Capitolo 32: Non sai un cazzo

Passò un mese intero e si avvicinarono quindi le feste di Natale. Daniel ancora non mi parlava. Anche trovare i suoi occhi scuri era diventato impossibile. Mi passava accanto senza guardarmi, senza parlarmi. Una parte della mia anima sembrava lacerata, completamente distrutta dalla distanza di mio fratello.

Me lo meritavo, lo sapevo, ma non mi aspettavo un simile dolore.

Il distacco era proporzionato al dolore che avevo procurato a mio fratello, sapevo anche questo. Per questo non avevo ancora il coraggio di rivolgergli la parola.

Di tanto in tanto invece Dan chiamava Callie, ma finivano con il litigare e la mia coinquilina finiva sempre a versare lacrime.

Mi sentivo tremendamente in colpa.

Da lì a pochi giorni saremmo tutti dovuti partire per le vacanze di Natale e niente ci avrebbe salvati dal dolore, dalla rabbia e dalla verità.

Non parlavo più nemmeno con Ryan. A differenza di mio fratello, nel corso del mese avevo incrociato spesso il suo sguardo, ma non c'era stato altro.

Ormai il mio corpo sembrava come anestetizzato dal dolore che avevo procurato e che mi stava provocando. L'apatia come una sorta di meccanismo di difesa aveva reso tutto l'amore un velo, così leggero da spostarsi con un po' di vento. Il mio vento era Daniel, era la sofferenza che avevo procurato a lui ed a Callie.

Perché era su di lei che mio fratello aveva riversato tutto il rancore: ancora una volta, era stato tradito... ancora una volta, la sua fidanzata gli aveva mentito. Tuttavia, c'era qualcosa di sbagliato nella rabbia di mio fratello.

Potevo capire la delusione generale per essere stato tenuto all'oscuro di una situazione così complicata da tutti noi, ma Calliope era la mia amica... la mia unica amica e probabilmente anche la mia migliore amica. Io e lei c'eravamo avvicinate ancora prima di mio fratello. Questo voleva dire soltanto una cosa: mi avrebbe protetto sempre.

Quando tornai a casa, Callie non si era mossa dal divano.

Osservai suo fratello, per cercare di comunicare silenziosamente. Mi fece il segno della morte. Scossi la testa, perché nonostante la situazione catastrofica aveva ancora voglia di scherzare.

Sospirai e mi misi seduta accanto a lei, per poi porgerle tutti gli appunti che avevo preso anche per lei durante la giornata. – Questi sono per te – mormorai.

Le presi il piatto di patatine fritte dalle mani. – Ehi! – esclamò lei, con gli occhi gonfi per il pianto.

– Ci hai parlato come si deve? – chiesi, girandomi completamente verso di lei.

– Non mi fa spiegare – borbottò. – Ora ridammi le mie patatine.

Scossi la testa. – Le patatine si danno alle persone che fanno qualcosa, che non si buttano giù.

– Fanculo, D. Dammi le fottute patatine fritte – ringhiò, cercando di prendere dalle mie mani il piatto. – Voglio vedere il film come si deve.

– Guardare " A Star Is Born" non ti porterà altro che tristezza – borbottai, allontanando il piatto.

– Già, beh, è in linea con il mio essere interiore – ringhiò. – Ti tiro un cazzotto, Deitra. Dammi le mie patatine.

– Lo farà davvero – mi avvertì il fratello, con i gomiti appoggiati al tavolo, intento a guardare appassionatamente il teatrino che stavamo inscenando.

– Ok, basta così! – esclamai lasciandole il piatto di patatine fritte, solo per prendere al volo il suo cellulare. Lo sbloccai velocemente tra le urla della mia coinquilina.

– Smettila! Che cosa stai facendo?! Ridammi il cellulare! – gridò lei, saltandomi addosso.

Cademmo a terra, facendo un tonfo. Gemetti battendo il naso sul pavimento. Sentii immediatamente un dolore lancinante, così forte da farmi serrare le palpebre. Subito dopo, qualcosa di caldo scivolò sulle mie labbra.

