Capitolo 2: La macchina
Le ore successive rimasi insieme a mia sorella, a bere e spettegolare. Mia sorella era l'esatto opposto di me. Lei era sempre stata la sorella, io ero sempre stata la sorella fantasma. Tutti avevano sempre visto lei, mai me.
Tuttavia io mi ero sempre trovata bene in questa situazione, fino a quando non ero cresciuta, ovvero fino agli ultimi due anni.
Mia sorella Dayna iniziò a scherzare con Ryan, davanti a me. Si appoggiò a lui, ridendo, e lui non sembrò farci nemmeno caso. Era in questi casi che io non riuscivo proprio a non invidiarla. Perché lei poteva essere sé stessa con Ryan, mentre a me non era permesso nemmeno parlarci normalmente.
Abbassai lo sguardo ed accennai un finto sorriso. Mi sentii i suoi occhi addosso, ma non provai nemmeno a controllare.
Fu in quel momento che mia sorella, più grande di me di solo un anno, si accorse che era successo qualcosa tra noi. Si allontanò da lui e mi prese per mano, dicendo a Ryan che saremmo andate a bere ancora.
Io però avevo già finito. Non volevo finire abbracciata al water. E lei questo lo sapeva. Quindi era tutta una scusa.
– Ti conosco come le mie tasche – disse, vicino al tavolo degli alcolici. – Che cos'è successo?
Forzai un sorriso. – Mi ha detto che non potremo mai essere amici, perché ha paura che io possa in qualche modo prenderla come una...
– Speranza – finì lei. – Beh, Ryan non ha mai amato fare giri immensi per arrivare alla conclusione.
– Sì, ma io non capisco perché trattarmi così. Voglio dire... sono stata anche con Aiden, per un anno. Eppure questo per lui non vuol dire niente? Non sono una bambina, so distinguere quando un ragazzo mi vuole semplicemente come amica o come qualcosa di più – borbottai io, ferita.
Dayna guardò Ryan dall'altra parte del salone, intento a parlare con una ragazza dai capelli biondi molto alta. Sembrò pensarci un po', prima di dire: – In effetti, in questi ultimi anni è diventato più strano nei tuoi confronti. Non capisco perché. Poteva semplicemente continuare ad ignorarti come aveva sempre fatto.
Grugnii.
Mia sorella ridacchiò. – Sempre meglio che trattarti come una lebbrosa, non credi?
Ed in effetti, mi trovai a darle ragione. Almeno prima ero la sorella fantasma, quella che non c'era se non la guardavi, quella che non diceva una parola e che si metteva a studiare anche quando c'erano gli amici dei suoi fratelli, perché era sempre stata troppo perfettina per fare altro, perché tanto lei poteva dare anche più degli altri e non avere comunque gli stessi risultati.
Mia sorella mi mise una mano sulla spalla, riportandomi alla realtà. – Prima o poi, ti passerà questa cotta.
Sbuffai, stufa. – Sono passati anni.
– Prima o poi – mi ricordò lei. – Magari alla fine dei tuoi settant'anni...
Le diedi una gomitata e scoppiammo a ridere.
– Comunque ti sei fatta bella – mi ricordò lei. – Potresti avere davvero tanti altri ragazzi, oltre a Ryan.
Portai per pochi secondi gli occhi su Ryan. Il fatto era proprio questo: io ci provavo a stare con altri ragazzi, magari mi piacevano anche, Aiden ero arrivata addirittura ad amarlo... eppure Ryan rimaneva sempre là, sotto tutti quei ragazzi diversi da lui.
– Prima o poi – mi dissi io, a bassa voce. – Dopotutto, sono attaccata ad un'idea di Ryan. Magari potremmo addirittura non essere compatibili. Chissà, magari potrebbe anche essere esattamente l'opposto di quello che ho bisogno io.
Dayna fece una smorfia. – D... tu lo conosci come nessuno. Noti atteggiamenti di lui che nessun altro fa. Non sei innamorata dell'idea di lui. Però sì, potresti accorgerti di non volerlo realmente come fidanzato. In effetti, è una persona fredda. Questo potrebbe non andare d'accordo con il tuo essere così emotiva.
Non dissi una parola. Mia sorella si scolò l'ultimo sorso di prosecco e poi iniziò a tossire. Indicò qualcuno, quindi seguii il suo dito e sbottai a ridere, mentre mia sorella continuava ad imitare conati di vomito.
Poco distante da noi infatti c'erano mio fratello ed una ragazza dai capelli rossi intenti a mangiarsi.
