Capitolo 37: La scelta giusta


Mio fratello chiese di andare direttamente a casa sua, per parlare.

Pensando che fosse pronto a parlare di tutto quello che era successo tra me e Ryan, mi recai a casa sua. Quello trovai però fu Ryan a volto basso e Daniel completamente bianco in faccia.

- Dimmi che non è vero - mi sussurrò Dan, con le lacrime agli occhi.

Non ci volle tanto a farmi arrivare alla conclusione. Tuttavia, per cercare di prendere tempo, chiesi: - Che cosa? - con lo sguardo rivolto verso Ryan.

- Dimmi che non è vero. Dimmi che Aiden non ti aveva mai fatto una cosa del genere prima di quella stampa - continuò mio fratello.

Tutto attorno a me smise di esistere.

- Che vuol dire? - chiesi di nuovo, la voce ridotta in un sussurro a causa dell'ansia e lo shock.

- Gli ho detto tutto - annunciò Ryan, senza guardarmi.

- Tu- cosa?! - dissi, la voce incrinata dalla rabbia.

- Gli ho detto delle foto, del modo in cui le ha mandate a tutti e di tutto quello che ti è successo dopo - replicò ancora Ryan.

- Sei un pezzo di merda - dichiarai io. - Mi hai sentito? Sei un pezzo di merda! Adesso che ti senti incolpa per aver infilato il tuo cazzo dentro di me, decidi di avere il diritto di dire le mie cose all'unico a cui non hai avuto il coraggio di dire quello che facevi con me?

Mi avvicinai a lui, furiosa, con il petto scosso da forti respiri irregolari. Decise di non guardarmi nemmeno una volta e non perché non si sentiva sicuro di sé, o perché si era pentito, o per il senso di colpa.

No, era perché era convinto della sua scelta e non stava condividendo il mio modo di reagire.

- Sai benissimo il motivo che mi ha spinto a non dire niente - disse Ryan.

- Puttanate! - gridai io, avvicinando il mio viso al suo. Lo vidi irrigidirsi, senza fare altro. - Non avevi alcun diritto-

- Deitra, ma cazzo stai dicendo?! - urlò mio fratello, allontanandomi dal suo amico. - Lo reputo un pezzo di merda come te, ma... questa volta ha preso la decisione giusta. - Mi guardò con pena e questo mi fece ribollire il sangue dentro le mie vene. - Come hai fatto a non dire niente a nessuno? Ti ha reso la vita un inferno... Come diavolo hai fatto? Perché non ci hai detto niente? Pensavamo... pensavo che ti avesse tradito con un'altra. Doveva essere denunciato, D.

Tornai su Ryan, per spintonarlo. Alzò gli occhi al cielo e, dopo aver capito che non mi sarei fermata, afferrò le mie mani. Tenendole a poca distanza dal mio viso, sussurrò: - Ho smesso di proteggerti nel momento esatto in cui ho capito che in realtà non stavo proteggendo te, ma qualcun altro.

Piangendo, lo allontanai e si lasciò allontanare. - Era la parte più ferita di me.

- No, era la parte più ferita di Aiden - ribatté Ryan.

- Dillo che l'hai fatto per riconquistare Dan - ringhiai, guardandolo con disgusto.

Rise senza alcuna gioia. - Ho smesso di fare cose per Dan da molto tempo - disse con tono abbattuto. - Precisamente, da quando ho iniziato a mettere te per prima.

Mio fratello ringhiò qualcosa simile a delle parolacce.

- Questo è quello che ti dici per sentirti meglio - sputai.

- No, ma lo capisco se non sei in grado di vederlo - mi derise Ryan.

- Deve essere denunciato - disse mio fratello. - E papà lo deve sapere.

Mi sembrava di non riuscire più a respirare, in preda ad un attacco di panico.

- Ho fatto una denuncia anonima - annunciò Ryan.

- Tu-cosa?! - tuonai.

- Ho smesso di proteggervi - ribadì Ryan. - E, giuro su Dio, che se prova a metterti di nuovo le mani addosso... gli renderò il futuro un inferno.

Louisa gli aveva detto tutto.

***

Il giorno prima di partire per le vacanze di Natale, tutto divenne caos.