– Oddio... – sussurrò Callie, guardandomi in viso.

– Dove sono i miei Popcorn? – urlò John. – Cameriere, i popcorn!

– Dio, D... Scusami...

Mi toccai il naso solo per appurare che fosse effettivamente integro, sebbene il dolore mi fosse già arrivato alla testa. Le dita si tinsero di rosso.

Grugnii.

Qualcuno suonò alla porta, quindi Callie si precipitò urlando: – John, prendi del ghiaccio!

Non appena aprì la porta, potei intravedere una figura piuttosto alta. Riconobbi immediatamente quel fisico. Il cuore fece un balzo, come a ricordarmi che era ancora vivo... ma soltanto quando c'era lui.

– Dobbiamo parlare – annunciò a Callie.

– Che ci fai qua?! – esclamò la mia coinquilina. – Non è il momento!

Gli occhi di Ryan viaggiarono dal divano con il piatto di patatine fritte, al fratello di Callie in cerca del ghiaccio... mi girai immediatamente, per non farmi vedere in quelle condizioni.

– Perché D è a terra? – chiese scettico Ryan.

– Oh... emh... – bofonchiò Callie.

Ne approfittai per mandare un messaggio a mio fratello dal cellulare di Callie. Mi morsi le labbra ancora sporche di sangue, impegnandomi a mandare il messaggio che avrebbe fatto infuriare mio fratello. Era quello il mio intento: farlo arrabbiare così tanto da portarlo a casa nostra.

– D? – mi chiamò Ryan.

– Sì! – esclamai alzandomi. – John?

– Eccolo! – urlò il fratello di Callie, portandomi un fazzoletto pieno di ghiaccio.

– Spostati, Callie – aggiunse Ryan, facendo da parte la mia coinquilina, per avvicinarsi a me. – D, perché fai finta di non sentirmi?

– Sto bene! – replicai, senza girarmi. – Devo andare un attimo in bagno...

Le sue grandi mani si posarono sulle mie spalle, per obbligarmi a girarmi verso di lui. Trasalii e la presa sulle mie spalle si intensificò.

– Che cazzo sta succedendo qua? – ringhiò, alzandomi il mento per osservare meglio il naso.

– Siamo cadute – ridacchiai. – Ma sto bene.

– Tieni su la testa – mi rimproverò alzandomi il mento.

Roteai gli occhi, a disagio. – Va tutto bene, Ry. È solo un po' di sangue...

– Stavate litigando? – volle sapere Ryan, girando il viso verso Callie.

– No, no... ma mi aveva preso il cellulare e non ho calcolato la forza... – bofonchiò Callie, passando le mani sudate sui leggings. – Non volevo farle realmente male.

– Lo so – replicai. – Non ti preoccupare. Non è niente.

Ryan ringhiò qualcosa, per poi infilare dentro le narici due pezzi di carta igienica. – Continua a tenere su la testa, D – mi riprese, stringendomi leggermente il naso.

– Perché sei venuto? – se ne uscì John.

– Volevo parlare con Callie di Daniel – borbottò Ryan, senza staccare gli occhi dal mio viso. I nostri occhi si scontrarono, facendomi leggermente arrossire. Sovrappensiero, mi carezzò delicatamente la guancia con il pollice. Trattenni il respiro, con il cuore leggermente scosso da quel contatto inaspettato.

– Oh... – mormorò Callie, sedendosi nuovamente sul divano. – Tanto è tutto inutile. Mi ha lasciata e sembra odiarmi con tutto il suo cuore.

– Non è–

Interruppi Ryan, osservando con un sorriso malizioso il cellulare che stava vibrando nella mia mano. – Credo che stia venendo qua – annunciai, leggendo il messaggio infuriato di mio fratello.

– Cosa?! – gridò Callie, alzandosi dal divano. – Che cosa gli hai mandato?!

Le feci leggere il messaggio porgendole il cellulare. Lo afferrò con poca eleganza e scappò in camera dopo alcune imprecazioni verso di me.

