Capitolo 33: Questa è la mia festa
La morte di un genitore comportava determinate conseguenze all'interno della famiglia, ai propri figli, a prescindere dalla loro età, ma quando il genitore moriva ed i figli erano giovani... le conseguenze moltiplicavano.
Da quando mamma si era ammalata non era passato un giorno – un singolo, maledetto giorno – senza che mettessi a paragone la mia vita. Era come se la mia vita si fosse spezzata insieme a quella di mia mamma.
Tutto era cambiato e non solo dentro di me.
Tutto era cambiato: la casa dove vivevo era dovuta cambiare, avevo dovuto abbandonare la città dov'ero cresciuta perché mi sembrava di vivere in una città fantasma... Ma non era solo questo. Era il mio viso, erano i miei occhi, erano le mie paure e perfino i miei desideri.
Tutto dentro di me aveva iniziato a tremare e nemmeno il tempo era riuscito a fermare il terremoto che aveva portato la malattia di mamma dentro il mio corpo.
Determinate malattie prendevano molto più del corpo. Prendevano tutto, consumavano, corrodevano fino all'anima e, non soddisfatte, decidevano di prendere anche quella.
Era così che mi sentivo ogni volta che vedevo una sedia a rotelle, o una persona con il pic, o perfino una persona ridotta a pelle ossa.
Era così che mi sentivo ogni volta che vedevo una macchina funebre. Era così che mi sentivo quando passavo davanti ad una chiesa. Era così che mi sentivo quando vedevo anche una piccola sofferenza sul volto della gente.
Era come un brivido gelido, che congelava ogni particella dell'universo, della terra... della mia anima. Tutto si fermava ed io non potevo far altro che tremare.
Guardavo quell'immagine, ferma, con le labbra semichiuse, gli occhi aperti ma... ma non vedevo niente. Niente, a parte i ricordi. Non sentivo voci, sentivo solo quel maledetto brivido, quel gelo infondersi dentro le mie vene, fino a congelare perfino le ossa.
Fu così che mi sentii quando, alla festa per la fusione, intravidi quello che doveva essere un dipendente del settore paghe, rientrare a lavoro. Avevo sentito le parole, le frasi delle persone che si avvicinavano per complimentarsi per il coraggio, per aver combattuto con forza quel mostro.
Mostro.
Così lo chiamavano.
Come se il solo pronunciare "tumore" potesse in qualche modo spaventare di più.
Tuttavia, non mi era mai sembrato appurato come nome. Perché era molto di più. Era forse un demone? Nemmeno. Era dentro di noi, eravamo noi. Piccole cellule impazzite che decidono di corrodere, distruggere e ferire. Ma quelle cellule erano nostre. In un certo senso, eravamo stati noi stessi ad impazzire.
Era molto più di un semplice mostro.
Una mano si posò sulla mia spalla, facendomi trasalire.
– Chiudi gli occhi – mi mormorò vicino all'orecchio Ryan. A causa della debolezza del momento, feci esattamente quello che mi aveva detto. – Mi ricordo questa immagine di te, al parco, mentre leggevi un libro sdraiata sul telo. Ti ricordi? L'odore della primavera, i fiori sbocciati, le risate di Daniel e Dayna... Ricorda l'erba vicino a te, come giocavi coi fili d'erba, facendoli passare tra le dita. Ricorda com'era soffice al tatto, il tuo sorriso e la leggerezza.
Sospirai, rilassando le spalle.
Mi resi conto di aver trattenuto il respiro fino a quel momento.
Ryan intrecciò le dita alle mie e mi portò più lontano possibile da quella persona.
Si fermò davanti a me, carezzando delicatamente le braccia nude. – Guardami.
Le mie pupille trovarono subito le sue.
Mi osservò a lungo, cercando di capire il mio stato d'animo. Smise di essere così rigido ed annuì, più tranquillo.
L'attimo dopo mi ricordai il motivo per cui stavamo proprio là, perché lui indossava un completo elegante blu scuro e perché io indossavo un abito lungo che mi fasciava tutto il corpo alla perfezione. Mi allontanai di scatto ed abbassai lo sguardo sulle mie decolleté color carne.
Ryan capì il motivo del mio distacco e sembrò freddarsi completamente, riabbassandosi la maschera di apatia che tanto gli donava.