Iniziò quando, dopo settimane, Ryan decise di venire a visitare l'azienda del padre. Cercai le scale, per la prima volta in tutta la mia vita, pur di non prendere l'ascensore con lui. Molti altri colleghi stavano aspettando l'ascensore insieme a me, quindi in realtà non avremmo avuto modo per discutere o guardarci, ma non volevo avere modo di averlo vicino.

Quindi mi fiondai verso la porta che mi avrebbe portato alle scale. Chiusi arrabbiata la porta, per poi iniziare a salire, gradino dopo gradino, con ai piedi gli stivaletti.

Sentii la porta aprirsi e richiudersi velocemente... e dei passi. - Bella mossa. Davvero matura.

Ringhiai, furiosa. Continuai la mia scalinata, nonostante i piedi mi stessero gridando aiuto.

- Ti vuoi fermare? - mi prese in giro, nervoso.

- Speravo di non vederti più nemmeno qua - ringhiai, la voce piena d'odio.

- Questo è un peccato, perché a me è mancato vederti girare per l'azienda con questi cazzo di vestiti che non fanno altro che portare i miei pensieri a tutto tranne che al lavoro - replicò lui con un sorriso malizioso.

Mi fermai di scatto, arrabbiata a causa del suo modo di fare. Lo aspettai, ma in realtà mi aveva già raggiunto. Arrossii, appena si fermò, davanti a me, senza un capello fuori posto o il respiro affannato. - Ci sarà stato qualcun altro a guardarmi allora - dissi a denti stretti.

- È probabile - confermò lui, senza staccare gli occhi dai miei, con le mani dentro le tasche dei pantaloni.

Strinsi le labbra in una linea fina, accaldata ma comunque furiosa.

Feci per andarmene, quando mi bloccò il passaggio. - Lo stai facendo apposta - mi incolpò.

- Sì - confermai. - Ora fammi passare.

- Puoi avercela con me quanto ti pare, ma sappiamo entrambi che ho fatto la scelta giusta - se ne uscì.

Sgranai gli occhi, furiosa. - Tu, la scelta giusta?

- Sì - disse, convinto, continuando a guardarmi.

- L'unica scelta giusta che hai fatto, è stata quella di porre fina a questa idiozia che c'era tra noi - ringhiai.

- Se te la vuoi prendere con me per quello che ho fatto, va bene - disse fulminandomi con quegli occhi blu, la voce fredda come il ghiaccio. - Ma prendere in giro quello che c'è stato, ti rende semplicemente incoerente e ridicola.

Ridacchiai, arrabbiata, e smisi di guardarlo per non dargli altre soddisfazioni. Cercai di salire le scale, ma di nuovo non me lo permise. - Usa la testa, D. Non potevi continuare in questo modo - continuò.

Furiosa, posai gli occhi neri su di lui e sembrò entrargli dentro tutto quello che stavo provando, perché trattenne il respiro. Mi avvicinai a lui lentamente e, non appena fui ad un passo da lui, mormorai: - Secondo me, tu hai usato tutto, tranne che la testa. - Posai le mani sulla sua giacca, ravvivandogliela, con un sorriso perfido. - Credo abbia fatto tutto questo per allontanare Aiden una volta per tutte, perché la realtà è che... non sopporti proprio l'idea di lui vicino a me.

Aggrottò la fronte, confuso per le mie parole, e si irrigidì quando cancellai qualsiasi distanza tra i nostri corpi.

Appoggiai il seno sul suo petto e lo sentii smettere di respirare, guardandomi dall'alto. - Credo che quello che proprio non ti va giù, sia la possibilità... il potere che Aiden ha sempre avuto su di me. Credo che tu non riesca proprio a pensarlo... - Avvicinai le labbra al suo orecchio, per poi posarle sul suo lobo. Sentii i pettorali fremere leggermente. - Senza pensare a me, completamente in balìa di lui.

- Cosa? - chiese, d'un tratto rigido.

- Sì - ribattei, succhiando leggermente il lobo. Le mani si fermarono sui miei fianchi, stringendoli con forza. - Ti fa impazzire il pensiero di me, completamente nuda davanti ad Aiden... di me, sotto di lui, mentre si prende esattamente quello che tu non ti puoi più permettere.