– Che cosa hai fatto? – volle sapere Ryan, che ancora non si era allontanato da me.

Accennai un sorriso. – Sto cercando di far scoppiare Daniel per resettarlo – presi in giro mio fratello.

Ridusse le labbra in una linea fina per non ridere. – Intelligente – mormorò. – Io stavo per puntare più sulle capacità di Callie di fargli perdere il controllo.

– Ci conviene andare via da qua – si intromise John. – D, accompagnami al pub per favore. Ho bisogno di ubriacarmi.

***

Quando arrivammo al pub, mi pentii di aver chiesto a Ryan di tornare a casa. Un silenzio imbarazzante regnava su di noi. Al contrario, John non faceva altro che parlare. Mi misi in testa di farlo conoscere meglio a Ian, data la voglia tanto elevata di parlare senza respirare.

– Insomma, Callie è stata con molti ragazzi, non si è mai fatta molti problemi e non li ha mai presi sul serio... Daniel invece sembra averla rapita. Ora è diventata questa ragazza romantica, insopportabile... prima era una puttana quasi quanto me – insistette John.

– Non ti ho mai visto con un uomo negli ultimi mesi, John – bofonchiai, guardando il calice di vino davanti a me.

– Questo è perché eri intenta a guardare altro – mi prese in giro, lanciando un'occhiata languida a Ryan, il quale lo osservò con un sopracciglio alzato.

– Davvero, non sei un vero puttaniere, mio fratello lo era – ribattei. – Prima di innamorarsi di tua sorella.

– D, mi hai mai visto a casa la sera nelle ultime settimane? – mi chiese John.

– Emh... – ci pensai su, per poi rendermi conto che no, in effetti non lo avevo mai visto. In realtà, raramente lo trovavo a casa.

– Hai risposto alla mia domanda – mi liquidò con un sorrisino malizioso. – Ho dei bisogni da soddisfare. Esattamente come voi due, che però preferite rinnegare per una ragione a me sconosciuta.

Trasalii e le gote diventarono di un colore simile al viola. – John!

– Come se non ti sentissi fare sogni erotici su Ryan – disse, liquidandomi con la mano.

Sgranai gli occhi e gli diedi un calcio. – Non è vero.

– È una ragazza piuttosto rumorosa eh? – mi prese in giro John, cercando lo sguardo di Ryan.

– Smettila!

– In realtà, non lo è – se ne uscì Ryan.

Incrociai le braccia, a disagio.

– Forse perché non l'hai mai fatta impazzire sul serio – lo punzecchiò John.

– Ma sei serio?! Taci, John, o ti rispedisco a casa! – esclamai, dandogli uno schiaffo sul collo.

– Vado in bagno – borbottò John, affatto interessato alle mie proteste.

Si alzò velocemente dalla sedia e si avviò verso la porta del bagno, con disinvoltura. Era un ragazzo difficile da comprendere, di certo aveva molti meccanismi di difesa. Poteva sembrare un ragazzo superficiale, viziato e completamente disinteressato alla via degli altri, ma nessuno lo aveva mai visto nelle sere più buie, con una tazza di camomilla a causa dell'insonnia, ad osservare le stelle in totale silenzio. Quel silenzio che, quando c'eravamo noi, tentava di nascondere. Come se fosse il suo unico confidente, così geloso da non volerlo condividere con nessun altro.

– Non mi guardi più.

Mi girai di scatto verso Ryan, confusa da quell'affermazione.

– Fai finta di farlo – mi spiegò, conficcando le sue pupille dentro le mie, quasi a volerle consumare. – Ma in realtà non mi cerchi più. È come se fosse realmente tutto finito.

Deglutii a vuoto. – Lo stavi per mandare all'ospedale, Ryan – sussurrai, abbassando lo sguardo verso la sua birra alla spina. – Non ti avevo mai visto così.

