Capitolo 1: Impossibile

Dopo quasi undici mesi, la mia vita era cambiata radicalmente. Avevo trovato lavoro e mi sarei trasferita vicino al campus dove aveva studiato anche mio fratello, che ormai stava al primo anno del master, esattamente come Ryan.

A pochi passi dalla mia nuova abitazione c'era proprio il palazzo dove mio fratello ed il suo migliore amico abitavano. Per questo, non appena finii di smontare gli ultimi scatoloni, mi precipitai a casa loro. Afferrai le chiavi della macchina, dando una rapida occhiata alla stanza della mia nuova coinquilina, che aveva ancora gli scatoloni imballati. Di lei non c'era nemmeno l'ombra.

Non appena arrivai, salii le scale velocemente, per poi arrivare al secondo piano e bussare alla porta. Sorrisi, felice ed elettrizzata di vedere mio fratello in un ambiente diverso rispetto a quello a cui eravamo abituati. Il sorriso svanì nel momento esatto in cui ad aprire la porta fu Ryan, e non mio fratello, che avevo anche avvertito un'ora prima per prepararsi del mio arrivo.

Aggrottò la fronte, confuso tanto quanto me, e fece un passo indietro. - Emh... -- borbottò. Mi guardò per un attimo negli occhi, poi sbuffò e si guardò dietro di me. - D?

Alzai le sopracciglia, innervosita da quel suo strano comportamento. - Wow, davvero? Almeno mi fai entrare?

Sembrò ancora più confuso, ma si fece da parte per farmi passare. Non disse una parola. Ma dopotutto non ci vedevamo da tanto tempo. Non l'avevo mai ringraziato per avermi consolato quel giorno, semplicemente perché dopo quell'episodio era sparito.

Mi guardai attorno, il piccolo salone aveva giusto lo spazio per un divano a tre posti ed un mobile con la televisione. Dal lato opposto della casa, si poteva accedere alla cucina a vista di colore nero, separata da una piccola isola.

Mi lasciò osservare casa in silenzio, fino a quando non arrivai a guardare da lontano l'unica camera da letto aperta. - Che cosa ci fai qua, D?

Mi girai verso di lui, un po' delusa da quella domanda. Perché di certo non potevo essere lì per caso. Ma almeno sapeva la mia età? O ero così invisibile? - In che senso? - provai io.

Sospirò e si tirò indietro i capelli, nervoso. - Hai fatto tutta questa strada solo per vedere tuo fratello? - chiese lui.

Trattenni una risata. - Come, scusa? - ridacchiai io. - Ma sai almeno quanti anni ho?

Tenne lo sguardo fisso sul mio. - Che importanza ha?

Feci un passo indietro, delusa. No, non lo sapeva. Non sapeva niente di me, perché non ero mai stata così interessante. Non sapeva nemmeno quanti anni avessi. - Sono al terzo anno, ma ho deciso di trasferirmi al college dove è andato anche Daniel.

Sembrò sbiancare. - Che cosa? - mormorò. - E... e perché?

Arrossii violentemente. - Ti prego, smettila di essere così euforico - borbottai. Di solito non ero così spigliata con lui, tuttavia l'ultimo nostro trascorso pensavo ci avesse almeno fatto avvicinare un po'. Non pretendevo di essere come una sorella per lui, e nemmeno volevo esserlo, ma cavolo... Almeno con mia sorella non era così apatico e poco interessato.

Scosse la testa, come per riprendersi. - No, scusami, mi hai frainteso. È solo che... hai iniziato altrove, non capisco perché finire gli altri anni qua da noi - borbottò.

-- Ah sì, così suona decisamente meglio - dissi sarcasticamente.

Sembrò perdere le speranze, si tolse quella maschera di apatia e divenne semplicemente... antipatico. - Che cosa vuoi da me, D? No, non so niente su di te. Questa cosa ti disturba? Bé, mi dispiace, ma non credo di averti mai fatto pensare il contrario.

Sentii il petto farmi male, il respiro si bloccò e le lacrime quasi fecero capolino. - Che cosa voglio? Io da te non voglio proprio niente. Sono venuta qua per mio fratello e-

-- Già, bé, ti dirò un segreto: tuo fratello non è in casa.

Lo fulminai con lo sguardo. - Ma non mi dire. Ed io che pensavo fossi semplicemente così gentile da aprire la porta al posto di mio fratello.

