Capitolo 40: Provi qualcosa per me?

Seduta sulla mia poltrona, non riuscivo a guardare il divano dove era solita sedersi mamma. Sebbene il primo periodo, dopo la sua morte, fosse stato il mio posto preferito dove rintanarmi, dopo il lato del suo letto, ormai sapevo distinguere il livello di agonia che saliva quando mi ritrovavo lá.

Avevo classificato il dolore in due: l'agonia e l'agonia asfissiante. Era un'agonia che ti portava a singhiozzare così forte da non farti respirare. E durante i primi mesi di perdita mi ero ritrovata a rintanarmi in quel dolore, come se non fosse stato mai abbastanza, come una sorta di penitenza... Per essere ancora viva o per non averla salvata? Non lo sapevo e probabilmente non lo avrei mai saputo.

Dal tuffarmi in quel dolore, mi ero ritrovata a negarlo, a scappare da esso. Perché gli attacchi di panico erano sempre piu difficili e respirare era diventato troppo difficile perfino per me, che non mi ero ritrovata con un tumore ai polmoni.

Di tanto in tanto, mi sembrava ancora di dover essere penalizzata. Nei giorni più bui, pensavo ancora alla promessa che le avevo fatto di non poter esistere senza di lei.

Ma era dolore.

Lo conoscevo bene ormai.

Ed ero riuscita a scappare da esso.

Anche se determinati dolori non ti lasciavano mai veramente, una volta scovato il tuo nascondiglio.

E forse, infondo al mio cuore, ne ero anche contenta: era la mia penitenza per essere ancora viva, era il ricordo di lei che non sarebbe mai andato via, era il tormento che l'aveva perseguitata per tutta la malattia.

Mia sorella era già arrivata da un giorno e stava preparando la tavolata insieme a mio fratello e mio padre.

Io e Dan eravamo arrivati con macchine diverse, facendo sorgere non pochi dubbi a Dayna e mio padre.

- Come sta Callie? - chiese mio padre a Dan.

- Non lo so - borbottò Dan, il volto sopraffatto dalla sofferenza.

- Vi siete lasciati? - volle sapere mia sorella, già con la voce piena di risentimento.

- Mi ha mollato - cercò di dire Dan, con finto disinteresse. Tuttavia, non era mai è sto bravo a mentire.

- Perché? - sputò Dayna. - Che hai combinato?

- Chiedetelo a Deitra - ringhiò Dan.

Ridacchiai amaramente. - Ti ha dato dell'egoista, e la colpa sarebbe mia? - mi presi gioco di lui.

- Tutto è iniziato per colpa vostra - mi incolpò.

- Ah, vuoi dire che Ivy non l'hai vista prima di aver saputo la realtà? - sbottai, girandomi verso di lui.

Mio fratello sbiancò. - Te l'ha detto Ryan?!

- Calliope lo sa questo?! - chiesi rabbiosa.

- Non è successo niente.

- Lei lo sa? - ripetei, alzando il tono di voce.

- Ragazzi, calmatevi - ci riprese mio padre, il viso contratto dalla confusione. - Che cosa sta succedendo? Da quando voi due litigate?

- Diglielo - ringhiò Dan, sfidandomi con lo sguardo. - Diglielo, se hai il coraggio.

Rimasi in silenzio per alcuni secondi. - Io e Ryan abbiamo avuto... Alcuni momenti - annunciai, alzando il mento con fare di superiorità.

- Alcuni momenti - ripetè mio padre, sempre più confuso. - Ryan il migliore amico di Dan?

- Si - replicò Daniel, furioso. - E per momenti intende che hanno scopato.

Alzai gli occhi al cielo. - Quanto sei superficiale, cazzo - ringhiai.

- Io sarei superficiale?! - tuonò.

- Ragazzi! - urlò mio padre, facendoci sussultare. Si massaggiò la cute, leggermente innervosito dalla notizia. - Tu e Ryan, Deitra? - mi chiese. Annuii, stringendo i denti. - Voglio dire... Emh... Non so...

- D ha sempre avuto una cotta per lui - si intromise Dayna scrolla di le spalle. - Di che cosa vi stupite?

- Ma Ryan non era fidanzato? - volle sapere mio padre, visibilmente in difficoltà. - Ha l'età di Daniel... Sta facendo il master... Non sarà troppo grande per te?

Ridacchiai. - Allora anche Callie è troppo piccola per Daniel.

Capivo la confusione che stava provando mio padre, dopotutto era sempre stato poco attento ai dettagli e sinceramente non sapevo nemmeno se fosse a conoscenza del mio sentimento nei confronti di Ryan.

Perché mio papà era sempre stato un po' come Daniel: buono ma pur sempre un po' troppo concentrato sull'amore che provava per noi e mai su quello che noi provavamo per gli altri.

Per questo Daniel tendeva a non vedere il contorno. Non lo faceva con egoismo, semplicemente non ne era mai stato in grado.

Eppure, con la presenza di Callie, stavo iniziando a vedere parti di lui crescere ed evolvere.

Quest'ultima stava fingendo di stare bene, da quando lo aveva lasciato. Cercava di andare avanti con la sua vita e non si era ritrovata a passare il giorno precedente dentro il letto. Mi sembrava piuttosto convinta della sua scelta.

