Capitolo 48: Nuovi inizi, o quasi
Cercai di non entrare nel panico.
Ci provai terribilmente, perché nonostante la discussione... amavo Ryan ed era impossibile non sentire il suo cuore sgretolarsi lentamente.
Tutti si avvicinarono a noi, che non davamo cenni.
La donna aveva ancora una mano sul cuore e più si avvicinava e più era impossibile non notare la somiglianza con suo figlio. Il colore dei capelli era identico, le labbra piene erano quelle della mamma e così anche il naso elegante.
Aveva occhi solo per suo figlio. Non mi aveva vista minimamente e come darle torto?
Feci un passo indietro, quando lei ne fece uno avanti. Ryan non diede segnali, era pallido e rigido come non mai.
– Ryan... caro... – cercò di dire la donna, con la voce ridotta ad un sussurro malandato.
Silenzio.
Girai il viso verso Ryan, che era poco dietro di me. Non le staccò gli occhi di dosso. Aveva il respiro leggermente accelerato ed il pomo d'Adamo continuava a sussultare.
– So che non te lo aspettavi – continuò lei. – Ma ho pensato... Sì, insomma... Oggi è un grande giorno per te.
Le lanciai un'occhiata di fuoco, rabbiosa. Feci per commentare tutte le giornate importanti che aveva avuto il figlio, ancora prima di quel giorno, ma mio padre mi fece segno di tacere.
D'un tratto, con estrema eleganza, il migliore amico di mio fratello si girò e si allontanò velocemente da tutti noi.
D'istinto, feci per andare, ma mi bloccai sentendo la donna esclamare il nome di suo figlio. Girai il viso verso mio fratello, in preda ad un dolore che non avevo mai sentito: era il dolore di vedere Ryan in quello stato. Era come sentire il suo dolore entrare nelle mie vene.
– Vai – mi sussurrò Dan.
Non me lo feci ripetere un'altra volta.
Mi girai completamente e seguii Ryan.
Con calzate ampie e veloci si diresse verso il parcheggio. Gli corsi dietro, nonostante il dolore ai piedi. Non lo chiamai. Aveva bisogno di prendere le distanze e di certo non potevo fermarlo. Non volevo.
Con il cuore a mille ed annaspando leggermente, lo vidi fermarsi davanti la sua macchina. Si mise le mani nei capelli e guardò di cielo, con il petto squarciato da respiri tremanti e rapidi.
– Ry – mormorai, avvicinandomi a lui.
– Vai via, Deitra – mi intimò, senza guardarmi, prendendo le distanze anche da me.
– Aspetta, prima... prima parliamo un po' – cercai di dire.
– Levati! – urlò, facendomi sussultare.
Quindi mi allontanai, ma non troppo. Sentii i suoi occhi su di me, quando si accorse che stavo facendo esattamente quello che mi aveva ordinato. Mi appoggiai ad una macchina, davanti alla sua, e guardai a terra per dargli un po' di privacy.
Non sentii niente per molto tempo.
Osservai le mie décolletté, in silenzio. Rividi gli occhi della madre di Ryan, i suoi tacchi alti ed il tubino elegante blu. Rividi le sue lacrime agli occhi e le labbra tremanti.
Sicuramente aveva sofferto molto per la separazione con suo figlio... ma alcune cose un figlio non se le aspetta.
Non sentii niente, se non i suoi passi ed il suo respiro affannato. Non lo guardai nemmeno una volta, nonostante fosse per me un istinto molto forte.
Non avevo ricordi di quella donna. Se n'era andata molti anni prima, Ryan e Dan già erano molto amici, ma non mi ricordai nemmeno una volta del suo viso. In realtà, solamente da quando lei era scappata, il papà di Ryan aveva iniziato ad accettare gli inviti a cena dei miei genitori.
Come a volere compensare qualcosa... che probabilmente non sarebbe mai tornato come prima.
Mi vennero in mente tutte le parole che Ryan aveva usato per parlarmi per la prima volta della mamma.
