Capitolo 30: Non è giornata

Solo i coraggiosi sanno come perdonare. Un vile non ha mai perdonato: non è nella sua natura.

(Laurence Sterne)

Il gelo sembrò immobilizzare tutti.

Daniel era profondamente confuso e Ryan continuava a tenere quella maschera che tanto gli donava quanto mi spaventava.

– Entriamo? – chiese Daniel. – Sei veramente leggera e... sembri sul punto di entrare in ipotermia.

– Sì, entriamo – mormorai.

Ryan guardò per pochi secondi la porta dietro la mia schiena. Respirò profondamente, per poi incenerirmi. Era arrabbiato e forse anche leggermente disorientato.

Daniel fece entrare prima me e Callie, salutando Ben.

Ryan entrò per ultimo. Non sembrava più così convinto della mia decisione, nonostante fosse stato proprio lui a dirmi di essere pronto.

Sentivo il cuore battermi forte, così forte da sentirlo perfino dentro le orecchie. Era l'unico rumore. Tutti erano in silenzio.

– Di che cosa mi devi parlare? – mi incitò a parlare Dan.

Mi girai verso di lui. Accanto c'era il suo migliore amico, che aveva gli occhi fissi su un punto indistinto. I muscoli della mascella guizzarono più volte. Deglutii a vuoto. Cercai di formulare una frase. Osservai mio fratello: i suoi occhi pieni di amore e fiducia verso di me, il sorriso leggermente tirato per cercare di darmi una forza che evidentemente avevo perso in pochi secondi.

Deglutii ancora, per cercare di riprendere la voce.

Ryan si schiarì la voce e fece alcuni passi verso di me. – Ecco, Dan–

Qualcuno bussò alla porta.

Ryan posò gli occhi su di me, nervoso. Ora tutta la determinazione era esplosa dentro di lui: i suoi occhi blu erano accesi come non mai, a causa del coraggio e dell'adrenalina.

Ci guardammo attentamente. Sospirai, in difficoltà, e sembrò pronto a prendere in mano la situazione.

Daniel andò ad aprire la porta quando iniziarono a bussare incessantemente, borbottando alcune parolacce.

Ben entrò di scatto. – Dobbiamo andare. La squadra avversaria se la sta prendendo di brutto con la nostra – annunciò, nervoso.

Trasalii. – Che cosa? – chiesi.

– Quella di football? – chiese invece Daniel.

– Oh, mio Dio! – esclamò Callie. – Stanno facendo a botte?

– Justin è là? – volli sapere.

– Justin, Chris, Jaime, Louis, Chase e Damian sono là – rispose Ben, guardando mio fratello. – Dobbiamo andare.

– E fare cosa? – volle sapere Ryan, con tono di superiorità. – Intrometterci e picchiare tutti?

– Hai un'idea migliore?! – sputò Ben, rabbioso.

Ryan rimase in silenzio per un po', innervosito dal tono del suo amico. – In realtà, sì – rispose.

– Vengo anche io – esclamammo io e Callie.

– Col cazzo! – tuonò Daniel.

– Deitra – ringhiò Ryan. Si avvicinò a me, per poi mormorarmi all'orecchio: – Non penso sia il caso.

– Non me ne faccio niente del tuo pensiero – ringhiai. – Justin è là!

Ridusse gli occhi in fessure, sempre più arrabbiato. – Justin se la cava anche senza la tua presenza.

– Questo fallo decidere a me – ribattei.

Fece per dire qualcosa, ma richiuse immediatamente la bocca. I suoi occhi saettarono verso i suoi amici. Ridacchiò, nervoso, mentre gli altri continuavano a parlare animatamente. Si avvicinò, eliminando qualsiasi distanza: – Per Justin? Davvero? – mi chiese, a bassa voce.

– Gli voglio bene – risposi io, tenendo gli occhi su di lui, per non perdere la gara che stava avvenendo tra noi.

– Tu.. gli vuoi bene? – ripeté. – Fino all'altro ieri eravate praticamente scopamici.

– Ora chi è che sta facendo una scenata di gelosia? – gli chiesi.