Daniel, d'altro canto, aveva le occhiaie che lo tradivano e gli occhi gonfi di pianto. Mi creava dolore vederlo in quello stato anche per colpa mia, ma mi rendevo anche conto del fatto che per una volta doveva essere lui da solo a capire.

- Sono confuso - ammise mio padre. - State insieme?

- Certo che no - disse amaramente mio fratello.

Suonarono alla porta.

- Momento ideale per presentarsi - cercò di alleggerire la situazione mia sorella.

Mio padre andò ad aprire e sentii immediatamente le voci di Mr. Mark e Ryan mentre lo salutavano calorosamente.

Mi alzai dalla poltrona nel momento esatto in cui varcarono la soglia del salone. Sospirai, trattenendo un brivido quando la bellezza e l'eleganza di Ryan sembrò invesirmi come un treno ad alta velocità. Indossava una camicia verde scuro e dei pantaloni eleganti neri. Stava tenendo sull'avambraccio il cappotto nero ed i capelli erano stati pettinati all'indietro.

- Dayna, sei bellissima - si congratulò Ryan, baciando affettuosamente mia sorella, che indossava un vestito piuttosto lungo dello stesso colore della camicia di Ryan.

Mia sorella era sempre stata si una rara bellezza. Era l'unica dei figli ad aver preso i capelli scuri di mamma, gli occhi color nocciola e la pelle leggermente più scura di nostro nonno paterno.

Al contrario mio, era sempre stata una ragazza alta, dalle gambe lunghe e snelle.

Per questo mio fratello aveva dovuto accettare presto la dura verità: mia sorella, con il suo carattere, non si sarebbe mai piegata al suo volere, esattamente come quello degli altri ragazzi con cui era stata.

Era sempre stata estroversa e dolce, simpatica ma mai scontata.

Io e lei eravamo le due facce della stessa medaglia, per questo forse nonostante la diversità, ci volevamo molto bene e correva tra noi un rispetto sano e solido.

Mr. Mark mi sorrise con una dolcezza che non gli era mai appartenuta, quindi piuttosto falsa. Forse pensava di potermi ammaliare con quei suoi modi, ma lo vedevo come realmente era: un padre anaffettivo, che con le sue relazioni aperte aveva lacerato un'idea di amore ad un bambino piccolo che non aveva visto altro se non quello che gli aveva insegnato lui.

Forse Ryan lo aveva accettato, ma qualcosa nei discorsi del padre mi faceva pensare che non avesse accettato il fatto che suo figlio potesse essere diverso da lui, che potesse provare un amore diverso da quello che era in grado di dare lui.

- Sono così abituato a vederti in vestiti da lavoro, che vederti così mi mozza il fiato, D - se ne uscì, continuando a sorridermi.

- La ringrazio - bofonchiai, rossa in viso.

- Sembra una puttana d'alto borgo - borbottò mio fratello.

- Daniel! - esclamò mio padre, sgranando gli occhi.

Sentii gli occhi di Ryan su di me. C'era un urlo silenzioso in quello sguardo. Tutto nel suo corpo stava urlando qualcosa che però captai soltanto come frustrazione. Lo sentii percorrere le gambe coperte dalle calze nere lentamente, per poi arrivare al vestito leggero rosso con delle leggere spalline.

- Beh, almeno io non sembro un drogato - borbottai a Dan.

- Deitra! - esclamò mio padre, esasperato.

- Qualcuno non ha voglia di festeggiare il Natale - ci beffeggiò Mr. Mark.

Qualcuno poteva pensare che non volessimo festeggiare il Natale perché non c'era più mamma, ma lei non aveva mai amato queste feste, anzi le aveva odiate fino alla fine.

Il campanello suonò di nuovo.

Alzai gli occhi al cielo.

Entrarono quindi i miei nonni, Laurel e Paul.

***

Passai gran parte della cena a guardare un punto fisso dentro il mio piatto, mangiando a malapena. Volevo soltanto che tutta quella farsa finisse.

I miei nonni continuavano a parlare di Daniel, di come lo vedevano cresciuto e più educato, mentre Laurel lanciava occhiate indagatrici a me e a Ryan, che si trovava proprio davanti a me.

- Ryan e tu che ci dici? - chiese Paul, seduto accanto a mio padre. - Hai l'aria stanca.

Mio fratello mormorò: - Non sempre il sesso fa bene.

Ryan gli lanciò un'occhiata divertita. - Parla per te.

Dan alzò lo sguardo su di lui, con un mezzo sorriso.

Strinsi le posate fino a sentire dolore. Si stavano prendendo gioco di me?

- Ieri sera il signorino non mi ha fatto dormire - annunciò Daniel, per poi guardarmi con l'aria di chi voleva dirmi qualcosa per ferirmi.

Aggrottai la fronte. Non fu poi così difficile collegare la sera a Katy, o chiunque altra.

- Tra poco lavorerò full time - disse Ryan, per far cadere il discorso di Dan, girando il viso verso Paul, con ancora le posate in mano. - Adesso mi sto occupando di un altro ambito.

Paul lo guardò, sorpreso. - Pensavo volessi lavorare nello stesso settore di Deitra - replicò.

- Già, lo pensavo anche io - bofonchiai, attirando l'attenzione di Ryan.

Mi guardò per pochi secondi, per poi rivolgersi nuovamente verso Paul. - In realtà, no. Da anni punto al settore fallimentare - riferì. - Mi emoziona molto di più. Lo trovo stimolante.