Ridusse gli occhi, sempre più nervoso. - Direi che sia arrivato il momento di tornare in camera mia a studiare. Fai come se fossi a casa tua. In cucina c'è della birra.

Feci una smorfia disgustata, dopotutto erano soltanto le tre del pomeriggio. Tuttavia, mi diressi in cucina, non appena Ryan decise di chiudersi in camera sua, ed aprii il frigorifero. Rimasi di stucco vedendo la quantità di birra all'interno del frigorifero. Aprii anche gli sportelli dei pensili e vi trovai patatine confezioRyan, dolci già pronti ed altre schifezze. Era ovvio quindi che stavano organizzando una festa. Mi sentii ferita inizialmente, poi sperai addirittura che potesse essere una festa a sorpresa per me, per il mio arrivo.

Mi misi seduta, dopo più di venti minuti ad aspettare mio fratello, ed accesi l'enorme televisione. Dopo quarantacinque minuti, decisi di andare a bussare alla porta di Ryan, il quale aprii la porta per far fuoriuscire soltanto metà del suo viso. Mi sembrò abbastanza ridicolo. - Devo studiare, D.

- Sì sì, lo capisco. Senti... dov'è andato mio fratello? - chiesi, seriamente.

- A fare la spesa.

- E si sta comprando l'intero supermercato? - volli sapere io, sarcastica. Mi fulminò con gli occhi. - Non sono stupida, Ryan. Dentro quel frigorifero c'è più birra che altro, avete fatto una scorta infinita di schifezze e comprato molti piatti di plastica e posate.

Sospirò e sembrò volersi strappare la faccia con le sue stesse mani. - Mi ero dimenticato del tuo modo di notare le cose più stupide.

Aggrottai la fronte, ancora più ferita. - Ma che cavolo di problemi hai? - sbottai io. - Insomma, non credo di aver mai fatto qualcosa o detto qualcosa di sbagliato nei tuoi confronti, eppure mi tratti come una-

- Amico, ho comprato abbastanza preservativi da fare invidia a degli organizzatori di orge! - urlò mio fratello, entrando dentro casa.

- Che cazzo - borbottò a bassa voce Ryan.

Avvampai, mio fratello invece divenne bianco come un lenzuolo. - D! - esclamò con finto entusiasmo. Ridacchiò, nervoso. - Porca troia, ma che ci fai qua? Ti aspettavo domani.

- Oggi è dodici - bofonchiai io, ed abbassai lo sguardo sulle sue due buste di plastica.

- Ah, è oggi il dodici? - chiese, guardando Ryan dietro di me, il quale iniziò a grugnire. - Cazzo.

- Ti ho mandato anche un messaggio - se ne uscì Ryan. Girai il viso verso di lui, schifata. E capii che la festa non era affatto per me, anzi io non ero proprio stata invitata.

Deglutii per cercare di buttare infondo il groppo in gola ed alzai un sopracciglio, con ghigno di divertimento. - E insomma... due buste piene di preservativi, eh?

Mio fratello divenne di pietra, mosse gli occhi rapidamente da me al suo amico, più volte, in preda al panico. Perché sapeva che con me le sue bugie non funzionavano mai. - No, no - rise. - Ti pare. Stavo solo scherzando.

- Cristo - bofonchiò Ryan, quando vide il mio sorrisino.

- Ah sì? E che cosa hai comprato di bello? Fammi vedere! - esclamai falsamente io, avvicinandomi a mio fratello.

- No... - mormorò mio fratello, cercando di nascondermi le buste.

- E che cosa ci dovrai mai fare con tutti questi preservativi, Dan? - volli sapere io, continuando ad avanzare verso di lui.

Mio fratello gettò un'occhiata irrequieta dietro di me, verso il suo migliore amico, il quale iniziò ad imprecare. Fu proprio lui a parlare: - Senti, va bene. Tanto l'hai già capito. Stasera faremo una festa a casa nostra, dopotutto non abbiamo ancora festeggiato l'inizio del master.

Alzai le sopracciglia, continuando a guardare mio fratello. - E casualmente avete deciso di farla proprio questa sera, vero? - volli sapere io. Perché conoscevo mio fratello, era stupido, non aveva fatto bene i conti, eppure la sua idea su di me era sempre la stessa: io ero la sorellina che lui doveva proteggere, io ero la sorellina che non era pronta a tutto questo, perché il mio carattere mi aveva sempre spinto a chiudermi. Io non ero quella che si divertiva alle feste, perché l'aveva deciso lui.

