Capitolo 26: Impazzire
Ryan si avvicinò a me senza quasi farsi sentire.
Gli occhi si erano fissati da una parte e la mente da tutt'atra parte.
Sospirò, sedendosi accanto a me sulla panchina poco distante dal parcheggio del campus. – Ti vedo scossa – sussurrò.
– Lo sono – ammisi.
Mi guardò, cercò disperatamente i miei occhi senza trovare altro se non la mia guancia. – So che adesso è doloroso, ma è per renderlo... più sopportabile – disse.
– Sopportabile – ridacchiai, senza alcuna gioia. Lo guardai con una freddezza che sembrò irrigidirlo per lo spavento. – Sopportabile era il mio modo di reagire prima.
– Non stavi reagendo – mi riprese. – Stavi reprimendo.
– Forse è giusto così.
– Non lo è – ribatté, convinto. – Devi riuscire ad andare avanti.
– Non l'ho fatto? – ringhiai. – Ho cambiato città, amicizie e fidanzato... Non l'ho fatto?
Scosse la testa. – È molto più di questo, e lo sai.
– Forse è così semplice – ribattei. – Forse siamo noi che cerchiamo di renderlo più complesso, semplicemente perché non vogliamo ammettere che la morte sia un evento semplice.
– Semplice... – mi fece eco. – Raccontami, esattamente cosa lo ha reso semplice?
Guardai avanti a me. – La vita che lascia un corpo – dissi freddamente. – Questo è semplice.
– E che mi dici della vita che non lascia gli altri corpi?
Girai di scatto il viso verso di lui, ricominciando a sentire quelle lacrime esplodere dentro di me, per esprimere un dolore che non sarebbe mai stato realmente espresso da delle semplici lacrime o singhiozzi.
Annuì, afferrandomi di scatto. Mi strinse a sé, portandomi sulle sue gambe per avermi sempre più vicina. Mi baciò più volte la testa, sentendomi singhiozzare, e nascose il mio viso con le sue mani, per non farmi vedere così esposta da tutti gli estranei.
In quel momento, per quel gesto... lo amai.
Callie si avvicinò a noi velocemente. – Mi dispiace, ma sta arrivando... Daniel – mormorò, guardandomi dispiaciuta.
Ryan annuì, lasciandomi un ultimo bacio, per poi rimettermi sulla panchina. Non mi lasciò ugualmente, mi tenne vicino a lui.
Daniel smise di sorridere nel momento esatto in cui capì il mio stato d'animo. Guardò attentamente Ryan e sembrarono riuscire a comunicare solo tramite occhiate e cenni di testa.
Callie mormorò: – Lasciamola un po'...
Afferrò la mano di Daniel, il quale sembrò accendersi di speranza, e si allontanarono.
Ryan ricominciò ad accarezzarmi i capelli, avvicinando le labbra al mio orecchio. – Sei stata brava. Andrà sempre meglio. Bisogna soltanto... lasciare che il dolore faccia il suo corso – mi mormorò.
Nascosi il viso nell'incavo del suo collo, respirando affannosamente. Strinsi le sue spalle, fino a lasciargli quasi le mie impronte sulla pelle.
– Ci sono io... Non basterà, ma ci sono io – mi sussurrò.
– A me basti sempre – ammisi, toccando leggermente la pelle esposta del suo collo con le labbra.
Trattenne il respiro e mi strinse.
Mi portò a casa sua e caddi in un sonno profondo, completamente abbracciata a lui.
Quando mi svegliai, Ryan stava ancora accanto a me e non si era allontanato nemmeno un po'. La sua schiena era appoggiata sullo schienale del divano, mentre io mi ritrovato completamente appoggiata su di lui.
Stava cercando di scrivere qualcosa al cellulare con una sola mano, dato che l'altra era completamente schiacciata dal mio corpo.
Mi lanciò un'occhiata veloce, come a controllare che stessi bene, e quando si rese conto che mi ero svegliata tornò a guardarmi. – Ti sei riposata un po'?
Annuii, mettendomi seduta. Guardai fuori dalla finestra: era buio. – Non dovevi andare al lavoro? – chiesi, preoccupata. – Che ore sono?
– Ho detto che mi sentivo poco bene, avevo accumulato un po' di ferie – mi rispose tranquillamente, tornado a guardare il cellulare, con ancora le gambe allungate sul divano.
– Daniel?
– Sta cercando di convincere la tua coinquilina a riprovarci – bofonchiò, scrivendo qualcosa velocemente.
