Capitolo 35: Il mio problema sei tu

La mancanza era diventata sempre più soffocante. Ryan aveva ricominciato a non guardarmi più negli occhi da quando aveva conosciuto Lucas. Avevo capito che pensava ci fosse stato qualcosa tra me e Lucas e non avevo né smentito né ammesso niente, perché Ryan era sempre stato quello lucido, quello che non arrivava a conclusioni affrettate.

Anche quando Dan mi aveva colpevolizzato per aver fatto sesso dentro lo sgabuzzino insieme ad Aiden, Ryan me lo aveva chiesto, non era stato affrettato e mi aveva creduto.

Il Ryan che stava uscendo ultimamente non era più così e non riuscivo bene a capire che cosa lo avesse spinto a cambiare così tanto.

Pochi giorni prima delle vacanze di Natale, si era ufficialmente trasferito nella nuova azienda, per occuparsi finalmente del settore fallimentare. Sebbene il mio cuore fosse felice di vederlo così determinato e pronto a rincorrere il suo sogno... vederlo andarsene via con le sue scartoffie mi aveva dato il colpo finale.

Niente era più come prima.

Il settore mi sembrava vuoto, esattamente come il suo vecchio ufficio. Mi ero ritrovata più volte ad incantarmi su quelle pareti di vetro, sulla sua vecchia scrivania, sui quadri astratti, ma soprattutto su quella maledetta sedia che non avevo mai visto vuota.

Mi ero abituata ad alzare gli occhi e vederlo, concentrato sul suo lavoro. E di tanto in tanto ero ancora certa di poterlo vedere, soltanto alzando lo sguardo sull'ufficio davanti a me. Puntualmente però, non c'era mai. Semplicemente perché non c'era più.

Non lo vedevo più al lavoro, non lo vedevo più a casa di mio fratello semplicemente perché non ero più stata invitata, visto l'astio che mio fratello continuava a provare per me... le uniche occasioni in cui i miei occhi potevano finalmente fermarsi sul suo viso quasi angelico era al campus, ma erano rare volte in cui si trovava nel palazzo dove io facevo lezione.

Non mi resi conto di quanto fossi abituata a vederlo, fino a quando non fui obbligata a non farlo.

Ed era una mancanza che attanagliava la gola, che a malapena ti faceva respirare e che provocava un bruciore al petto così doloroso da strappare il cuore dal tuo stesso petto.

Era un dolore decisamente diverso da tutti quelli già provati.

Non sapevo bene nemmeno che cosa pensasse di aver capito. Forse pensava che avessi avuto una relazione sia con Aiden che con Lucas, forse pensava che avessi tradito l'uno con l'altro... in tutti i casi però non mi aveva chiesto conferma nemmeno una volta.

Aveva già dato per scontato tutto, una cosa che facevano sempre tutti... una cosa che avevano sempre fatto tutti, tranne lui.

Fino a quel giorno.

Dylan continuava a prendersi gioco di me, chiedendomi sempre se avessi ancora intenzione di rimanere là, ora che Ryan non c'era più. E l'assenza di Ryan, mischiata alla presenza fastidiosa di Dylan, mi stava spingendo sempre più lontano da quel luogo di lavoro.

Quasi mi mancava il pub, con tanto di divisa inguardabile.

Ecco quanto era importante per me Ryan.

Ecco quanto potere aveva Ryan su di me e sulla mia vita.

Eppure, lui non sembrava avere lo stesso dolore, ma dopotutto non aveva mai ammesso di amarmi, quindi perché avrebbe dovuto soffrire come me?

Non lo vedevo più sofferente, quelle rare volte in cui lo vedevo aveva di nuovo quel velo di apatia e distacco che tanto lo caratterizzava sin da quando era un adolescente.

Non mi mostrava più i suoi occhi.

Non mi dava più la possibilità di osservarlo a lungo, per decifrarlo.

E non c'era penitenza più brutta, più sofferente. Perché non solo ormai avevo un vuoto dovuto dall'assenza di mio fratello... adesso c'era anche il vuoto di Ryan.