Non potevo fare molto, se non essere presente ed attendere. Non potevo capirlo, non lo avevo mai vissuto. Mia mamma, seppure fredda, era sempre stata presente nella mia vita e non mi aveva mai fatto mancare niente. Certo, era stata assente a causa del lavoro, ma infondo quella era la vita.
Nonostante tutto, era sempre tornata da me.
Fino all'ultimo giorno.
Lo sentii avvicinarsi velocemente, quindi non feci nemmeno in tempo ad alzare lo sguardo che le sue braccia mi avvolsero completamente.
Rigida per il gesto inaspettato, mi strinse a lui, facendomi posare la testa sul suo ampio petto. Sospirò e posò il mento sulla mia testa.
Le dita carezzarono dolcemente e timidamente la sua schiena. Non riuscii a non notare i muscoli flettersi sotto il mio tocco. Mi strinse ancora di più a lui, obbligandomi a mettermi totalmente in piedi.
Coi tacchi, riuscii ad arrivare alle sue spalle. Non diede alcun segno di volermi lasciar andare. Quindi continuai ad accarezzarlo dolcemente, respirando normalmente, nonostante il suo respiro affannato a causa della rabbia e dello shock.
Non dissi una parola, per non farlo arrabbiare ancora di più. Inoltre, purtroppo non c'era molto da dire. "Andrà tutto bene" non mi sembrava la frase più adatta. E nemmeno "cacciamo tua mamma da questo posto".
Portò le mani lungo la mia schiena, facendomi leggermente rabbrividire.
– Andiamocene via – mormorò.
– Ryan, non possiamo... – lo ripresi allontanandomi abbastanza per riuscire a guardarlo negli occhi. – Non la puoi ignorare per sempre.
– Perché no? È quello che ha fatto lei fino ad adesso – ringhiò.
Strinsi le labbra, perché una parte di me la pensava come lui e se non se la sentiva di stare insieme a lei... perché avrei dovuto costringerlo? – Te ne pentirai, tra un paio di settimane – dissi quindi.
Lo sapeva anche lui. Smise di guardarmi per alcuni secondi, senza smettere di abbracciarmi. Ringhiò, obbligandomi a posare il viso nell'incavo tra la sua spalla ed il collo. – Ti devo dire una cosa, che non ti ho mai detto... sui miei genitori – mormorò.
Scossi la testa. – Lo so già – lo fermai.
Lo sentii irrigidirsi contro di me. – Come fai a saperlo?
Scrollai le spalle.
– Dan – rispose al mio posto, leggermente innervosito. – Da quanto lo sai?
Non risposi.
Sembrò capirmi al volo, come ormai sapeva fare da quasi un anno. – Ecco perché eri così arrabbiata con me, non era solamente il nuovo lavoro – tradusse.
Annuii.
Sospirò, guardando qualcosa dietro di me, con la fronte aggrottata. – Troppi argomenti importanti di cui parlare in una situazione così soffocante – borbottò ed un'ombra gli passò davanti al viso.
Lo presi per mano. – Sono qua per te – mormorai. I suoi occhi si fermarono su di me ed il muscolo della mascella ebbe un guizzo. – Prima di tutto, bisogna cercare di respirare. A piccole dosi. Sempre.
***
Mi misi seduta accanto a Ryan, per cercare di attutire eventuali colpi. In particolare, la gamba destra continuava a muoversi, sotto al tavolo. Aveva i gomiti sul tavolo e teneva il mento appoggiato sulle mani intrecciate. I suoi occhi non si staccarono mai dal viso così simile al suo, da quegli occhi del suo stesso colore. Lo lasciai studiare sua madre, che non diede segni di nervosismo.
– Papà mi ha detto che hai trovato casa vicino alla nuova azienda dove stai lavorando – cercò di fare conversazione la mamma.
– E da quando voi due vi riparlate? – replicò acidamente Ryan, senza staccarle gli occhi di dosso.