Buttai la testa indietro ingurgitando tutto il contenuto frizzante del flute, lo posai sul vassoio del cameriere che stava proprio accanto a me e me ne andai.
Lo sentii sospirare, nonostante la musica.
– Bene, bene – mi si parò davanti Dylan, con il solito sorriso da saccente. – Guarda un po' chi si vede. Pensavo che te ne saresti andata insieme al tuo fratellino.
– No – replicai seccata. – Ed io pensavo di trovarti a piangere in un angolo per non essere ancora chi vorresti.
Dylan ridusse gli occhi in piccole fessure. – Da dove esce tutta questa confidenza? – mi chiese. – Sono comunque il tuo superiore, anche se ti scopi il figlio del capo.
– Spiegami perché dovrei continuare a trattarti come un mio superiore, quando tu evidentemente non mi tratti nemmeno come una dipendente – dissi avvicinandomi a lui, frustrata dalla situazione. Mi guardò, senza abbassare il mento, con diffidenza. – E mi dispiace informarti del fatto che tra me e Ryan non c'è niente.
– Niente – ripeté lui ridendo sotto i baffi. – Se non c'è niente allora spiegami perché non vi staccate mai gli occhi di dosso. – Fece un passo verso di me, invadendo il mio spazio. – E soprattutto, se non c'è niente, allora esci con me.
Feci un passo indietro, come scottata. – Stai scherzando?! – esclamai.
– Questa non è la risposta di una persona single – si beffeggiò di me, per poi prendere un sorso del suo drink, senza staccare gli occhi da me.
– Questa è la risposta di una persona che non è affatto interessata a quello che hai da offrire – replicai, allontanandomi ancora.
– Che ne dici se–
– Tesoro, vieni con me – esclamò Ian, afferrandomi il braccio, per trascinarmi fuori dal palazzo, sull'enorme terrazzo che regalava una città incantata, di notte, piena di piccole luci come stelle. – Ci stava provando spudoratamente o sbaglio?!
Feci finta di trattenere un rigurgito. – Che schifo!
Ian rise di gusto, quindi fermò l'ennesimo ragazzo per prendermi un calice di prosecco ed ammiccare al povero ragazzo, il quale arrossì violentemente.
– Hai intenzione di provarci con tutti i camerieri? – volli sapere ridacchiando.
– Solo quelli più carini – rispose lui, senza staccare gli occhi dal fondoschiena dell'ultimo cameriere.
Ridacchiai per poi prendere un sorso. – Credo di essere già leggermente brilla.
– Lo vedo, ragazza, le tue guance parlano da sole – mi prese in giro Ian. Mi toccai distrattamente le gote, che erano leggermente calde al tatto. – Stasera non hai portato il tuo finto ragazzo vedo.
Mi mordicchiai il labbro inferiore. – Perché, volevi provarci anche con lui?
Fece una smorfia disgustata. – Capelli arancioni e lentiggini – commentò. – Non c'è niente di più orrido, a mio parere.
– Ma cosa dici! – esclamai, alzando leggermente la voce. – Penso sia un bel ragazzo ed anche intelligente.
– Non è nemmeno maggiorenne – borbottò, lanciandomi un'occhiataccia.
Scrollai le spalle. – Ha diciotto anni...
– Appunto.
– Non andresti in galera.
Sospirò. – Non è assolutamente il mio tipo, D – ripeté. – Sono alla ricerca di machi con capelli scuri e pelle olivastra.
Trattenni una risata. – Mi sembra una descrizione piuttosto dettagliata...
– Esatto – confermò. – Una descrizione che è l'esatto opposto dell'aspetto del tuo fidanzato.
Alzai le mani, in segno di resa.
– Deitra!
Mi irrigidii visibilmente, sentendo la voce dell'unica ragazza che proprio non riuscivo ad odiare, nonostante fosse probabilmente la ragazza di cui avrei dovuto avere più paura. Mi girai ed il cuore perse un battito a causa della sua bellezza. Indossava un vestito color corallo, che le fasciava perfettamente i fianchi ed il petto, mettendo in evidenza i seni prosperosi. La gonna era piuttosto lenta, lasciandole un ampio movimento, ma cadeva perfettamente, rendendo le sue curve armoniose. I capelli color miele erano raccolti in uno chignon basso, che metteva comunque in risalto il collo elegante e longilineo.
