Capitolo 43: Scheletri e fantasmi
La sera di Capodanno, ci ritrovammo tutti a casa del ragazzo con la piscina. E per la prima volta dopo mesi ebbi finalmente il piacere di conoscerlo.
Ryan sembrava realmente intenzionato a non guardarmi, men che meno a parlarmi. Dopo che, pochi giorni prima, si era rinchiuso in camera non l'avevo più visto.
Mi veniva difficile non continuare a provare rabbia per lui, tra i segreti confessati, quello che era successo con Justin e poi il modo in cui mi aveva trattata.
Sapevo di averlo ferito ed avevo capito perché tutti mi avevano detto di mantenere le distanze. Perché anche se non lo avevo fatto, lo aveva fatto lui, tenendo quel muro di apatia così alto da non scorgere niente.
Ancora il giorno di capodanno, continuavo a non riuscire a vedere niente. Perché lui non voleva farmi vedere niente.
Nemmeno andando a cercare, aspettare... Niente. Aveva un controllo tale sul suo corpo da non riuscire a scorgere altro se non apatia.
E mi spaventava molto.
Sapevo di averlo ferito, anche se mi ci era voluto più tempo avevo capito che effettivamente poteva amarmi. Che forse le mie azioni su di lui potevano avere delle conseguenze più gravi.
A cena, sul lungo tavolo, mi ritrovai seduta proprio davanti a lui. Alla sua destra c'era Louisa, mentre alla sua sinistra c'era la dolce Katy. Dalle occhiatacce che mi scoccava di tanto in tanto quest'ultima, potei capire che non era assolutamente contenta della situazione che si era venuta a creare tra me e Ryan.
Mio fratello e lui erano tornati a parlare, quasi come mesi prima, anche se di tanto in tanto ritrovato Daniel intento a mordicchiarsi le unghie mentre veniva inghiottito da chissà quale pensiero riguardo al suo migliore amico.
D'altro canto però, non riusciva ancora a farsene una ragione: ancora non mi parlava molto e non si era mai espresso su un eventuale relazione tra me ed il suo migliore amico.
Anche se, forse, con tutto quello che stava accadendo non era in cima alle cose da fare nella testa di nessuno.
Il fatto che Ryan non posasse nemmeno una volta gli occhi su di me ne era la conferma.
Amavo ancora Ryan, era un sentimento che non mutava mai davvero. Nonostante la rabbia, per me la relazione era ancora salvabile.
Da parte sua... Mi sembrava di aver avuto la conferma sia a parole che coi fatti.
E questo mi logorava. Sapevo che in parte era colpa mia, ma mi rendevo anche conto dell'intera situazione: il nostro rapporto era andato a creparsi nel momento in cui Ryan aveva detto di Aiden a Dan. Non era nemmeno stato quando Dan era venuto a sapere di me e lui, perché in fin dei conti anche lui mi aveva detto, tempo prima, di continuare a sentire la mia mancanza, anche dopo la lontananza di mio fratello.
- D! Mi stai ascoltando? - mi chiese Michael, scuotendomi leggermente.
Smisi di fissare in modo inquietante Ryan e tornai a guardare il mio amico. - Emh...
- Stasera torni da sola? - mi chiese ancora.
- Oh, si - risposi annuendo.
- Non bevi giusto? - volle sapere Michael, guardandomi attentamente. Da quando avevo chiuso anche con Justin, mi era stato accanto come nessun altro, mettendo quasi da parte la sua relazione con la fidanzata. Era sempre molto preoccupato per me e da una parte aveva ragione: non stavo bene, ero profondamente consapevole di essermi ritrovata con nulla tra le mani... Ma ero anche consapevole del dolore che avevo già passato e quello... Quello era un dolore che mai nessun altro avrebbe potuto superare o anche essere allo stesso livello.
Era una consapevolezza giusta. Senza il dolore di mamma non sarei mai riuscita a quantificare e limitare quello di Ryan. Anche se era comunque un dolore diverso. Non si potevano mettere a confronto.
- No, no - confermai sorridendogli dolcemente.
Notai che Ryan si era irrigidito leggermente. Si avvicinò all'orecchio di Louisa per dirle qualcosa e mi ritrovai a lanciargli un'occhiataccia.
Ryan fece finta di non accorgersene e tornò a mangiare.
Bevvi il mio bicchiere di acqua avidamente, senza toccare quasi cibo.
Ryan non mi guardò minimamente, tuttavia posò lo sguardo sul mio piatto ancora pieno di cibo. Sospirò e cercò qualcuno lungo il tavolo.