- Che cazzo stai dicendo? - ringhiò, allontanandomi. Mi guardò negli occhi, furioso.

- Non è così? - chiesi, prendendogli delicatamente la mano. - Non ti disturba terribilmente il pensiero delle sue mani su di me?

Sibilò, afferrandomi i capelli malamente. - Smettila - ringhiò.

- Oppure... - mormorai, sorridendogli maliziosamente. - Come ero sempre pronta per lui... - aggiunsi, portando la sua mano sotto la mia gonna.

Appena le sue dita sfiorarono il tessuto leggero delle mutandine, si scostò da me, come se fosse stato appena scottato da qualcosa. Si girò verso gli scalini, portandosi indietro i capelli, frustrato. Aveva il respiro accelerato e mi sembrò la migliore vendetta.

Ne approfittai per ricominciare a salire le scale e lasciarlo là, affinché potesse accettare da solo il problema.

Tuttavia, mi afferrò l'incavo del braccio, per poi raggiungermi con due falcate. Torreggiò su di me. - Che cazzo di problemi hai? - chiese a denti stretti. - Cos'è, un gioco per te?

- Per te non lo è? - lo presi in giro io, abbassando lo sguardo sui suoi pantaloni.

Feci per avvicinarmi a lui, quando mi strinse le mani, senza alcuna delicatezza. - Smettila. Per me non è un gioco - ringhiò lui, avvicinando il viso al mio.

- Non mi sembra del tutto vero - continuai.

- Il semplice fatto di farmelo drizzare, non rende questo uno scherzo divertente - ringhiò, costringendomi a guardarlo negli occhi. - Tu pronta per lui? Lui che si prende quello che io non mi posso permettere? Che diavolo è?!

- La verità - replicai io, con sfida.

- Smettila - sibilò. - Puoi fare quello che ti pare coi ragazzi, ma non dirmi queste cose per cercare di farmi incazzare.

- Lo posso fare? - chiesi, provocandolo. - Esattamente come tu ti fai Katy, o chiunque altra. Farò in modo che Justin possa prendersi-

Trasalì, per poi stringermi la nuca ed afferrarmi il maglioncino, facendo sbattere il mio petto al suo. - Puoi fare quello che vuoi, ma non dirmi niente - disse a denti stretti. - Non voglio sentire niente.

- Perché lo vorresti tu - ridacchiai, nonostante la posizione leggermente scomoda, in cui ero costretta a tenere la testa completamente verso l'alto, perché voleva che lo guardassi in faccia. - Vuoi essere tu a portarmi-

- Deitra, siamo dentro la cazzo di azienda di mio padre - ringhiò, facendo toccare i nostri nasi per avvicinare il più possibile i nostri visi. - Smettila di provocarmi in questo modo.

Ridacchiai, arrabbiata. - Ti avevo detto che non avrei utilizzato la paura - gli ricordai.

Quindi mi lasciò andare, leggermente scosso. - Quindi per te è vendetta? Un gioco? Un divertimento?

- Quello che ti meriti - ringhiai.

Avevamo entrambi il respiro affannato e tutto il mio corpo mi stava supplicando di trascinarlo da qualche parte e mettere fine alle pene che stavo sentendo.

Ryan se ne andò. Senza girarsi, strinse le mani, mettendo in risalto le vene in rilievo. La schiena rigida fu scossa da un lungo brivido. Sospirò profondamente ed avanzò velocemente.

***

Doveva essere un incubo.

Doveva esserlo.

Perché quella non poteva essere casa mia.

Casa mia non era mai stata così disordinata e... perfino il divano era stato rovinato completamente. Non ci misi molto a collegare: erano stati i genitori di Calliope. Avevano messo a soqquadro l'intera casa per spaventarci e trovare John.

Il piccolo divano era stato squarciato, lo schermo della televisione era completamente rotto, la cucina era stata messa a soqquadro, avevano buttato a terra tutti i piatti, i bicchieri... C'erano vetri ovunque. Addirittura l'unica foto che tenevo di mamma in camera mia, era stata strappata e calpestata.

