Case 8 - Ospite indesiderato [Da revisionare]
(NM) passò quasi tutto il giorno rannicchiata nello studio di Léon, con la sua giacca nera sulle spalle e nel più completo disagio. Dopo aver realizzato ciò che le era successo e le parole del medico, si sentì ancora più a disagio, tanto che iniziò a pensare fosse colpa sua. Non era particolarmente intelligente o brava, era cresciuta vedendo tutti fare ciò che doveva fare lei e credette, per un momento, di meritarselo. Scacciò via quel pensiero non appena le venne in mente il padre, che non aveva cresciuto una bambina.
Però, l'immagine di Léon che le saltava addosso e i suoi occhi, così rassicuranti e gentili quando l'aveva conosciuto, in quel momento erano disperati e stranamente vuoti. Forse, la cosa che più l'aveva terrorizzata era il suo sguardo, che era così tanto cambiato in così poco tempo.
Erano le otto di sera quando si riprese abbastanza da uscire, ma non per andare di sotto dal corvino.
Si alzò presto la mattina dopo, verso le otto e mezza. Si mise un qualcosa lasciato lì dal medico e uscì, percorrendo il corridoio con le vecchie assi di legno scricchiolanti e passò davanti alla porta dello studio, la quale era rimasta aperta.
Lo vide piegato sulla scrivania a scribacchiare dei fogli con la penna a inchiostro, che tinse un paio di volte nel calamaio. Si chiese a che ora si fosse svegliato, se avesse mangiato e cosa, cosa stesse facendo e se stesse bene. Non sapeva perché, ma aveva la sensazione che lui stesse più male di lei dopo ciò che accade il giorno prima.
Non si accorse neanche di lei, e passò oltre.
Scese tranquillamente le scale a chiocciola tenendosi per la ringhiera per non cadere, poi si guardò intorno. Il salotto era davvero un macello, vuoi per la polvere vuoi per il disordine, a quanto pare Léon non era un maniaco della pulizia e lei decise che si sarebbe messa a pulire subito dopo colazione. In realtà lo pensò solo, non ne ebbe il tempo siccome suonarono alla porta poco dopo.
«Arrivo!» gridò la giovane, per poi alzare la gonna e dirigersi verso l'uscio.
Aprì la porta e vide un giovane con indosso un cappotto trench grigio scuro. Lui doveva avere circa vent'anni, i capelli biondo platino corti e rasati da un lato. Era, senza alcun dubbio, un bel ragazzo dallo sguardo gelido che lasciò a bocca aperta la povera (NM).
«E tu chi saresti?» chiese senza pensare, squadrando dalla testa ai piedi il biondo che rimase sulla porta.
«In realtà questa domanda dovrei farla io a te, ma arriverò al sodo: c'è Léon?»
La ragazza sussultò, persa nei suoi pensieri e con un tremolio strano nello stomaco, poi si deve da parte per farlo entrare. Iniziò a torturare con la stoffa della gonna non appena l'ospite fu in casa e lei chiuse la porta.
Era una sensazione strana, aveva caldo e si sentiva soffocare come se tutti fossero troppo vicini e le pareti si stessero stringendo addosso a lei.
La cosa più strana, però, fu il cuore, che iniziò a battere forte.
Di quello che le sue compagne di scuola relativamente intelligenti chiamavano colpo di fulmine aveva solo vagamente sentito parlare. Nella sua mente non era altro che una storiella, un qualcosa che non credeva le sarebbe mai capitato, eppure si dovette ricredere non appena sentì quello strano batticuore per una persona della quale non le sarebbe dovuto importare.
«Oh? C-Certamente!» balbettò con voce leggermente più acuta «Dovrebbe essere nel suo studio. Lo vado a chiamare?»
«No, lo faccio io.» rispose il biondo, entrando in casa e avviandosi verso la scala a chiocciola. Aveva una bella camminata e a vista non sembrava avere difetti fisici, tant'è che (NM) dovette pensare che fosse un bel ragazzo.
L'ospite, che prima sembrava così silenzioso e calmo, urlò a gran voce il nome del medico e poi si mise a sbattere a terra il piede con impazienza nell'attesa che il padrone di casa si decidesse a scendere. Léon si presentò in cima alle scale dopo una manciata di secondi, innervosito.
«Cosa diavolo vuoi?» chiese, scendendo le scale a malavoglia e avvicinandosi sempre di più all'uomo, di qualche centimetro più alto di lui.
(NM), che li guardava da lontano, non poteva fare a meno di sentirsi come il terzo incomodo in quella che sarebbe potuta diventare una relazione romantica da manga shojo non particolarmente pesante o complesso. Vedeva uno che era nervoso per essere stato disturbato nel mezzo di chissà quale riflessione di filosofia spicciola e l'altro che roteava le pupille al sentire quella sgridata a senso unico. Più che una coppia di amanti segreti in un'epoca vittoriana dov'era peccato amarsi sembravano due fratelli che litigavano per ogni minima cosa. Non sapeva se trovarli carini insieme oppure cercare di separarli prima che Léon desse di testa.