Si allontanò di scatto, come scottato. Mi incenerì con lo sguardo.

– Andiamo – ripeterono Ben e Dan.

– Andiamo – confermai.

– Wow, Bionda! – esclamò. – Non andrai da nessuna parte. Oltretutto... sei praticamente una preda con questi vestiti addosso.

Mi guardai. – Stavo correndo – ringhiai.

– Sì, e adesso hai un top e dei leggings... Col cazzo che vieni – digrignò i denti Dan.

– Smettila.

– Non la smetto.

– Daniel.

– D, tuo fratello ha ragione – si intromise Ryan. – Non puoi venire. Smettila.

Ridacchiai. – Guardatemi.

***

Il caos regnava.

Era una massa di gente. Erano tutti così accalcati tra loro che non riuscivo più a distinguerli.

Avevo gli occhi sgranati.

Nonostante il freddo, c'era un caldo al di fuori della norma.

Guardai Callie, in preda al panico. Poi tutto ci inghiottì, nonostante gli avvertimenti di Daniel di mantenere la distanza.

Gemiti ed urla.

Iniziai a sentire il rumore dei pugni, delle ossa in sofferenza... la puzza del sangue mista ad alcol.

Mi guardai attorno, in difficolta, e notai immediatamente Dan aiutare dei suoi amici. Spintonò alcuni ragazzi, per poi dare alcuni calci.

Venni spintonata, semplicemente perché un ragazzo aveva spinto un altro.

Afferrai il ragazzo che stava per cadere non appena notai la maglia della nostra squadra, tuttavia cademmo insieme, perdendo definitamente l'equilibrio.

Lo guardai, mentre mi stava completamente sopra. Dal naso gli colava il sangue ed aveva un taglio sullo zigomo. Mi guardò, confuso, e dopo alcuni secondi mi riconobbe.

Alcuni ragazzi ci pestarono, per poi perdere l'equilibrio poco lontani dai nostri corpi.

Tolsi il ragazzo da sopra di me, spingendolo via. Gemette, cadendomi accanto. Mi alzai di scatto, nonostante le gomitate, e lo afferrai malamente. – Alzati, cazzo! – tuonai, tra il resto delle urla ed il caos della rissa. Non mi sentii perfino io, figuriamoci il ragazzo.

Tuttavia, quando strattonai nuovamente la mano riuscì a prendere lo slancio per alzarsi. Feci alcuni passi indietro, andando a sbattere contro un altro corpo. Mi girai, confusa, e sentii una gomitata in pancia.

Gemetti, sentendo un dolore acuto.

Il ragazzo che mi aveva appena dato una gomitata non aveva la maglietta della nostra squadra, quindi mi ritrovai a prendere qualcosa a terra simile ad un cellulare e tirarglielo con cattiveria. Il ragazzo sussultò e cercò di girarsi, ma un altro ragazzo prese la palla al balzo e gli tirò un cazzotto, facendo stramazzare a terra il ragazzo dalla maglia verde.

Riconobbi nell'altro ragazzo i tratti dell'amico di mio fratello, Jaime. Sbottò a ridere riconoscendomi. Fece per dire qualcosa quando un altro ragazzo lo caricò manco fosse Rugby.

Sgranai gli occhi e mi ritrovai a dare un calcio all'incavo del ginocchio dell'altro ragazzo, il quale perse l'equilibrio e cadde a terra con ancora attaccato Jaime.

Quest'ultimo iniziò a tirare cazzotti a raffica al suo nemico, facendogli prendere totalmente la presa.

– D?

Mi girai e notai immediatamente gli occhi preoccupati di Justin. Corsi da lui. – Stai bene? – gli chiesi, nonostante avesse già un occhio nero ed il sopracciglio spaccato.

– Che diavolo–

Qualcuno fece per dargli un cazzotto, ma Justin afferrò la mano del ragazzo e pochi secondi dopo trovai un altro corpo a terra.

Feci un passo indietro.

Justin ammiccò. – Ho fatto karate – ammise.

Annuii.

Cercai di dire qualcosa, ma venni scaraventata a terra.