Socchiusi le labbra, scioccata. – Sei bellissima, Louisa, davvero – ammisi, senza alcun imbarazzo o rancore.
Mi sorrise, facendomi intravedere la dentatura perfetta. – Grazie, in realtà ti stavo per dire la stessa cosa.
Trattenni una risata, affatto convinta. Portavo un vestito piuttosto semplice blu scuro, che non lasciava quasi niente scoperto, se non fosse stato per la profonda scollatura sulla schiena. Avevo raccolto i lunghi capelli in una coda alta, mettendo in evidenza la mascella e gli zigomi.
– Hai scelto... un colore che Ryan si mette spesso – aggiunse, cercando il ragazzo con lo sguardo.
Era vero, ma non era quello il motivo che mi aveva spinto a scegliere quel vestito, bensì il modello molto pulito ed elegante.
– Ti volevo ringraziare... – disse poi, osservando Ian liquidarci con un leggero sorriso imbarazzato. – Per avermi aiutata quella sera, quando ho bevuto troppo. Non mi ricordo niente, spero di non aver detto o fatto qualcosa di inopportuno.
Sbattei le palpebre più volte, indecisa su cosa dire. – Assolutamente no – mentii. – Non hai detto niente. – Avevo deciso di mentirle, non perché non volevo che sapesse che ero a conoscenza del suo sentimento per Ryan, ma perché non volevo che si sentisse scoperta. Doveva essere lei a scegliere di dirmi una cosa tanto profonda, e da lucida.
Sospirò, posando una mano sul cuore. – Ne sono felice. Per un po' ho avuto paura di aver detto qualcosa di troppo – rise, in imbarazzo.
– Non ti preoccupare.
Mi osservò a lungo con quei suoi occhi chiari, sovrappensiero. – So quello che è successo tra te, Dan e Ryan... Mi dispiace molto. Ryan mi ha raccontato... sì, insomma... mi ha raccontato anche di quello che ti ha fatto il tuo ex fidanzato.
Trasalii leggermente, ferita. Ryan non aveva alcun diritto di raccontarle una cosa così personale. Era solo l'ennesima conferma del modo in cui lui si fidava solo ed esclusivamente di lei. Era rara una tale confidenza con Ryan. A volte, il suo cuore rimaneva chiuso anche sotto gli occhi puri di mio fratello.
Non con lei.
Aveva uno strano potere su di lui, che lo portava a fidarsi ciecamente. Il ché voleva dire molto, perché Ryan non si fidava soltanto della presenza di un amico, andava ben oltre.
– Mi dispiace tanto – ripeté, senza rendersi conto di aver appena detto qualcosa di troppo. Era sincera: le dispiaceva, si vedeva dalla profondità di quei suoi grandi occhi. – Spero che la situazione al campus si sia leggermente ripresa.
La prima settimana era stata difficile, perché nessuno sapeva il nome della ragazza nella foto; quindi, la curiosità li aveva portati ad osservare a lungo le ragazze dai lunghi capelli biondi. Molti ragazzi mi avevano guardato con un sorriso malizioso, alcuni avevano fatto dei commenti... e quegli stessi ragazzi il giorno dopo si erano ritrovati con un occhio nero, provocato probabilmente da mio fratello.
Dan non mi parlava più, ma sapevo che, nonostante tutto, non aveva smesso di proteggermi.
Era proprio quello che mi dava speranza: forse potevamo convincerlo, forse... forse potevamo ricostruire la fiducia disintegrata.
– Congratulazioni per il posto nuovo! – esclamai, per cambiare argomento.
Mi sorrise dolcemente. – Ti ringrazio. Ryan teneva molto a questa sua idea... Ci lavora da mesi. Ha dovuto fare progetti, presentazioni... poi tutti quegli appuntamenti col padre...
Non si stava rendendo conto che forse avrebbe fatto meglio a chiudere la bocca.
Perché più parlava e più mi spezzava il cuore, facendomi vedere tutta una parte della vita di Ryan a cui non ero stata proprio invitata ad entrare.
Si fermò di scatto, quando capì che non la stavo più ascoltando e si fece seria. – Oddio... – mormorò. – Non ti aveva detto niente, non è così?