Ero rimasta senza niente. In un momento, per varie ragioni, ero rimasta senza più un cuore... e quasi stavo iniziando a capire il dolore di mio fratello, il suo modo di dirmi che io ero la sua persona, che senza di me lui non aveva più un'anima.

Perché effettivamente, anche io senza di lui, senza di loro, non mi sentivo più il cuore.

***

Quello era uno dei momenti in cui avevo l'occasione di vederlo, proprio all'ingresso del campus, dove la maggior parte degli studenti stavano cercando di correre al riparo dal freddo gelido che ormai continuava a tagliare la pelle.

Ma non io.

Io rimasi là, ad osservare Ryan, senza alcuna vergogna. Non volevo pensare al resto, non avevo intenzione di perdere tempo a chiedermi come osservarlo senza essere vista.

Perché ormai non mi vedeva più.

Ero tornata la sorellina fantasma.

E l'unico elemento positivo era proprio il poter osservare senza essere colta a farlo.

Ryan stava camminando con il suo cappotto nero ed una sciarpa grigia, con disinvoltura e l'eleganza che lo aveva sempre contraddistinto. Sembrava avere delle leggere occhiaie sotto gli occhi blu, ma potevano essere dovute a tanti fattori: il nuovo lavoro, dei compiti diversi da quelli che ormai faceva da più di due anni, il novo stile di vita e la chiusura della carriera universitaria così imminente.

C'erano tantissimi fattori che potevano essere collegati a quelle occhiaie.

Stava parlando con Louisa, che dal canto suo era bellissima e luminosa come sempre, con un cappotto molto simile a quello di Ryan, ma di un colore diverso, di un celeste polveroso. I capelli lunghi erano raccolti in una coda alta.

Potevano formare una coppia a dir poco perfetta.

Tutto nella postura di lui urlava fiducia, amore e rispetto verso di lei. D'altro canto, il corpo di lei era leggermente rivolto verso di lui e gli occhi non si staccavano mai dal viso di lui.

Nonostante la gelosia, non potei comunque provare rabbia o disgusto. Perché, nonostante tutto, mi ero ritrovata a provare un genuino affetto per quella ragazza.

E lo aveva sempre rispettato. Aveva sempre rispettato me e lo strano legame che aveva caratterizzato la mia piccola relazione con Ryan.

Non avevo mai trovato una macchia di gelosia, o di rabbia, o invidia o cattiveria nei suoi occhi celesti.

Ryan si ravvivò i capelli, sovrappensiero, mordicchiandosi il labbro inferiore per non sorridere a quello che stava dicendo la sua amica. La guardò per qualche secondo, con gli occhi blu illuminati dal divertimento.

Si avvicinarono alla porta dell'edificio, e quindi a me, ed il cuore iniziò a singhiozzare di battiti aritmici e potenti.

E più si avvicinava a me, e più il mio cuore sembrava tendersi verso il suo.

Ma lo lasciò cadere a terra quando, passandomi accanto, non mi guardò minimamene, nemmeno con la coda dell'occhio. Non si irrigidì, non ci fu alcun cambiamento di espressione o di postura.

Perché semplicemente non mi aveva visto.

Non mi vedeva più.

Rimasi là, con il cuore a terra, e le lacrime agli occhi.

Callie non c'era, non era voluta venire a lezione a causa del dolore che gli stava procurando la rottura con mio fratello, e non la potevo biasimare.

– D.

Qualcuno notò il mio cuore a terra.

Non un ragazzo qualsiasi, ma Jus.

Mi girai verso la sua voce e tirai su con il naso. Accennai un sorriso e questo sembrò addolcirlo. – Mia piccola D – mormorò, prima di abbracciarmi. – Mi dispiace molto.

– Sai tutto? – sussurrai.

– Il necessario – borbottò. – Per una volta non ho voluto sapere altro.

Ridacchiai. – Molto strano per un chiacchierone come te.