Misi le mani davanti al viso per cercare di attutire il colpo con l'asfalto.

Il naso iniziò a farmi terribilmente male.

Poco dopo sentii qualcosa di caldo bagnarmi le labbra.

Justin mi afferrò per il top e mi spinse via, incitandomi a prendere le distanze da quel caos.

Alcuni secondi dopo iniziammo a sentire delle sirene.

Sirene della polizia.

Alcuni ragazzi della squadra iniziarono ad entrare nel panico.

La gente, sentendo le sirene, decise di prendere subito le distanze, urlando insulti.

Tutto sfumò con velocità.

In preda al panico ed alla confusione, mi resi conto di non vedere più nessuno di famigliare, quindi decisi di correre via insieme a molti altri, pur di prendere le distanze da quel luogo e dalla polizia.

Corsi per molto tempo, fino a perdere qualsiasi contatto con le persone con cui avevo avuto a che fare fino a pochi minuti prima.

Mi guardai attorno. Il silenzio regnava nuovamente.

Il cellulare squillò.

– Pronto? – chiesi.

– Dove cazzo sei finita? – urlò mio fratello.

– Oh... non vi trovavo – confessai. – Quindi mi sono allontanata.

– Tu... tu... Ma sei stupida?! – tuonò mio fratello.

– Non provare–

Qualcuno afferrò il telefono di mio fratello.

– Mandami la posizione – si limitò a dire Ryan. – E rimani al telefono con me.

Dan iniziò ad imprecare ad alta voce, dicendo che non mi avrebbe mai dovuto portare.

Nel frattempo, mandai la posizione su WhatsApp a Ryan, il quale rimase in silenzio.

– Ok, sto arrivando – borbottò Ryan. Lo sentii entrare in macchina. – Parlami, D. Justin mi ha detto che ti hanno colpita.

Sbuffai. – Sto bene! Non c'è nessuno qua intorno.

– Non avresti dovuto allontanarti così – mi ammonì.

– Oh, avrei dovuto farmi prendere dalla polizia? – lo schernii.

Rimase in silenzio per alcuni secondi. – D – mi chiamò. – La polizia l'ho chiamata io. Era un mio amico quello dentro la volante.

Mi morsi l'interno della guancia. – Ah.

– Due minuti e sono là – annunciò. – Dove ti hanno preso? – cercò di chiedermi.

– Ryan, sto bene! – esclamai. – Fa solo un freddo fottuto!

Ringhiò. – Questo perché decidi sempre di fare di testa tua da due anni a questa parte – sputò.

Ridacchiai. – Come se non fosse la ragione principale per cui hai iniziato a provare qualcosa per me – lo presi in giro.

Sembrò pensare per quasi un minuto. – Non è così – replicò, freddo. – Ho iniziato a provare qualcosa per te nel momento esatto in cui mi sono reso conto che non ti avevo mai visto davvero.

Trattenni il respiro. Con gli occhi attenti, chiesi: – E quando te ne sei reso conto?

– Quando hai aperto la porta per prima, anni fa – rispose, senza troppi problemi. – Non ci vedevamo da mesi, forse è stato proprio il distacco a farmi rendere conto di quella che era la realtà.

Sorrisi. – Stavo per dirgli di noi – mormorai, guardando a terra, con il cuore pieno di felicità e le guance rosse.

– Anche io – sussurrò.

– Non è più serata – ridacchiai.

– Purtroppo no – confermò.

– Non me ne sono mai accorta – ripresi il discorso, mordicchiandomi il labbro. Mi veniva naturale parlare senza farmi troppe paranoie, e non era da me. Eppure, da qualche mese non riuscivo proprio a fare il contrario con lui... solo con lui. – Pensavo di essere... invisibile.

– Perché per un po' lo sei stata – borbottò. – Non ne vado fiero.

– Eravamo dei bambini – sussurrai, con le guance rosse. Ero abituata ad essere quella invisibile, non mi aveva mai dato fastidio, anzi mi ero sempre sentita al sicuro... lontano dagli occhi della gente. Certo, aveva iniziato ad andarmi stretto quel mantello dell'invisibilità con il sentimento crescente verso Ryan, e poi anche verso Aiden; tuttavia, non avevo mai voluto metterlo da parte. Faceva parte di me, non ero mai stata una di quelle persone in cerca di attenzioni.