- Tra poco finisci di studiare, giusto? - chiese Laurel.

- Sì, sto preparando le ultime cose - replicò Ryan, annuendo. Nonostante la rabbia, la parte più sana di me esultava per tutti i traguardi che Ryan stava raggiungendo. Era sicuramente più stanco, ma lo vedevo più soddisfatto a livello lavorativo. Aveva una luce diversa, quando parlava di lavoro adesso.

Strinsi le labbra, per cercare di nascondere un sorrisino.

- Emh... e che cosa mi dici di Louisa? - chiese d'un tratto Laurel. - La ragazza bionda.

- Sta puntando ad altro - commentò di nuovo mio fratello.

Lasciai le posate, rabbiosa. - Vuoi dire qualcosa, Daniel? - gli chiesi, con voce tagliente.

- D - mi riprese il nonno. Mi guardò con quei suoi occhi grandi color nocciola, le rughe più profonde rispetto all'ultima volta che lo avevo visto. - Che cos'è questo tono?

Ryan si schiarì la voce. - Louisa sta lavorando insieme a me - rispose, senza guardarmi. - Ci troviamo molto bene in ambito lavorativo, ma siamo solo amici.

- Quindi la tua ragazza è quella che sta cercando di far uscire allo scoperto Dan? - ridacchiò Laurel. La vidi lanciarmi un'occhiata piuttosto strana.

- Non sono fidanzato - annunciò Ryan.

Dan sospirò.

- Capisco - commentò Laurel, posando la schiena sullo schienale della sedia, non soddisfatta della discussione.

- Io mi sto sentendo con un ragazzo! - annunciò Dayna, salvandomi dalla gelosia.

- Che novità - bofonchiò Dan, guadagnandosi un'occhiata dalla sorella.

- Almeno io non mi faccio scappare le persone di cui sono innamorata - sputò mia sorella, acida.

- Sto cercando un modo per non farlo nemmeno io - la riprese Daniel.

Mi avvicinai a mia sorella, per sussurrarle all'orecchio: - Tu, innamorata?

- Sssh, sto cercando di proteggerti - rispose lei, liquidandomi con un gesto di mano.

Ridacchiai e tornai a sedere composta. Senza pensarci, posai gli occhi su Ryan e mi irrigidii quando caddi direttamente dentro i suoi blu. Arrossii tremendamente e, con il cuore leggermente aritmico, tornai a guardare il piatto.

C'era qualcosa di potente in quegli occhi, ma non era mai stato diversamente. Perché Ryan aveva una capacità di parlare con un solo sguardo al di fuori del comune. Per molti, quelle erano semplice occhiate, ma per me che le avevo osservate ed analizzate per anni... Ryan non faceva quasi mai niente per caso.

- Come si chiama? - volle sapere Ryan, incrociando le braccia, la voce leggermente rauca.

- Caleb - rispose Dayna sorridendogli dolcemente. - Non è intelligentissimo, ma è veramente bello e... sì, anche simpatico.

- Questo sì che è amore - disse Dan, ridacchiando.

- Potrai parlarmi di amore quando tornerai insieme a Callie - lo riprese Dayna duramente.

- E tu, piccola D? - mi chiese d'un tratto la nonna, sorridendomi con gli occhi pieni di amore. - Non ci parli mai di te. Hai conosciuto qualcuno?

- Emh...

- Si chiama Justin - se ne uscì Dayna. - Capellone, occhi scuri e l'aspetto da cattivo ragazzo.

- Oh! - esclamò mia nonna, applaudendo, felice.

- No, no... - cercai di dire, in cerca di aria a causa dell'ansia. - Non è come sembra.

- Sta lavorando da noi - si intromise Mr. Mark, posando una mano sopra la mia, per cercare di tranquillizzarmi. - Nonostante tutti i cambiamenti, il suo nuovo capo continua a darmi feedback positivi. Ma dopotutto non ho mai avuto dubbi circa la sua bravura.

- Emh... grazie - mormorai, con ancora lo sguardo sul mio piatto.

Ryan prese una fetta di pane e lo vidi armeggiare con la crosta.

- Anche mio figlio ci ha lavorato e, nonostante alcune discussioni, non si è mai ricreduto - continuò Mr. Mark.

Ryan spalmò sulla fetta di pane un po' di formaggio spalmabile e, senza alzare lo sguardo su di me, si allungò lentamente e posò la fetta di pane sul mio piatto. - Mangia almeno questa - sussurrò, così basso da farsi sentire a malapena.

Mi aveva tolto la crosta.

Strinsi il labbro inferiore, guardandolo. Tuttavia, non diede segni di cedimento: riprese le posate e ricominciò a mangiare, ascoltando il padre parlare.

- Perfino Dylan continua a chiedermi di farla tornare al settore paghe - rise Mr. Mark.

- Sì, beh... - si intromise Ryan, leggermente irrigidito. - Sappiamo tutti che questo non succederà mai, viste le reali intenzioni di Dylan.

Trasalii leggermente, in difficoltà. - Perché devi renderla per forza sbagliata? - gli chiesi duramente, puntandogli gli occhi addosso.

Si fermò, con il boccone in bocca, come leggermente scioccato della mia uscita. - Non la rendo diversa da quella che è - mi corresse Ryan, con tono superiore. - Sei brava, D, ma Dylan non ti vuole per la tua bravura.