Sospirò. Non era in vena di scherzare. Mi baciò la tempia ed aggiunse: – Quello stronzo la pagherà. Sono sicuro che se Daniel lo avesse scoperto in un altro modo, magari da te... sarebbe andata diversamente.

– Sai chi è la ragazza della foto?

Allontanò il viso per guardarmi in faccia, digrignando i denti. – Il neo sul seno è il tuo, D.

Annuii, con occhi grandi e spaventati.

Scosse la testa, furioso. – Non l'ho detto a nessuno e non lo farò. Queste cose mi fanno venire il voltastomaco.

Quando mi abbracciò nuovamente, ebbi la forza semplicemente per sussurrare: – Grazie.

– Ti voglio bene, D – disse, a bassa voce. – Io ci sono per te.

Lo strinsi a me e per un piccolo e misero secondo smisi di provare dolore. – Pensi che mio fratello riuscirà a perdonarci?

Deglutì. – Sta già iniziando a farlo – replicò, tenendomi stretta a lui. – Non ha mai smesso di proteggerti dalle lingue troppo lunghe, in queste settimane. Vuol dire tanto per uno come lui.

Sei la mia anima.

La mia persona.

Le sue parole continuavano a torturarmi.

– Credo che Callie l'abbia già perdonata, sta soltanto aspettando una parola – aggiunse, portandomi ad andare da Dan.

Quindi, a fine lezione, mi diressi velocemente verso la sua macchina.

Lo trovai là, all'interno, a guardare un punto indistinto del volante della sua macchina. Sembrava notevolmente dimagrito e dei solchi appena sotto gli occhi avevano spento tutto quello che c'era di luminoso sul viso di mio fratello.

Era lui quello che stava soffrendo di più.

Perché si era visto portare via tutti: sua sorella, il suo migliore amico e la sua fidanzata.

Il senso di colpa mi aveva resa pesante, così pesante da non farmi respirare a tratti.

Bussai al vetro del suo sportello, facendolo sussultare. Mi incenerì, ma quando gli chiesi di abbassare il finestrino, mi ascoltò senza troppe storie.

Sospirai, appoggiandomi ad esso. – Mi dispiace – sussurrai, abbassando lo sguardo sulle mani che tenevano il manubrio così forte da rendere le nocche bianche. – So che stai soffrendo molto ed è colpa mia. E mi dispiace. Ma non sono qua per questo.

– E per che cosa? – sputò lui, arrabbiato, senza guardarmi.

– Ti ama tanto – annunciai. Ebbe un piccolo sussultò e puntò gli occhi su di me, d'un tratto illuminati dal sentimento più puro: l'amore. – Ti ama, me l'ha detto e da quando vi siete lasciati non la vedo più felice. Non esce quasi più, passa gran parte del tempo al letto...

I muscoli della mascella guizzarono e distolse lo sguardo. Lo feriva sentire quelle parole, semplicemente perché prima di tutto mio fratello aveva un grande senso di protezione.

– Non sto dicendo di perdonarmi, né di perdonare Ryan. Ma l'unico sbaglio di Callie è stato quello di essere mia amica... è l'unica amica, a parte Michael. Io avrei fatto lo stesso se fossi stata nella sua posizione, perché è questo che fanno gli amici. E so che anche tu avresti fatto lo stesso...

– Mi avete nascosto una cosa così importante...

– Lo so – mormorai. – Abbiamo sbagliato, abbiamo gestito male il tutto e posso assicurarti che per gran parte del tempo l'errore è stato principalmente mio. Perché Ryan te lo voleva dire da tempo, ma io non volevo ferirti e non ero sicura che la relazione tra me e Ryan avrebbe portato risultati.

– Non l'ha fatto infatti – ringhiò. – Pensi che non ti veda? Stai sempre da sola, lo guardi come se ti avesse spezzato il cuore, e lo odio per questo.

Deglutii, in difficoltà. – Sono sicura che qualsiasi cosa fosse, per Ryan ha avuto valenza. Conosciamo entrambi Ryan: non avrebbe mai fatto una cosa del genere semplicemente per un capriccio – lo difesi. – Ma quello che sto cercando di farti capire io è che Callie ti ama e tu ami lei. In questa storia stiamo soffrendo in molti, troppi. E voi due avete la possibilità di amarvi. Lei ti ama, Dan. E non è facile amare una persona come te. Esattamente come non è facile amare una persona come lei. Perché sprecarlo allora?