- D - mi chiamò Katy. Non appena i nostri sguardi si incrociarono, qualcosa nei suoi si accese. - Se non mangi, Ryan finirà per prendere un imbuto e buttarti tutto in gola.
Era palesemente arrabbiata con Ryan.
Quest'ultimo sospirò. - Se Deitra vuole diventare uno scheletro, sono problemi suoi. Non mi riguarda - disse freddamente.
- Non sono uno scheletro - ribattei, furiosa.
- Manca poco - commentò aspramente. - Ma non sono affari che mi riguardano. Non più.
- In realtà - lo corressi, lanciandogli un'occhiata di fuoco, - non ti ha mai riguardato.
I muscoli della mascella gli guizzarono, ma non mi diede altra soddisfazione. Non mi guardò e tornò a mangiare.
***
Io e Callie ci ritrovammo nell'enorme cucina. Callie si stava versando del vino all'interno del suo bicchiere di plastica, parlando distrattamente. - Quindi penso che stasera non dormirò da lui. Gliela voglio fare pagare ancora un po'. Hai sentito John per caso?
Scossi la testa. - In realtà, no... Non l'ho sentito. Dove sta?
- Mi sa che mi ha mentito - borbottò Callie sovrappensiero, mordicchiandosi il labbro inferiore. - Credo abbia una cotta per il tuo collega.
Sbottai a ridere. - Ian?!
- Penso di sì - rispose Callie. - Conosco John e più ignora qualcosa e più in realtà ne è interessato.
- Quindi sta ad una festa insieme a lui? - chiesi alzando la voce.
- Glielo potresti chiedere - propose Callie, ammiccando.
Decisi quindi di mandare un messaggio a Ian, per chiedergli se il fratello di Callie si fosse aggiunto a lui. Avevo provato ad invitare anche Ian alla festa dentro quell'enorme villa, tuttavia aveva declinato l'invito, dicendo che le feste per universitari non gli erano mai andate a genio.
Per uno che aveva più lauree che vita mi era sembrata un po' un'assurdità, ma dopotutto Ian non era mai stato un ragazzo semplice.
Non ricevetti una risposta.
Il proprietario di casa mi mise un braccio attorno alle spalle. - Piccola D - inizio, - mi hanno detto che non dormi qua.
- Nemmeno io dormo qua - sputò Callie.
- Tu sei fidanzata, Callie.
- Anche lei lo è - si lasciò sfuggire Callie.
Il ragazzo ammiccò guardandola. - Non mi risulta, visto com'è andata a finire con Ryan.
- Torno a casa, fine della storia - mi limitai a dire, allontanandomi dal braccio del proprietario di casa. Lo sentii osservare il mio tubino nero piuttosto corto.
Alzai lo sguardo, anche se ancora leggermente a disagio con quello che era successo, ed i miei occhi trovarono immediatamente la figura di Ryan.
Era una capacità che mi dava sempre fastidio, il mio continuare a trovarlo, a cercarlo, senza rendermene nemmeno conto.
Stava sorseggiando un liquido piuttosto ambrato, appoggiato al piano di cucina. Era affascinante come sempre, con quel sorrisino da bravo ragazzo e la faccia da angelo. Il corpo era fasciato elegantemente da una camicia bianca leggermente sbottonata e dei pantaloni neri.
Tenne lo sguardo su Louisa, scuotendo la testa ad una sua affermazione, e si morse leggermente il labbro inferiore per non sorridere.
Era tranquillo, a suo agio in quel contesto, nonostante tutto quello che era accaduto tra noi. E andava bene così, perché era stato il primo a dirmi che non avrebbe messo in pausa la sua vita per me.
Il semplice fatto di vederlo andare avanti, in realtà, mi creava della speranza. Speranza, che non avessi veramente distrutto tutto... perché il ragazzo che mi aveva letteralmente scopata due giorni prima, era tutto fuorché intatto.
Io e Ryan avevamo fatto sesso più volte nell'ultimo periodo e non era mai stato così distaccato. Le poche volte che si era lasciato andare ad un mormorio emotivo, lo avevo ritrovato più rabbioso di prima, come a voler contenere quello che di bello aveva da dare.
- Smetti di fissarlo - mi ordinò Dan, trascinandomi nell'altra stanza. - Se fai così, gli dai solo più potere.
Arricciai le labbra, leggermente disgustata. - Potere?
- So benissimo che sei andata a casa nostra - borbottò, facendomi irrigidire. Mi scoccò un'occhiataccia. - E, dal modo in cui tu lo guardi, potrei giurare che ti ha trattata male.