Grugnii, ricordandomi le parole di Callie. Tornai ad appoggiarmi su di lui e questo sembrò farlo sospirare sonoramente. Spostò il braccio da sotto il mio corpo per abbracciarmi e tenermi stretta a lui. Posò il mento sulla mia testa e si rilassò, lasciando andare il cellulare.
Mi accarezzò i capelli dolcemente e lasciò un veloce bacio sulla testa, sovrappensiero.
– A che cosa pensi? – gli chiesi.
– A tutto quello che è successo – mormorò, con la voce leggermente rauca. – A come una cosa del genere possa sembrare così giusta e così sbagliata al tempo stesso.
Alzai lo sguardo su di lui, inclinando la testa verso di lui. Abbassò gli occhi su di me. – Potrebbe non essere così sbagliato, basta non guardarci con malizia – dissi.
Strinse le labbra in una linea fina, per non ridacchiare. – Già – confermò con un'espressione quasi sarcastica. Probabilmente perché per lui era impossibile vedermi soltanto come una persona, dato che ero completamente sdraiata su di lui.
Ridacchiai. – Smettila.
– Non sto facendo niente – rise lui.
– Ah, no? – chiesi, alzando il viso verso di lui.
Abbassò immediatamente gli occhi sulle mie labbra, facendomi tremare leggermente il respiro. Le sue mani mi strinsero leggermente. – Credo che dovresti alzarti – sussurrò, senza alzare lo sguardo dalle mie labbra. – Subito.
Per qualche secondo pensai di fare l'esatto opposto, perché il suo respiro continuava a battere sulle mie labbra. I suoi occhi su di me erano il pretesto più bello per fare esattamente quello che il mio corpo mi stava pregando di fare.
Peccato fosse l'esatto opposto di quello che stava urlando la testa.
Mi misi seduta dall'altra parte del divano, con molta difficoltà.
Ryan si mise dritto, portando i piedi a terra, schiarendosi la voce. Si toccò nervosamente i capelli, guardandosi attorno. Sospirò, nervoso.
– Va tutto bene, Ryan. Ci siamo allontanati – cercai di tranquillizzarlo.
– Non va bene, Deitra – ringhiò. – Questa situazione sta diventando insostenibile. Più il tempo passa e più mi sembra normale averti. Allontanarti in questo modo mi sembra quasi innaturale.
Abbassai lo sguardo sulle mie mani, in difficoltà. – Forse dovremmo... tornare ad essere quelli di una volta.
Rise, senza alcuna vena di divertimento. – Come se non fosse già abbastanza una tortura in questo modo – ringhiò.
– Sto soltanto dicendo–
– Non ho intenzione di diventare di nuovo uno sconosciuto per te – ringhiò. – Fine della storia. Ci stiamo già privando abbastanza.
Girai di scatto il viso verso di lui, preoccupata. Perché avevo sentito un tono che non avevo mai sentito: era arrabbiato con mio fratello, lo stava incolpando. – Che cosa stai facendo? – sussurrai, la voce quasi comparabile a quella di una bambina.
Non mi guardò, tuttavia potei notare i muscoli della mascella guizzare. – Sto cercando di non perdere totalmente la lucidità – rispose.
– No, stai cercando di incolparlo – ribattei.
Sospirò, arrabbiato. – Non so più che cosa sia più giusto: ferire te o ferire lui. O meglio, mi spaventa il fatto che sono sempre più propenso a ferire lui, pur di non ferire te – ringhiò, senza guardarmi.
– Non è colpa sua – dissi io.
– Non è nemmeno colpa nostra – sbottò. – Forse Calliope ha ragione: questa situazione finirà male a prescindere, quindi tanto vale provare. Perché diavolo mi devo trovare a guardarti piangere perché non puoi stare con me, quando mi sembra più che palese il contrario?
– Lo sai perché – bofonchiai. Ryan era sempre stato riservato e imparziale. Sempre. Eppure in quel momento mi stavo ritrovando davanti una persona che non sembrava più volere sentire altro, se non quello di cui aveva bisogno lui. E mi stava spaventando.
– No, non lo so – ringhiò, alzandosi dal divano, per avanzare verso il frigorifero. Lo sentii stappare una bottiglia di birra. – Guardaci, Deitra. Mi sembra di avere tutto e di non avere niente allo stesso tempo. Eppure, davvero, guardandoci... non diresti che abbiamo tutto?
– Non avremmo Daniel – sussurrai.
– Daniel deve iniziare a capire che alcune cose vanno oltre il suo essere tradito – sputò, rabbioso.