Non disse niente per molto tempo, ma vidi la determinazione caratterizzare la sua espressione.

Vidi il perdono.

Vidi tutto quello che avevo sempre visto di bello in mio fratello: la bontà e l'amore incondizionato.

– Devo andare agli allenamenti – bofonchiò, senza guardarmi.

– Dimmi che ci penserai un po' – lo pregai, posandogli una mano sulla spalla.

– Sì, ma non toccarmi – ringhiò.

Un cazzotto avrebbe probabilmente fatto meno male. Con il viso bianco a causa del dolore, mi allontanai dalla sua macchina.

Mise in moto e, senza guardarmi, se ne andò.

***

Tornata a casa, andai ad abbracciare la mia amica, che stava ancora al letto.

– Penso che dovresti andare a parlargli, sta agli allenamenti – le mormorai all'orecchio. – Oggi ci ho parlato un po' e non mi è sembrato così arrabbiato con te.

– Non mi risponde più ai messaggi da settimane ormai – piagnucolò Callie, senza alzare la testa dal cuscino. – Non penso abbia intenzione di perdonarmi.

– Sei Calliope Roberts, tu non ti fai dire certe cose. Quindi per favore, alza questo culo e vai a prenderti chi ti spetta di diritto – dissi, a voce alta. Mi misi seduta – Ti ama, cazzo. E tu ami lui. Non so come e non voglio nemmeno saperlo, ma devi andare da lui e farglielo capire con le buone o con le cattive.

Callie si girò verso di me ed i suoi occhi gonfi dalle lacrime trovarono i miei.

– Non puoi sprecare un sentimento simile per la testardaggine di entrambi – borbottai. – Devi andare.

– Sai cosa?! – esclamò, alzandosi dal letto. – Hai ragione, cazzo! Daniel mi ha dato il tormento fino a farmi innamorare di lui, e adesso decide di chiudere e basta? Col cazzo! Adesso tocca a me tormentarlo, con le buone o con le cattive.

– Esatto! – urlai. – Così ti voglio!

– Andiamo! – gridò lei, eccitata.

– No, aspetta – dissi, confusa. – Andiamo?

– Tu vai da Ryan ed io da Daniel. Non si fa così nei telefilm? – borbottò Callie, togliendosi distrattamente il pigiama di pile, per mettersi dei jeans ed un maglione di lana.

– Emh... Sì, ma non è esattamente un telefilm – la corressi.

– Deitra, vi ho visti insieme e non posso pensare che tutto questo sia svanito nel nulla! – esclamò. – Quindi se vado io, vai pure tu?

– Tipo un "salti tu, salto io" di Titanic?

– Esatto! – urlò, tirandomi verso di lei per farmi alzare. – Buttiamoci insieme, ragazza!

***

Mi feci prendere effettivamente dal momento.

Per questo corsi verso la mia macchina, senza indossare nemmeno un cappotto. Misi in moto la macchina ed in pochi minuti mi trovai davanti alla scala del condominio di Ryan.

Salii le scale quasi correndo ed arrivai al primo piano in pochi secondi. Bussai alla porta con il cuore a mille per l'adrenalina e la fatica, ma almeno stavo ricominciando a sentirlo.

Bussai nuovamente quando, dopo circa un minuto, nessuno mi aveva ancora aperto. Eppure, la macchina di Ryan si trovava là.

Poi la porta si aprì.

D'istinto, sorrisi, ma sparì in pochi secondi.

Di certo mai mi sarei aspettata di vedere Katy, alla porta, con indosso solamente il completino intimo nero di pizzo.

Mi dovetti aggrappare allo stipite della porta, perché qualcosa dentro di me si ruppe profondamente, fino a farmi perdere l'equilibrio.