Continuammo a ridere così forte che Ryan ci guardò, dall'altro lato del salone, e non appena capì anche il motivo delle nostre risate scosse la testa e ridacchiò, facendo finta di continuare ad ascoltare la bionda alta davanti a lui. Ci guardammo per pochi secondi, fino a quando la bionda si girò per capire chi stesse guardando Ryan, quindi smise di ridacchiare e ricominciò a guardare la bionda.
Abbassai lo sguardo, sentendomi in imbarazzo per la ragazza.
Come potevo dirle che il ragazzo che aveva davanti non era affatto interessato a me?
– Ferma!
Mi bloccai, osservando Ben con un sopracciglio alzato.
– Quante dita sono?
Trattenni una risata. – Due?
Mi guardò, poi si grattò la nuca, confuso. – Mi sa che ho bevuto troppo...
Ridacchiai. – Mi dai le mie chiavi, per favore?
– Aspetta! Questa maglietta di che colore è?
Aggrottai la fronte. – Verde.
– Bene! Non sei ubriaca! Hai una fiat, giusto? Con un portachiavi rosso...
– Sì – bofonchiai. – Proprio quelle – dissi, indicandogliele.
Le prese e me le porse. Feci per afferrarle, quando alzò il braccio in modo tale da non farmici arrivare. Lo guardai, confusa, e quando ammiccò avvampai. – Mi dai il tuo numero di telefono? – chiese.
– Ti devo ricordare chi è mio fratello? – volli sapere io. – Forse l'alcol te l'ha fatto dimenticare.
– Per te mi prenderei anche una pallottola, Bionda – replicò, avvicinandosi a me.
Sorrisi, imbarazzata. – Non credo sia il caso, Ben. Mi... mi dai le chiavi della macchina, per favore?
Mi ascoltò, tuttavia non mi lasciò andare. – Bionda, quando ti imbarazzi sei ancora più bella.
Alzai gli occhi al cielo, ancora più rossa in faccia. – Grazie di tutto, Ben.
– Abito davanti a tuo fratello, se cambi idea! – mi urlò dietro.
Sorrisi, perché nonostante tutto almeno era simpatico. Scesi le scale tranquillamente, nonostante avessi bevuto un po' più del solito. In effetti, mi sentivo più spigliata del solito. Nonostante la brutta chiacchierata con Ryan, ero di buon umore.
Il mio sorriso scomparse quando mi resi conto di essere seguita. Vidi un'ombra accanto a me e mi concentrai sui passi dell'altra persona. Sicuramente era una persona alta, perché faceva meno passi dei miei, eppure si stava avvicinando a me con meno sforzo.
Afferrai bene le chiavi, pronta. Affrettai il passo, il respiro si accorciò... Sentii una mano sulla spalla, quindi mi girai di scatto e puntai immediatamente le chiavi alla giugulare.
– Ryan?! – urlai, abbassando subito le chiavi.
Mi guardò, ormai con le mani alzate in segno di resa, e le labbra socchiuse.
– Che diavolo...? Ti sembra il modo?! – continuai ad urlare.
– Ti ho chiamato quando stavi scendendo, non mi hai sentito.
Scossi la testa, ancora col cuore in gola. – Non farlo mai più.
– Ti accompagno a casa.
Aggrottai la fronte, confusa. Gli feci notare le chiavi della macchina. – Non c'è bisogno. Ho la macchina.
– Hai bevuto, non puoi guidare.
– Sto bene, ma ti ringrazio per l'offerta.
– Deitra – mi chiamò. Mi fermai, un brivido attraversò la mia schiena. Non mi aveva mai chiamato con il mio nome, mi aveva sempre e solo chiamato come "D". Quindi doveva essere serio. – Dammi le chiavi. Ti ho visto bere più di Dayna. Guido io.
– È la mia macchina e la guido io – ribattei io, testarda. Non ero stupida, sapevo quando ero in grado di bere e quando era meglio fermarsi a dormire altrove. Tuttavia, nella mia testa continuava a rigirarmi la frase "ti ho visto". Mi aveva visto... mi aveva osservata.
Si avvicinò a me, lentamente. Abbassò il viso al mio. Trattenni il respiro, fissandolo negli occhi. Il cuore ricominciò a battere all'impazzata ed il mondo attorno a noi sparì. Sospirò, abbassando gli occhi sulle mie labbra, ed io mi ritrovai a deglutire.
Il secondo dopo lo trovai lontano da me.
Chiusi ed aprii gli occhi più volte, velocemente. Ero totalmente confusa. Lo guardai, ormai lontano da me. – Cosa fai? – mormorai io, la voce più rauca di prima. Avvampai.