Fece una smorfia. - A te non piacciono le feste, D.

Appunto.

- Bé, ha vent'anni, se sta al secondo anno...

- Sto al terzo - ringhiai io, senza nemmeno girarmi verso di lui.

- Ancora meglio - borbottò Ryan. - Tra poco avrai il diritto di bere alcolici.

Mi girai verso di lui, infuriata. - Come se voi aveste aspettato i ventuno anni per bere alcolici.

Ryan mi guardò, sempre più stupefatto dal mio comportamento, ma la realtà era che lui non aveva mai conosciuto la vera me. Ed io mi ero stufata di essere un'altra davanti a lui. Tanto dove mi aveva portato? - Ma questo caratterino da dove ti è uscito esattamente?

Feci per sputare fuoco, quando mio fratello cercò di intromettersi: - In realtà, ha questo caratterino da sempre purtroppo - borbottò.

- Sorpresa! - dissi io, sfoggiando il mio falso sorriso dolce a Ryan, il quale praticamente mi guardò come se fossi una sconosciuta. Tuttavia, negli occhi potei intravedere... forse una leggera inquietudine?

- D, io non credo sia il caso...

- Falla venire, Daniel - lo interruppe Ryan. Scrollò le spalle. - Tanto lo farà ugualmente. Non è così, D?

Mi girai completamente verso quello che era stato il ragazzo dei miei sogni per molti anni. Sorrisi ancora di più e lui sembrò rabbuiarsi. - Sì, è così.

- Appunto - mormorò Ryan, annuendo.

- D! - esclamò mio fratello. - Sarà pieno di ragazzi che non conosci!

Tornai a fissare mio fratello. - Voglio dire, ma per chi mi hai preso, Daniel?

- Sei piccola, D! Inoltre, tu odi queste cose! Ti hanno sempre fatto sentire a disagio. Perché vuoi venire? Non mi va di litigare con un mio amico perché ci prova con te...

- E allora non farlo! - esclamai io. - So badare a me stessa.

Ryan grugnì, mi girai verso di lui ed il mio sguardo arrabbiato dovette fargli cambiare idea, perché sbuffò ed alzò le mani al cielo. - Stasera alle 23. Ti aspettiamo.

- Amico! - esclamò mio fratello. - È mia sorella!

- Perché Dayna non è stata invitata immagino - ringhiai io.

Silenzio.

- Appunto! - esclamai io. - E lei non è tua sorella?

- Sai che è diverso, D.

- No, non lo è!

- Tu sei la mia sorellina, lo sei sempre stata! Tu... tu non sei come Dayna!

- Cristo - ribatté Ryan. - Stai peggiorando la situazione.

Aveva ragione. - E che cosa vorresti dire con questo? - incalzai mio fratello. Sapevo già la risposta, perché io ero sempre stata la sua sorellina, quella bruttina con l'apparecchio ai denti e ciecata come una talpa. Quella che si metteva sulla sua poltrona preferita a leggere un libro... Ma non ero solo quella ragazza e mi ero stufata di fingere di essere solo quella ragazzina per fare felice mio fratello.

Mio fratello scrollò le spalle. - E va bene, ci vediamo stasera, D.

- Troppo gentile - ringhiai io. - Grazie mille.

Mio fratello sbuffò e mi chiamò, ma non lo ascoltai e me ne andai. Quando scesi le scale, un ragazzo dai capelli scuri e gli occhi verdi mi squadrò dalla testai ai piedi. - Ehi, bionda! - mi salutò. Gli lanciai un'occhiataccia e continuai a camminare verso la mia macchina, che era quella di mamma. - Mi dai il tuo numero? - chiese, continuando a fissarmi.

- Ben! - urlò una voce. Mi fermai di scatto, per poi guardare il balcone dove c'era proprio un ragazzo dai capelli biondi. Ma non era un biondo qualsiasi, era Ryan. - Lasciala stare. È la sorella di Daniel.

Il ragazzo di nome Ben ridacchiò. - Potrei veramente farmi rompere il naso da Daniel, per una ragazza del genere - urlò.

Ridacchiai. - Fidati, sarebbe tutto inutile - dissi io, sorridendogli.

Ben sembrò illuminarsi. - Questo fallo decidere a me.

- Forse non hai capito bene - se ne uscì Ryan. - È la sorellina di Daniel.