– Mi nascondo dietro questa scusa allora – disse semplicemente.

La macchina di Ryan accostò, quindi mi affrettai ad entrare. Rabbrividii, al lato del passeggero. Mi fece segno di guardare dietro. – C'è un giacchetto, prendilo.

– Questo è il giacchetto che usi per le ragazze che devi riportare a casa? – lo stuzzicai, sorridendo maliziosamente.

I muscoli della mascella si irrigidirono, facendomi capire di non essere in vena di scherzi. – Vorrei parlare di quello che è successo prima – annunciò.

Feci finta di non capire, quindi lo guardai con occhi grandi e confusi. – Che cosa?

Mi ammonì con un'occhiata. – Vuoi sentirtelo dire, va bene – borbottò. Mise nuovamente in moto la macchina e si rimise in carreggiata. – Quando siamo arrivati, stavi salendo le scale... stavi andando a casa di Aiden.

Deglutii e guardai fuori, per rimanere lucida. – Non stavo andando da Aiden, pensavo di aver visto un'altra persona – replicai, continuando a guardare fuori.

– E chi?

Rimasi in silenzio, in difficoltà. Non volevo sembrare pazza o paranoica, eppure ero abbastanza sicura che quel ragazzo fosse proprio il migliore amico di Aiden. Sebbene la paura, non me la sentivo di dire la verità a Ryan, semplicemente perché avevo paura dell'ennesima reazione a discapito di Aiden. Non volevo proteggere il mio ex ragazzo, ma avevo la sensazione che la situazione fosse già senza alcun controllo... Sapevo di non dover aggiungere altro, perché era già piuttosto critica.

Sospirò, frustrato. – Stai di nuovo omettendo qualcosa – ringhiò, guardando la strada. – Perché?

– Posso tenermi delle cose per me? – chiesi aspramente, girando il viso verso di lui.

Non rispose.

Non mi guardò.

Chiamò velocemente mio fratello per avvertirlo che mi avrebbe portato a casa mia e Dan annunciò la volontà di Callie di rimanere a casa loro.

Quando attaccò, ricominciò a parlare: – C'è qualcosa che ti preoccupa, lo vedo. Se non me lo vuoi dire va bene, ma sappi che se ti succede qualcos'altro, smetterò di preoccuparmi della sanità mentale di tuo fratello.

Mi vennero i brividi. – Che vuoi dire?

– Che credo sia l'unico ad impazzire – rispose. Il tono era così freddo e calcolatore che quasi mi spaventò. Era questa la parte che stava tornando in lui ultimamente: calcolatore e freddo come il padre, così tanto da risultare cattivo ed egoista. – Quando si tratta di te.

– Non te lo perdonerei mai – ringhiai. – Dan non può sapere niente di tutta questa storia.

– Forse essere perdonato non è in cima ai miei interessi – replicò.

Aggrottai la fronte, arrabbiata. – Provaci e poi ne riparliamo. Non mi hai mai vista arrabbiata – aggiunsi.

Rise amaramente. – Pensi di potermi spaventare?

– Non è la paura che userei con te – risposi, senza smettere di guardarlo con convinzione.

Strinse leggermente il volante. – E che cosa useresti?

– Me.

Girò il viso verso di me, confuso e leggermente innervosito dalla mia risposta. Poi riportò l'attenzione sulla strada, con le spalle leggermente più rigide.

Parcheggiò accanto alla mia macchina e spese il motore. Sospirò, posando la testa sul poggiatesta. I suoi occhi trovarono immediatamente i miei. – Non sono una persona insicura, D – iniziò, continuando a tenere i suoi occhi blu su di me. – Ma ti prego di spiegarmi perché quando ci sei tu di mezzo non riesco ad essere imparziale quando ti vedo preoccupata per altri ragazzi.

Sorrisi dolcemente. – Sei geloso.

– Non sono una persona gelosa – borbottò facendo una smorfia disgustata. – Non lo sono mai stato. Di certo non inizierò adesso.