- Non è stato proprio così - bofonchiai, rossa in viso. - Ma è stato un po' crudele.
- Non l'avevo mai visto così - ammise Dan. Nel suo viso scese un'ombra di preoccupazione. Quando Dan era preoccupato per Ryan, voleva dire che c'era veramente qualcosa di grosso in ballo. - Non l'ho mai visto così sulla difensiva con tutti. È come se avesse-
- Un muro - completai la sua frase, di malumore.
- Esatto - borbottò. - E quando Ryan mette un muro del genere, nessuno riesce ad entrare.
Quasi mi vennero le lacrime agli occhi. Deglutii un groppo in gola, inutilmente. Era difficile respirare, in quella situazione.
Mio fratello raggiunse Callie, dopo avermi dato una leggera pacca sulla spalla, e fu in quel momento che notai Lucas ed Aiden entrare in quella casa.
Mi irrigidii totalmente ed il respiro rimase incastonato nel petto. Mi uscii un leggero mugolio sofferente.
I ragazzi si guardarono attentamente in giro. Lucas aveva un sorrisino e gli occhi gli brillavano di una luce tutta sua. Aiden, invece, sembrava piuttosto nervoso di stare là. Le labbra erano ridotte in una linea piuttosto fina ed il corpo era rigido.
In effetti, non era un'ottima idea quella di farsi vedere là, con Ryan ed Aiden presenti. Non dopo tutto quello che era successo.
- Guarda un po' chi si vede - commentò Ryan, affiancandomi. - Il tuo fidanzato ed il tuo amante.
Trasalii e girai il viso verso di lui, ferita, guardandolo con grandi occhi sofferenti. - Come fai a dire una cosa del genere? - chiesi, la voce ridotta ad un sussurro.
Per un secondo qualcosa nella sua espressione fredda e distaccata cambiò, ma fu un secondo e non ebbi il tempo di analizzarlo che riemerse quel muro. Mi sorrise maliziosamente e se ne andò, prendendo la mano di Louisa.
Non mi sfuggì il modo in cui la trascinò al piano superiore, dove si trovavano le camere da letto.
Posai una mano sul petto, in cerca disperata di aria. Di Aiden e Lucas non c'era più traccia, ma ormai... ormai la mai attenzione era altrove.
Contai quei famosi secondi, in cui avrei dovuto cambiare idea, calmarmi e trascinarmi via.
Uno, due, tre, quattro... Non ce la faccio. Cinque, sei, sette. Maledizione.
Lasciai il mio bicchiere di coca-cola e salii velocemente le scale, con il cuore scalpitante dall'ansia e dall'angoscia. Sapevo - lo sapevo - di star facendo un errore, ma la mia anima mi stava urlando di correre e non c'era niente più potente di quello.
Nonostante i tacchi, mi ritrovai a fare gli scalini a due a due, senza alcuna eleganza, arpionandomi al corrimano.
Il lungo corridoio pullulava di persone intente a baciarsi. Gli passai accanto, sentendo gemiti soffusi e mugolii, schiocchi di baci e lo sfregamento di tessuti. Con il viso in fiamme a causa del disagio, individuai immediatamente la figura alta di Ryan.
Stava di spalle e teneva una mano appoggiata sul muro davanti a lui. Non potei individuare, invece, Louisa, che era completamente ingabbiata tra le braccia di Ryan.
L'avevo già vista quella scena, con un'unica differenza: la ragazza incastonata tra la parete e lui, ero stata io.
La gelosia galoppò nelle mie vene, facendo scorrere il sangue così velocemente da farmi capire poco e niente della situazione.
Perché se l'avessi analizzata, se avessi analizzato anche Ryan... me ne sarei andata via velocemente.
- Ryan...
I muscoli della sua schiena si irrigidirono a tal punto da guizzare sotto alla camicia. Girò il viso verso la mia voce e gli occhi blu cozzarono immediatamente dentro i miei.
- Stai scherzando, spero - commentò aspramente. - Vai a farti un giro di sotto, piccola D.
Con occhi grandi di disperazione, mi avvicinai ancora, giocando nervosamente con le dita delle mani. - Per favore...
- Vattene.
Mi fermai di scatto, quando lo sentii ringhiare: - Spina nel fianco.
Strabuzzai gli occhi e venni completamente investita da un'ondata di sofferenza. Tenni il labbro inferiore incastonato tra i denti, per non farlo tremare, ma non riuscii a trattenere le lacrime. - Parliamo... - cercai di dire.