– Lo so e mi rendo conto di non essere riuscito a fermarmi – confermò, cercando ancora e ancora i miei occhi per sigillare dentro il mio cuore quelle parole. – Ma non respiravo più, D. tutto quello che ti aveva fatto, negli anni e poi ancora quel giorno... Ti mentirei se ti dicessi che non mi sono pentito, perché non è da me. Non sono mai stato questo. Le mani non mi sono mai servite. Eppure, nonostante gli avessi già tolto molto, ha avuto il coraggio di continuare a fare quello che gli viene meglio.

Scossi la testa. – Avevi detto di voler stare da solo.

– Quel giorno, sì – confermò. – Avevo appena chiuso con il mio amico d'infanzia, distrutto il cuore di Calliope e ti avevo ufficialmente allontanata da tuo fratello. Non potevo sopportare un secondo di più i tuoi occhi tormentati, o le tue spalle ricurve e quelle labbra tormentate dai denti. Avevo bisogno di tempo.

– Dobbiamo trovare un modo per fargli capire che non siamo cattivi, che non volevamo farlo soffrire – sussurrai.

– Dagli un po' di tempo, deve sfogare la sua rabbia e poi forse sarà intenzionato a sentirci – ribatté.

– Mi manchi – sussurrai, a voce così bassa da sentirsi a malapena.

Ryan sospirò e, senza guardarci, mi posò una mano poco sopra il ginocchio. – Anche tu.

Ci guardammo negli occhi per quella che sembrò un'eternità, poi John tornò e ricominciò a parlare di Callie e del fatto che continuava a non rispondere al telefono.

– Staranno litigando – borbottai.

– Forse dovremmo tornare a controllare la situazione – disse John, d'un tratto agitato.

– Daniel non le farebbe mai del male fisicamente – ribatté Ryan. – Ma sicuramente sta cercando di ferirla emotivamente come si sente ferito lui.

– E ce lo facciamo andare bene? – chiese John, arrabbiato.

– La vera domanda è: Callie se lo fa andare bene? – chiese Ryan, togliendo lentamente e con riluttanza la mano dalla mia gamba.

***

Purtroppo, la discussione non ebbe l'esito sperato. Callie rimase a casa a piangere per molto tempo e mio fratello se ne andò più arrabbiato di prima. Avevano un carattere più simile di quanto pensassi e ogni volta che Daniel le dava contro, lei si impuntava e smetteva di essere comprensiva.

Avevo cercato di essere più presente possibile, insieme a suo fratello, per rendere la rottura meno dolorosa possibile. Era stato praticamente impossibile.

Non mi ero resa conto del suo profondo sentimento fino a quel mese.

L'assenza di mio fratello l'aveva consumata, il suo sorriso malizioso aveva completamente abbandonato quelle belle labbra e gli occhi non erano più luminosi come prima.

Il giorno successivo, mi imbattei nuovamente in mio fratello. Era furioso, sempre lo sguardo infuocato, i denti serrati e le mani chiuse a pugni lungo i fianchi.

La gente non lo fermava più per salutarlo calorosamente: tutti avevano paura di lui.

Tranne me.

Per questo, proprio all'uscita del campus, mentre avanzava verso la sua macchina, mi misi davanti a lui, bloccandolo.

Il suo petto scontrò contro di me, facendomi fare un passo indietro. Mi scoccò un'occhiataccia, che venne ricambiata immediatamente. – Parliamo? – proposi, buttando giù la rabbia dentro di me.

– Vai all'inferno – mi ringhiò contro, dandomi una spallata per farmi da parte.

Quasi persi definitivamente l'equilibrio. Ricominciò a camminare, ma riuscì a fare solo un passo, perché gli agguantai la maglia. Si fermò, tremando dal nervoso, e girò il viso verso di me. – Toglimi le mani di dosso.

– Tu così non mi tratti – mormorai, la voce tremante. – Mi hai distrutto l'anima e sto cercando di rimediare al dolore che ti ho procurato. Non ti basta?

– Non mi basta? – ripeté, furioso. Torreggiò su di me. – Ti sei fatta il mio migliore amico alle mie spalle. Hai fatto in modo che scegliesse te, quando questa storia poteva finire in un altro modo...