Ridussi le labbra in una linea fina, cercando di incassare ossigeno, senza troppi risultati. Guardai altrove, per non farle vedere quanto il dolore mi stesse consumando il cuore. – No – ammisi. – Non ne sapevo niente.
Mi guardò con gli occhi pieni di confusione e tristezza. – Non me lo aveva detto.
Ridacchiai. – Allora qualche volta ti tiene nascoste dei piccoli dettagli – dichiarai, con la voce piena di amarezza. – Scusami – aggiunsi, notando i suoi occhi sgranarsi. – Tu non c'entri niente. Non hai fatto niente di male...
– Posso capire la tua frustrazione – se ne uscì, lanciandomi un'occhiata che non riuscii a decifrare.
– Se vuoi scusarmi... – mormorai, prima di rientrare, piena di quella situazione.
Ero furiosa, se non me ne fossi andata sarebbe finita molto male.
– Deitra – mi fermò Mr. Mark. Alzai gli occhi al cielo, per poi girarmi verso di lui. – Già te ne stai andando? Abbiamo preparato anche la torta!
Deglutii a vuoto, con il cuore a mille a causa della rabbia che ribolliva nelle vene. – Non mi sento molto bene.
– Dovresti esserne felice, D – se ne uscì Mr. Mark. – Questo era il sogno di Ryan fin da quando ha deciso di intraprendere la laurea in economica.
Strinsi i denti. Perché diavolo mi sembrava di essere l'unica all'oscuro di tutto questo?
– Devo andare.
– Rimani per la torta – ci riprovò. – So che Ryan ci rimarrebbe molto male altrimenti.
Ringhiai a bassa voce, quando Mr. Mark si allontanò. Fermai un cameriere e bevvi avidamente.
– Se continui così, non tornerai a casa sui tuoi stessi piedi – ammiccò il cameriere.
Lo guardai attentamente, con le guance leggermente colorate a causa dell'alcol. Aveva dei capelli scuri tirati all'indietro, un sorriso niente male, le labbra fine ed il naso all'insù. Gli occhi mi sembravano scuri, ma non potevo dirlo con certezza, vista la poca luce. – Forse lo scopo è proprio questo – ridacchiai.
– Hai già un accompagnatore? – chiese allora il ragazzo.
Aggrottai la fronte, leggermente confusa. – Come?
– Due gambe dovranno pur trasportati a casa... o all'ospedale per coma etilico – ridacchiò.
Ammiccai. – Ti stai proponendo, Kevin? – chiesi, abbassando lo sguardo sulla sua targhetta.
– Sono un gentiluomo – flirtò il ragazzo.
Feci per parlare, quando i suoi occhi si posarono su qualcuno molto più alto di me, che si trovava proprio alle mie spalle. Kevin continuò a sorridere, tuttavia lo vidi irrigidirsi leggermente. – Allora che ne pensi se–
– Se smettessi di darle così tanto da bere? – finì una voce che conoscevo fin troppo bene.
Kevin fece una battuta, ma sembrò capire all'istante, dileguandosi tra la folla.
– Si può sapere che stai combinando?
Roteai gli occhi e feci finta di non sentirlo, avanzando verso Ian, che si trovava dall'altra parte della sala, a parlare con dei suoi colleghi.
Ryan mi afferrò la mano e mi trascinò all'interno di quella che mi sembrò un'altra stanza adibita alle feste. Nonostante questo, era completamente al buio, illuminata solamente dalla luce della luna, che entrava dall'enorme vetrata. Tutti i tavoli erano coperti da teli bianchi.
– Che cosa stai facendo?! Sai benissimo che a tuo padre non piace quando le persone si appartano alle sue feste – ringhiai, allontanandomi dal suo corpo.
– Questa è la mia festa – mi corresse, a bassa voce.
– Bene, allora torna alla tua festa e lasciami stare – borbottai, cercando di tornare alla sala principale.
Mi spinse leggermente indietro. I tacchi echeggiarono all'interno della stanza. Lo fulminai.
– Non le voglio vedere quelle stronzate alla mia festa – disse d'un tratto.
– Quali stronzate? – chiesi, incrociando le braccia.
– Tu che flirti palesemente con un altro – rispose, la voce ridotta ad un sussurro roco.