Ridacchiò. - Vai a parlare con qualcun altro - replicò freddamente. - Sono occupato.
- Ryan, basta - lo interruppe Louisa, allontanandosi al muro. Mi guardò attentamente, con gli occhi pieni di preoccupazione. - Stai bene? - mi chiese.
Annuii.
- Certo che sta bene - si intromise ancora Ryan. - Sta solo facendo i capricci.
- Capricci? - ripetei, ferita. - Ry...
- Smettila di chiamarmi così - mi fermò, la voce tagliente. - Vattene.
- Smettila - gli sussurrò Louisa. - Mi stai spaventando.
Ryan si mise indietro i capelli, ridacchiando. - Bene - disse, prima di lasciare Louisa e camminare velocemente verso di me.
Lo guardai, con il cuore in gola. - Parliam-
Mi afferrò di scatto i fianchi e mi premette contro di lui. Trasalii, con gli occhi spalancati. - Se proprio vuoi, entriamo qua dentro e replichiamo la scena di due giorni fa. Dopotutto... non è stato affatto male - se ne uscì.
Non riuscii a reprimere un'espressione delusa e sofferente. - Non farlo... - mormorai, con le lacrime agli occhi. - Stai soffrendo, lo capisco, ma... cerchiamo di-
- L'unico modo per farmi stare meglio - mi fermò, con un tono di voce roco e sprezzante, - è entrare là dentro, e farti fare esattamente quello che ho in mente di fare in questo momento.
Mi allontanai, ferita. Asciugai velocemente le lacrime, tirando su con il naso.
- Te lo devo ripetere? - chiese, senza staccare gli occhi vitrei da me. - Tra me e te è finita. L'unica cosa che mi puoi dare è il tuo piacere.
Scossi la testa. - Non sei in te - mormorai, la voce strozzata dalle lacrime.
- No, non lo sono - confermò lui. - Quindi vattene, prima che ti porti dentro la camera.
- Ryan! - esclamò Louisa.
Alzai il mento, guardandolo con tutta la delusione che avevo in corpo. - Sei l'esatto opposto della persona che amo - mormorai.
Un luccichio nei suoi occhi mi fece capire che almeno questa frase era arrivata al suo cuore.
Mi voltai e me ne andai velocemente.
***
Non ci stavo.
Quello non era Ryan, era quello che voleva far vedere, perché troppo ferito per far vedere altro.
Per questo, con il cellulare in una mano ed un calice di vino rosso nell'altra, entrai dentro una camera da letto, e cercai di scrivere un messaggio a Ryan:
Per favore, parliamo. So che sei ferito, ma possiamo risolvere questa situazione. Io ti amo, l'ho sempre fatto. Vieni di sopra, cerchiamo di arrivare ad un compromes
La porta si aprì di scatto.
- Oh, no - mormorai, girandomi a malapena, stringendo il calice di vino rosso offertomi dal proprietario di casa. - No, è occupata!
- Ecco il motivo per cui sono entrato.
Trasalii.
Mi girai di scatto, in una cascata di capelli biondi, verso quella voce. Sentii il cuore tremarmi, le ossa cedere e l'anima... l'anima urlare di una paura viva.
Feci immediatamente un passo verso la porta, perché il mio primo istinto fu quello di scappare.
Ma si mise davanti, chiudendosi la porta alle spalle, per poi appoggiarsi con un sorrisino.
- Ciao, piccola DeiDei.
Tremai leggermente ed abbassai lo sguardo verso quel messaggio non ancora inviato. Pensai di inviarlo incompleto, nella speranza che potesse comunque salire, per controllare o anche soltanto per trattarmi come mi stava trattando negli ultimi giorni.
Tutto.
Purché entrasse in camera.
Qualcuno.
- Lucas...
- Ti trovo dimagrita, eppure non è passato molto tempo - analizzò. - L'amore ti sta facendo male?
Mi morsi la lingua. - No.
Scoccò la lingua sul palato, girando per la camera da letto, sovrappensiero. - Eppure sei così sciupata...
Non era l'amore che mi stava consumando, bensì l'angoscia. Era la consapevolezza che tutto attorno a me stava andando nella direzione più sbagliata possibile.
E la sua presenza in quella stanza... ne era la conferma.
- Ti volevo proprio parlare, piccola DeiDei - annunciò, sedendosi sul bordo del letto. Incrociò le gambe e puntò i suoi occhi grigi su di me, portandoli lungo il mio minuto corpo. - Sì, perché... ci sono delle cose che devi sapere, di noi.
- D-di voi? - chiesi, stringendo il calice nelle mie mani.
