Capitolo 36: Risposta sbagliata

Quando bussarono alla porta, non pensai minimamente a indugiare. Ero completamente sovrappensiero e pensavo fosse John, il fratello di Callie.

Mi ci vollero pochi secondi per rendermi conto dell'errore.

Una cascata di capelli neri fu la prima cosa che vidi. Le spalle larghe e gli zigomi altri. Infine, gli occhi grigi. D'istinto, cercai di chiudere subito la porta, ma Lucas mise un piede in mezzo, impedendomi di chiuderla.

Trasalii.

– Che maleducata, DeiDei – ridacchiò Lucas. – Stavi per sbattermi la porta in faccia?

Annaspai. – Come hai fatto a sapere dove abito? – sussurrai.

– Aiden, ovviamente – replicò, con un mezzo sorriso. – Non mi inviti ad entrare?

– No – sputai, facendo forza sulla porta, nonostante fosse ovviamente più grande e forte di me. – Vattene.

– Facciamo un quiz a risposta multipla, vuoi? – si prese gioco di me, avvicinando il viso al mio. Sgranai gli occhi, alzando il viso per guardarlo. – Che cosa ci faccio qua? A) mi annoiavo; b) volevo vederti; c) aiuto un caro amico.

Le mani iniziarono a tremarmi leggermente. – Ti annoiavi evidentemente – ringhiai.

Ridacchiò, la voce roca e sensuale. Mi diede un leggero buffetto sul naso. – Risposta sbagliata, piccola DeiDei.

– In che cosa dovresti aiutarlo? – chiesi.

Scoccò la lingua sul palato. – Che cosa ti fa pensare che sia quella la risposta giusta?

– In–che–cosa? – ripetei, arrabbiata. – Non giocare con me, Lucas. Non sono Aiden.

Mi sorrise, appoggiando la tempia sullo stipite della porta. – Sei cambiata, piccola DeiDei.

– Spostati – ringhiai. – Vattene, o mi metto ad urlare.

– Lo sto aiutando – sussurrando, avvicinando il corpo al mio. Ebbi un piccolo sussulto, che fece brillare quegli occhi grigi. – Lo sto aiutando a riprendere in mano la sua vita.

– Come? – chiesi, la voce leggermente tremolante.

Mi sorrise. – Questo non posso dirtelo, è il mio trucco preferito – ammiccò.

– Vattene, o inizio ad urlare – lo minacciai nuovamente.

Non se lo fece ripetere di nuovo. Si girò e se ne andò, senza smettere di sorridere.

***

Senza mettermi altro sopra, con solo una maglietta bianca da casa, non appena sentii la macchina allontanarsi dal mio comprensorio, scesi giù per correre altrove.

Dovevo farlo ragione.

Doveva capire.

Non poteva essere arrivato ad un punto così basso della sua vita.

Parcheggiai in malo modo, senza mettere nemmeno il freno a mano, e tremando corsi al piano superiore. Non mi fermai alla porta di Ryan e Dan. No. Mi diressi al piano superiore.

Bussai incessantemente alla porta di Aiden, con il fiato corto, e quando uscì non sembrò così scioccato di vedermi. – Guarda un po' chi si rivede – borbottò, appoggiandosi allo stipite. Non aveva più segni di lividi, tuttavia aveva ancora dei tagli sul labbro e sullo zigomo. – Che cosa vuoi?

– Deve andarsene, Aiden – sussurrai, con le lacrime agli occhi.

Ridacchiò. – Non va da nessuna parte.

– Aiden! – esclamai, disperata. – Non è una brava persona! È stato a casa mia!

Un guizzo della mascella mi fece capire che non ne era a conoscenza, tuttavia replicò: – E la cosa mi dovrebbe interessare, perché...?

Mi vennero le lacrime agli occhi. – Non stiamo parlando di una persona qualsiasi, lui è–

– Il mio migliore amico – mi interruppe. – Vuoi farti anche lui?

– Aiden!