- Ah, cazzo. Tu sei Deitra?

- Sono proprio io.

Ben alzò le mani in segno di resa. - Ho capito. Ci vediamo in giro, Bionda.

Lanciai un'ultima occhiata al balcone e mi trovai due occhi blu intenti a fissarmi, con le labbra ridotte in una linea finissima. Si girò e tornò a casa, senza aggiungere altro.

Quando rientrai a casa, continuai ad essere certa della presenza della mia coinquilina solo grazie ai suoi scatoloni. Niente di più, niente di meno.

Scrollai le spalle, perché voleva soltanto dire più spazio e privacy per me.

Andai a fare un giro del quartiere, il quale pullulava di ragazzi del college. Alcuni ragazzi si fermavano a guardarmi, magari abbassavano la voce e si giravano... Un tempo tutto questo mi avrebbe dato fastidio, sicuramente mi avrebbe fatto sentire a disagio. Ma ormai lo reputavo quasi normale. Non ero mai stata bella, tuttavia c'erano stati dei cambiamenti in me che mi avevano spinto ad essere più sicura.

E questi cambiamenti erano diventati maggiori anche dopo la morte di mia mamma. Alcuni addirittura avevano avuto il coraggio di dirmi che stavo fin troppo bene, per aver appena perso la mamma.

Ma la mia era sempre stata una bella maschera, fin troppo comoda. Nessuno aveva mai provato a vedere oltre.

Dopo aver cenato, mi iniziai a preparare.

Mi truccai con un ombretto scuro, per mettere in evidenzia gli occhi, che erano sempre stati il mio punto forte, nonostante il colore piuttosto insulso, ovvero di un marrone quasi nero. Indossai poi un body con una profonda scollatura e dei semplici jeans, per poi completare il tutto con dei tacchi ed un blazer.

Guardandomi allo specchio, sospirai. Lasciai i capelli in una massa piuttosto disordinata di capelli biondi mossi, afferrai la borsa e mi avviai verso la macchina.

Non appena arrivai al secondo piano, trovai la porta spalancata. Ben ammiccò, non appena mi vide entrare. - Bionda! Qui chiavi.

Alzai le sopracciglia. - Come, scusa? - chiesi, nervosa.

Ben sembrò piacergli come risposta, perché sorrise ancora di più. - Ci sei cascata! Intendevo, qui devi mettere le chiavi della macchina - rispose, indicando un cestino pieno di chiavi.

- E perché dovrei?

- È una regola, Bionda. Nessuno deve mettersi alla guida se è troppo ubriaco, quindi confischiamo le chiavi. Prima di andare via, dovrai ripassare da me, ed io ti dovrò fare delle domande - replicò Ben. - Puoi anche passare altre volte, ovviamente. Io sono sempre qua, per te.

Ridacchiai. - Troppo gentile da parte tua, Ben - dissi, per poi porgergli le chiavi della mia macchina. - A più tardi.

Ben urlò qualcosa, che tuttavia non riuscii a sentire a causa della musica alta, dato che mi ero già allontanata. Mi guardati intorno e riuscii a trovare immediatamente quell'armadio di mio fratello. Quindi mi avvicinai, e lui sembrò sentirsi osservato, perché si girò verso di me e mi squadrò dalla testa ai piedi, impallidendo. A pochi centimetri di distanza, il suo migliore amico dovette sentire un'imprecazione di mio fratello, perché seguì i suoi occhi, per arrivare a me. La sua fronte si rilassò e cercò i miei occhi. Riuscii ad intravedere nuovamente quel senso di inquietudine.

- D - mi salutò mio fratello. - Ti... ti trovo bene.

- Ti prego, sei imbarazzante - se ne uscì Ryan. Accennò un sorriso, per poi ricominciare a guardarmi. Durò pochi secondi, non cercò nemmeno di abbassare lo sguardo oltre il mio mento, dopodiché se ne andò da un altro ragazzo, che lo stava chiamando da un po'.

- Mi raccomando, non bere troppo - mi avvisò mio fratello.

Roteai gli occhi e gli sorrisi dolcemente. - Non ti preoccupare, non mi noterai nemmeno.

- Ti prego, non provarci con nessun ragazzo! - urlò mio fratello, ormai alle mie spalle.

- Va bene, ci proverò con qualche ragazza allora! - urlai io, ridacchiando all'imprecazione di mio fratello.