- Sì, di noi - confermò, sorridendomi.
- Perché... perché non lo facciamo di sotto? - proposi, la voce leggermente tremolante a causa dell'ansia.
L'avevo già vista.
La parte che più mi inquietava di lui.
Quegli occhi predatori, grigi come il cielo in tempesta, osservarmi, analizzarmi fino ad entrare nella mia anima per cercare il pezzo più morbido di me e stringerlo tra le sue mani.
- Prima parliamo.
Abbassai lo sguardo sul cellulare e cercai di premere invio, quando il rumore dei suoi passi mi fece sobbalzare.
Mi afferrò malamente il cellulare e mi sussurrò addosso: - Solo io e te.
Irrigidii la schiena, facendo un passo indietro, mentre un brivido di paura mi attraversava la spina dorsale. Mi morsi il labbro inferiore, trattenendo lacrime di stress. Annaspai, in difficoltà.
- Credo sia il momento di dirti che... Aiden non è stato il primo a notarti.
Alzai lo sguardo verso di lui, senza nascondere le lacrime. - C-cosa?
- Esatto - confermò, annuendo. - Pensi che un pallone gonfiato come Aiden, sia in grado di osservare le persone come noi? No... - ridacchiò, scuotendo la testa, e dei ciuffi corvini gli caddero lungo il viso. - Certo che no, piccola DeiDei. Quelli come noi si nascondono. Nascondono il vero essere al mondo.
Tremai leggermente. - Che-che cosa dici? - chiesi, spaventata.
- Sì, noi siamo piccoli fantasmi - continuò, avvicinandosi a me. - Io ti ho vista, tra quei corridoi, ad osservare tutti... tutti, tranne me. Perché io e te non siamo visti.
- Ci... ci sono tante persone non viste.
Perché devi vedere proprio me?
Annuì. - È vero! Hai ragione! Ma io ho visto proprio te - disse. Le nostre punte delle scarpe si toccarono e trasalii. - E non è un caso. Il fatto che io abbia fatto vedere te ad Aiden? Beh... quello... quello è stato un errore stupido. Perché uno come lui, non può vedere realmente qualcuno come noi.
Trattenni un gemito disperato. - Non siamo simili, io e te...
- Lo siamo - intervenne, annuendo. - L'ho capito quando ti sei messa insieme ad Aiden. L'ho capito quando hai iniziato a guardarmi.
Aggrottai la fronte, confusa. - No! Non ti guardavo...
- Lo facevi - rise. - Lo facevi, quando stavi con Aiden. Quel bastardo ha pensato di vederci lungo. Ma non gli bastava. Doveva avere di più. Doveva...
- Andiamo di sotto - mormorai, avvicinandomi alla porta.
I nostri petti si scontrarono, quando di scatto si posizionò davanti a me. Sobbalzai. - Secondo te, perché l'ho spinto a mandare quelle foto a tutti? - chiese, tagliente. - Perché non riusciva a vederti davvero.
Sgranai gli occhi. Cercai disperatamente il cellulare, senza trovarlo. - Grazie... grazie di avermi vista... ma adesso... torniamo di sotto... - cercai di dire, con una voce strozzata.
- Quello stupido ragazzino ha fatto tutto - ringhiò sprezzante. - Tutto quello che gli avevo detto, ma la mia era una prova. Lo stavo mettendo alla prova ed ha fallito alla grande.
Il mento mi tremò leggermente. - Va bene così - sussurrai. - Non fa niente, ma... andiamo dagli altri, vuoi?
- Ha finito per innamorarsi miseramente - continuò, senza ascoltarmi. Gli occhi erano due pozze di metallo, completamente perse nel discorso che stava evidentemente avendo con sé stesso. - Per innamorarsi di una come te, che non avrebbe mai capito del tutto.
- Tu vieni visto continuamente - mormorai. - Le ragazze ti vedono da sempre.
Annuì, abbassando il viso verso di me. - Hai ragione, Deidei - confermò. - Mi vedono, ma in superficie.
Non lo stavo capendo.
Il panico mi attanagliava la gola, facendomi respirare a malapena.
- Quando si è innamorato di te, si è allontanato da me - aggiunse, con una vena di cattiveria. - Non solo tu mi avevi visto... No, mi stavi portando via anche il mio migliore amico.
- Mi dispiace... io... - cercai le parole giuste. - Non volevo ferirti.
- L'hai accecato con il tuo finto amore, per poi ferirlo diabolicamente...
Sentii il mio cellulare vibrare da qualche parte.
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