Le tornò in mente l'accaduto del giorno prima come un fulmine a ciel sereno. Certo, il tremore e la paura se ne erano andati, ma il disagio rimaneva. Non sapeva perché, ma sentiva che c'era qualcosa sbagliato in tutta quella situazione e non si riferiva solo a creature folkloristiche apparse dal nulla, ma alla vicenda in generale. C'erano troppe coincidenze, troppe cose che non le quadravano.
Per sua fortuna, non dovette fare nulla. Il corvino si ricordò di lei dopo aver deciso di lasciar perdere la discussione con quel ragazzo, archiviandola nell'enorme archivio dati del suo cervello come "questione in sospeso" e mettendola insieme alle altre migliaia. In realtà non sapeva nemmeno perché avevano incominciato a discutere, non gli importava molto, litigavano anche sulla questione più insignificante da bravi bambini poco cresciuti.
Il corvino sbuffò sonoramente, per poi stendere il braccio e indicare la povera umana con il palmo della mano destra.
«Lui è mio cugino, Louis. Louis, lei è la mia assistente, (NM).»
La ragazza provò a balbettare qualcosa, ma non le fu dato il tempo che Louis si lasciò cadere sul divano impolverato del salotto, ignorandola tranquillamente. Ci rimase un po' male a vedere che non era l'oggetto delle sue attenzioni, ma dopotutto non poteva pretendere tanto. Era una semplice sconosciuta, non poteva pretendere molta considerazione da parte sua.
«Molto interessante, idiota, ma sono qui per altro. Non avevi bisogno di me?»
«(NM), mica ci puoi preparare un the? Possibilmente alle fragole e mango.» disse il medico, prendendo posto davanti al cugino. «Sì, mi chiedevo se fossi ancora in contatto con lo zio. Avrei bisogno di un favore non indifferente e speravo che lui, il caro fratello di mio padre, potesse fare una cortesia al suo amato nipote. Cugino, cosa puoi fare?» concluse con un tono da ruffiano e uno sguardo da cascamorto.
Louis alzò gli occhi al cielo, quasi per abitudine, poi li posò verso (NM), che era dietro al gas a scaldare l'acqua lasciando perdere gli strani gusti di Léon per le bevande calde.
«A parte mandarti al diavolo, niente. Sono due mesi che non vedo mio padre, neanche Julia della taverna sa nulla. Sembra sparito.» rispose sconsolato il biondo, ripensando al padre al tavolo del locale con un boccale di birra in mano, ma cercò di scacciare il pensiero dalla sua testa prima che il cugino potesse accorgersene. Assunse, poi, uno sguardo annoiato come suo solito.
«C'é qualcosa che dovrei sapere?» chiese infine preoccupato.
Suo cugino non era solito chiamarlo a casa propria, di solito andava a trovarlo nel Saint Vincent, la locanda dei bassifondi dove di solito riceveva i clienti poco raccomandabili. Erano stati a casa del medico, insieme, solo due volte e non erano mai state cose buone per nessuno dei due. Nulla che non si potesse risolvere, certo, ma comunque non era stata una situazione delle migliori. Era visibilmente e (NM), che stava posando le tazze di the sul tavolino da fumo, sembrò accorgersene.
Léon, nel mentre dei pensieri poco positivi dell'ospite, tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il rosario d'argento che avevano trovato nel vicolo solo il giorno prima e glielo porse.
«Abbiamo trovato questo rosario in Saint Martin, mi chiedevo se potessi saperne qualcosa. Non voglio un nome specifico, mi basta sapere se appartiene a un ordine in particolare o altro.»
Louis lo prese tra le mani e lo guardò con attenzione, esaminando ogni rifinitura in stile barocco e ogni pietra preziosa incastonata. Era un oggetto di alto valore, un qualcosa che sicuramente non si è felici di perdere. Il biondo, al contrario, fu felice di averlo trovato.
«Mon dieu! Vale, se non sbaglio, circa mille fiorini*. Non male, è quello che guadagnava la mia ex moglie in una settimana quando andava in strada. Purtroppo, non so dove l'abbiano fabbricato o altro, ma forse conosco qualcuno che potrebbe darci più informazioni.» disse, mettendoselo in tasca.
Il medico posò nuovamente la tazza sul tavolino subito dopo aver bevuto un sorso della bevanda, poi tirò fuori dal panciotto il suo orologio. Non si era mai accorto dei ghirigori e dello stile simile del rosario, non ci aveva fatto caso quando prese quella prova -nonostante non fosse propriamente tale, era solo un pezzo d'argento in un vicolo vicino a un cadavere- in mano per la prima volta. Insomma, c'era un cadavere e non gli venne di pensare al suo orologio.
«Solo una cosa. Le rifiniture, non sono le stesse del tuo orologio a cipolla? Lo stile mi sembra lo stesso. Léon, dove l'hai preso?» chiese il biondo con uno sguardo pensieroso. «Perché so dove andare.»
*I fiorini hanno un valore molto diverso da quello dei nostri euro. Ad esempio, Aloysia Weber lavorava alla corte dell'imperatore d'Austria guadagnava 1000 fiorini annui quando lo stipendio di un compositore era di trecento fiorini all'anno. I soldi valgono molto di più, il rosario vale quanto lo stipendio annuale di un lavoratore europeo.
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