– Pensavo non fossi geloso e pensavo non te ne fregasse proprio un cazzo della mia vita sentimentale – ribattei, tenendo la distanza di sicurezza, perché qualcosa nei suoi occhi mi stava dando scariche di eccitazione piuttosto strane.
– Se vuoi farti gli altri, per me non ci sono problemi – cercò di spiegarmi. – Ma non davanti a me.
Ridacchiai. – Non me ne frega proprio niente di quello che vuoi tu.
Cercai nuovamente di andarmene, ma mi spinse, per poi prendermi la mano. Mi tirò a lui con forza, facendo battere il petto contro il suo. Trasalii, trattenendo il respiro, a causa di un brivido che sembrò trapassarmi l'anima. – Smettila. Hai bevuto troppo.
– Smettila tu – dissi a denti stretti, avvicinando il viso al suo. – Tu fai quello che vuoi, mi sembra. Perché non posso fare altrettanto?
– Non ho più toccato nessuna da quando ti ho fatta venire sulla mia scrivania – ringhiò, stringendomi la mano, con il respiro leggermente accelerato. Arrossii tremendamente e potei sentire alcuni muscoli del suo petto guizzare.
– Quindi... cosa? Dovrei ringraziarti? – cercai di chiedere, nonostante la voce strozzata.
– No. No – ringhiò, con convinzione. – Quello che ti chiedo è solamente di non flirtare con qualcuno quando sono presente.
– Non accetto compromessi con chi mi ha letteralmente nascosto gran parte della sua vita – ribattei, duramente.
– Smettila con questa storia. Sai chi sono, mi hai visto come nessun altro – ringhiò, ad un palmo dal mio viso, come a voler imprimere le parole dentro i miei occhi.
– Spostati.
– Deitra... – annaspò. – Non farmi perdere quel briciolo di lucidità che mi resta.
– E che mi dici della mia di lucidità? – ringhiai.
Con un ringhio profondo, mi afferrò i fianchi per poi spingermi fino a farmi scontrare con un tavolino. Ansimò, appena il mio corpo si scontrò con il suo. Sussultai leggermente. Le sue mani strinsero possessivamente i fianchi. Aveva gli occhi chiusi e le labbra a pochi millimetri dal mio orecchio.
– Non riesco a vederti arrossire e ammiccare ad un altro uomo – mormorò, il respiro pesante e la voce ridotta ad un bisbiglio roco. – Non ci riesco. Da un mese a questa parte mi sembra di non riuscire più a respirare...
– Ryan... – guaii, per cercare di allontanarlo.
Annaspò, portando la mano sulle costole, vicino al mio seno destro. – Arrivi con questo maledetto vestito e pensi di non farmi perdere il controllo? – chiese, posando le labbra sul lobo del mio orecchio. Tremai tutta. – Pensi che potrei sopportare di vederti andare via con un altro?
Gemetti debolmente, deglutendo a vuoto. Potevo sentire il suo cuore battere aritmicamente contro il mio petto. Le sue mani indugiarono ancora sul mio corpo.
– Vorrei baciarti – gemette. – Vorrei sentire il tuo sapore, vorrei poter sentirti tremare in questo modo senza sentire anche il tuo cuore penarsi.
Mi risvegliai da quello stato di trance ed appoggiai il fondoschiena al tavolino, afferrandogli la giacca per farlo avvicinare ancora di più a me.
Prese due boccate d'aria, in sofferenza, quando il cavallo dei suoi pantaloni toccò la mia pancia. Mi tirò la coda alta, obbligandomi ad esporre completamente il collo al suo respiro tremolante. – Appena sei entrata, stasera... Ho capito subito che sarei impazzito – sussurrò, quasi contro il mio collo, così vicino da toccare leggermente la mia pelle esposta.
Tramai terribilmente, rabbrividendo contro di lui.
Si avvolse la coda attorno alla mano, tirando forte. – Sei l'unica persona che mi porta a questo punto, D. E ti odio per questo. – L'altra mano si mosse dal fianco alla pancia, lentamente. Inarcai leggermente la schiena, con gli occhi chiusi, in pena. – Odio non riuscire a fingere con te, mi hai portato via l'unica cosa che mi teneva fermo: la lucidità, la capacità di fingere apatia.
– Ti prego... – mugolai, quando la mano si fermò all'altezza dell'orlo delle mutandine.