La gola della mamma ebbe un lieve sussulto e non sfuggì di certo al figlio, il quale irrigidì ancora di più la schiena. – Ci siamo sentiti soltanto in occasione della tua laurea – rispose dolcemente la mamma, sorridendo al figlio. – Sono così orgogliosa di te.
Strinsi i denti, arrabbiata, ma mi limitai ad appoggiare la schiena alla sedia ed osservare duramente quella donna così estranea per me... e probabilmente anche per Ryan.
Nonostante fossi consapevole della capacità di Ryan di cavarsela da solo, qualcosa di primitivo e cattivo era spuntato da dentro la mia anima. Qualcosa che mi spingeva continuamente a stringere la coscia del figlio, con fare possessivo, per poi intimare la donna a non guardarlo in quel modo, con così tanto amore che non aveva mai dato realmente.
Forse era per quello che la mia mano continuava a sudare, posata sul mio vestito. Tuttavia, mi ritrovai a toccare la mia gamba sinistra con quella destra di Ryan, rivolgendo il busto leggermente verso di lui, e non verso la donna che sedeva proprio davanti al figlio.
– Non sei nella posizione di poter essere orgogliosa – disse Ryan, con una finta calma agghiacciante. Quella calma che usava soltanto quando era veramente sofferente. – Dato che di certo non è stato merito tuo.
La donna cercò di attutire il colpo, con scarsi risultati. Abbassò il viso, annuendo. – Non è stato facile per me essere qua – annunciò, senza guardare nessuno.
– Ironico – commentò Ryan. – Dato che nessuno ti aveva invitata.
– Ryan – lo riprese il padre.
Ryan fece un sorrisino cattivo. – Dimmi – lo provocò. – Ti ascolto.
Il padre gli lanciò un'occhiata di avvertimento.
Quando fu sul punto di parlare, mi schiarii la voce ed alzai il calice di vino. – A mio fratello e Ryan – cercai di dire, con voce strozzata. – A questa giornata per loro.
Dan annuì e mi imitò, seguito da Calliope e mia sorella Dayna. – A questa giornata! – esclamarono insieme.
Puntai gli occhi sul ragazzo che amavo e gli sorrisi amabilmente. Questo sembrò smorzare quell'ombra nera che governava il suo viso angelico. – A questa giornata – gli sussurrai, avvicinando il calice a lui.
Portò il calice vicino al mio. Non disse niente, anzi serrò la mascella quando i nostri calici si avvicinarono. Annuii, per poi portare il calice alle labbra. Ryan seguì il movimento con occhi indagatori e mi imitò, senza staccare gli occhi dalle mie labbra.
Arrossii leggermente e tornai a posare le mani sulla gonna dell'abito.
– Ti trovo bene, Deitra – se ne uscì il padre di Ryan, continuando a tagliare minuziosamente la carne nel piatto. Osservai il rosso della carne, con il cuore leggermente accelerato. – Sembri... sembri stare meglio.
– Sta meglio – confermò mio padre, prendendo le mie difese. Gliene fui grata, perché sentii i pochi bocconi che avevo ingerito risalirmi. Afferrai il bicchiere e bevvi avidamente l'acqua. – Quello che è successo-
– Non è il luogo adatto – si intromise Daniel.
Ryan sembrò buttare fuori aria che aveva tenuto dentro i polmoni per troppo tempo.
Quando gli occhi scuri di mio fratello incrociarono i miei, mi sforzai a sorridergli dolcemente, per ringraziarlo in silenzio.
La mamma di Ryan non fece domande.
– Mio fratello verrà ufficialmente a vivere qua, a settembre – annunciò Calliope, con un ampio sorriso, per cercare di trovare un argomento non troppo pesante. – Ha deciso di studiare al campus.
– Ma è una notizia bellissima! – esclamò mio padre, dando una pacca alla mia amica. – Sono così contento per voi, Callie. Avete proprio bisogno l'uno dell'altro. Il vostro rapporto è unico.