La presi delicatamente, con le lacrime agli occhi.

Non ebbi il coraggio di continuare l'ispezione.

Chiunque avesse fatto tutto quello, non c'era più ed aveva lasciato la porta aperta.

- John? - lo chiamai. - John! John! John, dove sei? John, va tutto bene, puoi uscire! John!

Mi ritrovai a piangere, perché del fratello della mia amica non c'era traccia, eppure i suoi vestiti erano stati sparpagliati per tutto il salone.

Lo avevano trovato? Lo avevano preso?

L'angoscia mi attanagliò la gola, facendomi respirare a malapena. Urlai, lo chiamai a squarciagola, senza ricevere alcuna risposta.

Mi resi conto di stare singhiozzando.

Avevo paura.

Gli avevano fatto del male?

Togliendomi gli stivaletti e rimanendo soltanto con le calze, scesi di corsa, per cercarlo da qualsiasi altra parte. Cercai sotto le macchine, rompendo le calze e ferendomi le ginocchia. Poi, quando urlai: - John, sono io! Ti prego! - sentii un gemito. - John?

Ancora un gemito.

Mi fiondai verso quel rumore, vicino ai cespugli.

Urlai, spaventata, quando ritrovai un corpo in posizione fetale. Aveva un profondo taglio sulla fronte e varie contusioni. - Oh, mio Dio! John! - urlai, piangendo.

- Piano... - gemette John, quando cercai di capire l'entità dei tagli e delle ferite.

- Dobbiamo andare in ospedale!

- No... no... chiamerebbero i miei genitori - disse lui, la voce ridotta in un bisbiglio roco. - È esattamente quello che vogliono.

- Ma... ma... non so che cosa fare! - esclamai, in preda al panico.

***

Ci furono alcuni momenti in cui la lucidità perse totalmente posto all'interno della mia testa. Era come se registrassi solamente alcuni momenti.

Poco dopo, pur di non chiamare l'ambulanza, decisi di contattare Ian, che aveva fatto alcuni corsi di primo soccorso.

Lo stavamo aspettando da qualche parte, sperduti, in un luogo privo di qualsiasi luce e pieno di sterpaglia ed alberi.

- Continua a premere, John - lo ripresi, tenendo il maglioncino che mi ero tolta per cercare di tamponare la ferita che aveva sulla fronte. - Il sangue è diminuito - sussurrai, notando il sangue essiccato sul maglioncino.

- Per questo ti dico... non c'è bisogno di farmi controllare da Ian - sputò acidamente John.

Lo osservai, innervosita. - Preferisci andare in ospedale?

- Ne abbiamo già parlato.

- Appunto - ringhiai. - Ian non ti conosce, eppure ti sta aiutando. Non puoi stare da noi, l'unico modo è portarti da qualcuno che non conoscono.

- Non conoscono neppure Ryan o Daniel - borbottò.

Gli scoccai un'occhiataccia. - Daniel è mio fratello, genio. Potrebbero arrivare a lui in batter d'occhio.

- Davvero, non capisco questa tua ansia - bofonchiò John. Cercò di spostare il peso su un fianco, ma gemette e l'espressione sul viso fu di pura sofferenza. - Non mi sta nemmeno simpatico, quel tipo. Va in giro come se fosse un cazzo di supereroe spocchioso...

- Sei cat-

Qualcuno bussò al mio finestrino.

Sobbalzammo entrambi, iniziando ad urlare come delle femminucce.

Mi girai, puntando la torcia del cellulare in faccia a...

A Ian.

- Cazzo - bofonchiai, posando la mano sul petto all'altezza del cuore. Buttai la testa indietro, chiudendo gli occhi.

Quando abbassai il finestrino, Ian si appoggiò ed ammiccò: - Un po' di nervi tesi?

- Potevi mandarmi un messaggio, avvertirmi... - mormorai, con ancora il cuore in gola.

Ridacchiò. - Bimba, l'ho già fatto.

Guardai il cellulare. - Cazzo, non c'è campo - borbottai, cercai quindi di riavviare il cellulare. - Dio... ma dove ci troviamo?

- Mi hai chiesto un luogo appartato - mi prese in giro Ian. - Più appartato di questo...

