Capitolo 49: Una crepa vivente

I genitori decisero di lasciarci nel pomeriggio, quindi mi dileguai insieme a loro, soltanto per strappare un passaggio.

Guardai il cellulare, avevo cercato di mandare più messaggi su Whatsapp a Ryan, ma non avevo ricevuto risposta nemmeno una volta.

Dove stai?

Sono preoccupata, rispondi.

Sei a casa? Ti raggiungo...

Posso raggiungerti?

Parlami. Sono qua per te.

Ryan... per favore...

Prendo la macchina e vengo a casa tua. Puoi non aprirmi, ma almeno fammi capire che ci sei.

Non ce l'avevo con lui per non avermi risposto. Ero semplicemente preoccupata. Sapevo che era una persona estremamente razionale, ma lo avevo percepito realmente annientato.

Per questo chiesi a mio padre di lasciarmi davanti casa. Lo salutai velocemente e salii le scale, saltellando ogni due gradini, per fare in fretta.

Quando arrivai al mio piano, mi fermai di scatto.

Stava là.

Con la schiena appoggiata alla mia porta ed il viso rivolto verso il pavimento. La camicia era leggermente aperta e sgualcita, teneva la giacca elegante sull'avambraccio e le caviglie incrociate.

Avevo il respiro affannato a causa dell'ansia, ma qualcosa si incrinò quando lo vidi così terribilmente bello ma altrettanto triste davanti la mia porta.

Si rese conto di me, quindi alzò lentamente gli occhi, studiando minuziosamente il mio corpo. Non alzò il mento, continuando a tenere il viso basso.

Mi mozzò il fiato.

Era bello da farmi tremare il cuore.

Appoggiai la mano sulla ringhiera e mi misi una mano sul cuore, in cerca di aria, o di un po' di dignità. – Ho... ho cercato di mettermi in contatto con te – mormorai, la voce roca dall'agitazione. – Da quanto tempo stai qua?

Osservò a lungo le mie scarpe, leggermente perso nei suoi pensieri. – Se devo essere sincero, penso almeno due ore – replicò, la voce spenta e priva di qualsiasi emozione.

Mi avvicinai lentamente, come a non spaventarlo. – Stavo venendo da te – aggiunsi quindi.

Fece una leggera smorfia, come se avessi detto la cosa sbagliata al momento sbagliato. Non mi lanciò strane occhiatacce, quindi continuai ad avvicinarmi. Quando fui ad un passo da lui, gli misi delicatamente una mano sotto il mento, per cercare di catturare i suoi occhi.

Quando accettò la mia richiesta silenziosa, lo osservai con grandi occhi preoccupati. Sospirò. Non disse niente.

Gli gettai le braccia attorno al collo e lo strinsi a me. Cercai di alzarmi ancora di più, per abbracciarlo. Forse per la prima volta, lo sentii appoggiare il viso sulla mia spalla e stringermi forte, per concedermi un po' della sua sofferenza.

Gli accarezzai i capelli, per tranquillizzarlo. – Capiremo come fare – gli sussurrai all'orecchio. Rabbrividì contro di me.

– Entriamo – mi disse.

Annuii, quindi mi diede modo di aprire la porta. La chiuse dietro di lui, ma non si avvicinò. Mi osservò a lungo, scrutandomi nel mio piccolo salone. Cercai di sorridergli, in difficoltà, leggermente rossa in viso. – Che... che cosa c'è?

– Mi è mancato vederti qua – sussurrò.

Il mio cuore ebbe un leggero mancamento. Cercai di trattenere un sorriso, inutilmente. Sembrò respirare così profondamente da risultare appesantito da... dalla vita. – Parlami – sussurrai. – Che cosa posso fare?

Scosse la testa. – Non... non voglio pensarci adesso – mi disse.

Alzai le sopracciglia, leggermente sorpresa dalla sua risposta, ma cercai immediatamente di riprendermi. Posai il peso da un piede ad un altro, in difficoltà, perché l'unico modo che mi veniva in mente per non farlo pensare era anche il motivo per il quale avevamo discusso, quella mattina.

– C'è della birra – cercai di dire, per cercare una soluzione. Mi tolsi i tacchi e gli andai a prendere quella che forse sarebbe stata la prima di tante birre. La posai sulla penisola che divideva l'angolo cottura dal piccolo salone.

