Case 5 - Parole incomprensibili

Lei dovette seguirlo, dovette per forza. Non sapeva minimamente dove fosse e se non voleva rimanere sola e abbandonata doveva. E fu così che si ritrovò a seguire il medico con la schiena dritta, a tre passi di distanza e lo sguardo fisso davanti a sé, quasi non volesse perderlo di visita un secondo di più.
Era davvero identico a suo padre, che non le dava spiegazioni e che la teneva sotto una campana di vetro. Erano due gocce d'acqua, con quei loro scatti di severità che non si facevano attendere.
Anche lui le aveva preso l'avambraccio e l'aveva trascinata via come un sacco di patate, nonostante l'occasione fosse ben diversa.

Successe la prima volta che uscì da sola, con quel bel tipetto che era in classe con lei. Dovette, a malincuore, mentire al padre per lasciare casa dopo il calar del sole.
Vado solo al teatro con quella mia compagna di banco, gli disse, tornerò entro le dieci. E ci sarebbe andata davvero al teatro, solo non con quella biondina.
Dovette convincere poi anche la sua cotta ad andare a vedere il Nabucco, il che fu più difficoltoso. E ci riuscì, a malapena, ma ci riuscì veramente e si trovarono davanti al luogo stabilito.
Sotto il lampione, le stelle brillavano e c'era l'intesa perfetta tra di loro, quel rullo di tamburi che c'è nel momento esatto prima del bacio, quando le labbra si stanno per toccare. Avrebbe voluto averlo, quel bacio così hollywoodiano e perfetto, ma vennero interrotti da una macchina nera.

Non è difficile immaginare cosa successe dopo. La vita di (NM) era questo: brevi, brevissimi momenti di libertà e autonomia intervallati da mesi e mesi di controlli scrupolosi, regole severe, orari e coprifuoco che non ammettevano trasgressioni. E lì s'era illusa di essere una diciannovenne come tutte le altre, come ogni qualsiasi giovane donna con le sue libertà e i suoi diritti, tra cui decidere per sè e bere alcolici.
Invece si era ritrovata un surrogato del padre, solo che questo medico era più giovane e dipendeva di più da lui.

Lo seguì con attenzione, svoltarono un paio di volte sulla strada di ciottoli, evitando gli uomini eleganti con i cappotti e le belle donne con le gonne lunghe fino agli stinchi. Era come essere prima della seconda guerra mondiale, l'atmosfera che si respirava era quella.
Dopo al quinta svolta giunsero al palazzo che era la casa di Léon, al che lui mise la chiave nella serratura e aprì la porta.

«Senti, io-» cercò di dire la giovane donna, entrando in quella stanza umida che era il salotto. Si rese conto solo in quel momento quanto fosse polveroso e antico, forse un po' troppo sui toni del marrone. Dei libri erano sparsi sul pavimento e sulle molte librerie c'erano dei barattoli in vetro contenenti strani oggetti che le parevano essere di natura organica.
Se non erano contenitori o libri c'erano delle cianfrusaglie d'epoca, tra le quali le sembrò scorgerne una macchina fotografica vintage.

«Non dire niente. Ti prego, non dire niente.» la interruppe bruscamente.
Se c'era una cosa che volgeva a suo vantaggio nella strana somiglianza tra il corvino e il padre era che almeno sapeva come trattare con loro. Al che chiuse la porta e si sedette sul divano, aspettando in silenzio. Come sempre.
Bisognava solo aspettare. Forse un'ora o forse un giorno intero.

«Allora, hai fame? Okay, forse non abbiamo molto, ma dovrebbe bastare per pranzare almeno per oggi. Mal che vada ci compriamo qualcosa alla veloce, che dici?» chiese il medico tranquillamente, girandosi verso di lei con quel suo sorrisetto allegro sul volto. Sembrava la stesse prendendo in giro, anche perché non era normale cambiare umore da un secondo all'altro. Non era dannatamente normale.
Forse si era sbagliata, forse non erano così simili quei due.

Suo padre rimaneva arrabbiato per ore, se non giorni. Sedeva in silenzio e la giudicava come fosse un pezzo di carne, giudicava i suoi sbagli e le sue insicurezze. Perché lei se ne era accorta da tanto, di quanto diverso dagli altri padri fosse. Il padre della sua migliore amica non la seguiva quando usciva con le amiche, non le sceglieva i vestiti da comprare o i club scolastici da frequentare. Sua madre non aveva mai detto niente, neanche quando era palese che la stesse obbligando a fare ciò che lui voleva.

Si chiese se quella non fosse la sfida scelta da chissà quale dio per metterla alla prova, per renderla finalmente libera. Aveva letto che per diventare adulto, un figlio deve uccidere il padre e forse era davvero quello lo scopo di quella situazione inverosimile.