– Sei geloso di me – lo provocai.

Strinse i denti per alcuni secondi. – Oggi sei corsa per andare ad aiutare Justin – disse.

– Gli voglio bene, Ry – ammisi, posando una mano sulla sua, che si trovava ancora sopra il cambio. – Non è il ragazzo egoista e superficiale che fa pensare di essere.

– Te lo stavi per fare nel bagno di Ben, questo non è solo affetto – ringhiò.

Strinsi le labbra, leggermente imbarazzata. – Non l'ho pensato minimamente – risposi. – Quella sera ero semplicemente ferita dalla distanza che dovevo tenere.

Sospirò, chiudendo gli occhi, frustrato. – Dobbiamo dire la verità a Daniel.

– Lo faremo – mormorai. – Ma non oggi.

– Ho parlato con Katy – se ne uscì, aprendo gli occhi per guardarmi. Annuii, mordicchiandomi il labbro. – Ho preso le distanze.

Ripensai alla richiesta di Katy di lasciarlo andare e mi sentii stranamente in colpa.

– Non ci riesco più, D – continuò. – Questa cosa tra me e te... è esplosa senza alcuna riserva e non sono in grado di renderla... rendermi lucido. Non sono mai stato romantico, e lo sai. Non lo sarò mai. Ma non riesco più a stare con nessun'altra, e so che è lo stesso per te.

Arrossii. – Ryan, per me è stato sempre così.

Nel suo viso passò un'ombra. – Non esagerare.

Ridacchiai. – Ryan, non penso di aver mai amato qualcun altro – continuai. – E sì, questo forse mi rende patetica, ma Aiden... era più un'idea. Non era reale. Era una cosa... idealizzata.

– Non farlo.

– Cosa?

– Non renderlo così fottutamente bello.

Aggrottai la fronte, confusa. – Che cosa?

– Questo – replicò indicando me e lui. – Non sarà sempre così. L'amore cambia nel tempo.

Scostai la mano dalla sua. Lo analizzai. Era spaventato? Arrabbiato? Tormentato? Non lo sapevo. Era un miscuglio, qualcosa di così mischiato da non essere individuato. Era qualcosa di profondo e radicato dentro di lui. – Forse è vero – risposi. – Anzi, sicuramente cambia nel tempo, ma questo non lo rende meno reale o meno forte.

***

Ci ritrovammo in cucina. Ryan era diventato più silenzioso, anzi non aveva proprio proferito parola da quando eravamo entrati a casa.

Mi aveva fatto un cenno, facendomi capire che voleva togliermi quello che rimaneva del sangue che era uscito dal naso ma che ovviamente avevo già tolto quasi totalmente.

Posò le mani sui miei fianchi e mi alzò, quindi mi misi seduta sul piano della cucina. Lo osservai attentamente, mentre cercava di medicarmi il naso. Mi resi conto solo in quel momento che aveva le nocche spaccate.

Allontanai il viso, facendogli capire che non avevo più bisogno del suo aiuto, quindi lo vidi alzare lo sguardo sui miei occhi, affatto convito.

Presi il disinfettante e un po' ovatta, per poi prendergli delicatamente la mano. Gli carezzai dolcemente il dorso con il pollice e, quando posai l'ovatta sui tagli, strinse la mia mano, trattenendo un gemito di dolore.

Sospirai. – Siamo tutti abituati ad un'idea di amore sbagliato – iniziai, senza guardarlo. Puntai gli occhi sulla sua mano. – O perché travagliato, o perché vendicativo o perché... traditore. – Alzai gli occhi su di lui, tenendo il mento abbassato. Mi guardò con diffidenza ed i muscoli della mascella si irrigidirono. – So che hai avuto un esempio sbagliato, tua mamma deve aver influenzato molto la vostra vita.

Sospirai, in difficoltà, con il cuore in gola.

Non aveva smesso di incenerirmi con quei suoi occhi profondi. – Non ti sto dicendo che ti amerò per sempre. Ti sto dicendo che per me, da quando hai varcato la soglia per la prima volta a casa nostra, sei sempre stato tu. Forse non lo sarai per sempre, ma non è per forza una cosa sbagliata. Ti sto dicendo che per me, per il momento, sei il solo.