– Ryan! – esclamai, con gli occhi sgranati.
– Calliope ha ragione. Proviamoci, e vediamo cosa succede – continuò.
Scossi la testa. – Ma che cosa–
La porta si spalancò e Daniel urlò: – Preparati! Andiamo ad una festa!
Ryan sospirò e mi alzai dal divano.
– Oh, D... Ci sei anche tu... –– bofonchiò mio fratello, confuso. – Che cosa sta succedendo? State litigando?
– No, no – replicai io. – Dove andate?
Dan si rabbuiò. – Da nessuna parte – mentì lui, guadagnandosi un'occhiata di fuoco.
– Ti ha sentito – borbottò Ryan, ancora arrabbiato.
– C'è una festa a casa di un coglione – bofonchiò Dan, per cercare di convincermi a non andare. – Pensa che è addirittura a tema.
– Tipo Halloween? – chiesi, incuriosita.
Dan posò il peso da un piede all'altro, in difficoltà. – No, peggio.
– Non sono interessato – borbottò Ryan. – Dovresti tornare a casa – aggiunse guardandomi.
– Che tema? – chiesi io.
– Deitra...
– Rispondimi, Dan.
Roteò gli occhi e rispose: – Euphoria.
Sgranai gli occhi e mi ricordai del vestito cutout perfetto che avevo comprato e mai indossato.
– No, Deitra. Non ho bisogno di vederti come una di quelle–
– Io vengo e verrà anche Callie – sghignazzai.
Dan fece per controbattere, ma il nome della mia coinquilina gli fece cambiare idea. – Cerca... cerca di coprirti bene – borbottò.
Risi e gli diedi un cazzotto sulla spalla. – Ho già in mente il vestito perfetto.
– Fanculo – mormorò Daniel.
***
– Fanculo – ringhiò Ryan, quella stessa sera.
Osservò lentamente il mio vestito che lasciava scoperte le gambe. Il vestito era tagliato appositamente lasciando intravedere i fianchi. La scollatura era ampia.
– Cosa? – chiese mio fratello, avvicinandosi al suo migliore amico. Seguì il suo sguardo per arrivare a me. – Che cazzo, D! – tuonò, avvicinandosi a me. – Torna subito a casa!
Risi. – No.
– Avevi ragione, questa festa è una bomba! – urlò Callie, sfoggiando il suo top senza reggiseno sotto ed i pantaloni a vita alta leggermente trasparenti.
Daniel diventò bianco in faccia.
Posò gli occhi prima su di lei e poi su di me, scioccato.
Evidentemente non sapeva chi coprire con il proprio giacchetto per prima.
Callie incrociò le braccia, arrabbiata, e lo osservò: – Ci sei anche tu...
– Calliope – ringhiò Daniel. Era completamente in preda al panico: sicuramente vedere la sua ragazza vestita in quel modo lo faceva sentire profondamente geloso ma anche maledettamente felice.
– Sì, è il mio nome – disse lei con una smorfia, prima di andarsene.
Daniel le corse dietro.
Ryan aveva dei semplici jeans con una maglietta scura e stava continuando ad osservarmi. Si avvicinò a me e si grattò distrattamente il sopracciglio, con un sorriso soddisfatto.
– Perché continui a guardarmi così? – gli chiesi, titubante. Dopo la nostra ultima conversazione, non sapevo se essere spaventata o felice di quella sua espressione.
– Credo di essere leggermente brillo – ammise. – E vederti vestita così mi rende ancora più felice.
Mi rabbuiai. – Felice – gli feci eco io.
Sogghignò, portandosi alle labbra la lattina di birra. – Non sono come tuo fratello – spiegò. – Questo vestito ti sta d'incanto ed amo come tutti non siano in grado di non osservarlo.
Deglutii, leggermente confusa. Mi guardai attorno, in cerca di una risposta, ma non vi trovai niente di sensato da dire. Forse perché mi ero resa conto con il tempo che odiavo il modo in cui le ragazze si accorgevano del modo di camminare di Ryan, del suo andamento calmo ed elegante, o di come il suo corpo sembrasse sempre così controllato ed attraente.
Eppure, lui mi stava dicendo l'esatto opposto.
– Quindi... non sei geloso – cercai di definire la sua frase.
Mi sorrise dolcemente. – Non sono geloso delle persone. Possono guardare, anzi devono essere coscienti della tua bellezza. Non sono nemmeno geloso dei ragazzi che sono realmente interessati a te, fino a quando sono consapevole del tuo modo di guardarmi – replicò.