Non sorrise, mi guardò, innervosito, ed alzò la mano con le mie chiavi.
Lo guardai, nuovamente ferita. Mi ero fatta fregare le chiavi. Ed aveva usato il mio debole per lui.
– Andiamo, Deitra – disse semplicemente, camminando velocemente verso la mia macchina.
Lo raggiunsi e mi misi seduta sul sedile del passeggiero. In silenzio, accese la macchina e partì. Era nervoso, lo potevo capire dal modo in cui teneva lo sterzo e dal modo che aveva di toccarsi in continuazione i capelli. Gli spiegai brevemente la strada e non parlammo più per il resto del viaggio.
Quando accostò sotto il mio comprensorio, non diede nemmeno un'occhiata: spense la macchina e mi guardò. – Ti riporto la macchina domani mattina.
Mi girai di scatto verso di lui. – Assolutamente no, Ryan. Domani è il mio primo giorno. Devo essere puntuale e chissà che ora farete voi...
– Non ti devi preoccupare di questo. Se ti dico che domani mattina ti porto la macchina, vuol dire che domani non appena uscirai da casa tua ti troverai la macchina qua – replicò lui, totalmente deciso.
Scossi la testa. – No, non se ne parla. Non me lo chiedi nemmeno, inoltre. Hai dato per scontato tutto!
– Ti ho accompagnato qua, con la tua macchina. Vuoi che me la faccia a piedi?
– Sì!
Mi lanciò un'occhiataccia. – Non è carino da parte tua, D. Ci conosciamo da quando siamo piccoli – mi riprese lui.
Scossi nuovamente la testa. – No, non se ne parla.
– Davvero non ti fidi di me? – volle sapere lui, serio. – Voglio dire, sai che sono un tipo preciso. Se dico una cosa, la faccio.
L'osservai, nervosa. Poi capii come procedere. – E va bene, ma... – sussurrai io, slacciandomi la cintura di sicurezza. Mi avvicinai a lui e lo vidi irrigidirsi. Con il suo viso ad un palmo dal mio, notai il suo respiro affaticato e le pupille dilatate. Inoltre, non si era mosso di un centimetro e non aveva detto una parola.
Abbassò nuovamente gli occhi sulle mie labbra e socchiuse le sue. Afferrai immediatamente le chiavi all'interno della tasca destra dei suoi jeans.
Lui sussultò ed appoggiò la nuca allo schienale, chiudendo per pochi secondi gli occhi. – D, non scherzare, dammi quelle chiavi – esclamò.
Uscii dalla macchina in fretta e sbattei lo sportello della mia macchina, per poi appoggiarmi ad esso, che aveva il finestrino abbassato. Sorrisi innocentemente e sembrò rabbuiarsi ancora di più. – Queste te le rido domani, quando e se troverò la macchina – annunciai.
– No. Non ci provare. Ridammi quelle chiavi, D.
Ridacchiai. – A domani, Ryan – canticchiai, allontanandomi dallo sportello.
– No, no... Deitra! – esclamò lui. Girai il viso sopra la spalla, per guardarlo, poco prima di salire le scale. Mi aggrappai al corrimano. – Forse hanno chiuso la porta, a quest'ora. Mi servono le chiavi.
Sorrisi dolcemente. – Ad ognuno il suo problema. Io l'ho risolto in questo modo. Ora tocca a te risolvere il tuo.
Mi guardò per alcuni secondi, come scioccato, poi sbottò a ridere. – Sei incredibile, Deitra.
Mi accorsi solo in quel momento del battito del mio cuore, del mio sorriso genuino e probabilmente dei miei occhi a cuoricino. – Grazie, Ryan.
Cercò di trattenere il sorriso, mordicchiandosi il labbro inferiore. – Domani rivoglio quelle chiavi.
– Ed io la mia macchina – continuai.
Scosse la testa, divertito. - Dormi bene, Deitra.
– Fai un buon rientro a casa, Ryan.
Ridacchiò. Accese la macchina e se ne andò.
Quando chiusi la porta alle mie spalle, una volta arrivata al mio piano, e mi appoggiai ad essa. Lasciai la borsa a terra e sentii il freddo della porta. Continuai a sorridere, perché nonostante tutto quello che mi aveva detto solo poche ore prima... c'era qualcosa nel suo sguardo.
C'era stato anche qualcosa quando mi ero avvicinata a lui, per prendergli le chiavi. Il respiro, il suo modo di guardarmi... Ryan stava mentendo. Non sapevo bene su che cosa e per quale motivo, ma lo stava facendo.