– Piccola D – mi salutò Katy, con un ghigno divertito. – Non hai un bell'aspetto. Stai bene?

Mi resi conto troppo tardi di non stare respirando.

Mi uscii dalla bocca uno strano verso strappato.

Katy aggrottò la fronte, leggermente preoccupata. – D, stai bene? – ci riprovò.

No.

No.

Non stavo bene.

Avevo ricominciato a sentire il mio cuore, ma mi stava pregando di farlo tornare a pochi minuti prima, per non fargli provare niente.

Perché quello... quello era troppo straziante.

Li avevo visti più volte insieme, ma non dopo tutto quello che era accaduto tra me e lui, non dopo avere detto tutto a mio fratello, non dopo averlo accolto a casa mia, non dopo tutto quello che era accaduto...

Non me lo aspettavo, perché pensavo... pensavo fossi più di questo. Pensavo fossi più di lei.

Il dolore mi squarciò il petto, sentii tutto dentro di me spezzarsi, sanguinare ed urlare dal dolore.

Per la prima volta, anche Katy mi guardò negli occhi, senza muri o difese. Socchiuse le labbra, preoccupata dal dolore che evidentemente non riuscivo più a nascondere. – Aspetta qua, mi vado a mettere qualcosa e ti chiamo Ryan – mormorò, prima di andarsene.

Patetica.

Ero patetica.

Appena Ryan entrò nella mia visuale, intento a mettersi velocemente una maglietta bianca, capii di dovermene andare.

Avevo fatto un errore.

Perché io e lui non eravamo Callie e Dan. Lui evidentemente non provava quello che Dan provava per Callie.

Ryan mi guardò, confuso. – Che cosa ci fai–

Mi girai e me ne andai, sussurrando: – Scusami, ho sbagliato.

Non riuscivo a respirare. Mi toccai nervosamente il petto, il collo... mentre camminavo velocemente verso le scale.

La mano di Ryan mi fermò, afferrandomi l'incavo del braccio. Con forza, mi girò verso di lui. – Perché sei venuta qua adesso? – mi chiese duramente cercando con insistenza i miei occhi.

– Sono stata ingenua – mormorai, guardando la sua maglietta per non fargli vedere le lacrime che stavano implorando di uscire. – Ho sbagliato.

Sentii la presa sul mio braccio farsi più forte, come se quel mio modo di fare lo stesse infastidendo ancora di più. – Che cosa volevi dirmi?

– Non lo so – ammisi. – Non ci ho pensato.

– Deitra.

Silenzio.

– Guardami. Perché sei venuta da me? – ci riprovò, muovendomi il braccio per incitarmi a guardarlo negli occhi. – Guardami, D.

– Lasciami andare – bofonchiai, la voce rotta dal pianto. – Ho sbagliato.

– Hai sbagliato a fare cosa? Venire qua? – chiese lui, arrabbiato.

– Ho sbagliato a venire qua, a pensare che potesse essere diverso da questo – replicai.

– Diverso da... – mormorò Ryan, come a pensarci su. – Tu pensi davvero che io me ne starò qua ad aspettare che tu smetta di avercela con me per Dio solo sa cosa? – ringhiò, avvicinando il viso al mio. – Scordatelo, D. Non sono il tuo cagnolino, men che meno l'uomo da cui vai quando vedi che non è più interessato a te.

– Quindi è così – dissi, senza avere il coraggio di guardarlo. – Non sei interessato.

Strinse la presa sul mio braccio, fino a farmi male. Non rispose.

– Lasciami andare, mi fai male – mormorai. Non riuscii più a trattenere delle lacrime, che mi asciugai velocemente.

– Smettila di fare la vittima – ringhiò lui, ad un palmo dal mio viso. – Fino a una settimana fa avevi il coraggio di fare tutt'altro. Qual è il tuo problema?

– Il mio problema sei tu! – esclamai, con voce strozzata, alzando gli occhi gonfi su di lui. Piansi, con molto imbarazzo. – Sei tu il mio cazzo di problema. Mi hai rovinato la vita. Non riesco più–

Con un ringhio, mi trascinò all'interno della casa. In silenzio, sotto lo sguardo di Katy, che si era messa seduta sul divano, mi portò in camera sua e chiuse la porta sbattendola violentemente.