Strinsi il labbro inferiore, ricordandomi tutto quello che avevano dovuto subire quei ragazzi, prima di riuscire a guadagnarsi quella libertà.
Quei mostri avevano tagliato i fondi ad entrambi i figli ed erano decisi a non rivolgergli più la parola. Callie era stata obbligata a prendere in fretta e furia le ultime cose che si trovavano a casa dei genitori, prima che quest'ultimi glieli buttassero nella spazzatura.
Era andata con mio fratello, che conoscendolo aveva dovuto contare fino a cinquanta per non scaraventare il padre giù dalle scale. Quest'ultimo aveva sbiancato alla vista di Daniel e si era lasciato a dei commenti provocatori. Con mio grande stupore, Dan era riuscito a rimanere in silenzio e limitarsi ad aiutare la sua fidanzata a raccogliere tutte le sue cose.
Ancora non mi capacitavo della cattiveria di quella famiglia, del loro pensiero di apparire. Erano stati così preoccupati della reputazione, da non rendersi conto di aver distrutto la felicità e l'equilibrio di due figli.
Ma dopotutto quello era niente, in confronto alla violenza fisica che evidentemente entrambi i figli erano stati costretti a subire.
Alcune persone semplicemente non erano fatte per amare.
Alcune persone semplicemente non erano altro che un buco nero da cui uscire era quasi impossibile.
Callie e John erano stati tanto forti da riuscire a scappare da quel buco. Si erano arrampicati con tutte le forze e non si erano mai più guardati indietro.
Ero orgogliosa dei miei amici.
Notai Daniel intrecciare le dita con quelle della mia coinquilina, cercò il suo sguardo, ma lei era troppo intenta ad annuire a nostro padre.
Il rapporto che avevano costruito mio padre e Callie si era reputato fondamentale e forte. Era diventato come un secondo padre per lei... anzi, probabilmente l'unico.
– Visto che siamo in vena di notizie – iniziò mio padre, toccandosi distrattamente l'orribile cravatta colorata in occasione della laurea. – Ho comprato casa. Mi trasferirò in una casetta non molto lontano dalla nostra... vecchia casa.
Mi irrigidii terribilmente. Serrai le mani in pugni. Ero scappata da quella casa, da tutti i ricordi che ne derivavano... Delle lacrime offuscarono la vista, ma non sapevo se essere felice della vendita della casa o esserne devastata.
Probabilmente il mio cuore sarebbe stato diviso un'altra volta dalla felicità e dalla disperazione.
Ma mio padre aveva il diritto tanto quanto noi di andare avanti, e vivere in quella casa piena di ricordi del suo unico amore... probabilmente non si era rivelata la soluzione migliore.
Una mano si posò sulla mia chiusa a pugno sul tavolo. Le dita lunghe ed eleganti mi carezzarono dolcemente, per cercare di tranquillizzarmi. Le vene in rilievo sul dorso della mano candida guizzarono leggermente, sotto quei movimenti lievi.
– Mi sembra... un'ottima notizia – commentò Ryan. Alzò di nuovo il calice. – Ai nuovi inizi.
La mamma di Ryan sembrò accecata da una speranza che quasi mi fece stringere il cuore. – Ai nuovi inizi – ripeté, senza staccare gli occhi dal figlio.
***
Il resto del pranzo sembrò andare discretamente bene, nonostante il muro alzato da Ryan. Per fortuna, potei capire, non nei miei confronti.
Sentii mio padre parlare a bassa voce con la mamma di Ryan, della salute mentale dei ragazzi d'oggi e del loro modo di non affrontare determinate situazioni.
Lo trovai assolutamente fuori luogo, ma decisi di limitarmi a lanciarle un'occhiata torva.
– Per esempio, ho sentito questa notizia che ancora mi sconvolge – continuò lei. – Di quei due giovani che hanno perso la vita in un incidente d'auto. Quelli che sono andati contro l'albero.