«Ascoltami un momento!» disse lei d'improvviso, sbattendo la mano contro il tavolo da pranzo. Si era alzata e aveva camminato a passi leggeri fino ad arrivargli dietro. «Senti, non puoi cambiare umore così all'improvviso, dannazione! Mi hai fatta spaventare. Ora, passando alle cose serie, cos'hai in casa? Che voglio provare a fare della pasta.» concluse lei decisa. La stessa decisione sparì pochi secondi dopo.
Finse di nulla e si mise a rovistare nei cassetti e guardare nelle mensole della cucina in cerca degli ingredienti necessari o di una pentola per far bollire l'acqua. Si stava quasi per dimenticare del medico.
Quel giorno aveva la mente da un'altra parte, nella maniera più assoluta. Sua madre le avrebbe di certo detto che "se ti tagliassero di netto la testa probabilmente non te ne accorgeresti nemmeno".

«Oh, sai anche cucinare?» scherzò il corvino con un ghigno sul volto.
Lei non rispose neanche, decise che non era necessario.
Aveva imparato a cucinare con la nonna, quand'era ancora piccola e entrambi i genitori lavoravano. Era quasi obbligata a passare del tempo con lei, ma si divertiva. Non doveva dare spiegazioni a quel medico da quattro soldi, non era tenuta a farlo neanche contando il fatto che la stava ospitando. In realtà "ospitare" non era il termine giusto, ma non era a conoscenza di altri termini.

«Tuo padre non lo sa che sei qui, vero?» chiese improvvisamente il medico.
Era seduto sul divano in pelle, con le gambe accavallate e lo sguardo serio come se fosse a un funerale.
(NM) restò a guardare il vuoto per qualche secondo.

«In effetti mi chiedevo come mai non fossi già in galera e condannato alla pena capitale...» rispose sarcastico lui.
Lei non realizzò mai il significato di quelle parole. Persino anni dopo, quando ci ripensava, non riusciva ancora a capire cosa volesse dire. Restarono lì, sole e vuole, un groviglio di lettere e suoi senza alcuna importanza. Per Léon fu come parlare da attraverso uno specchio, ove i concetti sì, giungevano, ma solo a metà.

In realtà non aveva ben capito cosa fosse successo. Quello strano medico s'era seduto e le aveva detto delle parole che non aveva realmente capito, che le erano entrate in testa per poi svanire come un nonnulla. Stava solo sentendo, non ascoltava, e forse neanche aveva capito cosa intendesse realmente. Come se avesse parlato attraverso un vetro, il nostro Léon, le cui parole non erano state comprese a fondo, ma solo una piccola parte era "passata oltre".

Così accadeva, e non si poteva cambiare. Non si può capire cosa significhi parlare con una persona che sì, capisce e può capire, ma non lo fa. Non che abbia qualche problema, semplicemente è più comodo fingere, far credere di essere un alleato per finire ad essere un semplice burattino. Qualsiasi cosa quell'uomo dicesse fingeva di ascoltare. Come con il padre, preferiva essere il burattino stupido che l'alleato geniale. Se mai fosse successo qualcosa, se mai fosse stata coinvolta in un qualcosa che non la riguardava, poteva sempre dire al padre di essere stata manipolata.

Era scorretto, sleale, eppure preferiva fare così per preservare ancora un piccolo posticino nel cuore gelido di quell'uomo. Doveva essere sempre il soggetto passivo, stupido, in modo che qualsiasi cosa sbagliata o immorale potesse accadere lei sarebbe stata dalla parte del giusto, la vittima scema che non poteva non annuire.

«É così che vedi mio padre? Sarà che io ci vivevo insieme, ma non è così vendicativo o diffidente da arrivare a tanto. Insomma, mi hai pur sempre salvata da una morte certa per assideramento. Anche se fosse non potrebbe essere così cattivo.» provò a dire lei per non sembrare imbambolata. Non poteva non dire nulla, stava pur sempre parlando del padre. Certo, era scappata di casa alla primissima occasione, ma comunque non poteva tollerare che si parlasse di lui in un certo modo. Per quanto fosse severo o iperprotettivo, era comunque suo padre.

Léon la guardò stranamente, poi abbassò il capo e si portò una mano alla bocca e spalle iniziarono a tremare. Lei si preoccupò non poco, tant'è che si avvicinò di qualche passo per vedere se stesse bene, ma non ebbe neanche il tempo di posargli una mano sulla spalla che lui caddee sui cuscini del divano. Improvvisamente le fu chiaro cosa stesse succedendo: stava ridendo.
Al che, (NM) prese un cuscinetto e glielo lanciò addosso.

«Sei adorabilmente ingenua!» disse lui fra le risate. Lei non capì neanche quelle parole, e non le capirà mai fino in fondo.

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Okay, forse non è il mio capitolo migliore, ma comunque abbiamo tempo a migliorare, spero. Oltretutto è più corto, perché ho tre materie da recuperare. Evviva me.

Passando alle cose serie, ho intenzione di far partire in progetto con Sabry2701 ovvero una raccolta su Wattpad dei peggiori serial killer, anche i meno conosciuti, ovviamente raccontando tutto il possibile.
Ditemi solo cosa ne pensate, anche perché non sono sicura di un tale progetto. Soprattutto perché non so quando pubblicare.

Comunque, per il resto ditemi cosa ne pensate del capitolo. Mi dispiace solo non poter fare di più a causa della scuola...
E nulla, al prossimo capitolo~

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