– Cosa? – chiese lui, uscendo di casa. Fece un passo verso di me. – Che cosa pretendi, Dei? Mi hai distrutto la vita.

– Non l'ho fatto, l'hai fatto da solo – sussurrai. – Lucas... mi ha sempre guardato in modo strano e lo sai anche tu. Ho... ho paura, Aiden.

Strinse le mani in pugni. – Non è più affar mio – sputò. – Se hai paura, vai dal tuo nuovo fidanzato.

– Aiden!

– Smettila di chiamarmi! – tuonò, d'un tratto spazientito, torreggiando su di me. Trasalii e lacrime amare solcarono il mio viso. – Lui resta – mi ringhiò contro. – Non me ne frega un cazzo se hai paura di lui, anzi... godo nel vederti in questo stato.

– Porterà gravi conseguenze, lo fa sempre – dissi con una voce strozzata.

– Forse è quello che voglio.

– Non sei questo – mormorai, cercando di afferrarlo.

– Io sono questo e molto altro – ringhiò, mettendomi una mano attorno al collo. Trasalii, iniziando a piangere. – Non mi hai mai compreso, mai conosciuto davvero.

– Aiden... – mormorai, mettendo le mani sulla sua per fargli allentare la presa. – Non–non respiro...

I polmoni chiesero disperatamente aria.

Mi sembrò di andare a fuoco.

Il petto andava a fuoco.

– Che diavolo sta succedendo qua?!

Aiden lasciò la presa, quindi l'aria entrò di nuovo nei polmoni. Il corpo fu scosso da due colpi di tosse. Mi coprii il collo con le mani, osservando per la prima volta Aiden con occhi spaventati.

Louisa si avvicinò velocemente a me, tenendomi per le spalle. Fulminò Aiden. – Che stavi facendo? – ringhiò.

– Non sono affari tuoi – replicò Aiden.

– Sei solo un povero piccolo bambino che siccome non sa che cosa fare della sua vita, decide di rovinare quella degli altri – sputò Louisa, prima di accompagnarmi al piano di sotto.

Chiuse la porta della casa di Ryan lentamente. Sospirò e si girò verso di me. – Fa' vedere – sussurrò, avvicinandosi a me per analizzarmi. – Ti stava strozzando? – chiese, guardandomi negli occhi.

– Lasciami stare! – gridai, allontanandomi di scatto da lei. Iniziai a camminare freneticamente per tutto il salone. Mi sembrava di non riuscire a respirare, non ancora. Immagini degli occhi completamente accecati dalla rabbia di Aiden mi invasero il cervello, fino a mandarlo in tilt.

– Ok, D...

Non riuscivo a sentirla, non veramente.

Non respiravo.

Posai le mani sul petto. Il cervello iniziò a registrare immagini, suoni, in modo scomposto e caotico. – Oddio... – mormorai piangendo. – N–non respiro.

– D, guardarmi – disse ad alta voce Louisa, prendendo la mano per posarla sul suo petto. – Sentimi. Segui il mio respiro.

Scossi la testa singhiozzando. – Q–quello n... non può essere...

– Seguimi! – esclamò, iniziando a respirare lentamente.

Mi guardai in giro, ancora in preda all'attacco di panico. Poi il cervello registrò un tocco: Louisa mi stava stringendo la mano che stava ancora sul suo petto. E così, piano, iniziai a concentrarmi sul battito del suo cuore, leggermente accelerato, ma soprattutto sul modo in cui il suo petto si alzava ed abbassava lentamente.

Seguii i suoi movimenti, all'inizio con difficoltà.

– Brava, D – mi sussurrò Louisa. – Proprio così. Ancora due.

Dovetti sedermi, perché il corpo stava iniziando a tremare. O forse lo stava già facendo da tempo.

Mi asciugai le lacrime, seduta sulla sedia, e ripensai a tutto quello che stava accendo tra me ed Aiden. Lo avevo sempre visto covare rancore, ma la rabbia che era scoppiata in lui quel giorno... mi spaventava terribilmente.