Scossi la testa, trattenendo le lacrime. – Per "un altro modo" intendi dire che non sarebbe dovuta nemmeno iniziare – tradussi.

– Esatto! – esclamò, senza cercare di trattenere la sua rabbia. Annuii, affatto confusa. – Tu e lui non siete fatti per stare insieme. Lui era il mio migliore amico!

– Non è tutto bianco o nero, Dan – cercai di dire, nonostante il nodo alla gola.

– Questo lo era, Deitra! – sbottò lui, rosso in viso per la rabbia. – Questo era nero! Un cazzo di colore nero come la pece, che ti avrebbe dovuto spingere dall'altra parte del mondo, cazzo!

Aggrottai la fronte. – Non l'ho voluto – sussurrai. – Io... io lo-

– Tu non lo ami! – urlò lui. – Tu non sei in grado di amare. Sei troppo egoista.

Trasalii, terribilmente ferita. Qualsiasi cosa ci potesse essere oltre all'anima, lui era riuscito a distruggere anche quello. – Dan... – gemetti.

– Hai fatto in modo che scegliesse te, che mi mettesse da parte! Lui era l'unica persona che mi era rimasta, dopo tutta la merda che ho dovuto affrontare! – tuonò.

Iniziò a tremarmi terribilmente il mento. Sapevo benissimo di non poter piangere: una volta iniziato, avrei soltanto fatto infuriare ulteriormente mio fratello.

Perciò mi limitai ad abbassare lo sguardo a terra, troppo ferita per fare o dire altro.

Era vero: appena avevo visto una piccola crepa, mi ero infiltrata come acqua. Appena avevo visto una piccola emozione nello sguardo di Ryan, mi ero infiltrata dentro di lui fino a coprirlo totalmente... fino a coprire la sua amicizia con mio fratello.

– Lui non ti ama – proseguì Dan, con tono tagliente. – Tu non sai un cazzo di lui. Ti voleva soltanto fottere. Secondo te perché non ha risposto quando gli ho chiesto dei vostri sentimenti? Perché non li prova.

Mi affrettai ad asciugare le due lacrime solitarie scese.

– Sei una povera illusa, lo sei sempre stata in amore.

Chiusi gli occhi, pregando che quella rabbia si esaurisse, prima o poi.

– Pensi di conoscerlo meglio di me? – mi ringhiò addosso. – Non sai un cazzo. Non sai un cazzo del suo primo amore, non sai delle prove costanti che deve far fronte per essere meritevole agli occhi del padre, non sai di quanto il rapporto tra la madre ed il padre fosse tossico... Tu non sai un cazzo.

Trasalii, sentendo tutte quelle parole, rivelando quello che era sempre stato un mistero per me.

– Non sai della relazione aperta, non sai del patto che i suoi genitori avevano fatto – continuò, tagliandomi con gli occhi neri come i miei. – Loro potevano scopare con chiunque, non c'erano limiti... ma i sentimenti dovevano stare fuori.

Mi morsi il labbro fino a farlo sanguinare, completamente confusa e distrutta.

– Non lo sapevi, non è così? – ringhiò. – Secondo te, perché l'ha lasciata andare con così tanta facilità? E secondo te, perché non ha lasciato andare lui con altrettanta facilità?

Non risposi.

Mi resi conto di tremare come una foglia, scioccata da tutte quelle informazioni che il ragazzo di cui ero innamorata non aveva avuto la confidenza di rivelarmi.

Quando mio fratello capì di avermi distrutta, se ne andò, senza più voltarsi indietro.

***

Dopo essere stata a lezione, giorni dopo la discussione con mio fratello, mi ero messa la gonna più provocatoria ma comunque consona al lavoro e quella che avevo capito essere il maglioncino preferito di Ryan.

Appena arrivata all'interno del palazzo però, notai che la maggior parte dei dipendenti si trovavano al piano terra.

Mr. Mark mi guardò per alcuni secondi, era l'unico fermo sulle scale, per rendersi visibile a chiunque. – Questo è un progetto che è stato portato avanti con dedizione. Questa fusione è stata una benedizione, un'idea calcolata e che ci porterà grandi innovazioni e cambiamenti positivi.