Si appoggiò ai bordi della penisola, davanti a me. Tolsi distrattamente il tappo e gliela porsi con un sorriso dolce. Ne prese giusto qualche sorso, poi la depositò nuovamente sulla superficie e fece il giro. Cercai di girarmi, per guardarlo, ma posò le mani sui miei fianchi, facendomi capire che non voleva che mi voltassi.

Sentii qualcosa dentro il mio corpo gelare, appena sentii il suo fiato dietro di me. Guardai davanti a me, leggermente spaesata.

Le sue dita mi carezzarono gentilmente i capelli, per poi portarli su una spalla. Il suo respirò andò a farmi drizzare i capelli sulla nuca e rabbrividii leggermente quando posò le mani sulle spalle, giocando debolmente con una ciocca di capelli biondo scuro. – C'è stato un periodo, durante l'ultimo anno delle superiori, in cui li portavi quasi sempre intrecciati di lato – mi sussurrò, appena dietro l'orecchio. Deglutii sonoramente e posai le mani sul piano. Annuii. – Ho... ho bisogno di chiarire alcune situazioni con te, D – bofonchiò. Tracciò il confine tra la scollatura ampia del vestito e la pelle scoperta della mia schiena. D'istinto, inarcai la schiena e le natiche finirono contro le sue gambe. Ringhiò, stringendo la presa d'un tratto sui miei fianchi. – Ne ho bisogno il prima possibile.

– Che... che situazioni? – volli sapere, con la mente leggermente annebbiata dal desiderio.

Respirò a fondo. – Direi di metterti comoda e... parlarne – mormorò, senza smettere di toccare così delicatamente la pelle scoperta della mia schiena da farmi rabbrividire.

– Cosa? – chiesi, girando il viso verso di lui.

– Cambiati, D – tradusse.

– Oh... – mormorai. – Potresti... potresti togliermi il vestito?

Gemette rumorosamente e si spinse contro di me, alzandomi leggermente sulle punte, premendo la sua erezione contro i miei glutei. – Per favore... Non dirlo così – annaspò.

– Scusami – cercai di dire, in difficoltà. – Solo... la lampo – chiarii.

– No, non dirlo così – ripeté, nervoso. – Non dirlo con una tale ingenuità.

Cercai di guardarlo, da sopra la spalla. Appena i nostri occhi si incrociarono, ebbe un fremito e si allontanò di scatto da me. Aveva il respiro affannato, si appoggiò all'altro lato della cucina e ridacchiò, toccandosi la leggera barba incolta.

– Ryan, la... lampo – ripetei, in difficoltà. – Per favore.

– Si, solo... un attimo – disse, trattenendo una risata.

Avevo le guance rosse dall'imbarazzo. – Che cosa devo fare?

Ringhiò leggermente. – Dimmi una cosa schifosa.

– Cosa?

– Una cosa schifosa – ripeté a denti stretti.

Aggrottai la fronte, confusa. – Emh... Stamattina ho visto uno scarafaggio in bagno?

– Ti sembra una cosa schifosa? – ringhiò.

– Che cosa vuoi? Non capisco! – esclamai.

– Un'unghia incarnita.

– Cosa? – chiesi, rabbrividendo dal ribrezzo.

Chiuse gli occhi ed annuì. – Denti marci per scarsa igiene dentale.

Aggrottai la fronte. – Ti senti bene?

– No.

Sgranai gli occhi, preoccupata.

Sbuffò. – Non guardarmi con quegli occhioni spaventati, D – mi ammonì.

– Ma se nemmeno hai gli occhi aperti – ridacchiai.

– Li sento.

– Ok... emh... Non sto capendo la situazione – dichiarai.

Rise amaramente. – Vieni qua, ti abbasso la lampo – cambiò argomento. Quindi mi avvicinai lentamente a lui, con le gambe ancora malferme. Lo guardai attentamente negli occhi e vidi un desiderio che però non mi spaventò affatto, anzi lo volevo per me. – Girati – mi ordinò, con le pupille sempre più dilatate. Lo ascoltai e mi girai, dandogli nuovamente le spalle. – Pantaloncini e maglietta – continuò.

– Qualche colore in particolare? – lo punzecchiai.