– Odio ancora di più la tua consapevolezza – continuò, torturandomi muovendo lentamente su e giù la mano, senza arrivare mai al punto che più fremeva di essere toccato. – Perché sai cosa sono diventato. Sai chi sono sempre stato, infondo. Sai che non riuscirò mai più ad essere in grado di respirare senza prima aver visto l'espressione sul tuo viso.
– Smettila – ringhiai, ficcando le pupille dentro le sue, d'un tratto arrabbiata. – Non sai nemmeno cosa sia realmente l'amore.
Il suo corpo fu travolto da un brivido. I suoi occhi brillarono di una luce oscura. Si staccò immediatamente da me, lasciandomi i capelli. Fece almeno quattro passi indietro. Tremavamo entrambi, ma di nuovo mi guardava con diffidenza. I suoi occhi, scuri a causa della sola luce della luna, mi stavano gelando. Stavano urlando qualcosa che non riuscii a catturare, perché troppo accecata dal mio stesso dolore.
Sembrò reprimere una smorfia disgustata. Scosse la testa, riprendendosi. – Forse – disse, la voce fredda come il ghiaccio. – Ma sono arrivato al punto di dover mettere in dubbio anche il tuo, di amore.
Strinsi le labbra, ferita. – Forse fai bene, dopotutto guarda come ho amato Aiden.
Lo vidi trasalire leggermente, ora ferito.
Mi misi dritta, nonostante il tremore alle gambe. – Sei soddisfatto? Oppure vuoi spogliarmi e fare sesso qua, prima di tornare di là? – sputai, arrabbiata.
– Non sono neanche lontanamente soddisfatto – ringhiò.
– Che cosa vuoi da me, Ryan? – chiesi, avvicinandomi nuovamente a lui. Notai immediatamente le sue dita irrigidirsi, il suo pomo d'Adamo muoversi quasi freneticamente ed il suo petto liberarsi di un ossigeno che sembrava quasi tossico per lui. – Spogliami, avanti.
Aggrottò la fronte, in difficoltà. – Non ho intenzione di farlo.
– Ah, no? – chiesi, la voce piena di ironia. – E allora che cosa vuoi da me? Perché mi hai portata qua?
– Avevo bisogno di allontanarti da–
– Perché sei tu che vuoi accompagnarmi a casa – lo fermai, fermandomi ad un palmo da lui. – Perché vuoi essere tu a prender–
– Non è così semplice – sbottò, afferrandomi le spalle. – Perché ce l'hai così tanto con me?! Perché stai cercando di sporcare tutto questo?
– Perché è quello che è – replicai, sentendo il freddo impossessarsi del mio cuore, della mia anima. Era un gelo dettato dalla delusione. Non stavo mentendo. Mi aveva portato dentro quella sala per tirarmi a lui, non per parlarmi. Quello che mi sembrava sempre più chiaro era che fosse semplicemente attratto da me fisicamente. Ecco perché non mi raccontava niente di sé. Non gli servivo a quello. – Se non vuoi farlo qua, torna a casa con me e facciamolo in camera mia.
Si accigliò. – E che mi dici della distanza che abbiamo tenuto fino ad ora per tuo fratello?
Scossi la testa. – Non è questo quello che vuoi?
– No.
Risi amaramente. – No? Mi vuoi dire che quello – dissi, indicando la sua erezione, – è solo un difetto del pantalone?
– Che cosa vuoi che ti dica, Deitra? – sussurrò, d'un tratto stanco.
– La verità! – tuonai io, furiosa. – Voglio che mi guardi negli occhi e mi dici che tutto quello che desideri da me, è il sesso!
– Se fosse stato sesso – ringhiò, torreggiando su di me, – ti avrei scopata sul mio letto la prima volta, o dentro la doccia, o sul tuo letto, o sulla mia cazzo di scrivania, oppure sul bancone della tua cucina. – Mi squadrò, rabbioso. – Ne ho avute di occasioni, non credi? Eppure, è sucsesso solo una volta. È un fatto piuttosto strano, per uno che ti vuole solo scopare, non credi?
Le lacrime fecero capolino.
Abbassai il viso. – Vattene via, Ryan. Vattene.
Non se lo fece ripetere una seconda volta.
Si girò, dandomi le spalle, e se ne andò sbattendo la porta.
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