetutamente.

Iniziai a sudare.

Pregai il mio corpo di smettere, perché avevo una camicia rosa e gli aloni sarebbero spuntati da lì a poco.

Non appena iniziai ad avvicinarmi al suo ufficio, Ryan sembrò come percepirmi. Alzò gli occhi e si immobilizzò. Non ero nemmeno entrata nel suo ufficio e già si era irrigidito. Questo mi spinse a camminare più lentamente e quasi meccanicamente.

Mi accorsi solo in quel momento che il signor Mark stava continuando a parlarmi dell'azienda. Annuii, senza ascoltarlo realmente.

Sotto gli occhi di Ryan, il padre aprì la porta e gli sorrise. - Eccola qua. Mi posso fidare, giusto?

Guardai prima il padre e poi il figlio, il quale annuì. Quindi il signor Mark mi diede una pacca sulla spalla e se ne andò, per poi prendere l'ascensore e lasciare il piano.

Girai lentamente il viso verso Ryan, il quale stava in piedi, dietro la sua scrivania moderna. Non appena i nostri sguardi si incrociarono, divenni rossa in viso.

- Ok, D - mormorò, sedendosi. - Ho pensato di iniziare da roba semplice. Quindi direi di farti classificare questi.

Abbassai lo sguardo sulla montagna di fascicoli. Storsi la bocca. Era il mio primo giorno e già mi stava facendo fare cose che non mi avrebbero dato niente in più rispetto al lavoro che facevo prima.

Cercai di prendere i fascicoli, ma lui ricominciò a parlare. - Mi raccomando, magari per te non è importante, ma in ogni azienda senza organizzazione non si va da nessuna parte.

- Va bene - mormorai, poco convinta.

- Ti faccio vedere la tua postazione - disse, alzandosi dalla sedia, per dirigersi verso la porta del suo studio. Aprì la porta e mi fece segno di passare, quindi affrettai il passo ed abbassai lo sguardo a terra quando gli passai davanti, esattamente come una bambina.

La mia postazione si trovava a pochi passi dal suo ufficio, proprio davanti alla sua scrivania. Accanto a me trovai un bel ragazzo, intendo ad osservare il computer.

- Ti porto i fascicoli - mormorò Ryan, per poi andare via.

Dopo alcuni minuti, durante i quali cercai di prendere confidenza con il computer, per fare una lista dei fascicoli, il ragazzo che si trovava alla mia destra cominciò a parlarmi. - Tesoro, se ti posso essere utile in qualche modo, non farti problemi.

Mi girai verso di lui, che invece non aveva smesso di osservare lo schermo. - Ti ringrazio - mormorai io.

- Dimmi un po', come conosci il signor Mark? - volle sapere.

- Mio fratello è molto amico di Ryan - risposi io.

Annuì e distolse gli occhi dal suo schermo. - E tu sei molto amica di Ryan?

Aggrottai la fronte, confusa. - Lo conosco da anni.

- Sì, è come un fratello per te, immagino - mi prese in giro.

Mi agitai sulla sedia. - Scusa?

Ridacchiò. - Si vede lontano un miglio che sei cotta di lui.

Arrossii e tornai a lavorare.

- Non sei una che parla molto - dichiarò lui. - Il ché è perfetto, perché io parlo decisamente troppo - ridacchiò. - Scusami se ti sono sembrato invadente, è solo che non ci ho mai trovato niente di male nell'amare una persona. Anche se quella non ricambia.

Una coltellata probabilmente avrebbe fatto meno male. - Emh...

- Io sono Ian - si presentò, porgendomi la mano.

- Piacere, io sono Deitra.

Dopo circa mezz'ora, mi alzai dalla scrivania. Chiesi ad Ian dove poter prendere quello che avevo mandato in stampa, quindi mi indicò un posto decisamente lontano rispetto alla mia postazione.

Passai davanti a tutte le altre postazioni, tutti alzarono lo sguardo sulla nuova arrivata. Abbassai nuovamente lo sguardo, con il cuore a mille e mi catapultai verso la stampante.

Una volta là davanti, un ragazzo sui trent'anni mi si affiancò. - Tu devi assolutamente essere quella nuova - disse, la voce rauca ed un bel sorriso.