Il mio cuore sembrò uscire dal petto, per atterrare sulle sue mani. Lo guardai con occhi spaventati. – Come ti guardo? – sussurrai.
Non mi sentì, ma riuscì a leggere il labiale. – Come se fossi l'unico ragazzo sulla terra – rispose lui, con uno strano luccichio negli occhi.
Arrossii terribilmente. Odiavo il mio modo di non riuscire a nascondere il sentimento che sembrava pompare il sangue diversamente da qualche tempo.
– Certo è che vederti, per esempio, insieme a Justin mi crea un certo fastidio – ammise, alzando lo sguardo sulle persone dietro di me. Sembrò adocchiare una persona. Sorseggiò la birra, sovrappensiero. – Dopotutto è un mio amico.
– Mmmh – dissi semplicemente. Sebbene non fosse una persona gelosa, il saperlo infastidito per una mia vicinanza verso qualcun altro mi procurava un pizzicore tremendamente piacevole alla pancia.
Sembrò capirlo, perché sorrise maliziosamente. – Per non parlare della sua bocca larga quando si trattava di raccontarci di te – aggiunse. – Non si tratteneva mai da commenti ed entrava sempre... nei dettagli.
Annaspai leggermente, in difficoltà.
Scrollò le spalle, con un sorrisino soddisfatto. – Più entrava nei dettagli e più mi venivano in mente idee per farti capire che non dovevi stare con lui.
– Ryan, smettila – dissi io, con la voce leggermente rauca.
Si portò la lattina alle labbra con gli occhi puntati su di me. – Non vuoi sentire i modi in cui avevo intenzione di farti cambiare idea? – volle sapere.
– No – dissi, per poi allontanarmi da lui.
C'era qualcosa di diverso in lui, qualcosa che mi spaventava molto. Non sembrava più voler tutelare la sua amicizia con Dan, anzi mi punzecchiava sapendo quello che avrebbe procurato dentro di me.
Strinsi le mani, frustrata.
Trovai immediatamente Michael, intento a parlare con la ragazza di cui non faceva altro che parlarmi. Mi avvicinai timidamente a loro, in cerca di riparo.
– Deitra – mi salutò Michael, porgendomi un bicchiere di carta rosso pieno di un liquido. – A quanto pare in Euphoria bevono alcol di merda. Tieni.
Bevvi avidamente.
– Wow – bofonchiò la ragazza. – Qualcuno non sta avendo una bella serata.
– Mi sto calando nella parte – borbottai asciugandomi i lati delle labbra. Feci una smorfia disgustata, sentendo lo stomaco bruciare tremendamente. – Ma che roba è?
– Te lo avevo detto che faceva schifo – mi riprese Michael. – Che succede?
– A quanto pare Callie e Ryan si sono coalizzati – annunciai. – E Ryan ha deciso di rendermi la vita un inferno.
– Ah, sì – confermò Michael. – Callie mi ha parlato del suo nuovo piano, ma credo sia una nuova idea nata sulla base della rabbia nei confronti di Daniel, che a quanto pare è ancora innamorato della sua ex.
Feci una smorfia disgustata. – Non lo è affatto! – esclamai.
Scrollò le spalle. – Ripeto quello che mi è stato detto – disse.
Osservai la ragazza adorabile che aveva catturato l'attenzione del mio amico: aveva dei capelli lunghi e castani, grandi occhi scuri, le labbra piene ed il nasino all'insu. Aveva un viso innocente. Sembrava molto riservata ed introversa.
Sorrisi, porgendole la mano. – Piacere, io sono Deitra.
– Oh... piacere, Annalise.
Cercai inutilmente di parlare con lei, tuttavia non sembrava molto intenzionata a mandare avanti una conversazione. Capii quindi di doverli lasciare da soli. Sorrisi ad entrambi ed andai a cercare qualcun altro a cui dare fastidio con la mia presenza.
Prima però dovevo andare in bagno.
Aprii la porta e quello che vidi mi scioccò all'istante.
Aiden ed il suo amico erano chini sulla lavatrice.
Il viso di Aiden era completamente rivolto sulla polvere che si trovava sulla lavatrice.
Stava sniffando.
Sgranai gli occhi e trattenni il respiro.
Aiden alzò lo sguardo completamente fatto su di me.
Mi girai e chiusi la porta, andandomene in fretta.
La porta si spalancò e mi afferrò malamente il gomito. Con forza mi spinse a girarmi. – No, no... Dei, ascolta...