Aggrottai la fronte, confusa, e mi affiancai al mio amico. – Ma di che cosa sta parlando? – borbottai a bassa voce.

– Non lo sai? Non si fa altro che parlare di questo da più di un mese... – si intromise una donna.

– Che cosa?

– Il grande sogno di mio figlio Ryan si è finalmente avverato, dopo molti sacrifici – continuò Mr Mark. – Finalmente ci occuperemo di un nuovo settore, pieno di avventure. È il settore fallimentare!

Tutti iniziarono ad esultare ed applaudire.

Socchiusi le labbra, scioccata dalla notizia. Non ero nemmeno a conoscenza del vero desiderio di Ryan di lavorare in un settore diverso da quello della contabilità.

– La sede legale non si sposterà, tuttavia mio figlio Ryan si trasferirà in sede secondaria.

– Una fusione per incorporazione? – chiesi ad Ian.

– Esatto – confermò Ian. – Niente popò di meno del Jonson and Jonson – sogghignò. – Ti rendi conto? Quello stronzo ha avuto la meglio su Jonson and Jonson!

– Ssssh – ci zittì la signora.

Ero completamente scioccata. E mi sentivo anche tremendamente esclusa dalla vita di Ryan. Avevamo più volte parlato del suo lavoro e non mi aveva mai accennato alla sua volontà, al suo desiderio più profondo di cambiare lavoro.

– Ryan se ne va – sussurrai, con le lacrime agli occhi.

– Prego, venite! – li invitò Mr Mark.

Non salì solamente Ryan sulle scale, un gradino più in basso del padre. No, dietro di lui, c'era anche una ragazza. E non una ragazza qualsiasi, bensì Louisa.

Trattenni il respiro e dopo molto tempo riuscii a sentire nuovamente quella parte del mio corpo che sembrava morta da un mese: il mio cuore. – Cosa? – chiesi, sempre più confusa.

– A quanto pare avrà una segretaria – lo prese in giro Ian.

Scossi la testa ripetutamente, in preda al panico.

Ryan accennò un sorriso tirato, con quel suo completo grigio scuro e la camicia bianca. Era rigido, molto nervoso. D'altro canto, Louisa era felicissima di andarsene, probabilmente perché le voci all'interno di quell'azienda erano diventate insopportabili.

– Non è possibile – continuai, trattenendo a stento le lacrime.

– Siete tutti invitati a festeggiare questa fusione! Vi daremo gli inviti a fine giornata lavorativa – concluse Mr. Mark. – Buon lavoro a tutti!

La gente iniziò a tornare al lavoro. Io, invece, ero completamente bloccata.

Gli occhi di Ryan e del padre passarono in rassegna, osservando le persone dileguarsi, per andare ai rispettivi piani. Ryan smise di fingere, quindi tornò il ragazzo serio di tutti i giorni. Quando si fermò a guardarmi, sembrò irrigidirsi ancora di più.

Mi bastarono quegli occhi blu per riprendermi. La rabbia iniziò a scorrere nelle mie vene, così velocemente da pompare rumorosamente, quasi ribollendo. Mi allontanai da quella scena a dir poco ridicola, avanzando verso l'ascensore.

Quando si aprì, dietro di me sentii la presenza di un'altra persona.

Il profumo di Ryan investii le mie narici.

Strinsi le mani in pugni. – Questo ascensore è al completo – dissi con rabbia.

– Lo è – confermò lui, dietro di me.

Quando le porte si aprirono, entrai in fretta per non farlo entrare. Premetti il pulsante alla velocità della luce, ma Ryan entrò ugualmente.

C'eravamo solo noi due, perché Ryan sembrava aver fulminato con lo sguardo tutti quelli attorno a noi.

Lo guardai nello specchio e fece lo stesso. Avevamo lo stesso sguardo di sfida.

– Congratulazioni – dissi aspramente. – Era questo che volevi sentire?

– No – replicò freddamente, senza staccare gli occhi dalla mia figura allo specchio.