Il giorno dopo mi svegliai presto per andare a correre. Non appena scesi le scale riuscii immediatamente a ritrovare la mia macchina. La guardai e non riuscii a trattenere un sorriso.
Mi piaceva davvero tanto Ryan.
Corsi per più di un'ora, poi ritornai verso casa e mi andai a fare una doccia. Fu in quel momento che mi accorsi che finalmente la mia coinquilina stava dormendo dentro la sua stanza.
Una volta finita la doccia, mi asciugai i capelli senza dargli troppa importanza, mi infilai un paio di jeans ed una semplice maglietta nera. Tornai in camera mia per truccarmi e preparare il materiale per il primo giorno. Ero piuttosto nervosa, ma per fortuna la corsa mattutina mi aveva aiutato a scaricare.
– Buongiorno!
Sussultai e mi girai verso la voce. Aggrottai la fronte e dovetti trattenere una risata, perché quella ragazza l'avevo già vista e mi fu impossibile non ricordare dove ed in quali vesti. – Buongiorno. Piacere, io sono Deitra – dissi semplicemente, andando a stringerle la mano.
La ragazza mi strinse la mano con forza. Mi sorrise genuinamente. – Callie, il piacere è tutto mio. Anche tu sei nuova, non è così?
Annuii. – Esattamente. Come mai ti sei trasferita?
– Oh, emh... problemi a casa. Tu?
Scrollai le spalle. – Volevo stare vicino a mio fratello.
– Oh, e chi è tuo fratello? – sogghignò lei.
La osservai attentamente. Non ero sicura volesse sapere la verità. E di certo non era pronta alla bomba che le stavo per lanciare. Tuttavia, sarebbe stata la mia coinquilina per molto tempo, quindi prima o poi l'avrebbe scoperto ugualmente, quindi che senso aveva mentire?
Mi schiarii la voce, in imbarazzo. – In realtà, l'hai già conosciuto. Si chiama Daniel Smith.
Passò velocemente a diventare da bianca cadaverica a rossa come un pomodoro. Per un momento pensai addirittura che non stesse respirando. – Oh.
Strinsi le labbra per non ridere. – Già.
– Cazzo, che imbarazzo – bofonchiò lei.
– Già. – Feci spallucce, perché il suo essere così imbarazzata mi procurò dispiacere. Dopotutto... mio fratello sapeva farci con le ragazze ed era uno dei ragazzi più belli che avessi mai conosciuto. Certo, era piuttosto stupido, però era buono. Non sembrava, perché usava le ragazze solo per il sesso. Ma lui non era sempre stato così. Una ragazza in particolare lo aveva ferito terribilmente, e questo l'aveva fatto chiudere a riccio.
Nonostante fosse passato molto tempo, anzi anni... non si era mai più ripreso. – Ma per me non è un problema.
– Immagino tu sia abituata al suo essere così...
– Puttaniere? Sì. – Ridacchiai. – Tu non c'entri niente. Lui è semplicemente così.
Rimase in silenzio, pensierosa.
– Bé, buona giornata! – esclamai, prima di darmela a gambe. Perché l'ultima cosa di cui avevo bisogno era di sentire l'ennesima lagna della ragazza usata ed abbandonata.
La prima mattinata passò abbastanza tranquillamente. Per fortuna, nessuno faceva mai caso a me. Queste erano le occasioni in cui proprio mi piaceva essere così trasparente.
Appena fuori dall'aula, vi trovai una ragazza dai capelli rossi, intenta a guardarsi intorno. Non appena i suoi occhi si fermarono su di me, mi sorrise calorosamente. La guardai di rimando, freddamente. – Ciao! Ti va se pranziamo insieme? – chiese.
– Emh... Io non credo-
– D.
Trattenni per un secondo il respiro. Fissai la mia coinquilina davanti a me, la quale stava guardando il ragazzo dietro di me. Ci scambiammo un'occhiata. Poi mi girai verso Ryan, accennando un sorriso. – Ciao! – esclamai.
– Buongiorno – mormorò guardando la mia coinquilina andare via. Aggrottò la fronte, poi scosse la testa e ricominciò a guardarmi. – Mi servirebbero le chiavi.
– Ah, giusto – ridacchiai io. Mi ero completamente dimenticata delle chiavi nel momento esatto in cui avevo sentito la sua voce. Odiavo il mio modo di reagire a lui. Poteva fare qualsiasi cosa, ma a me non sarebbe mai passato inosservato.
Presi le chiavi dalla tasca posteriore dei miei jeans e glie li porsi. Sembrò stare addirittura attento a non toccarmi per prendere le chiavi. L'osservai, ferita. A tratti mi veniva proprio difficile capirlo.
