Case 4 - Incontri voluti dal destino

(NM) stava aspettando seduta su una delle tante poltrone bordeaux della sala d'attesa. Era in quella che aveva capito fosse una specie di centrale di polizia, dove Léon era andato con quel moro per parlare meglio riguardo al caso.
Le avevano detto di rimanere lì e lei aveva fatto come detto, anche perché di quella storia ne voleva sapere il meno possibile.
Lei, che era stata cresciuta sotto una campana di vetro, non poteva di certo risolvere un caso di omicidio alla Criminal Minds o alla CSI.

Non ne sapeva nulla di quelle cose, al massimo poteva tradurre le scritte in greco o in latino, fare l'analisi de Manon Lescaut, ma certamente non poteva trovare un omicida seriale!
Si ritrasse un poco per il timore non appena vide un uomo entrare e sedersi accanto a lei. Ancora non sapeva come comportarsi con quelle creature, temeva che potessero saltarle addosso e succhiarle ogni goccia di sangue da un momento all'altro. Anche se quel medico era stato gentile, non significava che lo fossero anche i suoi simili.

«Attendi qualcuno?»

(NM) alzò gli occhi e vide davanti a sé una ragazza. Era piuttosto alta, leggermente sopra la media, con gli occhi color nocciola e i capelli lunghi e neri come ali di corvo tenuti sulla nuca con una forcina. Era vestita con un abito verde pistacchio e delle scarpe con il tacco dello stesso colore, abbinati a una borsa e un paio di guanti apparentemente in pelle di coccodrillo.
Le sorrideva dolcemente, quasi fosse una sorella maggiore.
Le ispirava una sorta di senso di protezione, di fiducia, come se di lei si potesse fidare ciecamente. Il timore che poco prima aveva era scomparso senza lasciare traccia.
Non seppe definire ciò che provò in quel momento, come un'aura calda attorno a sé, un tempore piacevole.

«Sì, una persona che conosco sta parlando con il signor Émile. Il fatto è che sono nuova qui, e questa persona mi sta ospitando, senza di lei sarei persa.» rispose velocemente, con le guance leggermente rosse e con lo sguardo fisso sulla figura della giovane donna, la quale si sedette accanto a lei.
Era davvero una bella presenza. I suoi occhi erano magnetici, castani, incantevoli. Tuttavia, sembrava che in quell'ambiente un po' vecchio stile ci fosse anche un qualcosa di tetro, sinistro, come in quei giochi RPG giapponesi che sapevano metterti ansia nonostante abbiano una protagonista talmente tenera da volerla adottare.

«Umana, vero? Beh, benvenuta a Parigi! Io sono Marie Antoine, o semplicemente Marie, diciamo che anch'io conosco una persona.» rispose lei sorridendo e portandosi la mano destra al petto come per indicare se stessa.

La giovane fu perplessa nel sentire il nome della città, Parigi, che di Parigi non sembrava avere nulla. Non aveva visto né archi, né torri alte trecento metri, né gotiche cattedrali con deformi campanari adottati da arcidiaconi perfidi. O almeno lei non aveva visto nulla di tutto ciò, neanche lontanamente.
Ciò che le sembrò meno chiaro fu il perché del trovarsi lì, dove un'umana solitamente non poteva stare.
«Stai tremando, stai bene?» chiese, posando una mano sulla spalla della (CC).

Lei si tranquillizzò dopo qualche secondo, poi guardò la ragazza con quei suoi occhi (CO). Non sapeva bene cosa dire, soprattutto dopo essersi resa conto che probabilmente, anzi, senza alcun dubbio, la giovane mora accanto a lei non era umana. Come Léon.
Si chiese in quel momento quale fosse il cognome di quel medico, siccome non l'aveva visto o letto da nessuna parte e sulla porta di casa era illeggibile. Si chiese quale cognome potesse portare un vampiro, magari uno di quei strani cognomi dell'est Europa o un qualcosa di simile a una lingua inventata.

«Il fatto è che questa persona mi ha vagamente parlato di voi. Fino a un giorno fa neanche sapevo della vostra esistenza, e quel che conoscevo riguardo ai vampiri non erano belle cose. A volte assassini maledetti temuti da pecore e contadini, altre nobili che rapiscono fanciulle indifese per... vari motivi, e altre ancora giovani di bell'aspetto che si innamorano della ragazza più improbabile. Il fatto è che non so bene che idea farmi, se avere paura o meno.» rispose timidamente, giocando con le mani. Erano piuttosto fredde e quasi le bruciavano. Doveva ricordarsi di andare a prendere dei guanti.

Marie fece una faccia strana, come se si trattenesse a stento dal ridere come una stupida, attirando di conseguenza l'attenzione. Almeno aveva abbastanza autocontrollo da non perdere la sua relativa fermezza e non macchiare così l'onore della sua casata.
«Sei adorabile! E dimmi, questa persona che tipo è?» chiese, guardandola con occhi maliziosi. Le ricordava quando (NM) entrava in classe parlando con quel bel ragazzo del suo compagno di classe e tutti si voltavano verso di loro. Era imbarazzante, ai tempi della scuola come in quel momento.