Mi strattonò, furioso. – Ti ho rovinato la vita? – sputò, furioso, afferrandomi per le spalle. – Guardami, cazzo. Con quale coraggio mi stai dicendo questo? Io ti ho rovinato la vita?!

– Non riesco più a fare niente, perché so che tu non ci sarai più – ammisi, smettendo di piangere.

– Per questo ti ho rovinato la vita? – ringhiò lui, torreggiando su di me. – Non hai il coraggio di guardarmi, vero? Perché sai benissimo che non ho rovinato proprio un cazzo.

Scossi la testa, capendo che probabilmente non avrebbe mai capito il mio dolore. – Lasciami andare. È stato tutto uno sbaglio – sussurrai. – Di là c'è Katy.

– Tu sei venuta qua – disse lui a denti stretti. – Io adesso non ti lascio andare fino a quando non mi dici perché cazzo sei venuta qua, con quale cazzo di diritto.

Mi morsi il labbro inferiore fino a farlo sanguinare, pur di non farlo vedere tremolante. – Lasciami andare.

– Smetti di ripeterlo – sibilò, trattenendomi. – Rispondi alle mie domande.

– Lasciami–andare–subito – ringhiai, iniziando a tremare a causa delle forti emozioni.

– Rispondimi! – urlò.

Alzai le mani e lo spintonai tre volte di seguito, furiosa. – Lasciami, pezzo di merda. Sei una merda. Vieni da me, mi dici quelle stronzate e poi ti continui a fare lei! Sei solo un bugiardo. Uno schifoso bugiardo!

Mi afferrò i polsi, furioso. – Io un bugiardo?! – tuonò lui. – Che cazzo–

Lo zitti.

Feci scontrare le nostre labbra.

Ebbe un sussulto.

Fui di nuovo sulle sue labbra, catturandole. Spinsi la lingua sulle labbra e si schiusero immediatamente. Mi baciò freneticamente, senza lasciarmi i polsi. Mi tirò a sé, facendo scontrare i nostri corpi. Annaspai, staccando le labbra, in cerca di aria.

Mi succhiò il labbro inferiore, per poi morderlo quasi con cattiveria. Gemetti nelle sue labbra. Prese entrambi i polsi con una mano, portando l'altra dietro alla mia nuca, spingendomi ancora di più verso di lui, verso le sue labbra, approfondendo il bacio.

Mi baciò avidamente, come se ne avesse avuto un disperato bisogno. E sapevo benissimo di esserne completamente dipendente anche io.

Cercai di liberarmi le mani, inutilmente, per toccarlo. Cercai di staccare le labbra dalle sue, ma la mano sulla nuca mi spinse verso di lui, senza darmi la possibilità di scegliere altro.

Continuò a torturarmi, inseguendo e succhiando prima la lingua e poi il labbro inferiore, mordendolo. Avevo le gote completamente arrossate e sentivo le labbra gonfie, ma mi sembrava di stare in paradiso.

Mi spinsi contro di lui, afferrando la maglietta.

Ansimò, contro le mie labbra, per poi allontanare il viso dal mio. Strinse la presa sui polsi e l'altra mano mi strinse i capelli, spingendomi ad alzare il viso.

Incastonò gli occhi blu dentro i miei. – L'unica bugiarda, sei tu – ringhiò, ad un palmo dalle mie labbra. – Non sono più disposto a sentirti sputare sentenze.

– Eppure, sei qua, con lei – dissi, con la voce bassa ed il corpo tremolante.

– Sì, è vero – ringhiò. – Ma tu adesso mi hai baciato per un tuo tornaconto.

– Che vuol dire? – chiesi, confusa.

– Mi vuoi dire che non mi hai baciato per una rivalsa su di lei? – chiese, rabbioso.