Mi alzò il mento, tenendo ancora stretta la mia mano nella sua, e mi sussurrò: – Ti appartengo totalmente.

Qualcosa dentro di me scoppiò ed era felicità, speranza e tanto amore. Un amore che avevo covato per anni ed era finalmente libero di essere.

Gli afferrai il capo per attirarlo completamente a me. Lo baciai intensamente, stringendo le gambe attorno ai suoi fianchi.

– D... – mormorò sulle mie labbra, per cercare di interrompere il bacio.

Gli mordicchiai il labbro inferiore e sussultò leggermente. Strinse la presa sui miei fianchi, annaspando leggermente, quando gli mordicchiai e succhiai il punto più debole sotto l'orecchio, alzandogli leggermente la maglietta per esplorare i muscoli della schiena.

Lo tirai a me, per poi sussurrargli: – Sin da ragazzina, ho sempre pensato a te in questo modo. Ho desiderato toccarti, baciarti...

Gemette buttando la testa indietro e chiudendo gli occhi. – Cazzo...

– Ho sempre pensato a te – mormorai, muovendo la mano sulla sua lunghezza contro i suoi pantaloni.

Trasalì e spinse i fianchi contro la mia mano, mugolando a bassa voce. – Pensavi a me? – chiese, continuando a tenere gli occhi chiusi.

– Sì – confermai, torturandogli il collo.

– Deitra... – mormorò, quando infilai la mano dentro i suoi pantaloni.

Gemette non appena iniziai a muovere lentamente la mano su di lui, seguendo i movimenti dei suoi fianchi. Sentii i muscoli fremere sotto le dita dell'altra mano, che esplorava il suo petto muscoloso. Lo baciai avidamente e ricambiò con la stessa potenza.

Mi afferrò i capelli affinché lo guardassi negli occhi. Erano diventati delle pozze nere. Le labbra socchiuse da ci uscivano dei leggeri mugolii quando gli toccavo la punta erano il suono più eccitante che avessi mai sentito.

Non staccò gli occhi dai miei, sussultando leggermente. – Sto per impazzire – deglutì sonoramente posando la fronte sulla mia. – Non mi basta più... – aggiunse, cercando di abbassare i leggings.

Serrai le cosce, non dandogli la possibilità di toccarmi.

Sibilò, contrariato. – Non farlo.

– Voglio sentire soltanto te – mormorai, stringendo leggermente la presa sulla sua lunghezza. Dovette posare le mani sul piano accanto ai miei fianchi per reggersi.

Lo sentii tremare leggermente. Chiuse gli occhi e deglutì a vuoto, aggrottando la fronte. – Ti voglio sentire – mormorò. – In realtà... vorrei stare dentro di te.

Gemetti e questo sembrò fargli cedere leggermente le gambe. Lo baciai nuovamente, inseguendo la sua lingua. Gli succhiai avidamente il labbro inferiore.

– Che cazzo, Deitra – mi ammonì, tremando.

Ridacchiai, con la voce roca. Deglutì, con le guance rosse, sentendo la mia voce.

– Ti prego, D... – sussurrò, mordicchiandomi il mento. – Accelera, mi stai facendo impazzire.

Eseguii l'ordine, ma per pochi secondi.

Gemette. – D... per favore...

Ridacchiai, stringendo le cosce, mentre mi sembrava di poter quasi venire soltanto sentendolo parlare in quel modo e sentendo quanto mi volesse. Tuttavia, feci definitivamente come mi era stato chiesto: aumentai leggermente il ritmo.

Annaspò, muovendo i fianchi per cercare di aumentare ancora di più il ritmo. – Fanculo – ringhiò, quando aumentai la pressione. Tremò tremendamente. – Fanculo, Deitra – ripeté, per poi afferrarmi il top e togliermelo totalmente. Rimasi completamente scoperta. Sentii le guance andare a fuoco e cercai di coprirmi, ma mi afferrò la mano. – No. No.