- Mi vuole per fare un dispetto a te? - ringhiai.

Mi guardò duramente. - No, ti vuole perché pensa di non poterti avere - ribatté freddamente. - E se fossi meno ingenua, lo capiresti.

Strinsi i denti.

- D, la verità è che... - cercò di dire mio padre. - Sei abituata ad un altro mondo. Prima eri molto introversa, uscivi raramente e poi la storia di Aiden... Sei cambiata e sei diventata una bella ragazza...

- La smettete di dirle che è diventata una bella ragazza? - sputò mia sorella. - Che cos'era prima, un mostro?!

- Di certo era più brutta - commentò mio fratello.

- Ragazzo, ma che hai stasera? - lo riprese Paul.

Dan incrociò le braccia, nervoso.

- Perché dovrebbe fare un dispetto a te, Ryan? - se ne uscì poi Laurel.

Il silenzio regnò per qualche secondo, l'aria si gelò.

- Complimenti - esclamò mio fratello guardandomi. - Sempre per la tua emotività ti ritrovi a parlare troppo.

Sentii il corpo diventare d'un tratto caldo. Aveva ragione: avevo parlato troppo.

Ryan sospirò e posò le posate sul piatto con delicatezza, si passò il tovagliolo sulle labbra e disse: - Perché sa che provo qualcosa per lei.

Mio nonno si strozzò con l'acqua.

Mia nonna gli disse: - Che cavolo, Fred... Sempre la stessa storia... Guarda l'uccellino!

Laurel annuì, guardandolo attentamente, come se avesse aspettato quella risposta da tutta la serata.

Io non respiravo più.

Aveva detto davanti a tutti che provava qualcosa per me.

Mr. Mark mi studiò, affatto contento dell'andamento della serata. Non stava nemmeno provando a nasconderlo dietro il suo solito finto sorriso.

- Beh, D ha sempre avuto un debole per te - se ne uscì Paul.

- Mia nipote è sempre stata innamorata di te, Ryan - aggiunse mia nonna, continuando a battere piccoli schiaffi sulla schiena di nonno, che ancora annaspava un po'. - Allora che cosa aspettate? Fidanzatevi!

- Nonna! - esclamai. - Non è vero!

- Sì, che è vero - ribatté mio nonno. - Non hai mai avuto occhi per nessun altro.

- Ok, basta - mormorai, alzandomi dalla sedia. Le gambe stridettero sul pavimento e tutti posarono gli occhi su di me. Annaspai, cercando disperatamente un po' di aria. - Devo andare un attimo in bagno.

Non respiravo.

Ryan aveva appena ammesso di provare qualcosa per me.

Davanti a tutti.

Alla cena di Natale.

Sentivo il cuore in gola, lo sentivo battere forte dentro il corpo. Era ovunque.

Avrei dovuto esserne felice: finalmente aveva ammesso di provare veramente qualcosa per me, ma dopo tutto quello che era successo... le verità scoperte da altri, i miei segreti rilevati... non ne ero più così sicura. Non ero più così sicura di esserne felice.

Ero completamente divisa in due.

Mi diressi velocemente al piano superiore, per rintanarmi in camera. Dei passi veloci dietro di me mi avvertirono dell'arrivo di un'altra persona e non fu così difficile nemmeno riconoscerla.

Cercai di chiudere la porta, avanzando velocemente dentro la mia camera, quando Ryan non le diede modo nemmeno di chiuderla. Entrò, senza nemmeno chiedermi il permesso, e poi se la chiuse dietro di sé. - D, parlami - se ne uscì.

- Vai fuori da camera mia - ringhiai, continuando a camminare avanti ed indietro per la camera.

Incrociò le braccia, determinato. - Torna di sotto - mi ordinò.

- Arrivo subito - lo liquidai. - Ora esci.

Scosse la testa, aggrottando leggermente la fronte. - Perché stai facendo così? - chiese. - Non hai sentito niente di nuovo, mi sembra.

- Tu provi qualcosa per me? - chiesi, alzando il tono di voce, fermandomi al centro della stanza, ma pur sempre lontano da lui. Lo guardai con occhi grandi e spaventati.

Sembrò trattenere il respiro, quando i nostri sguardi si incrociarono. - Sì - replicò, il tono freddo e privo di qualsiasi emozione.

Ridacchiai, scuotendo la testa, affatto convinta. - Tu provi qualcosa per me, decidi di dirlo davanti a tutti, nonostante quello che ha detto Daniel? - lo presi in giro, la voce piena di amarezza. - Per favore, fammi il piacere di tornare in salone.

- Quello che ha detto Daniel? - ripeté Ryan. - Rispondi alla mia domanda, Deitra: stasera hai sentito qualcosa di nuovo? Perché non mi risulta.

- Vieni a casa mia - ringhiai, tremando. - Dici che provi qualcosa per me, il giorno dopo aver fatto chissà che cosa con qualcun'altra? Con quale coraggio?

Alzò un sopracciglio, con fare superiore. Accennò un sorrisino soddisfatto. - Quindi tu che dici di amarmi e poi ti scopi Justin, ti rende diversa da me?

Annaspai, febbricitante dalla rabbia. - Tu hai detto tutto a Louisa e Daniel! - urlai, con le lacrime agli occhi.