Mi fermai ad osservare due ragazzi giocare a birra pong. Osservai attentamente i loro movimenti, il modo in cui le loro palline a volte finivano all'interno dei bicchieri, o il modo in cui imprecavano quando li mancavano. Poi uno dei due ragazzi si girò verso di me e mi guardò. Sorrise caldamente e divenni viola dalla vergogna. Si avvicinò a me e mi porse la pallina. - Vieni, prova!

Sorrisi timidamente, ma accettai. Mi insegnò le regole basilari e rimase con me per tutto il tempo, a vedermi perdere miseramente contro il suo amico. E tra un bicchiere di birra e l'altro, notai gli occhi preoccupati di mio fratello, mentre provava a parlare con Ryan, inutilmente.

Quando iniziai a vedere sfocato addirittura i miei bicchieri, ridacchiai ed andai a sbattere contro il ragazzo accanto a me, il quale mi afferrò per i fianchi. Non mi lasciò andare, anzi abbassò lo sguardo sul mio sorriso. Trattenni l'ennesima risata e mi misi indietro i capelli, confusa. - Sono una frana, vero?

- Almeno due bicchieri li hai presi, dai. Poteva andare peggio - mi prese in giro il ragazzo.

- Ok, leva quelle mani di dosso. È mia sorella! - urlò mio fratello, senza nemmeno avvicinarsi.

Il ragazzo alzò le mani, in segno di resa. - Stava cadendo, amico.

- Sì, stava cadendo cinque minuti fa - rispose mio fratello, avvicinandosi minacciosamente a noi.

- Daniel... - lo chiamammo io e Ryan insieme. Mi irrigidii e fissai quest'ultimo. Mi chiesi silenziosamente come potesse essere sempre così lontano, eppure sempre così presente.

Il ragazzo si allontanò definitivamente da me e la gente inghiottì anche lui.

Mio fratello mi prese il viso. - Evita, per piacere.

- Di fare cosa? - chiesi. - Stavamo soltanto giocando, Dan.

- Non è vero.

- Stai esagerando, Daniel - si intromise Ryan, avvicinandosi a noi. - Lucian è un tipo apposto, lo conosci anche tu.

- Sì, e conosco lo sguardo di un ragazzo che si vuole fare una ragazza - ringhiò mio fratello.

- Bé, se anche fosse... tua sorella mi sembra abbastanza grande da decidere, non credi? - chiese Ryan.

Mio fratello sfoggiò uno sguardo turbato, che mi fece quasi sentire in colpa. - Tu sei la mia sorellina, D. Sei la mia anima. Non farlo, per favore.

- Non ti preoccupare, Dan - sussurrai io, posandogli una mano sul petto, proprio sopra il cuore. - Non farò niente.

Dan annuì, ancora preoccupato. A volte, questo suo modo di proteggermi mi faceva pensare che ci potesse essere qualcosa di assolutamente sbagliato in noi. Eppure, era sempre stato così... Nessuno era mai stato all'altezza di me. Aveva fatto sudare anche il mio unico ex ragazzo, Aiden.

Mio fratello si allontanò, quindi guardai il suo amico, sbuffando. Lui sembrò sul punto di dire qualcosa, ma ci ripensò, quindi decisi di andare a prendere una boccata d'aria fresca sul balcone.

Sospirai, chiudendo gli occhi, per cercare di mandare via quella brutta sensazione che sembrava appiccicarsi a me ogni volta che mio fratello mi faceva queste sceRyan.

- Cercherò di parlare con tuo fratello.

Sussultai e mi girai verso la porta a vetri. Ryan chiuse la porta dietro di lui, lasciando tutto il resto del mondo dentro. Deglutii e mi presi un momento per osservarlo con quella maglietta celeste e quei jeans che fasciavano le sue gambe perfettamente.

Si schiarì la voce, facendomi riportare l'attenzione al suo viso. - Mi rendo conto di quanto questa situazione possa essere... soffocante per te.

Ridacchiai, senza alcuna allegria. - E da quando ti interessa quello che provo?

Rimase in silenzio e si avvicinò a me. Si mise le mani dentro le tasche e sbuffò, ormai davanti a me, guardandosi intorno. - Mi dispiace essere stato sgarbato con te, prima. Non te lo meritavi di certo. È solo che... mi hai preso in contropiede - ammise, senza guardarmi. - Avere a che fare con due Smith... è già abbastanza faticoso - aggiunse poi, ma col tempo ero riuscita a capire quando mentiva. E questa era una di quelle volte.