– Parlami – mi pregò, cercando i miei occhi. – Che cosa sta succedendo?

Chiusi gli occhi, esausta. – Se Ryan non lo avesse cacciato dal campus, a quest'ora non saremmo in questo casino – commentai, il tono di voce piatto e senza alcuna emozione.

Ero vuota.

Tutto era diventato grigio.

– Aiden avrebbe trovato un'altra scusa per ferirti – lo difese Louisa.

La fulminai senza quasi accorgermene. – Non deve sapere niente di quello che è appena successo – ringhiai.

– No, Deitra...

– Per favore – dissi, a bassa voce. – Non l'hai visto, settimane fa. Non hai visto quello che gli ha fatto.

Fece una smorfia, spaventata. – Aiden è pericoloso, D. Se non fossi arrivata, poco fa...

– Non deve saperlo nessuno – ringhiai, toccandomi distrattamente il collo. – Me lo devi, Louisa.

Ridusse gli occhi celesti in fessure, affatto contenta. – Te lo devo?

Mi alzai in piedi, nonostante ancora le gambe tremanti. – Pensi che io volessi dirti di Aiden, di tutto quello che mi ha fatto in questi anni? – ringhiai, con le lacrime agli occhi. – Non ti conosco nemmeno. Non lo sa la mia famiglia, figurati gli estranei.

Louisa sussultò, ferita. – Non sono un'estranea – mi corresse.

– Hai ragione – dissi, rabbiosa. – Sei l'unica persona che Ryan accetta sempre. Sei l'unica persona con cui Ryan non ha muri.

– E dovresti farmene una colpa?

– No, ma non sei la persona giusta per sapere queste cose – sputai. – Pensi che non sappia quello che provi per lui?

Sgranò gli occhi, sorpresa, ma si ricompose dopo pochi secondi. Alzò il mento, sulla difensiva. – E se anche fosse?

– Non puoi capire – tagliai corto. – Devo andarmene.

– Non posso capire? – chiese lei, alzando il tono di voce. – Se c'è una persona che capisce, sono io! Esattamente come riesci a vedere quello che io sono per lui, dal mio canto è impossibile non notare chi sei tu per lui. E ogni particella del mio cuore mi chiede di odiarti per questo, ma non ci riesco, perché vedo tutto quello che lui vede in te: sei dolce, emotiva eppure razionale, simpatica e ti prendi cura dei tuoi amici. Questo mi spinge a provare simpatia per te. Ogni volta cerco di odiarti, ma finisco semplicemente con il sentirmi più simile a te di chiunque altro.

Il mento mi tremò. Afferrai il labbro inferiore coi denti, sofferente.

– Lo vedo come soffre per te – ringhiò. – E la parte peggiore è che soffro per lui. Perché Ryan non è mai stato realmente male per una ragazza. Fino ad oggi. Può cercare di stare con Katy per spazzarti via, ma io so la verità.

– Non farlo – mormorai, la voce rotta dal pianto. – Non darmi speranze inutili.

– Sto andando oltre ogni muro, Deitra – continuò, avvicinandosi a me. – Ti sto dicendo cose che non dovrei dirti. Ma quello che è appena successo... non può non essere raccontato, perché è–

La porta si aprì di scatto.

Sussultai.

– Louisa, ho comprato un po' di Popcorn...

Ryan si fermò di scatto vedendomi.

Aveva la camicia stropicciata e leggermente aperta, gli occhi sembravano sempre più spenti a causa delle occhiaie sempre più marcate. Sospirò, incurvando le spalle, senza staccare gli occhi da me.

Non era affatto felice di vedermi. – Non ti è bastata l'ultima scappatella a casa? – sputò aspramente.

Osservò a lungo la leggera maglietta che portavo, per poi abbassare lo sguardo sui jeans stretti. Deglutì rumorosamente, ispirando rumorosamente.