– Emh... Ti devo anche quello che hai messo-
– No.
Mi fermai a guardarlo, con ancora le mani dentro la borsa per cercare il portafogli. Aggrottai la fronte. – Ryan, ma mi hai messo il pieno. La macchina era in riserva – sussurrai io.
– Non c'è bisogno. Mi ha fatto piacere – replicò lui, freddo come al solito.
– No, davvero, mi metti in difficoltà. Aspetta cinque secondi, dovrebbe stare proprio qua...
– Consideralo come un benvenuto nel mondo dei grandi! – esclamò lui.
Afferrai il portafogli, di nuovo ferita. Diceva di non conoscermi, eppure sapeva sempre dove colpire. Deglutii, alzai il mento con fare orgoglioso e lo fissai negli occhi. – È un po' troppo tardi per questo, non credi? – mormorai io, la voce rauca.
Non sapeva cosa dirmi, quindi si limitò a lanciarmi un'occhiataccia. – Per me sei ancora la sorellina di Dan.
Ridacchiai, senza alcuna gioia. – Già, questo lo so – ringhiai io. – Ma non lo sono più da un po', ormai. Quindi prendi questi.
Fece per parlare, quando sentimmo urlare mio fratello: – Ecco dove stavi! TI sto cercando da ore! – Afferrò Ryan per scompigliargli i capelli, poi si accorse di me ed aggrottò la fronte. – D? Che... Che ci fate insieme?
Trattenni il respiro ed osservai Ryan, in preda al panico. Perché sapevo che la sera prima c'era stato qualcosa di particolare: non solo lui aveva usato il suo potere su di me, ma anche io avevo risposto con la stessa moneta. E lui non mi era sembrato nemmeno innervosito o contrariato.
Mi sentii colpevole.
Per fortuna Ryan non sembrò pensarla uguale a me, perché disse immediatamente: – Ieri sera ho accompagnato D a casa, dato che aveva bevuto tanto, ed ho dimenticato le chiavi in macchina sua.
– Ah. Da quando bevi così tanto, D? – volle sapere mio fratello. – E perché io non ti ho visto bere così tanto?
– Perché eri impegnato – replicò Ryan. – Non è vero, D?
L'osservai, per cercare di capire: l'aveva riconosciuta o no? Ridacchiai. – Ti abbiamo visto tutti palpeggiare una povera ragazza – cercai di scherzare io, rigida.
– Povera? Non mi sembrava così in pena – scherzò mio fratello.
– Bisogna sempre vedere la loro faccia il giorno dopo – borbottai io.
Ryan trattenne una risata, quindi si mordicchiò il labbro inferiore. – Devo andare a lezione. Buona giornata.
Anche mio fratello lo guardò andarsene via, un po' confuso. Ma io non lo ero: lui con me era sempre stato così freddo. Aggrottò la fronte e tornò a guardare me. – Ci hai provato con lui, D?
– Ma perché mi chiedi sempre questa cosa?! – esclamai io, rossa in viso. – Ti sembro una stupratrice seriale?!
Scrollò le spalle. – Con te è proprio strano – borbottò lui. – Vado a vedere che gli è successo. Comportati bene, D.
– Mi comporto sempre bene! – gli urlai dietro io. Sembrò non sentirmi.
Dal nulla, sbucò nuovamente Calliope, la quale mi fece sobbalzare. – E quindi... io pensavo fossi una ragazza coi contro coglioni, eppure... noto che la sola presenza di quel ragazzo ti trasforma in una bimba che è stata appena scoperta con le mani dentro il barattolo di Nutella – mi prese in giro lei.
Sbottai a ridere. – Non sono stata scoperta di niente! – esclamai io. – Quel ragazzo è solo il migliore amico di mio fratello. Sai, il ragazzo che ieri ti sei portata a letto.
– Se pensi di mettermi in imbarazzo, ti sbagli – cantilenò lei. – Non mi farai cambiare discorso. Quel ragazzo non è soltanto il migliore amico di tuo fratello. Non lo è per te e non lo è nemmeno per lui.
Ridacchiai, nervosa. – Stai delirando. Credo che dovresti andare a pranzo.
– Davvero credi alla storia del-
– Senti, sei simpatica, ma io non ti conosco – sbottai io. Il suo sorriso cessò di esistere e divenne paonazza. – Mi dispiace – mormorai. – Ma... siamo solo coinquiline. E tu stai invadendo spazi che nessuno ti ha dato l'autorizzazione di invadere.
– Wow, scusami – disse lei, prima di andarsene.
Trattenni un urlo di frustrazione e tornai in aula, per stare un po' da sola.
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