Divertente.

Tirò giù la zip velocemente e staccò immediatamente le mani dal mio corpo. Mi girai, tenendo il vestito. Aveva il mento alto, stava cercando di non guardarmi. Lo cercai tremendamente, con lo sguardo. – Ry – lo chiamai. Il muscolo della mascella ebbe un guizzo. Abbassò gli occhi su di me, ancora rigido. – Se è questo quello di cui hai bisogno – sussurrai, con la voce strozzata. – Se... se hai bisogno di me in questo modo... Posso...

Feci per togliermi il vestito.

Mi bloccò le spalline. Digrignò i denti. – Non farlo.

Sgranai gli occhi, con il cuore in gola. – Non è-

– Lo è – confermò, quasi ringhiando. – Ma non voglio.

– Non lo prenderei come un insulto – dissi. – So che provi qualcosa per me.

Forse ero patetica.

– Per favore... – gemette.

Feci un passo indietro, leggermente confusa. L'ultima cosa che volevo era metterlo in difficoltà. Se avesse voluto parlare, lo avrei ascoltato senza obiezioni. – Vado a cambiarmi – annunciai.

– Si, per favore – ripeté, chiudendo gli occhi. Si massaggiò le tempie, respirando ancora affannosamente.

Mi misi dei pantaloni da ciclista ed una maglietta così ampia da coprire anche i pantaloncini stessi. Non lo avrei più messo in difficoltà.

Voleva parlare.

Quando tornai in salone, si era messo seduto sul divano. Mi osservò alcuni secondi di troppo le gambe scoperte, poi fece un mezzo sorriso e col mento puntò il posto accanto a lui.

Lo ascoltai. Mi misi dal lato opposto del divano e strinsi le gambe al petto, chiudendomi con le braccia. Non sembrò molto contento di quella mia posizione di chiusura. – Ti ascolto, Ry – gli dissi.

Sospirò. I suoi occhi osservarono attentamente la cascata di capelli biondo scuro, per poi soffermarsi sul viso. – Alcuni movimenti ti spaventano – iniziò. Trasalii leggermente e strinsi la presa sulle gambe. Non gli sfuggì. – Non... Non so bene come affrontare il discorso e, soprattutto, se sei pronta ad affrontarlo.

– Che cosa vuoi, Ryan? – chiesi con voce rabbiosa.

– Ho bisogno di sapere che cosa ti spaventa. Sei consapevole di quello che ti spaventa? – mi chiese in modo diretto Ryan.

Aggrottai la fronte, un po' ferita. – Perché ne hai bisogno? – chiesi.

– Sai benissimo perché.

Silenzio.

Sospirò, spazientito. – Cosa c'è?

– Non mi toccherai più come prima – dichiarai e cercai maledettamente di aggrapparmi alla rabbia, per non sbottare a piangere. – L'ho capito prima, dentro quell'aula.

Mi guardò come se avessi appena detto un'oscenità. – Non è così.

Alzai il mento, furiosa, e lo guardai con sfida. – Provamelo.

La sua schiena si irrigidì. – Non farlo.

– Non farlo tu.

– Stai andando sulla difensiva – mi analizzò. – Perché? Pensi che non ti desidererò più, una volta saputo quello che ti spaventa? Non voglio sapere quello che ti ha fatto. Non potrei sopportarlo, non ancora. Ma ho bisogno di sapere che non ti spaventerai, quando ti toccherò.

Scrollai le spalle. – Tutto quello che fai mi piace.

Si rabbuiò. – Deitra.

– Se vuoi – ringhiai, – posso provare a scoparmi uno qualsiasi, per vedere quello che mi spaventa.

Il suo viso fu travolto dalla gelosia. Rabbrividì, deglutendo sonoramente. – Andiamo sulle cose sicure. Non ti... posso afferrare da dietro.

– Non è vero.

– Smetti di spingermi via! – esclamò, spazientito. – Parlami! Perché ti spaventa così tanto questa situazione?

Mi alzai, furiosa. Strinsi le mani in pugni. – Non voglio che ti limiti.

– Io voglio farlo! – ribatté, senza alzarsi dal divano, per farmi capire che non voleva discutere. – Voglio semplicemente farti provare quello che provo io.