– Ry, non è come sembra – si intromise Louisa.

– Oh, no, secondo me è esattamente come sembra – ringhiò, avvicinandosi lentamente a me con il suo solito andamento elegante. – Non è così, D? Oggi che cosa vuoi fare? Direttamente baciarmi davanti a Louisa per farle vedere quanto–

– Ti sbagli – sussurrai, senza guardarlo.

– Mi sbaglio? – chiese con voce tagliente. Abbassò il viso per cercare i miei occhi, con sfida. – Non credo proprio. Anzi, credo dovresti andartene.

Trasalii, ferita.

– Credo ci sia qualcosa di profondamente sbagliato in te, penso che ti faccia bene vedere quello che puoi avere ma non vuoi. Che cosa vuoi da me, eh? – mi ringhiò all'orecchio. Chiusi gli occhi, mordendomi il labbro inferiore fino a farlo sanguinare.

– Per favore, Ry – mormorò Louisa. – Davvero, l'ho invitata io ad entrare.

Capimmo entrambe dell'errore che aveva commesso Louisa, nonostante la buona fede.

Tutto il corpo di Ryan sembrò scosso da un brivido, poi si irrigidì così tanto da rendere ogni nervo e muscolo teso. I suoi occhi blu vagarono prima dalla sua amica a me. Rise amaramente. – L'hai invitata? – sussurrò, arrabbiato. – Perché stavi qua fuori, D? – chiese, avvicinandosi a me fino a toccare le mie scarpe con le sue. I suoi occhi sembravano guardarmi come una preda.

Ryan, per favore – ci riprovò Louisa.

– Non sto parlando con te, Louisa – disse Ryan, con le orecchie rosse dalla rabbia. Si abbassò completamente verso di me, con il viso ad un palmo dal mio. – Che cosa ci facevi qua fuori, D?

Strinsi il labbro inferiore così forte da sentire i denti ferire la pelle ormai martoriata. Chiusi gli occhi, stringendo le palpebre. – Volevo soltanto–

– Volevi venire qua e prenderti di nuovo quello che ti spettava? – ringhiò. Nonostante gli occhi chiusi, potevo sentire i suoi incenerirmi. – Oppure sei venuta per Aiden?

Un singhiozzo scappò dalle mie labbra.

– Non mi rispondi, vedo – continuò. – Louisa, rispondimi. Che cosa ci faceva qua?

Louisa mi guardò, in difficoltà, con occhi grandi e preoccupati. Scossi la testa, per incitarla a non dirgli niente.

Ryan notò la nostra discussione silenziosa, quindi decise di nascondermi dietro di lui, affinché non mi potesse osservare.

– Lou, sei amica mia – le ricordò, la voce tagliente ed il corpo rigido. – Che cosa ci faceva qua?

– Ti prego–

– Louisa!

– Smettila! – tuonai. Fece a malapena in tempo a girarsi che lo afferrai per la camicia. – Non sono affari che ti riguardano!

– Stai dentro casa mia – ringhiò, incastrando gli occhi pieni di rabbia dentro i miei, sempre più rosso in viso.

– Bene, allora me ne vado – dissi con voce tremante. Mi allontanai dopo aver lasciato la presa sulla sua camicia con una leggera spinta.

Riuscii a fare pochi passi, poi lo sentii esclamare: – Forse la verità è che non ti sei mai meritata la protezione di nessuno.

Sentii dolore al petto, così tanto che pensai di non respirare più come prima. Mi fermai, ma il groppo in gola mi impediva di dire qualcosa.

– Ryan! – urlò Louisa.

– Dopotutto, il tuo tornare da lui è soltanto l'ennesima conferma – continuò Ryan, senza fare caso alle imprecazioni della sua amica.

– Non ho mai chiesto protezione – mormorai, a voce così bassa che pensai non lo avesse nemmeno sentito.

– Errore mio – ringhiò. – Per una volta, penso di essere arrivato alle conclusioni sbagliate.