- Sì - confermò, senza dare alcun cenno di pentimento. - E per quanto riguarda tuo fratello, lo rifarei. Senza battere ciglio. Perché doveva sapere. Doveva essere a conoscenza della reale problematica.

- Già sapeva della foto! Che necessità c'era di dirgli quello che ha fatto anni fa?! - tuonai, avviciandomi a lui, cieca dalla rabbia.

- C'era - rispose semplicemente. - Perché qualcuno deve farti capire che deve essere denunciato, che deve ess-

- Sono passati anni! - tuonai, spingendolo.

Si fece spingere, alzando il viso al soffitto, con i muscoli della mascella in rilievo e le mani chiuse a pugni. Trattenne il respiro, con le orecchie rosse dalla rabbia. - Sei lontana anni luce dalla persona che vorrei al mio fianco - disse, continuando a guardare il soffitto, così a bassa voce da sentirsi a malapena.

- Ottimo - ringhiai, osservandolo con cattiveria. - Perché non mi fidanzo con un ragazzo di cui non mi posso fidare.

Rise, abbassando gli occhi su di me, incenerendomi. - Divertente, calcolando che l'ultimo di cui ti sei fidata ha mandato in giro le tue foto nuda - mi schernì.

Ci stavamo ferendo volutamente.

- Esci. Ora.

- Prima o poi, dovrai capire - ringhiò, abbassando lo sguardo verso di me. - E se non te lo farà capire Daniel, il prossimo sarà tuo padre.

Strinsi gli occhi in fessure, furiosa. - Non spetta a te.

- Te l'ho detto, D - disse, avvicinando le labbra alle mie. - Io starò sempre dalla parte che ti porterà sempre maggiore beneficio. Anche se questo significa non stare dalla tua parte.

- Mi pento di avertelo detto - annunciai, sentendo le lacrime bagnarmi leggermente le guance.

- Ed io mi pento di averti permesso di prendere tutto questo tempo - ribatté, tenendo le labbra ad un palmo di distanza dal mio viso. Il suo respiro batté contro le mie labbra, facendomi rabbrividire.

Mi allontanai, come scottata. Mi girai e presi di nuovo distanza da lui. - E che cosa mi dici di Louisa? - ringhiai, fulminandolo. - Perché gliel'hai detto?

- Perché sto male.

Risi, uscii la parte più cattiva di me. - Tu? Tu stai male? - lo schernii, furiosa. - Io sono quella che hai lasciato col culo per aria, e tu sei quello che sta male?

- Ti sto dicendo che anche io sto male - replicò freddamente. - Non sto dicendo niente sul tuo, di dolore.

- Ma fammi il favore... - borbottai, per poi andare ad aprire la porta. Gli feci segno con il mento di uscire. - Levati dalle palle.

- Pensi davvero di essere l'unica a soffrire in questa storia? - sbottò Ryan, dando una spinta così forte alla porta da farmi quasi perdere l'equilibrio. Mi afferrò le spalle, per non farmi cadere. Mi scosse leggermente, come a farmi svegliare. - Pensi che questa storia non mi stia logorando, come sta facendo con te? Pensi-

- Esatto - ringhiai, ficcando gli occhi dentro i suoi, più convinta che mai. - Ti vedo, in giro. Ti vedo al campus e sento anche gli altri parlare di te. Tu non stai soffrendo.

Il suo viso da angelo fu squadrato totalmente da una smorfia di rabbia. - Soltanto perché sono in grado di fare la mia vita-

- Esatto! - esclamai, avvicinando pericolosamente il viso al suo, mettendomi in punta di piedi, con le mani strette a pugni. Non la smettevo più di tremare. - Questo è-

- Non rovinerò la mia vita per l'amore! - tuonò, così forte da farmi sussultare. Feci un passo indietro, per un attimo spaventata. - Non smetterò di costruire il mio futuro, perché semplicemente tu non ne vuoi fare parte. Non sono stato educato così. Mi dispiace, se ti aspettavi un principe depresso e disposto a distruggere la sua vita per te, non sono io.

- Non voglio questo - mormorai. - Ti sto dicendo che-

- Il mio dolore è diverso dal tuo - ringhiò. - Perché la tua autostima è diversa dalla mia.

Lo guardai, ferita. - Come? - sussurrai.

- Esatto - ripeté. - Tu soffri in questo modo, perché pensi di non poter vivere da sola. Io ne sono consapevole: posso farlo. Ho vissuto senza di te fino ad adesso, posso farlo anche per sempre. E fa male, mi fa male pensare a te come una sconosciuta, qualcuno con cui non poter festeggiare tutti gli avvenimenti belli che la vita ha da offrirci. Ma questo non mi porterà lontano da me. Mi dispiace, Deitra.

- Che cosa c'entra-

- Io ti amo - se ne uscì.

Trasalii.

Annaspai, ma non riuscii a staccare gli occhi dai suoi: non me lo stava soltanto dicendo, no... me lo stava urlando.

- Ma probabilmente non è l'amore che ti aspetti tu - aggiunse. - Non è quell'amore che ti paralizza, D. Io non smetterò di vivere, perché tu non mi vuoi.

- Non lo voglio - dissi, la voce ridotta in un sussurro da bambina.

- Non ne sono sicuro - ribatté. - Penso tu stia cercando un amore simile a quello che provava Aiden.

- Se lo avessi voluto, sarei tornata da lui - ringhiai, con la voce tremante.