Mi fermai a guardarlo, leggermente spaventata. Anzi... forse ero terrorizzata. Perché una piccola vocetta nella mia testa mi stava suggerendo che niente sarebbe stato come prima, che i suoi occhi non mi avrebbero divorato come prima. Perché pensava fossi spaccata.

Sembrò capirmi al volo. Si mise seduto più rigido e spostò il busto verso di me. – Mi hai sentito, D. Mi hai sentito prima e questa mattina. Mi hai sentito ieri. Sai che ti voglio, che ti desidero. E di certo non cambierà dopo aver chiarito la situazione. Fidati, mi sono ammazzato in questi mesi, pensando a tutto quello che ti può essere successo dentro quella camera. Gli scenari che mi sono balenati dentro la testa sono stati così orribili da farmi vomitare. Ma sono qua, ti amo e ti voglio.

Scossi la testa, annaspando leggermente. – Io so che quello che farai non mi porterà da nessun'altra parte – dissi. Ma non ero certa al cento percento che potesse essere la realtà.

Strinse le labbra, affatto convinto. – So di essere fatto male – mormorò. – So che qualsiasi altro uomo proverebbe semplicemente a capire lentamente e piano quello che potrebbe spaventarti. – Deglutì, come se non riuscisse a far uscire la voce in modo chiaro. – Ma il solo pensiero di poterti anche solamente irrigidirti, mi fa cagare sotto dalla paura.

Sgranai gli occhi.

Notai i suoi occhi più lucidi. – So che non è giusto nei tuoi confronti chiedertelo – continuò. – Ma non riuscirei a vederti spaventata. Non di me. Non sono così forte, mi dispiace.

– Ryan...

Si alzò dal divano e venne vicino a me. – Possiamo fare tutto. Col tempo. Possiamo tornare a fare tutto e anche molto di più – annunciò, ferreo. – Ma ho bisogno di sapere quello che è out.

Abbassai lo sguardo. Sputai le parole essenziali: – Tirare da dietro. Tirare capelli. Forse sopra.

Aggrottò la fronte. – Sopra...? – chiese, genuinamente confuso.

– Non lo so. Di schiena immagino. No chiusure.

Sbatté le palpebre più volte, come per assimilare meglio quelle informazioni. Deglutì e fece un cenno con la testa. – D...

Fece per prendermi la mano ma mi allontanai.

Per un attimo mi venne la nausea.

Rimase in silenzio, ad analizzarmi, con ancora la mano alzata.

Strinsi i denti, mentre una rabbia che ormai conoscevo molto bene iniziò a scorrere dentro le mie vene. – Non sono stata violentata – ringhiai.

– D...

– Non sono spezzata.

Mi guardò attentamente. – Puoi essere spezzata, come intera – ringhiò. – Io sono una crepa vivente, e non ti è mai interessato.

Alzai lo sguardo su di lui, ancora arrabbiata ma comunque spiazzata dalla sua dichiarazione. – Non ho sentito niente – dichiarai.

Cambiò totalmente espressione. Sembrò sul punto di spaccarsi definitivamente, ma mi incitò a continuare.

– Non ho sentito più niente, dopo un po' – dissi semplicemente. Guardai un punto indistinto sulla sua camicia. – Non ho la più pallida idea di che cosa abbia toccato. Il giorno dopo avevo dolori ovunque. Non ho più visto niente. Non ho ricordi lucidi di quei momenti. Mi spaventa terribilmente il modo in cui la mia testa non sia stato in grado di registrare.

Non respirò per così tanto tempo che mi sembrò sul punto di svenire. Non riuscì a dire niente. Il colore sul suo viso era completamente svanito.

Scossi la testa. – Io lo so che sarà così. Perché già è così. Tu non mi tocchi più come prima. E so che non è colpa mia, ma... non voglio che sia così.

Fece un respiro profondo. – Ascoltami bene, Deitra – mi disse, senza avvicinarsi. – Guardami. – Posai gli occhi su di lui, arrabbiata. – Ti ho detto che in questi mesi ho pensato sempre a te, mentre mi toccavo. Mi è bastato sentire il tuo seno sfregare su di me, per farmi eccitare, ieri. Oggi, anche meno. Mi hai sentito e si, ho cercato di nascondertelo, perché avevo paura. Ma cazzo, Deitra, non puoi guardarmi negli occhi e dirmi che non ti voglio come prima!