Alzai lo sguardo sul piccolo specchio al lato della porta principale e potei osservare il viso di Ryan. Era contratto e l'espressione era quella tipica di chi stava cercando di contenersi. Il rossore in viso non faceva altro che confermare la rabbia che stava provando.

– Non è così! – si intromise Louisa. – Quando sono uscita, loro due–

– No! – urlai, girandomi di scatto verso la ragazza, con gli occhi sgranati ed il petto squarciato da respiri affannati. – Per favore.

Louisa scosse la testa, con le lacrime agli occhi. – È tutto sbagliato...

Ryan assottigliò lo sguardo ed i muscoli della mascella guizzarono. – Non voglio saperlo – disse, alzando il mento con sfida. – Me ne tiro fuori. E ti voglio fuori.

Alcune lacrime sfuggirono dal mio controllo. – Sì.

– Ora! – tuonò, avvicinandosi pericolosamente a me. Torreggiò, gli occhi accecati dalla rabbia e dalla confusione. – Non ti voglio vedere piangere. Basta. Ho smesso di vivere in questo modo.

Abbassai lo sguardo, in difficoltà. Annuii.

– Ryan, ti prego, ascoltami – riprovò Louisa. – Deitra stava soltanto cercando–

– Deitra deve andarsene – ripeté Ryan, senza smettere di incenerirmi. – O non sarò più così gentile.

Annuii e, senza riuscire ad incrociare quegli occhi blu che tanto mi avevano catturato, mi girai e scappai via.

***

Ero confusa, esausta e persa.

Non sapevo come fare, tutto si stava sgretolando nelle mie stesse mani e più cercavo di trovare una soluzione, più tutto mi si ritorceva contro.

Nel parcheggio del comprensorio dove viveva Ryan, dentro la macchina, il dolore diventò così forte da rendere tutto confuso.

Non avevo più mio fratello.

Non avevo più Ryan.

Aiden mi aveva messo le mani addosso per la prima volta.

Lucas aveva cercato di spaventarmi a casa mia.

Niente era più come prima e la cosa che più mi feriva era che volevo andare semplicemente a casa ed abbracciare mamma, per poi raccontarle con calma tutto quello che mi stava succedendo.

Non era mai stata una di quelle persone in grado di dare consigli, ma c'era qualcosa di profondamente rassicurante nel raccontare tutto alla propria mamma.

Ed io non potevo farlo.

Forse fu per questo che mi ritrovai a bussare all'ultima persona che poteva ascoltarmi.

Justin aprì la porta ed ammiccò non appena mi riconobbe. Posò la tempia sulla porta. – Piccola D – mi salutò. Abbassò lo sguardo sulla mia maglietta bianca e si morse il labbro inferiore. – Ti sei messa questa maglietta striminzita e mezza trasparente per me?

– No.

– Che peccato – mi prese in giro. Si fece da parte aprendo totalmente la porta. – Vieni, entra.

Entrai di soppiatto, a disagio. Guardai il piccolo divano e la televisione fin troppo grande, entrambi sulla destra. Stranamente, non aveva un tavolo da pranzo e la cucina era più piccola di quella di Ryan, inoltre non aveva nemmeno una piccola isola a dividere gli ambienti. Le pareti erano bianche, tranne quella dov'era appoggiata la televisione, che era di un rosso scuro.

– Il mio coinquilino non c'è mai, puoi stare tranquilla – disse, osservandomi attentamente. – Hai un'aria tremenda, D. Va tutto bene?

– Non proprio, ma non voglio parlarne – mormorai. – Quella è la tua camera? – chiesi, indicando la porta aperta alla mia sinistra.

– Sì – rispose, avvicinandosi a me. – D... – mi chiamò, ad un passo da me. – Che cosa sono questi segni? – chiese, toccandomi leggermente il collo.

– Niente, ti ho detto che non ne voglio parlare – ringhiai, allontanandomi dal suo tocco.