– No.
– Ascolta.
– Lasciami! – urlai io, con le lacrime agli occhi, allontanandomi da lui. Per l'irruenza, battei la schiena nuda sul muro, pur di aumentare la distanza tra noi.
– Non capisci...
– Non è affare mio – mormorai. Avevo il cuore distrutto. Lo stavo sentendo sgretolarsi all'interno della mia gabbia toracica. Per qualche strana ragione, mi dispiaceva immensamente trovarlo sempre ad un passo dal toccare il fondo. Mi dispiaceva vederlo sempre più propenso alla distruzione, come se tutto quello di buono che aveva da dare non fosse più presente nella tua testa. C'era, doveva esserci, perché nessuno è mai realmente cattivo e basta. Lui era anche buono, io avevo conosciuto anche quella parte di lui.
– Per favore, ascoltami – sbiascicò.
– Non voglio ascoltare – ringhiai. – La realtà, Aiden... è che forse per te è troppo tardi.
Mi guardò, confuso. Era visibilmente rallentato. – Non... non dire così. Sto male. Non averti mi sta distruggendo.
Risi, senza alcuna gioia. – Quindi ora è colpa mia se tu hai iniziato a drogarti – tradussi, furiosa.
– Ei, bionda – ammiccò il suo amico. Quello era il fidanzato della ragazza che mi aveva dato uno schiaffo. – Non scaldarti così. Stiamo facendo esattamente quello che farebbero i personaggi di quel telefilm.
– Vai a farti fottere – ringhiai.
– Potresti farlo tu, dopotutto la mia ragazza ti ha già messo le mandi addosso una volta – sogghignò.
Aiden scosse la testa, frustrato.
Non riuscii a trattenere una smorfia schifata. – Mi fai troppo schifo, mi dà la nausea anche soltanto il tuo viso, figurati il tuo cazzo – sputai io. Ero consapevole di essere rossa dall'imbarazzo e dalla rabbia, ma il ragazzo era anche troppo fatto per rendersene conto.
Il ragazzo sbottò a ridere.
– Vattene – ringhiò Aiden.
Aggrottai la fronte, arrabbiata. Mi stava cacciando semplicemente perché non aveva il coraggio di dire al suo unico amico che non doveva provarci con me, perché evidentemente era ancora geloso.
– Ti ho detto vattene! – sbottò Aiden, spingendomi brutalmente.
Sbattei nuovamente la schiena al muro.
Trasalii. – Sei matto?! – urlai. – Che cazzo di problemi hai?
– Tu sei il mio problema! – tuonò, avvicinandosi pericolosamente a me, rabbioso.
Nei suoi occhi vidi il vuoto per la prima volta. E ne fui spaventata.
– Torna dal tuo unico vero amore – continuò, spingendomi nuovamente.
Gli tolsi le mani di dosso e lo spintonai. – Torna in te, coglione.
Feci per andarmene velocemente, quando lo sentii urlare: – Torna a scoparti il migliore amico di tuo fratello! Tanto non sai fare di meglio! Dopotutto, sei sempre stata una puttana.
D'istinto, mi girai verso di lui, pronta a sbottare.
Poi sentii una voce, quella di Ben: – Sono così stufo di levarti dal cazzo ogni volta – disse lui, rivolto ad Aiden. – Non sei il benvenuto.
Aiden non se lo fece ripetere due volte. Avanzò con fare spocchioso, senza togliermi gli occhi di dosso. Strinsi le mani, furiosa, mentre il cuore pompava nient'altro che rabbia dentro di me. Si fermò davanti a me e si avvicinò al mio orecchio, per poi sussurrare: – Con questo vestito sei esattamente quello che sei sempre stata con me.
Trattenni il respiro. Gli afferrai malamente i capelli, facendolo ridere, mentre la sua testa si piegava contro la sua volontà. – Almeno non mi faccio più un povero sfigato come te – gli ringhiai all'orecchio.
– Deitra! – esclamò Ben, togliendo di scatto Aiden dalla mia presa. – Che cazzo ti prende?!
Aiden era rosso dalla rabbia e respirava affannosamente.
– Torna da paparino, dopotutto almeno lui sapeva tenerti a bada – aggiunsi.
– Brutta... stronza! – tuonò, cercando di saltarmi addosso.
Ben gli diede un cazzotto, che lo fece stramazzare a terra. – Levati dai coglioni. Ora!
Lo osservai andare via, con l'aiuto del suo amico.
– C'è qualcosa di profondamente malato tra voi due – commentò Ben, prima di andarsene.