- No, perché da lui già lo hai avuto.

Scossi la testa. - Perché lo stai facendo?

- Perché devi saperlo - rispose, freddo. - Devi sapere che ti amo, che probabilmente ti aspetterò, ma non smetterò di vivere.

- È questo che hai detto a Daniel - sussurrai, consapevole. Era per questo che Dan non ce l'aveva più così tanto con lui: perché gli aveva fatto capire che, nonostante il dolore, mi amava. Che non era stato inutile. Non glielo aveva detto un mese fa, perché sapeva - conosceva mio fratello, e non era in grado di ascoltare realmente, quel giorno. Aveva aspettato, fino a quando lo aveva visto più debole, più empatico... e poi lo aveva detto.

Ryan, come sempre, aveva calcolato tutto.

Annuì. - Ora scendiamo - disse, freddamente. - Sta diventando maleducazione.

Mi mordicchiai il labbro inferiore, sovrappensiero. Annuii e mi girai, dirigendomi verso la porta. Quando posai la mano sulla maniglia della mano, vidi qualcosa luccicare a terra. Quindi mi abbassai, senza il minimo di eleganza, e riconobbi immediatamente uno dei gemelli di Ryan nero. Mi alzai e mi girai verso di lui velocemente, così tanto da portare tutti i capelli su una spalla, con in mano il suo oggetto.

Si fermò, guardando la mia mano. Deglutì ed alzò gli occhi blu sul mio viso, per poi abbassarsi lentamente sulla scollatura del vestito. - Grazie - disse, la voce ridotta ad un bisbiglio rauco.

- Dà qua - sussurrai, prendendogli delicatamente il polso che non aveva più il gemello. Mi mordicchiai il labbro inferiore, concentrata a non fare figuracce, nonostante non avessi mai messo un accessorio del genere addosso ad un uomo.

Arrossii, quando mi sfuggi di mano, ma lui lo prese al volo.

- Scusa - borbottai, con le mani leggermente tremolanti. - Sono... sono ancora un po' agitata.

- Lo vedo - disse semplicemente. Abbassò lo sguardo sul suo polso e lo osservai fare quello che non ero stata in grado di fare io, in poco più di due secondi.

- Come fai? - chiesi, di getto. Alzò lo sguardo su di me, tenendo ancora il mento abbassato, e lo trovai così affascinante da arrossire come una bambina. - Come fai a tenere sempre questa calma?

I muscoli della mascella guizzarono, gli occhi blu mi squadrarono. - Calmo? - chiese, alzando un sopracciglio. - Con te sono tutto, tranne che calmo.

- Non mi risulta - borbottai.

Sospirò. - Sono cresciuto con persone diverse dalle tue - rispose semplicemente.

- Quindi è vero: tieni il controllo sul corpo per non rivelare quello che senti davvero - mormorai.

- Lo sai già - disse, spazientito. - Perché me lo chiedi adesso?

Ripensai all'amore idealizzato, al modo in cui ogni tanto ci ritroviamo ad innamorarci di una persona che non esiste, perché costruita dalla nostra fantasia. Avevo osservato Ryan per anni e la paura di averlo idealizzato era tanta, eppure più passava il tempo e più mi sembrava di aver guardato così attentamente da aver visto nient'altro che la realtà.

Sospirai. - Non voglio altro che il bene per te - annunciai. - Sono solo dispiaciuta, perché mi sono ritrovata ad essere l'unica a non sapere, inoltre la storia di Aiden-

- Scendiamo, D - ripeté duramente.

- Ma-

Ridacchiò, d'un tratto nervoso, e si portò una mano sulla nuca. - Abbiamo appena discusso - iniziò. - Ma l'unica cosa a cui riesco a pensare è toglierti questo maledettissimo vestito. E se lo facessi, non sarei più così coerente. Per questo, dobbiamo scendere subito.

Sgranai gli occhi, con le guance in fiamme. - Oh... emh...

Un'ombra passò davanti il suo viso. Scosse la testa e avanzò verso la porta.

Mi girai verso di lui, che ormai era pronto ad abbassare a maniglia per aprire la porta, e aveva i muscoli della schiena così rigidi da guizzare sotto la camicia. Ero leggermente confusa. Non capivo come potesse essere passato dall'avercela con me al volermi togliere il vestito. - Pensa-pensavo ce l'avessi con me - balbettai.

Girò il viso verso di me, oltre la spalla. - Ce l'ho terribilmente con te - confermò, con una scintilla di rabbia dentro gli occhi profondi.

Lo fulminai con lo sguardo. - Perché due giorni fa abbiamo fatto sesso? - chiesi. - Ce l'hai con me per questo?

- Sai benissimo che non è così.

- Non abbiamo fatto sesso? - lo provocai, incrociando le braccia.

Aggrottò la fronte, studiando il mio comportamento. Quando sembrò capire le mie intenzioni, scosse la testa con un sorriso amareggiato. - Scendi - disse, la voce rauca.

- Apri la porta - lo sfidai, guardando la sua mano chiusa attorno alla maniglia.

Strinse la presa attorno alla maniglia, senza staccare gli occhi da me. Con i muscoli delle braccia rigide, fece per aprire la porta, quando lo bloccai. Sgusciai tra il suo corpo e la porta, facendogliela richiudere, ad un palmo dal suo petto.