Abbassai lo sguardo.

– No... no! – esclamò, venendo immediatamente da me per alzarmi il mento. – Ho dovuto pensare alle cose più schifose, per non perdere completamente il controllo e prenderti contro quella cazzo di penisola minuscola.

– Non l'hai fatto – ripetei.

– E non me ne pento – disse. – Perché ti avrei scopata da dietro, cazzo.

– Ti limiti.

– Non capisci.

– No, capisco benissimo! – esclamai, allontanandogli la mano.

Rise, arrabbiato. – Sei testarda come poche – ringhiò.

– Fottiti.

– Preferirei lo facessi tu.

– Vaffanculo.

Mi allontanai da lui, voltandogli le spalle. Forse era lui che era così testardo da non capire la mia frustrazione. Volevo che fosse semplicemente lui, che facesse quello che gli veniva più naturale. Determinati movimenti bruschi da parte sua erano stati fuoco per me, nei mesi precedenti. E ora non voleva nemmeno provarci.

Era la definizione di persona spezzata... di rapporto spezzato.

– Non voltarmi le spalle per scappare, Deitra – mi rimproverò lui, inseguendomi verso la mia camera da letto.

– Forse quello che è successo è stato troppo per noi – annunciai, una volta in camera.

Increspò le labbra. – Ti sbagli.

Fece alcuni passi verso di me. Lentamente.

– Non ti avvicinare in questo modo. Non lo voglio il tuo corpo, dopo tutto quello che sta succedendo – ringhiai, rossa in viso.

Ammiccò. – Piccola D – mi derise, senza smettere di avvicinarsi a me. – Sei adorabile quando mi rifiuti pur sapendo che stai mentendo a te stessa.

Trasalii leggermente, stupita da quella risposta. Si posizionò davanti a me, con ancora un sorrisino malizioso. Il viso angelico fu tradito dalla lussuria degli occhi, dalle guance leggermente rosee e da quel maledetto sorriso. Lo guardai dal basso, a pochi centimetri da me. – Perché? – mormorai.

– Perché so quello che devo sapere – replicò.

– Cos-

Mi zittì afferrandomi il viso e catturando le mie labbra. Mugolò contro la mia bocca, divorandomi. A malapena riuscii a respirare. Le mani scesero dal viso al collo, stringendolo lievemente, per poi scendere lungo la schiena. Mi strinse le natiche, spingendomi contro di lui. Sentii il rigonfiamento contro la mia pancia e quando fremette, un brivido percorse tutto il mio corpo per arrivare a pulsare dentro di me.

Gli morsi senza alcuna pietà il labbro inferiore, facendolo ringhiare. Mi fece indietreggiare, senza smettere di baciarmi. Afferrò l'orlo della maglietta e la tolse senza troppe cerimonie. Si allontanò leggermente per osservare i miei seni tondi.

Con il respiro affannato, deglutì, senza smettere di osservare ogni centimetro della mia pelle nuda. Deglutì a vuoto. Scosse la testa, come se stesse pensando a qualcosa di assurdo, e tornò a baciarmi. Avevo il cuore in gola dall'ansia.

Le sue dita giocarono con la mia pelle esposta, toccandola delicatamente, facendomi rabbrividire. Gemette quando gli tirai i capelli, spingendo il petto contro di lui. – Per favore... – mormorai contro le sue labbra.

Fremette contro di me. Cercai di togliergli la camicia, ma poco dopo mi aiutò, slacciando i bottoni velocemente. Mi prese per i fianchi per sollevarmi, quindi allacciai le gambe attorno a lui. Mi fece accomodare sulla scrivania e prese a mordermi la pelle sotto il mento. Mi gongolai, spingendomi contro di lui, con il respiro rotto.

Gemetti quando mi tirò a lui, facendo cozzare la sua erezione contro il punto che più pulsava.

– Oh... quanto mi è mancata questa voce – sussurrò, con ancora la bocca sulla mia pelle.

– Ryan – lo chiamai, quando mi mordicchiò e leccò la pelle. In risposta, mi morse più affondo, strizzandomi i glutei. Stridulai, facendo leva sui talloni per muovermi contro di lui.