Le gambe smisero di rispondere ai miei comandi e mi immobilizzai.
Anche mio padre cambiò totalmente espressione. – Non- Meglio non parlare di queste cose ad un evento del genere – cercò di dire mio padre, che però era diventato piuttosto pallido in viso.
– Capisco – disse lei, osservandolo. – Dio mio, li conoscevi? – gli sussurrò.
– Cos'è che non capisci della frase "meglio non parlarne"? – le ringhiò Ryan, girandosi verso di lei, per distruggerla con una sola occhiata. – Se vuoi, te lo ripetiamo tutti insieme.
– Ryan – lo chiamò il padre.
Il figlio ridacchiò. – Rayn un cazzo – sputò, furioso. – Non ci sto. Queste cose non le voglio sentire.
– Capisco che sia un argomento difficile per te-
– Non sai proprio un cazzo – lo interruppe il figlio, con le orecchie rosse. – Non mi parlare di salute mentale, mamma. Perché è evidente che la tua sia stata altrettanto compromessa.
– Non- non volevo dire...
– A volte è meglio tacere – continuò Ryan.
– Basta così – ci riprovò il padre. – Stai diventando maleducato.
– E voi siete patetici – commentò Ryan, prima di voltarsi verso di me, che ero rimasta indietro. – Non... – si fermò e sembrò sul punto di vomitare. Prese un respiro profondo. – Non voglio più sentire niente riguardo quei due. Non davanti a lei. Mai più.
Abbassai lo sguardo e cercai di ricordarmi di respirare.
La donna posò gli occhi su di me e sembrò perdere colore in viso.
Non erano tanto i ricordi. Non erano i momenti in cui i suoi occhi a volte sembravano ancora essere in grado di immobilizzarmi. No, era altro. Era il modo in cui tutto c'era e non c'era.
Era il modo in cui la sua anima sembrava appiccicata ancora al mio corpo. Era il modo in cui, di volta in volta, le pareti si facevano troppo strette... Era il modo in cui la maggior parte delle volte mi ritrovato a sudare dentro l'ascensore.
Perché non potevo scappare.
Era il modo in cui il mio corpo non reagiva ed era il terrore di poterci ricascare. Era il modo in cui non riuscivo a respirare perché un uomo mi guardava con gli stessi occhi di Lucas.
Era il modo in cui aveva macchiato anche gli occhi più sconosciuti.
E quelle sensazioni i primi mesi mi avevano attaccata ad un muro invisibile, un muro che non mi aveva permesso di vivere realmente.
C'era stato qualcosa di profondamente soffocante nel modo in cui ero stata spaventata del mio corpo.
Lo avevo odiato, perché si era immobilizzato. Avevo odiato la mia mente.
Era stato un odio viscerale, così incastonato nella mia anima da spingermi ad urlare fino a non respirare.
Perché certe cose uno non se le immagina.
Ed io ero stata così convinta... ero stata così ingenua.
Avevo odiato il modo in cui avevo sperato che potesse essere ragionevole, che potesse fermarsi da solo... che potesse rabbrividire al mio dolore... in modo diverso dal modo in cui aveva rabbrividito contro di me.
Eccitazione.
Ne ero stata profondamente spaventata.
Per questo parlavo della sua anima. Perché c'era stato altro. Non mi aveva distrutto il lato sessuale... mi aveva distrutto altro. Qualcosa che a parole forse non sarei mai stata in grado di esprimere.
Perché non si poteva... non si poteva esprimere il terrore che ti faceva svegliare di sobbalzo, perché lo avevi sognato avvicinarsi a te fino a sentire di nuovo il suo fiato o il suo profumo su di te.
Non si poteva esprimere la confusione ogni volta che mi sembrava di vederlo, in fondo ad una via.
Ero arrivata a vederlo ad un metro di distanza. Mi ero ritrovata a fissare una persona completamente estranea, eppure così identica a Lucas. Mi ero ritrovata ad annaspare, con le lacrime agli occhi.