Aggrottai la fronte, sovrappensiero. Avevo sempre voglia di baciarlo, mi mancava sentirlo così. Ma mi trovai a chiedermi che cosa mi avesse effettivamente spinto proprio in quel momento, con Katy di là, a baciarlo.

– Nel momento esatto in cui l'hai vista, hai avuto l'impulso di fare vedere e cercare di capire quello che tu sei per me – ringhiò. – Non è così?

– No, so di non essere nessuno – mormorai, ferita.

Sgranò gli occhi, furioso. Un sorriso cattivo caratterizzò quel suo viso da angelo. – Sai di non esserlo? – ripeté, la voce quasi irriconoscibile. – Nessuno? – sibilò, le vene sul collo in rilievo e le orecchie rosse dalla rabbia. – Hai mai visto qualcuno farmi perdere il controllo in questo modo? – chiese, avvicinando il viso al mio. – Di là c'è Katy, eppure non ho pensato minimamente a lei, quando ti ho vista, ti ho presa e ti ho portata qua dentro. Tu non sei nessuno per me? Con che coraggio mi dici una cosa del genere?

Scossi la testa, con le lacrime agli occhi. – Non fai altro che ferirmi ultimamente – ammisi. – Hai il coraggio di dirmi che sono qualcuno per te, quando di là hai un'altra.

Mi lasciò i polsi, soltanto per allontanarsi da me, spettinandosi i capelli. – Sai una cosa? – rise lui, gli occhi accecati dalla furia. – Sì, hai ragione. Non sei nessuno per me. – Si avvicinò, così tanto che dovetti indietreggiare. – Non sei un cazzo di nessuno per me. Sei solo...

Ansimai, quando battei la schiena al muro, a furia di indietreggiare.

I suoi occhi si illuminarono di una luce che non riuscii a decifrare. Con il respiro aritmico, avvicinò il suo corpo al mio. – Sei solo una ragazza – sibilò.

Annuii, ferita ma consapevole.

Aggrottò la fronte, riducendo gli occhi in piccole fessure. – Sei così insignificante, che sei anche l'unica a ridurmi il cuore così – ringhiò, facendomi posare la mano sul suo cuore. Lo sentii battere furiosamente contro il petto, come a voler uscire. I muscoli sotto la mia mano guizzarono. – Sei così insignificante, da farmi respirare in questo modo.

– Smettila... Non è-

– Sei così insignificante, che un solo bacio mi fa questo – ringhiò lui, premendo il corpo contro il mio. La sua erezione premette contro la mia pancia.

Annaspai, in difficoltà. – Non sei corretto, sai benissimo quello che–

– Io non sono corretto? – rise amaramente lui, senza staccarsi da me. – Vieni qua per chissà che cosa, mi insulti e poi mi ecciti. Ed io sarei quello scorretto?

– Vallo a dire a Katy – guaii. – Dopotutto, sempre da lei torni.

– Ti sbagli – ringhiò lui, avvicinando il viso al mio, puntando gli occhi dentro i miei. – Io torno sempre ed esclusivamente da e per te.

Mi tremò il mento. Ero profondamente confusa e ferita.

– Ma ti sbagli, se pensi che questo mi fermerà dal cercare di riprendermi quella razionalità che mi serve per sopravvivere – sibilò, abbassando lo sguardo sulle mie labbra. – Per sopravvivere al tuo modo di cercarmi. Per sopravvivere alla quotidianità, senza di te. Per sopravvivere a tutti gli occhi, che sono diversi dai tuoi. Per sopravvivere ai ricordi di te. Per sopravvivere, Deitra.

– Bel modo di sopravvivere – commentai acida. – Scoparti le altre.

– Io non giudico il tuo modo di sopravvivere, quindi perché dovresti farlo tu?

– Perché io non lo–

– Ognuno il suo modo, Deitra – mi interruppe.

– Fottiti – ringhiai.

Si morse le labbra. – Così mi rendi la risposta troppo semplice, piccola D – ribatté, quasi con cattiveria.

Lo spinsi via e me ne andai, capendo che non avrebbe dovuto vedermi ancora piangere per lui.

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