Lo sentii sobbalzare. Dovette appoggiare le mani sul bordo della scrivania, per non perdere l'equilibrio. La sua bocca scese, fino a prendere un capezzolo. Inarcai la schiena, dandogli maggiore spazio.

– Ti prego... – dissi. Mi mordicchiò e succhiò. Tremai terribilmente. Il modo in cui si stava sfregando contro di me e baciando e succhiando mi stava portando terribilmente vicina all'apice del piacere. – Ry...

Gemette. – Che cosa vuoi, piccola D? – mi chiese, con un sorrisino soddisfatto.

– Smettila... – lo pregai, tirandogli i capelli, mentre mi muovevo freneticamente contro di lui.

– Oh, la smetto – mi prese in giro. Si staccò da me, lasciandomi sulla scrivania. Mi guardò senza timore. Osservò il mio viso accaldato, il mio seno completamente esposto, i capezzoli turgidi, la pancia nuda e le gambe leggermente aperte, pronte ad accoglierlo nuovamente. Lo guardai con occhi imploranti. – Potrei venire semplicemente guardandoti in questo modo.

Annaspai.

Si era allenato come sempre, in questi mesi in cui eravamo stati separati. La pelle bianca era tirata ed i muscoli guizzavano sotto i miei occhi, come se sentisse il mio tocco. Osservai la peluria poco prima della cintura, la v che spariva oltre i pantaloni. Deglutii sonoramente. Il rigonfiamento nei pantaloni era così evidente da farmi arrossire ancora di più.

– Per quanto vuoi guardarmi in questo modo? – gemette. – Perché non penso di avere così tanto autocontrollo.

Alzai gli occhi e si incrociarono immediatamente coi suoi, così pieni di desiderio da farmi dimenticare di respirare. Era maledettamente bello e il fatto che ne era consapevole lo rendeva ancora più attraente. Mi morsi il labbro, sorridendo.

Si rabbuiò. – Deitra... – mormorò, con il respiro affannato.

– Toccati.

Sgranò gli occhi. – Cosa?

– Toccati.

Arrossii terribilmente.

Fece alcuni passi verso di me, gli occhi neri dal desiderio. Tornò in mezzo alle mie gambe. Abbassò lo sguardo sul mio petto e ringhiò. – Come vuoi, ma fammi stare qua – disse, con voca roca.

– Togliti tutto – gli ordinai.

Il suo sguardo fu illuminato dalla malizia. – Mi potrei abituare ad una Deitra così autoritaria – mi prese in giro, mordendosi il labbro. Ma fece come gli avevo detto: si slacciò la cintura, con una lentezza che mi seccò la gola, senza staccare gli occhi dal mio viso. Si tolse i pantaloni. I boxer sembravano stringerlo così tanto da farmi deglutire sonoramente. Li abbassò lentamente, facendo uscire l'erezione. Notai un sospiro, quando si liberò totalmente da restrizioni.

Mi abbassai i pantaloncini, con il respiro leggermente accelerato. Feci per togliermi anche gli slip, quando mi fermò. – No, scostali – disse. Lo guardai con occhi grandi. Deglutì e mi scostò gli slip, facendo passare le nocche lungo le mie labbra.

Mugolai sonoramente, spingendomi contro di lui.

Cazzo – ringhiò, appoggiandosi nuovamente sulla scrivania. Allargai ancora di più le gambe ed i suoi occhi finirono su di me. – Non... non so se ci riesco – mormorò, la voce strozzata dal desiderio.

– Ryan... – mormorai.

Deglutì sonoramente ed il suo membrò sembrò sobbalzare. – Mi uccidi così – gemette. Senza chiedere il permesso, insinuò dentro di me il dito medio. Annaspai, spingendomi contro di lui. Prese in mano il membro pulsante e mosse la mano lentamente su di esso. Premette il palmo sul mio punto ed ansimai, gongolandomi. Sembrò cercare di prendere tutti i miei umori, poi scostò la mano da me, continuando a toccarsi, e si mise in bocca le dita che mi avevano toccato.

Mi guardò negli occhi, gemendo.