Eppure, la persona davanti a me non mi aveva riconosciuta.
Per me quella persona era stata Lucas.
E con quella persona molte altre.
Ryan sembrò riuscire a leggere tutti i miei pensieri, a vedere tutte le sfumature più crudeli dentro il mio cuore... e ne fu sopraffatto. – Scusatemi – disse, prima di afferrare le chiavi della macchina e scappare via.
Troppo confusa da tutto, lo lasciai scappare.
Ci ritrovammo tutti seduti su dei divani del ristorante, per continuare a festeggiare qualcosa che, senza Ryan, a mio parere non doveva più essere festeggiato.
Fu per questo che mi misi seduta in disparte, ad osservare lo schermo del cellulare.
E fu proprio in quel momento che la mamma di Ryan si mise seduta accanto a me. Mi sorrise, anche quando quasi scoprii i denti, come un animale, non appena i miei occhi incrociarono i suoi. – Non ti ricorderai mai di me – disse lei a bassa voce. – Ma io mi ricordo una bambina dagli occhi dolci e grandi, con una cascata di capelli biondi come il grano. Mi ricordo il modo in cui guardavi mio figlio.
Non avevo alcun ricordo di quella donna.
Forse si stava inventando tutto.
– E quegli occhi non sono poi così cambiati – continuò lei, osservando a lungo il mio viso. – Hai tinto i capelli? Sembrano... più scuri.
– Che cosa mi vuole dire? – chiesi quindi, perché di certo non voleva parlare del modo in cui i miei capelli erano diventati più scuri con il tempo.
Riprese a sorridermi. Al contrario dei sorrisi del padre di Ryan, però, dovetti ammettere di notare sicuramente più calore. – Vorrei parlarti del... modo in cui me ne sono andata – se ne uscì.
Sgranai gli occhi. – Non sono affari che mi riguardano e non penso di essere la persona adatta a cui raccontarlo.
Ridacchiò. – Io penso di avere davanti l'unica persona che sia veramente in grado di ascoltare quello che ho da dire e... Beh, ci arriveremo.
Ridussi gli occhi in fessure. Mi stava manipolando?
– Se avessi voluto manipolarti, non lo avresti notato – se ne uscì lei. Capii quindi da chi avesse ripreso le doti telepatiche il figlio. Incrociai le braccia, ma la guardai, in attesa. Annuì, capendo. – Quando ho incontrato Mark... ero molto giovane ed ingenua. Per questo, mi sono resa conto poco dopo averlo incontrato di non poter... non poter vivere insieme ad una persona del genere. Mark è sempre stato... complicato. Ma l'ho amato nella maniera più malata forse e per questo non sono riuscita a lasciarlo andare.
Saprai sicuramente delle nostre... persone, del modo in cui cercavamo di sfuggire ad un matrimonio che probabilmente aveva creato più problemi che altro. Le mie persone servivano ad attutire l'enorme buco che si stava creando dentro di me. Mi sembrava tutto sbagliato, tutto privo di qualsiasi emozione e tutto... spaventosamente diverso da quello che avevo sognato. Avevo poco più di vent'anni e mi ero ritrovata all'interno di un matrimonio con un uomo molto più grande di me, che evidentemente non ero riuscita a soddisfare.
Con l'arrivo di Ryan, tutto si è complicato ancora di più. Avevo ventidue anni e non sapevo come fare ad essere una brava mamma, soprattutto perché all'interno della famiglia tutti mi davano contro. Sono entrata in depressione, all'inizio ho anche rifiutato Ryan come figlio. Non sono stata aiutata subito, anzi all'inizio sono stata attaccata perché "non abbastanza mamma".
L'avevi mai sentita una mamma che, dopo aver partorito, non voleva più suo figlio? Con un marito così perfetto, una casa così perfetta... Nessuno mi chiedeva di lavorare, soltanto di fare la mamma.