- Quindi è qua che porti le tue conquiste? Le uccidi qua? - chiese tagliente John.

Ian assottigliò lo sguardo, analizzando il mio amico, ma non disse niente.

- Ha una ferita profonda sulla fronte - intervenni, per cercare di cambiare argomento, rossa in viso. - Mi sembra migliorata un po'. Prima gli usciva molto più sangue.

- Una maglietta usata, D? - chiese, allontanandosi dal mio sportello, per poi avvicinarsi allo sportello del passeggero, da John. Aprì la portiera e, con eleganza, si mise in ginocchio vicino a John.

- Ho... ho improvvisato - borbottai, chiudendomi il cardigan.

- Non mi sembra ci sia bisogno di punti - bofonchiò, analizzando attentamente la ferita. - Però ti hanno conciato per bene... Ti rimarrà comunque la cicatrice.

John sibilò. - Perfetto direi.

- Andiamo, bisogna disinfettarla il prima possibile - annunciò, alzandosi velocemente. - Aggrappati a me, ragazzino.

- Ce la faccio da solo - ringhiò John, scostandosi dal tocco del mio collega.

Feci per parlare, quando Ian abbassò il viso verso John e, ad un palmo da lui, sussurrò: - Sarò anche uno spocchioso, ma se non vuoi fare altre figure di merda, ti consiglio di ascoltarmi. Altrimenti, ti dovrò raccogliere con un cucchiaio e allora sì, non solo sarò spocchioso, ma anche il tuo supereroe.

Strinsi le labbra in una linea fina, per non sbottare a ridere.

John divenne rosso in viso. - Prendimi, prima che cambi idea - ringhiò, affatto felice.

- Ian! - lo chiamai, appena mise John in macchina. Il mio collega si girò verso di me. - Per favore... aggiornami. E grazie, davvero.

Ammiccò. - Questo ed altro per te, bimba. Ci sentiamo appena torniamo a casa.

Con le lacrime agli occhi, annuii. - A dopo, Ian.

Quando rientrai in macchina, rimasi in uno stato di trance per qualche minuto, prima di riuscire a mettere in moto la macchina e recarmi a casa di mio fratello, dove si trovava Calliope.

Le avevo urlato più volte di non raggiungerci, per non dare un ulteriore aiuto ai suoi genitori. Non sapevo bene che cosa avessero in mente, ma più Callie ne stava fuori e più probabilità c'erano di depistarli.

Sapevo benissimo dell'enorme sforzo che aveva fatto Callie a lasciarmi fare, ma mio fratello l'aveva stranamente fatta ragionare.

Con ancora il cardigan addosso e nient'altro se non la bralette, feci a malapena in tempo a recarmi davanti la porta principale della casa di mio fratello, che venne spalancata. Venni completamente trascinata all'interno da Dan, che poi richiuse la porta.

- Come stai? - chiese immediatamente lui, afferrandomi il viso. Gli occhi pieni di preoccupazione analizzarono prima il mio viso e poi il corpo. - Cazzo, D... Mi sono spaventato così tanto! - esclamò, prima di abbracciarmi, stringendomi così forte da non farmi respirare.

Si allontanò, ricordandosi del rancore che ancora scorreva nelle sue vene, deglutendo, in difficoltà. - Almeno sei tutta intera - aggiunse, la voce fredda.

La porta della camera di Ryan si spalancò di scatto, facendo trasalire tutti, e mi trovò immediatamente. Le sue spalle rigide furono attraversate da un brivido ed il petto fu scosso da un respiro profondo, come se si fosse ricordato troppo tardi di respirare.

Mi analizzò, con il muscolo della mascella che continuava a guizzare, puntando gli occhi su tutto il mio corpo. - Disinfetta immediatamente le ferite sulle ginocchia - disse, la voce autoritaria ma distaccata. Deglutì rumorosamente, soffermandosi per qualche secondo di troppo sul cardigan aperto. - Ti porto un maglione da mettere.

Fece per avvicinarsi, quando sembrò cambiare idea, perché si immobilizzò. Si rese conto che mio fratello lo stava incenerendo soltanto con gli occhi. Ridusse le labbra in una linea fina, in difficoltà. Sospirò. - Ti ho lasciato un po' di brodo dentro il microonde - mormorò, quasi per non farsi sentire da mio fratello, inutilmente. - Bevi qualcosa di caldo e... vai a farti una doccia.