Lo vidi sobbalzare leggermente quando si rese conto della vicinanza. Un ringhio uscì dalla gola, profondo e rabbioso. - Lo fai proprio apposta - digrignò i denti, puntando gli occhi dentro i miei. - Ti deve piacere veramente molto continuare a spingermi-

- Mi piace vederti non tenere il controllo quando non ce n'è bisogno - dissi a bassa voce, appoggiandomi alla porta per guadagnare un po' di distanza dal suo corpo caldo, che già mi stava dando alcuni brividi lungo la spina dorsale. - E con me non ce n'è bisogno.

Sembrò non credere alle mie parole. Sorrise, come scioccato, per poi posare le mani sulla porta, accanto al mio viso, e schiacciarmi contro di essa con il suo corpo. - Forse non hai capito - mi mormorò all'orecchio, posando le labbra su di esso. Rabbrividii contro di lui. - Non hai capito che se c'è una persona con cui devo sempre mantenere il controllo, sei tu.

- Non ce n'è bisogno - ripetei, la voce ridotta in un sussurro da bambina, alzando gli occhi grandi su di lui.

I muscoli della mascella guizzarono. - Proprio non capisci.

- Ryan, perché-

Rise amaramente. - Non capisci o fai finta di non capire - ringhiò, riportando le labbra sul mio orecchio. Posai le mani sull'addominale, confusa dalle scariche che mi stava dando la sua vicinanza, e sentii i muscoli flettersi sotto le mie dita. - E non sei stupida, quindi non ti dirò quello che vuoi sentirti dire.

- Prima o poi, per qualcuno riuscirai a liberarti da questa mania di doverti controllare - risposi, il respiro pesante e la voce soffusa.

Ridacchiò sul mio collo, facendomi rabbrividire contro di lui. - Vorresti essere tu quel qualcuno?

- S-sì... non lo so... - mormorai. Le mani mi stavano sudando contro la sua camicia.

Ringhiò. - D... stiamo qua da troppo tempo - ripeté. - Se non ti sposti, ti alzo il vestito e ti prendo qua.

Annaspai e strinsi la presa sul tessuto della camicia. Girai il viso verso di lui ed i suoi occhi blu mi inchiodarono. Quando non diedi segno di muovermi, lo sentii strusciarsi sulla mia pancia. Gemette, posando la fronte sulla mia. - Spostati - ripeté. - Non ce la faccio più. Spostati.

Posai le labbra sulle sue, senza baciarlo, e lo sentii rabbrividire contro di me. A volte, mi sembrava ancora surreale come potessi essere io la ragazza che gli faceva sempre questo effetto, e più il tempo passava e più sembrava volermi sempre di più.

- Indietreggia, Ry - gli dissi.

Ringhiò e mi afferrò di scatto i capelli, spingendomi ad alzare il viso verso di lui. Mi mordicchiò la mascella, per poi assaporare la mia pelle. Inarcai la schiena ed il petto batté contro il suo. Abbassai le mani lentamente, verso la sua cintura. - Cazzo - digrignò i denti, quando gli sbottonai i pantaloni ed abbassai la lampo. I suoi fianchi si spinsero contro di me. Gemette quando infilai una mano dentro i suoi boxer. - Oh, Deitra...

- Indietreggia, Ry - ripetei.

Annaspò. - C-cosa?

Lo spinsi leggermente e così indietreggiò. Mi guardò, leggermente confuso, quando lo feci indietreggiare fino alla parete opposta, accanto alla finestra. Mossi la mano lungo la sua erezione, fino ad arrivare alla punta. Annaspò e si dovette appoggiare al muro. Gli abbassai i pantaloni ed i boxer velocemente e caddero a terra, sulle sue scarpe.

Aggrottò la fronte, quando non gli diedi modo di abbassarmi le calze. Strinsi la sua lunghezza e lui si spinse energicamente contro di me, posando la testa sul muro. Deglutì.

Sbottonai con l'altra mano la camicia, per poi baciargli il collo. Posò le mani sui miei glutei, stringendoli. - Ti devi togliere il vestito, D - mormorò, la voce rauca e bassa.

- Sta' zitto, Ry - dissi, mordendogli energicamente la pelle poco sotto all'orecchio.

Gemette, muovendo i fianchi più velocemente.

Iniziai a torturare la sua pelle, passando al petto. Gli succhiai avidamente un capezzolo e sentii la sua erezione pulsare fortemente dentro la mia mano.

Mi tirò i capelli. - Mi stai uccidendo, D - ringhiò, incastrando le pupille dentro le mie.

Tornai a baciargli il petto, lentamente, per poi abbassarmi sempre di più. Quando passai la lingua sugli addominali scolpiti, li sentii flettersi.

- Fermati, D - mi disse.

Un altro morso.

In risposta fremette.

Quando mi abbassai totalmente su di lui, lo sentii gemere e buttare la testa indietro, come se non riuscisse nemmeno a guardarmi. Strinsi le cosce e presi la sua lunghezza in bocca.

Gemette rumorosamente, spingendo le anche verso di me. - Oh... - boccheggiò.

Nonostante la poca esperienza, cercai di seguire i movimenti del bacino di Ryan, per capire quello di cui aveva bisogno, mentre cercavo di aiutarmi con una mano.

Passai la lingua sulla punta e sentii le sue gambe cedere leggermente. Mi afferrò i capelli con entrambe le mani, mugolando.