– Ryan...

Fu sul mio seno, torturandolo delicatamente, mordendo e leccando.

Annaspai e tutto attorno a me divenne sfogato. Gemetti, quando mi morse con foga e gli tirai i capelli. Mosse i fianchi, accelerando il ritmo, mentre io mi perdevo leggermente sulla sua bocca su di me, mentre con l'altra mano mi torturava il capezzolo dell'altro seno.

– Oh... – mormorai, quando succhiò senza alcuna delicatezza.

– Deitra... D... – mi chiamò, quando strinsi la sua lunghezza e mossi più velocemente, esattamente come voleva lui. Mi torturò senza alcuna riserva. Distrattamente, mi ritrovai a dondolare i fianchi e lui si avvicinò immediatamente. Trasalii quando feci attrito sulla sua cosca. – Sei uno spettacolo – mi disse all'orecchio. Si mosse velocemente sulla mia mano, mentre con l'altra mano portava i miei fianchi verso di lui.

– Fermati – ringhiai, quando iniziai a tremare per l'eccitazione.

– Non voglio prendere e basta – disse lui a denti stretti. – Quindi... – Mi prese in braccio e mi portò velocemente sul divano. Si mise seduto, mettendomi a cavalcioni su di lui. – Però adesso mi devi ascoltare – mormorò, posando le labbra sul mio orecchio. – Oppure ti tolgo tutti i vestiti e ti prendo qua.

Trasalii e annuii.

Mi guardò negli occhi, tremando leggermente. - Era un sì? 

- Sì.

Per un secondo sgranò gli occhi, come incredulo, ma non se lo fece ripetere una seconda volta. Si alzò, tenendomi in braccio, quindi strinsi le gambe attorno ai suoi fianchi, mentre lui mi teneva stretta a lui con un solo braccio.

Aprì freneticamente la porta della mia camera, per poi richiuderla con un calcio. Ricominciò a baciarmi, riposandomi a terra. Afferrai i suoi capelli, mugolando, mentre le sue mani si infilavano dentro i miei leggings per abbassarli definitivamente. Li scalciai velocemente e tornai a baciarlo. 

Mi strinse a lui, afferrandomi la nuca per baciarmi più affondo. Mi alzai in punta di piedi, per una necessità di averlo più vicino. 

Gli strattonai i jeans, facendogli capire la mia esigenza, ma non si mosse: continuò a tenermi stretta a lui, mentre i suoi fianchi di tanto in tanto si spingevano verso di me. Capii quindi che voleva che lo spogliassi io. 

La lampo era già abbassata, pertanto mi limitai a tirare i jeans ed i boxer giù. Sospirò, come se fosse finalmente soddisfatto. Mi allontanai un po', per sfilargli anche la maglietta.

Mi afferrò per le natiche, riprendendomi in braccio, per posarmi dolcemente sul letto. Si posizionò sopra di me, osservando attentamente ogni centimetro del mio corpo. Aveva gli occhi quasi illuminati dalla lussuria e le guance leggermente rosse. Si mordicchiò il labbro inferiore per non sorridere, facendomi arrossire maggiormente. 

Non ero mai stata sfacciata, in realtà la nudità mi aveva sempre imbarazzata. 

Mi lasciò un bacio veloce sulla clavicola, abbassandosi leggermente su di me. La sua erezione premette sul mio ventre, facendomi rabbrividire. Mordicchiò la pelle sensibile del collo, risalendo fino alla mia bocca, per poi mordere anche il labbro inferiore. 

Mi inarcai gemendo lievemente. Aprii leggermente le gambe, per fargli spazio. 

- Mmh - mormorò lui, baciandomi. Scostò leggermente lo slip e le sue dita furono prima su di me, poi dentro di me. Mi spinsi contro di lui, socchiudendo le labbra. Lo trovai a guardarmi con intensità. In quel momento, mi trasmise solo amore. 

Fece pressione sul punto che più mi stava facendo soffrire, facendo entrare il secondo dito dentro di me. 

- Ryan... - sussurrai inarcando la schiena, muovendomi insieme a lui. 