– Chi è stato? – chiese duramente. – Dimmelo, o ti caccio fuori a calci nel culo.

Sgranai gli occhi, ferita.

– Non guardarmi con questi occhi da cerbiatto. Non ci casco – bofonchiò, senza staccare gli occhi dai segni che stavano uscendo sul collo. – Dimmelo.

– Aiden – risposi semplicemente, la voce esausta.

Ringhiò. – Non se n'è ancora andato?

Scossi la testa. – Non devi dirlo a nessuno, Jus. Giuramelo.

– Te lo giuro – ringhiò, affatto convinto. – Ma tuo fratello potrebbe dargli una bella lezione.

– Non è così che si comunica con Aiden.

– Non mi sembra proprio in grado di comunicare.

Mi avvicinai a lui e gli posai sopra i pettorali muscolosi le mie piccole mani. Mi guardò, confuso. In punta di piedi, catturai dolcemente le sue labbra.

Si irrigidì, confuso da quel cambio repentino di comportamento, ma appena la mia lingua chiese accesso alla sua bocca, non creò alcuna barriera.

Mi strinse a lui. Era molto più alto di me, anche di Ryan; quindi, dovette abbassarsi per approfondire il bacio. Quando gli morsi il labbro inferiore, senza fare caso alla delicatezza, un grugnito entrò dentro la mia bocca. Mi alzò da terra ed allacciai immediatamente le gambe attorno ai suoi fianchi.

Spinse le anche verso di me, premendo l'erezione sul mio punto più delicato.

Annaspai, tirandogli leggermente i lunghi capelli castani. – Camera – gli mormorai sulle labbra.

– Cazzo... – gemette, per poi camminare velocemente verso la sua camera alla nostra sinistra.

Chiuse la porta, mi portò giù. Con le gambe leggermente tremolanti, lo osservai chiudere la porta a chiave. Sapevo benissimo che non saremmo più tornati indietro da quel momento.

Si girò verso di me e, con un sorriso, mi avvicinai a lui per sfilargli lentamente il maglione che aveva addosso. Posai le dita sui pettorali nudi e sentii i muscoli irrigidirsi sotto il mio tocco. Sapevo benissimo di essere impacciata, soprattutto perché non conoscevo il corpo di Justin e questo mi rendeva leggermente nervosa.

Mi ricordai le parole di Ryan. Tempo prima, mi aveva detto che i corpi maschili ed i loro gusti non erano poi così diversi tra loro.

Portai le labbra proprio sotto l'orecchio ed iniziai a baciarlo, succhiare la pelle più delicata e mordicchiare. Passai sopra l'arteria del collo, la sentii pulsare forte e potente contro le mie labbra.

Con un gemito, lo sentii strusciarsi contro la mia pancia. – Oh... – mormorò.

Mi fermai sull'aureola del capezzolo, ci giocai lentamente e sembrò piacergli particolarmente, perché mi afferrò il fondoschiena ringhiando. Ondeggiò contro di me, buttando indietro la testa, mentre le mie mani scendevano sulla sua pancia, tracciando i suoi muscoli, sentendoli guizzare sotto il mio tocco.

Mi spinse indietro di scatto, facendomi sussultare. Caddi sul suo materasso.

Si tolse in fretta e furia i pantaloni. Salì su di me, aprendomi le gambe senza alcuna delicatezza. Mi baciò affondo e con veemenza, mentre le sue mani si insinuavano velocemente sotto la maglietta.

Un leggero gemito uscì dalle mie labbra ed inarcai la schiena quando le sue dita iniziarono a tormentare i miei seni.

– Da quando non porti il reggiseno? – mi chiese, mordendomi il lobo dell'orecchio.

Tremai. – N–non ci ho pensato, sono uscita – dissi con una voce tremolante.

– Sei così bella quando arrossisci in questo modo – mi disse lui, prima di mordicchiarmi il mento. Mi tolse in fretta la maglietta e, quando i nostri petti si toccarono, già leggermente sudati, sentii una scarica scendere verso il ventre.