Con la depressione, Mark si è rintanato ancora di più nelle sue amanti. Non lo biasimo, sono stata veramente difficile. Ma Ryan... non c'entrava niente con me, con Mark e con tutto quello che stava succedendo.
Sono andata in terapia, ma poco dopo sono stata giudicata anche per quello.
Ho vissuto anni ed anni di infelicità, a rincorrere un'idea di perfezione che non esiste, a rendermi la mamma perfetta che tutti si aspettavano da me. Mi sono completamente annullata.
Ero così tanto sola, triste e persa che quando un uomo mi ha dichiarato amore, sono scappata. Non ne vado fiera, ma la mia vita qua era finita. Forse non era mai realmente iniziata. George è stato solamente il pretesto per scappare. Poco dopo ci siamo lasciati. Avevo soltanto bisogno di quella spinta.
Scossi la testa, arrabbiata. – Ryan non c'entrava niente – ripetei. – Eppure ne ha subito tutte le conseguenze.
– Non ne vado fiera – riprese, con le lacrime agli occhi. – Mi sono vergognata profondamente, ma non lo potevo portare con me. Qua con Mark aveva un futuro, con me... che non avevo mai lavorato, mai studiato realmente... che futuro potevo mai dargli? Non avevo una famiglia, i miei genitori mi hanno abbandonata appena nata. Non potevo fargli fare una vita del genere. Mark aveva l'opportunità di dargli un futuro sicuro e non mi avrebbe mai permesso di portarlo via anche per questo.
– Non c'era bisogno di sparire in questo modo! – esclamai. – Ryan è suo figlio!
– Mark non mi avrebbe mai lasciato andare, se lo avesse sospettato – borbottò. – Sono scappata e non mi sono concessa di guardarmi indietro. Come ti ho detto, non ne vado fiera.
– Non può chiedere una cosa del genere a Ryan – la ripresi. – Lui, un ragazzo, è andato in terapia. Non si è fatto influenzare dalle persone. Adesso, con lei qua, gli sta buttando giù tutto quello che ha creato in terapia.
– Non mi aspetto amore – disse, abbassando lo sguardo sulle mie braccia incrociate. – Non mi aspetto amore in un luogo dove non l'ho mai donato. Ma vorrei... vorrei soltanto essere ascoltata, vorrei fargli capire che non me ne sono andata per lui... Me ne sono andata, perché non respiravo più. Ero morta.
– Questo è molto triste – ringhiai. – Ma Ryan era suo figlio.
– Non sono stata una madre – replicò lei, decisa. – Ryan era mio figlio, ma io... io non sono stata una madre. Non ne sono stata in grado.
Aggrottai la fronte. – Quindi non è sua madre? – la presi in giro. – Deve essere facile dormire per lei.
– Non lo è – mi riprese, guardandomi severamente. – Non lo è mai per me. Ma sto cercando di rimediare.
Scossi la testa, furiosa. – Non spetta a lei decidere.
– Lo so.
– La risposta di Ryan è più che evidente.
– Ma tu sei ancora qua.
Trattenni il respiro. – Io sono la sorella di Daniel. Perché non dovrei essere qua?
– Perché ami mio figlio.
Sgranai leggermente gli occhi e sentii la schiena irrigidirsi. – Non dirò proprio niente a Ryan su di lei – ringhiai. – Per una volta, faccia l'adulta e conceda a Ryan di ascoltarla quando sarà pronto.
– Lo farò – confermò, senza staccarmi di dosso quegli occhi blu. – Ma... vorrei... vorrei... – Deglutì, in difficoltà. – Vorrei che lo aiutassi a stare bene.
Ringhiai, come un cane, e mi allontanai da lei. – Lo farei anche senza di lei.
Mi sorrise dolcemente. Ringhiai ancora. – Lo so, ma... vedo una crepa nel vostro rapporto. So che mio figlio ti ama, lo vedo e lo sento. Ti chiedo di... di non scappare, di non arrenderti come ho fatto io.
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