Abbassai lo sguardo sul movimento più veloce della sua mano, divorandolo. Non mi chiese niente, ma capii dal suo sguardo la sua richiesta. Quindi insinuai una mano tra le mie cosce. I suoi occhi catturarono immediatamente quel movimento ed il pomo d'Adamo si mosse. Trovai il punto che più mi stava mandando scariche ed iniziai a fare dei movimenti circolari. Gemetti, trasalendo.

Scosse la testa freneticamente e si avvicinò ancora di più a me. Mosse la mano più velocemente, senza staccare gli occhi dalla mia mano che si muoveva allo stesso ritmo della sua. – Che cazzo, Deitra – ringhiò, sobbalzando leggermente. – Non ce la faccio più.

– A fare cosa? – chiesi, tremando leggermente. Toccai con le nocche il glande e lo vidi sobbalzare, sibilando.

– Mmm, Deitra... – mi avvisò. – È stato eccitante – ammise, – ma basta.

– No.

– Oh, si – ringhiò. Non mi diede modo di replicare, perché mi afferrò malamente i fianchi e mi spinse contro l'orlo della scrivania. Trasalii, presa alla sprovvista da quella forza. Non ci pensai più, perché la sua bocca fu su di me in un secondo. Mi succhiò avidamente gli umori, gemendo.

Incarcai la schiena e portai le mani sui suoi capelli, tirandoli violentemente, mentre un dito si insinuava dentro di me e la lingua mi regalava una dolcissima tortura. – Oh, Ryan – lo chiamai, muovendo i fianchi sulla sua bocca.

Lo sentii ridacchiare, quindi gli tirai i capelli. Tremai terribilmente. Fece entrare un altro dito dentro di me, iniziando a succhiare avidamente. – Mmm – mormorò contro di me. Rabbrividii contro di lui. – Bellissima – commentò, alzando lo sguardo più in alto, per osservarmi. I nostri occhi si incrociarono, facendomi tremare come una foglia. Mi sorrise maliziosamente, per poi tornare a farmi impazzire.

L'orgasmo mi squassò d'un tratto, senza avviso. Inizia a sussultare contro di lui, mentre continuava a muoversi su di me, per prolungare il mio piacere. Chiusi gli occhi, contorcendomi.

Quando il respiro iniziò a regolarizzarsi, tornò in piedi e mi baciò affondo, facendomi assaporare i miei stessi umori. Appagata, gli portai le gambe attorno ai fianchi e li roteai affinché il glande toccasse le mie labbra.

Sobbalzò, sibilando. Trattenne una risata. – Potrebbe risultare leggermente imbarazzante – commentò. – Sono così eccitato che potrei venire con un solo movimento.

Gli sorrisi dolcemente. – Per fortuna non sei uno che si accontenta facilmente – replicai.

Mi lanciò un'occhiata. Afferrò l'erezione ed entrò con una sola scoccata. Annaspò, stringendomi i fianchi con così tanta forza da lasciare i segni. Mi baciò, succhiandomi il labbro inferiore. Le nostre lingue presero immediatamente il ritmo dei nostri movimenti del corpo.

Si mosse velocemente, entrando ed uscendo freneticamente, perdendo il controllo sul suo stesso corpo. Tremava, fremeva e respirava a malapena. Ma non smise mai di baciarmi.

Una mano salì sul mio seno, stuzzicandolo in modo provocatorio. Mossi i fianchi insieme a lui, incoraggiandolo a continuare, mentre dei brividi stavano già nascendo dentro di me. Alzò il viso, chiudendo gli occhi. Aggrottò la fronte, come in sofferenza.

– Ry – lo chiamai, muovendomi contro di lui.

Fremette e l'altra mano finì sul mio clitoride, mentre si spingeva affondo dentro di me, sul punto di venire. I brividi scoppiarono e diventarono più potenti, portandomi all'apice del piacere di nuovo. Questo sembrò bastargli a Ryan, il quale uscì da me e venne sulla mia pancia.

I nostri respiri rimasero irregolari, mentre ci guardavamo, leggermente annebbiati dal desiderio.

Abbassai lo sguardo sulla mia pancia e poi tornai su di lui.

– Dimmi che non ti è bastata come prova per farti capire che siamo tutto, fuorché finiti – disse, appena il suo respiro si regolarizzò. Fece scorrere l'indice dal mio collo, lungo il solco tra i seni, per poi arrivare alla pancia. – Perché col cazzo che mi fermo adesso.

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