– Ben... – sussurrai, rendendomi conto che probabilmente aveva sentito quello che aveva detto Aiden su me e Ryan.
– Ascolta – disse a bassa voce, fermandomi, più serio che mai. – A me non interessa quello che Ryan fa o non fa con te, ma non voglio sapere niente.
– Non–
– Cazzate – mi fermò lui. – Pensi sia così stupido da non vedere il modo in cui guarda, o meglio non guarda Katy? Tu potresti essere la risposta a tutte le domande che gli ho fatto più di una volta. Per una volta però... non voglio sentirle. Non voglio vedere. Non voglio sapere niente. Perché tutti sappiamo come la pensa Dan.
Trattenni le lacrime, sentendomi terribilmente in colpa ed anche... sporca.
– Abbiamo sempre saputo dei tuoi sentimenti per lui – continuò. – E, ti ripeto, non voglio sapere altro. Ma c'è una cosa che non sopporto: ed è vedere un uomo ed una donna litigare in quel modo. Potrai anche amare Ryan, ma fino a quando non chiuderai totalmente con quel coglione... non potrà mai esserci altro se non una malattia.
Mi girai per guardare Ben andare via, arrabbiato, senza aggiungere altro.
Nel girarmi, potei intravedere immediatamente la figura di Ryan. Mi stava osservando, lontano. Dall'espressione che aveva in viso però potei capire che aveva assistito praticamente a tutta la mia conversazione con Ben.
Non disse niente, anzi continuò a camminare verso un'altra porta, che poi capii essere quella di un altro bagno.
Sospirai, esausta.
Lo aspettai e, quando riaprì la porta, non sembrò affatto sorpreso. Mi feci da parte per farlo passare e quando cercai di parlare, mi precedette: – Benjamin ha ragione: devi risolvere questa questione con Aiden.
– Non c'è niente di irrisolto – dissi io, andandogli dietro.
– Scatti come una molla quando c'è lui di mezzo – ribatté. – Come puoi dirmi che sia tutto risolto?
– Perché determinate situazioni non si risolvono in nessun altro modo se non con la distanza ed il tempo – replicai, sincera. Sapevo di avere quasi sempre un nervo scoperto in presenza di Aiden, ma quello che mi aveva fatto anni prima non poteva essere cancellato. Esattamente come sapevo benissimo che era lui ad avere il coltello dalla parte del manico, perché era ancora in possesso delle nostre foto.
– Distanza – confermò Ryan, girandosi di scatto verso di me, obbligandomi a fermarmi per non andargli addosso. – Ti sembra ti tenere la distanza da lui?
– Sì – risposi io. – Non posso dire lo stesso di lui.
Annuì. – È per questo che se ne deve andare – annunciò.
Trattenni il respiro. Era giusto così, eppure... – Ryan...
– No. Non ascolto più il tuo senso di colpa – ringhiò lui, avvicinando il viso al mio. Poteva sembrare arrabbiato, ma in realtà... era molto preoccupato. – Mi spaventa terribilmente il potere che ha di farti esplodere in quel modo. Non ti voglio vedere in quel modo. Distruggiti di senso di colpa, non mi importa, se almeno non ti sentirai più spinta e costretta a comportarti in quel modo.
– Quale modo?
Il muscolo della mascella guizzò. – Tu non sei un tipo manesco, D. Invece con lui lo sei.
Scossi la testa. – Lo sono allora. Non dare la colpa a qualcun altro per il modo in cui io decido di reagire.
– Continui a difenderlo – disse a denti stretti.
– Potrei farlo anche con te – ammisi, avvicinandomi pericolosamente a lui. – Potrei arrivare al punto di spintonarti come faccio con lui, potrei arrivare a schiaffeggiarti...
– Che cosa stai cercando di fare? – mi chiese, diffidente.
– Forse non mi conosci così bene – continuai, guardandolo dritto negli occhi, seria. – Forse ti piace l'idea che ti sei fatto di me. Perché ti vedo più spaventato del mio modo di reagire in sua presenza, piuttosto che la sua presenza stessa.
– Sto soltanto provando ad aiutarti, non ti fa bene avere una persona così tossica intorno – aggiunse, rigido.
– Forse io sono tossica tanto quanto lui – ammisi. – Dopotutto, siamo stati insieme.
– Smettila – mi fermò allontanandosi. – Mi rifiuto di definirti in base ad una relazione.
Se ne andò velocemente, scendendo le scale, per tornare alla vera festa.
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