Mi slacciò i jeans e, senza togliermi, insinuò la mano dentro le mie mutandine. Mi baciò affondo, torturando la mia lingua, mentre le sue dita si insinuavano dentro di me. Trasalii e buttai la testa indietro, socchiudendo le labbra.

– Oh, D... – mormorò Justin. Il palmo iniziò a massaggiarmi, mentre faceva uscire ed entrare due dita dentro di me.

– Oddio... – sussurrai, mordendomi le labbra, spingendo i fianchi verso la sua mano. Seguii i suoi movimenti.

Levò la mano, facendomi emettere un suono arrabbiato. Ridacchiò, per poi baciarmi e succhiarmi avidamente prima un capezzolo e poi l'altro. Mi tolse velocemente i jeans e le mutandine, per poi buttare a terra anche i suoi boxer.

Dopo essersi messo il preservativo in pochi secondi, entrò senza alcuna delicatezza, con una scoccata.

Trasalii. – Oh! – urlai, irrigidendo per qualche secondo le pareti.

– Non irrigidirti... – mormorò Justin. Uscì velocemente da me, per poi rientrare con più delicatezza. Ringhiò, mentre i nostri petti si sfregavano tra loro. – Cazzo, D...

Mi morsi il labbro, allacciando le gambe attorno a lui, puntando i talloni sui suoi glutei. Iniziai a muovermi insieme a lui. – Vai piano – mormorai, inarcando leggermente la schiena. – Piano...

– Mmmh – disse lui. Mi baciò e succhiò il labbro inferiore, facendomi gemere mentre una mano iniziava a torturare i miei seni.

Si mosse fuori e dentro di me lentamente, baciandomi, con gli occhi semichiusi dentro i miei. Mi mise indietro i capelli, tirandoli leggermente.

Annaspai quando lo sentii massaggiare la parte di me che più stava pulsando. Inarcai la schiena, mordendomi il labbro. – Sì... – sussurrai.

Grugnì, accelerando il ritmo. Tornò a marchiarmi il collo, per poi scendere leggermente sul petto. Si allontanò leggermente da me, tirandosi su, per poi concentrarsi maggiormente sui movimenti sempre più veloci e meno delicati.

Si spinse infondo, fino a farmi sussultare. A mano a mano che i suoi movimenti si fecero sempre più veloci, iniziai a sentire il calore al ventre farsi sempre più insistente. Buttai la testa indietro, smettendo di baciarlo, quando le gambe iniziarono a tremarmi.

Mi torturò il collo, strusciandosi sul mio pube, e questo mi portò a socchiudere le labbra e sussultare, in preda all'apice del piacere.

Con alcune stoccate, lo sentii sussultare, in preda agli spasmi dell'orgasmo.

Lo guardai venire, mentre teneva gli occhi chiusi e tutti i muscoli del petto guizzavano.

Si sdraiò accanto a me, sospirando. – Cazzo, D... – ripeté, togliendosi il preservativo. Girò il viso verso di me, per controllarmi. Accennai un sorriso e mi girai verso di lui, per tranquillizzarlo. Posai una mano sul suo petto, per sentire il suo cuore galoppare dentro di lui.

Mi mise indietro i capelli, sovrappensiero. – Stai pensando a quello che sto pensando io?

– Che cosa? – chiesi, aggrottando la fronte.

– È stato spettacolare, ma... – si rabbuiò. – Ryan è mio amico ed anche Daniel.

– Stai pensando a loro? – ridacchiai, posando il mento sul suo petto. – Davvero?

– Non è così semplice – borbottò. – Io e Ryan... abbiamo parlato, qualche giorno fa.

– Di me? – chiesi, affatto convinta.

Si mordicchiò il labbro inferiore, sembrò perdersi a guardare il mio viso ancora arrossato. – Lascia stare – tagliò corto, prima di stringermi a lui. – Non pensiamoci adesso.

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