- Sì, tesoro? - mi chiese. 

Aprii leggermente gli occhi per osservarlo, in difficoltà. 

Mi sorrise maliziosamente. - Proprio quello che volevo - commentò, prima di tornare a baciarmi i seni. Mordicchiò e succhiò dolcemente, facendomi trasalire. 

Sentii il mio corpo sull'orlo del precipizio, quindi mi irrigidii e gli afferrai la mano. - Ti prego - mormorai. 

- Cosa? - mi sfidò, fermandosi. 

- Basta - sussurrai. 

Mi sorrise maliziosamente. - Basta?

- Ry - lo richiamai.

- Mi piace quando mi chiami così, con questo tono - mormorò, prima di baciarmi. Tolse delicatamente la mano e mi abbassò definitivamente gli slip. Alzai i glutei, per aiutarlo. 

Afferrò freneticamente i suoi jeans, alla ricerca del preservativo.

Trattenne il respiro, appena iniziai ad accarezzarlo. Aggrottò la fronte, come sofferente. Si mise il preservativo velocemente. Lo guardai negli occhi, spostandomi leggermente sotto di lui, affinché riuscissi ad accoglierlo: un suo movimento, e sarebbe stato dentro di me.

I suoi occhi non lasciarono i miei. Si abbassò totalmente e lo sentii. Trasalii leggermente, spalancando gli occhi. Lo sentii gemere rumorosamente. Posò la fronte sulla mia spalla e si fermò. Guardai in basso, era ancora a metà. 

- Cazzo... - grugnì. 

Capii che stava cercando di trattenersi per non farmi troppo male. Dopotutto, stavo provando un leggero dolore. Aggrottai la fronte, confusa. 

- D - mi chiamò Ryan, il tono roco. Mi baciò, gemendo dentro la mia bocca. Quel rumore che tanto mi piaceva, mi spinse a roteare leggermente il bacino. Lo sentii entrare totalmente dentro di me.

Inarcai la schiena, annaspando. Lo baciai affondo, con passione, mentre iniziavamo a muoverci lentamente. 

Sembrò lasciarsi andare, mugolando e gemendo, facendomi tremare contro di lui. Nonostante i movimenti lenti, mi sentii esplodere poco dopo. Strinsi gli occhi, muovendomi contro di lui. E questo lo spinse ad accelerare i movimenti, entrando dentro di me con più convinzione. 

- Mio - mi mormorò all'orecchio. - Questo è stato mio. 

Arrossii, imbarazzata.

Mi morse il labbro inferiore, entrando con più prepotenza. - Non esserne imbarazzata - mi ammonì. Una mano mi strinse un seno con possessione. 

Lo spinsi a muoversi più velocemente, sentendo di nuovo quella dolce pressione crescere dentro di me. - Così - mormorai. 

- Mmh - mugolò lui, dandomi esattamente quello di cui avevo bisogno. 

Lo guardai, poco dopo, perdere il controllo. Lo trovai maledettamente eccitante. Si iniziò a muovere velocemente, dandomi a volte delle stoccate. Abbassò lo sguardo sul mio corpo, aggrottando la fronte.

Sentii di nuovo il piacere crescere dentro di me, fino al punto di non ritorno. Mi mossi freneticamente insieme a lui e mi sentii esplodere nuovamente. Strinsi le coperte. Tremai vergognosamente. 

Poche stoccate dopo, lo sentii irrigidirsi addosso a me. - Deitra! - esclamò, sussultando. 

Sgranai gli occhi, mentre ancora mi muovevo in preda al piacere.

Entrambi con il respiro corto, ci guardammo per alcuni secondi, come increduli. Potevo sentire il mio cuore battere forte. Lo poteva sentire anche lui?

Si sdraiò accanto a me, rivolto verso il soffitto, senza dire una parola. 

– Dormi con me – dissi.

Alzò la testa, preoccupato. – Daniel potrebbe...

– Digli che dormi da Katy.

Strinse i denti, affatto convinto. – Un'altra bugia.

– Dormi con me, Ry – ripetei.

Mi guardò per secondi che sembrarono interminabili. – Sì.

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