- Molto dolce da parte tua - sputò mio fratello, furioso.

- Dan, per favore - si intromise Callie.

Mi avvicinai a lei, lentamente, e mi misi seduta sul divano proprio accanto a lei. Quando non diede segno di cedimento, le posai una mano sulla spalla. Si girò verso di me e gli occhi tra il verde ed il nocciola si riempirono di lacrime.

- Oh... - mormorai, con il cuore spezzato. - Callie...

La mia coinquilina si buttò tra le mie braccia, iniziando a singhiozzare.

- Ian lo sta guardando - le sussurrai all'orecchio, cullandola leggermente. - Andrà tutto bene, vedrai. Già stavano discutendo.

Callie ridacchiò. - Davvero?

- Oh, sì!

- Devi riposare, Callie - disse mio fratello, porgendole la mano. - Andiamo a dormire un po', ok?

Il mio cuore ebbe un sussulto, quando Callie gli prese la mano ed andarono in camera di Dan, mano nella mano, mentre mio fratello le lasciava qualche bacio sulla tempia.

Si chiusero la porta dietro le spalle.

Mi resi conto soltanto in quel momento, guardando le mie mani, di star tremando.

Ryan sospirò, come esasperato. - Ti metto a scaldare la cena - sussurrò, avvicinandosi all'isola.

Non fece in tempo a mettere il timer al microonde, che qualcuno bussò alla porta.

Trasalii, spaventata.

Ryan aggrottò la fronte e girò il viso verso di me, come confuso. Mi osservò a lungo. - Non sarà nessuno...

Bussarono ancora.

- Ryan... - mormorai, spaventata.

- Ryan?

Le lacrime fecero capolino.

Daniel aprì la porta, per controllare la situazione. - Chi è?

- Cazzo... mi ero dimenticato... - bofonchiò Ryan, scompigliandosi i capelli dal nervoso. - È... è Katy.

Feci una smorfia, disgustata e ferita. Cercai di riprendermi, al ricordo di quello che avevo fatto solamente il giorno prima con Justin.

Quando però Ryan aprì la porta e Katy si sporse verso di lui, dandogli un lento bacio sulle labbra, mi ritrovai ad osservarli più disgustata che mai.

- Dopo tutto quello che è successo?! - chiese Callie, indignata, prima di chiudersi in camera.

Mio fratello, con un sorriso quasi sconfitto, salutò: - Ciao Katy.

- Dan! Ciao! - esclamò Kitty, sorridendogli calorosamente. - Oh... - trasalì quando mi vide. - D, ci sei anche tu! Cristo, ma che hai fatto in faccia?!

Ringhiai, nervosa. - Mi stavo chiedendo la stessa cosa della tua, di faccia - commentai, facendo riferimento agli zigomi assolutamente rifatti.

Mi lanciò un'occhiataccia.

- Vieni, Kat - sussurrò Ryan, prendendola per mano, per poi portarla in camera da letto.

Mi mordicchiai il labbro, ferita. Abbassai lo sguardo sugli stivaletti per non far vedere a mio fratello le lacrime.

- Fattene una ragione, D - borbottò Dan. - Perché qualcosa mi dice che le cose non cambieranno velocemente.

Cercai di respirare, ma mi uscì uno strano rantolio. - Prima o poi me ne farò una ragione.

- Ti conviene sbrigarti - commentò. - Prima di ritrovarti con il cuore distrutto.

- Oh, grazie del consiglio - ringhiai, alzando gli occhi su di lui, arrabbiata. - Ora che me l'hai detto, ordinerò ai miei sentimenti di spegnersi ed al mio cuore di puntare su qualcun altro.

Scrollò le spalle, con finto menefreghismo. - Era solo per dire.

- Beh, a volte forse è meglio non dire niente!

- Vaffanculo, Deitra - sputò Daniel.

- Vaffanculo tu, razza d'idiota! - tuonai.

Prese e si chiuse in camera, sbattendo esageratamente la porta.

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