Ridacchiai, nervosa. – Mi sono resa conto di una cosa.

Ryan aspettò senza fretta, guardandomi attentamente.

Girai il viso verso di lui, guardandolo direttamente, e mi resi conto della sua vicinanza. Se avessi voluto, soltanto alzando un braccio avrei potuto toccarlo. Mi imitò e sembrò deglutire a vuoto, abbassando per pochi secondi lo sguardo sulle mie labbra.

– Non so niente di te – annunciai. Corrugò la fronte, contrariato. – Tutto quello che si cela dietro questi occhi, tutto il tuo passato e tutto quello che realmente desideri... non lo so. Non mi hai mai raccontato niente di te.

– Non ti ho mai raccontato niente? – chiese, la voce bassa e roca. – Che mi dici di mia madre?

Feci una smorfia, a causa del dolore che stavo provando. – Sapevo anche prima di tua madre – ringhiai.

– Non è vero – replicò, con il collo leggermente arrossato. – Non provarci. Eri a conoscenza del contorno.

Scossi la testa. – Te ne andrai – dissi, la voce ridotta in un bisbiglio caratterizzato dall'amarezza. – E non hai mai avuto nemmeno la decenza di dirmelo. Ecco quanto ero importante per te. Sai chi è veramente importante? Louisa.

Trattenne una risata, passandosi velocemente una mano sulla mandibola. – Non farò questo con te.

– L'hai presa e te la sei portata nella nuova azienda – continuai, avvicinandomi a lui. – A lei dici tutto.

– Non è così – ringhiò.

Alzai il mento per guardarlo attentamente dal basso, mentre ero arrivata così vicina a lui da poter sentire le nostre scarpe toccarsi. Abbassò il mento e mi incenerì. – Non lo è? – chiesi. – E come stanno le cose?

– Louisa aveva bisogno di un posto – replicò. – Qua non viene trattata bene, a causa di quello che è successo tra noi.

– E quindi decidi di portarla con te, confermando tutte le voci – lo presi in giro.

– Non me ne frega niente delle voci – ringhiò, avvicinando pericolosamente il viso al mio, interrompendo finalmente l'ascensore, affinché potessimo parlare. – Si trova in questa situazione a causa mia.

– Perché te la sei fatta in ufficio – ringhiai, puntando le mani sui fianchi.

Si fermò a guardarmi, i muscoli del viso completamente contratti dalla rabbia. – Che cos'è questa cosa che stai facendo?

Feci ripartire l'ascensore, furiosa. – Secondo me, Ryan, ti sono uscite più parole del dovuto quando stavi con me – ringhiai.

– Hai appena detto l'esatto opposto – disse con un tale distacco da farmi rabbrividire.

– Quando stavi con me – ripetei, girando il viso verso di lui.

Mi guardò rigido come non mai, senza nemmeno girare il viso verso di me. – Non dire queste cose per farmi perdere la pazienza, D. Sono stufo delle tue provocazioni.

Le porte si aprirono e così mi fece segno di uscire. Mi avvicinai velocemente alla mia postazione, mentre Ryan si precipitava verso il suo ufficio.

– Mmm, avete litigato di nuovo – disse Ian, senza staccare gli occhi dal computer. – Illuminami: queste per voi sono delle scuse per fare un po' di sesso rappacificatore?

– Non mi aveva detto niente, Ian – dissi a bassa voce, rabbiosa. – Tutti lo sapevano, tranne me. E lui è quello che ha avuto il coraggio di dirmi...

– Dirti? – mi incitò a continuare Ian, curioso.

– Che voleva stare con me – mormorai, abbassando lo sguardo deluso sullo schermo del computer. D'istinto quello che mi tornava in mente era "ti appartengo totalmente".

Tutte frasi fatte.

Frasi inutili e di poco conto.

Mi resi conto, guardando la figura rigida di Ryan, che camminava avanti ed indietro per l'ufficio, mentre stava al telefono, che forse quello che lo aveva eccitato della nostra storia era soltanto il segreto.


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