Abbassò il mento per osservarmi da sopra e tremò terribilmente, mordendosi le labbra, mentre mi muovevo più velocemente sulla sua lunghezza.

- Più... più veloce - mormorò, stringendomi i capelli, mentre si muoveva dentro di me, con una lussuria nei suoi occhi che forse non avevo mai visto. - Cazzo, D...

Lo presi totalmente, fino a non respirare, fino a sentire gli occhi pizzicarmi a causa delle lacrime e mugolò, buttando la testa indietro e inarcando la schiena.

Boccheggiò, con il corpo tremante e gli occhi chiusi.

Mi ritrovai a serrare le cosce, così piena di lui da poter provare piacere anche in questo modo. E non mi era mai capitato, anzi non lo avevo mai fatto di mia spontanea volontà.

Mi ritrovai a succhiare avidamente, muovendo velocemente la mano.

- Oh... - esclamò, spingendomi a muovermi come voleva lui, tenendo le mani sui miei capelli. - D... D... spostati. Sto-

Succhiai ancora e le gambe gli tremarono.

- Cazzo! D, sto per venire, spostati... - esclamò, la voce ridotta in un bisbiglio, mentre il corpo gli fremeva. Potevo sentire la sua lunghezza pulsare fortemente dentro la mia bocca. Mi mossi più velocemente, toccandogli la punta con la lingua. Cercò di spingermi via, quando posai le mani sui suoi glutei e lo presi di nuovo totalmente, succhiando.

Buttò la testa indietro, spingendo energicamente le anche verso di me, mentre il suo liquido salato mi schizzava tra le pareti della gola. Lo sentii gemere come forse non aveva mai fatto in mia presenza. Tremò per momenti interminabili, con le gambe leggermente instabili.

Abbassò lo sguardo su di me. Mi allontanai, deglutendo ed i suoi occhi mi sembrarono neri dall'eccitazione.

Scosse la testa, senza staccare gli occhi da me. - D...

Lo baciai sulla guancia e, posando la mano sul suo petto, sentii il cuore scalpitare.

Mi osservò, ancora confuso dall'orgasmo. Si morse il labbro inferiore ed abbassò lo sguardo sulle mie gambe leggermente tremanti ed il petto che si alzava ed abbassava velocemente. Sembrò passargli un'idea in testa, una parola, una frase... ma scosse la testa e la scacciò via.

- Vestiti e scendi, ok? - gli chiesi.

Aggrottò la fronte. - Cosa?

- Scendiamo.

Lo sentii muoversi velocemente verso di me, mi prese di scatto le spalle e mi spinse a girarmi verso di lui. Mi guardò con occhi ancora acciecati dall'eccitazione. - Che cos'è? - mi chiese, la voce bassa.

Mi ricordai una sua frase.

Perché devi ricordarti che questa sei tu, che non riesci a mantenere la distanza da me.

- Questo sei tu, che non riesci a mantenere la distanza da me - gli dissi semplicemente.

La rabbia gli indurì i lineamenti da angelo. Mi prese e mi portò davanti al piccolo specchio rotondo. Si mise dietro di me, con ancora la camicia sbottonata e la cintura lenta. Mi posò una mano sulla pancia, fermandomi proprio davanti al piccolo specchio, e mi disse all'orecchio: - E questa sei tu, che fai finta di non volermi.

Avevo le gote quasi viola, gli occhi grandi neri erano luminosi, i capelli ridotti ad una massa piuttosto disordinata e le labbra gonfie. Deglutii.

- Mi rendi tremendamente incoerente - aggiunse, abbassando lentamente la mano dalla pancia. D'istinto, inarcai la schiena, e lo sentii ridacchiare contro l'orecchio.

Annaspai, posando la mano sul suo avambraccio. Mi mordicchiò il lobo dell'orecchio e succhiò. - Ry... - lo chiamai, spingendo i glutei contro di lui.

Il suo cuore ricominciò a battere velocemente. Mi osservò a lungo attraverso lo specchio. Insinuò la mano sotto il vestitino e la infilò dentro le calze e le mutandine. Appena le sue dita trovarono il punto che più pulsava, strinsi la presa sull'avambraccio e posai la testa sulla sua spalla, boccheggiando.

- E non abbiamo nemmeno fatto sesso - ringhiò, mordendomi il collo, quando sentii i miei umori. - E tu saresti quella che, dopo avermi fatto venire in bocca, se ne va come se niente fosse? Non ti sento affatto indifferente.

Cercai la sua bocca disperatamente, con gli occhi semichiusi, mentre un dito si insinuava dentro di me. Mi premetti contro la sua mano. Sentii nuovamente la sua erezione premermi contro la schiena. - Per favore...

- Ti dimentichi una cosa, piccola D - disse, spostando la mano da me. Mi riabbassò il vestitino e, tenendomi ancora attaccata a lui, mi fissò a lungo attraverso lo specchio. Lo vidi mettersi in bocca il dito, guardandomi con lussuria. Gemetti, stringendo le cosce, completamente presa da lui. - Se vuoi giocare, giochiamo. Ma dimenticati le regole pulite, perché ti ho già detto che quelle per me non esistono più.

Si allontanò da me. Quando sentii il vuoto dietro di me, quasi persi l'equilibrio. Si allacciò la cintura e, con ancora la camicia aperta, uscì dalla mia camera, lasciandomi completamente insoddisfatta.

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