- Deitra - mi presentai, porgendogli la mano.

La strinse immediatamente. - Frank - si presentò lui. - Posso esserti d'aiuto in qualche modo? Mi sei sembrata... in difficoltà.

Scossi la testa. - No no, ho risolto. Ti ringrazio.

Mi sorrise nuovamente. - Va bene - mormorò. - Allora benvenuta, Deitra - aggiunse, prima di toccarmi leggermente il braccio, ed andarsene.

Afferrai i fogli e mi diressi verso la mia postazione, per spillarli.

- Attenta a Frank - disse Ian. - Ci prova con chiunque e tutte le nuove arrivate ci cascano. Per carità, è un bel ragazzo, ma è proprio stupido.

Arrossii. - Mi è sembrato solamente gentile.

- Sì, gentile - ridacchiò. - Così gentile da volerti toccare altrove.

Gli lanciai un'occhiata stranita, per poi dirigermi verso l'ufficio di Ryan. Bussai e mi diede subito il permesso di entrare con un cenno. - La lista - mormorai io.

- Puoi lasciarla là - disse, indicando un punto sulla sua scrivania. Annuii ed appoggiai il foglio sulla scrivania, mi girai ed andai verso la porta. Non feci in tempo ad uscire che disse: - Ti avevo chiesto una lista per organizzare, non per confondere ancora di più le idee.

Mi irrigidii. - Scusami? - chiesi, acida, girandomi verso di lui.

Scosse la testa - Mi hai sentito benissimo - borbottò. - Prendi questa - disse prendendo un altro foglio dal suo cassetto. - Usalo come esempio.

Non presi il foglio, nervosa. - Cosa c'è che non va? È una lista.

- Sì, sembra una lista della spesa - rispose seriamente lui.

Mi irrigidii, sempre più nervosa. - Non è vero.

Sbuffò. - Deitra, non voglio fare polemica, ho altro da fare. Prendi questa lista e prendi spunto.

Feci come voleva, senza aggiungere una parola in più. Aprii la sua porta, pronta ad andarmene, quando lo sentii mormorare un - Fanculo.

Mi girai verso di lui, infuriata. - Spero di aver sentito male.

Sbuffò. - Non ce l'ho con te - disse, controvoglia. Non mi convinse affatto. Perché in realtà ce l'aveva con me, con la situazione in cui lo avevo messo. Non gli piaceva avermi attorno a casa, figuriamoci a lavoro. - Devo lavorare, D.

Non aggiunsi altro, me ne andai e non gli rivolsi più lo sguardo per un'ora intera. Ero infuriata, perché come poteva essere difficile per lui, lo era anche per me, se non di più, dato che non conoscevo nemmeno l'ambiente in cui mi trovavo.

Non appena finii con la seconda lista, bussai ed entrai senza nemmeno ricevere un cenno da Ryan. Posai la lista sulla sua scrivania e me ne andai senza chiedere niente. Tornai al mio posto e mi misi alla mia postazione, con le braccia incrociate.

Ryan mi lanciò un'occhiataccia, per poi prendere la lista e leggerla. L'osservai e capii che questa volta il mio lavoro fu apprezzato, perché annuì impercettibilmente e ricominciò a lavorare, senza richiamarmi.

Mi chiesi che cosa ci stessi facendo là, ad osservare lo schermo del computer, senza fare niente.

- Devi avere confidenza con Ryan - disse Ian, continuando a scrivere velocemente al computer. Girai il viso verso di lui, con ancora le braccia incrociate. - Beh, calcolando che avete già litigato il primo giorno... Direi ottimo, no?

- Non abbiamo litigato - ribattei io.

- Ah no, giusto. Probabilmente per un perfezionista come Ryan questo è flirtare - sghignazzò Ian. Mi lanciò un'occhiata maliziosa. - Non l'ho mai visto così nervoso al lavoro. Per caso state insieme di nascosto?

- Assolutamente no! - esclamai.

Fece spallucce. - Qualcosa tra voi è successo, sennò non si spiega - borbottò.

- Non è successo niente - mormorai, più per convincere me stessa che Ian. Infatti, quest'ultimo mi guardò, poco convinto.

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