- Non fa niente - dissi semplicemente io, perché sarebbe stato inutile portare avanti una conversazione del genere, se era costruita su una bugia.

Non mi avrebbe mai detto la verità.

Mi girai, portando l'attenzione al resto delle palazzine. Mi appoggiai alla ringhiera. E questo sembrò rilassare Ryan, il quale si mise proprio accanto a me, mantenendo una certa distanza di sicurezza.

Non aggiunse niente, quindi decisi di parlare, spinta dall'alcol. - Pensavo che fossimo diventati... amici.

Girò il viso verso di me, con la fronte aggrottata. Presi coraggio ed incrociai il suo sguardo. Ancora una volta... lo vidi inquieto. Come se tutto quello che facessi lo portasse ad un passo dallo sbroccare. - Perché?

Scrollai le spalle, ferita. - Stupidamente avevo pensato che tu... mi avessi finalmente vista come una persona - ammisi.

- Io ti vedo come una persona - mi corresse, a bassa voce.

Strinsi le labbra in una linea fina. Perché non era vero, continuava a mentire. Se solo mi avesse visto, in questi anni, avrebbe almeno ricordato la mia età.

Si mise una mano tra i capelli, nel vano tentativo di metterli in ordine. Come se non fossero già perfetti. - Sei la sorellina di Dan, D. Sarebbe impossibile per me non vederti - ci riprovò.

Scossi la testa. - Non capisco perché ti comporti così - dissi io, guardandolo nuovamente.

Si irrigidì. - Non mi comporto in nessun modo.

L'osservai attentamente. - Se hai intenzione di continuare a mentire, puoi anche tornare dentro - ringhiai io.

Ci fu un silenzio agghiacciante. Provò a lanciarmi un'occhiata di fuoco, ma non appena alzai le sopracciglia, con fare superiore, capì di non avere alcuna speranza. - Io ti tratto in questo modo perché tu non mi lasci altra scelta - disse poi.

Un pugno avrebbe fatto meno male.

Strabuzzai gli occhi, ferita. Lui sembrò notarlo, perché la sua espressione cambiò: diventò triste. Riportai l'attenzione avanti a me, per non fargli vedere altro. Con il cuore a mille, cercai di tranquillizzarmi, respirando a fondo e deglutendo. - Non sono più una bambina. La mia cotta è passata da tempo - mentii.

Mi imitò, guardò avanti a noi, probabilmente per non farmi sentire a disagio. - Mi credi così scemo?

Trattenni il respiro e lo guardai nuovamente, in preda al panico.

Continuò a non guardarmi, ma le sue braccia si irrigidirono. - Mi risulta... impossibile... non sentire quello che provi nei miei confronti - aggiunse, facendomi avvampare. Non riuscivo più a respirare. - Quando ero un ragazzino potevo benissimo ignorarti. Ma adesso non siamo più bambini, D. Tuttavia, devo mantenere le distanze, per non darti false speranze. Ecco perché mi comporto diversamente con te. Io e te... non ci possiamo avvicinare. Non possiamo essere amici. Sai benissimo che per te significherebbe altro.

Deglutii sonoramente. Non riuscivo a distogliere lo sguardo. - Sei ingiusto - sussurrai.

Aggrottò la fronte, ora arrabbiato, portando lo sguardo a me. - Io sono ingiusto? - rise, irritato. - Credi che questa situazione mi faccia stare bene? - mi chiese indicandosi.

- Non sono stupida. Se chiedo di esserti amica, è perché non penso ci possa essere altro - ringhiai io, con le lacrime agli occhi.

- Lo credi davvero? - chiese lui.

Scossi la testa, confusa. - E tu lo credi?

Si girò verso di me, freddo come non mai. - Io non provo niente per te, D.

Lo avevo sempre pensato anche io, tuttavia quel suo modo di respingermi... mi portò a chiedermi se fosse solo paura. - Lo so - mormorai.

Annuì, senza staccare gli occhi dai miei. - Devi saperlo, D. Io lo dico per te. Devi credermi - sussurrò lui.

- Lo so.

Mi osservò, passando dagli occhi, al naso, alla bocca, per poi ricominciare. Come se volesse accertarsi che non sarei scoppiata a piangere. Una volta capito che non sarei sbottata a piangere, sospirò e se ne andò.

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