Ci pensò qualche secondo.
Davvero non sapeva che tipo fosse Léon -mettendo che fosse quello il suo nome, non si fidava molto- siccome l'aveva incontrato poco tempo prima. Due giorni non sono sufficienti per conoscere una persona, anche se questi ti dà vitto e alloggio solo per fargli da assistente. Non avrebbe avuto giudizi in ogni caso, dopotutto aveva capito da anni che in chiunque c'era qualcosa che le sarebbe piaciuto e qualcosa che avrebbe odiato con tutta se stessa. Nulla era bianco e nulla era nero.

«Eh? Non saprei, non così su due piedi. L'ho conosciuto forse l'altro ieri notte.» disse guardando le ginocchia coperte dalla soffia della gonna. «Sembra una persona gentile, da quel che ho potuto vedere. Mi ha dato una casa, un lavoro e del cibo quando ne avevo più bisogno, nonostante fossi una perfetta sconosciuta. Mi ha salvato la vita, mi ha accolta quando ho rischiato di morire assiderata. Gli sono debitrice.» concluse sorridendo.

Dominique avrebbe dovuto spiegarle un paio di cose, soprattutto come ciò che aveva detto era sì, un gesto onorevole come pochi, ma forse non era esattamente l'ideale per un'umana ingenua che ignorava totalmente gli usi, i costumi e persino l'intera esistenza dei vampiri.
Le avrebbe spiegato un po' meglio la situazione, anche perché magari quella persona era stata un po' frettolosa o magari aveva omesso apposta dei dettagli. Lo avrebbe fatto, se solo non si fosse aperta la porta.

«Perfetto. Per qualsiasi cosa chiamami.» disse freddamente il medico, uscendo senza neanche voltarsi. Sembrava nervoso, tant'è che fece un segno a (NM) con la testa per dirle di alzarsi, che dovevano andare.
A lei dispiacque un po' dover lasciare Marie senza preavviso, soprattutto considerando quanto era stata gentile con lei e come l'aveva rassicurata. Era come una sorella maggiore, nonostante fosse una perfetta sconosciuta.

«Arrivederci, Marie.» disse. Ebbe appena il tempo di salutarla che dal sembrare un po' arrabbiato, il medico divenne palesemente adirato. Abbastanza da prendere la povera assistente per un braccio e trascinarla via, fin fuori dalla centrale. Non capiva il motivo per cui fece quel gesto, comportarsi come un marito geloso non era esattamente ciò che si aspettava.

Si lasciò trascinare per qualche metro, finché non furono sul ciottolato, sotto gli sguardi dei passanti. In realtà non erano neanche un po' sorpresi, come se quella fosse la normalità. Come se trascinare una donna come se la stesse tenendo al guinzaglio come un cane fosse normale.
Non si era mai sentita così sottovalutata e non era mai stata trattata con così poco riguardo, neanche dallo stesso padre che le imponeva talmente tante regole da farla soffocare.

Era abituata all'autorità, alla severità dei genitori, ma credeva di aver conquistato almeno un po' di libertà in quella che aveva capito essere la versione vampirica di Parigi. Si era illusa non ci fosse più nessuno a controllarla, che fosse un uomo troppo severo o che fosse una madre troppo impegnata a decide ogni minimo dettaglio della sua vita. L'aveva creduto, voluto con tutta se stessa, eppure si stava facendo trascinare come un chihuahua. Al che, si fermò di colpo e ritrasse il braccio in modo che sfilasse via dalla presa del medico.

«Si può sapere che diavolo t'è preso? Non sono il tuo cane.» rispose con fermezza, posando le mani sui fianchi. Sembrava più una vecchia maestra più che l'elegante diciannovenne che voleva apparire, le mancano solo gli occhi e sarebbe stata la perfetta sosia della signorina Rottenmeier.
Il medico abbozzò un sorrisetto, al che alzò le mani in segno di resa.
Non era sua intenzione litigare con una bambina troppo cresciuta nel bel mezzo della strada, per carità, era pur sempre un uomo di cultura e d'onore.

«Senti, mi dispiace. Ora sei contenta? Ti muovi o vuoi un biscotto perché sei rimasta lì ad aspettare?» rispose sarcasticamente, voltandosi e portandosi una mano alla fronte in un gesto teatrale.

(NM) non si era mai sentita così sottovalutata, presa in giro come in quel momento. Non era solita dare importanza a quelle cose, anche perché era un personaggio con delle conoscenze abbastanza importanti e la famiglia ricopriva un ruolo d'interesse. In quel momento, però, era sola e abbandonata a se stessa dopo la sua frettolosa fuga di casa. Non poteva sperare nel rispetto di cui godeva, ma ancora non si era resa conto che il suo nome valeva come un chiodo.
Lei gonfiò il petto d'orgoglio e rispose al corvino.
«Tu non hai idea di chi io sia! Mio padre-»

«So benissimo chi è tuo padre, non c'è bisogno che tu me lo ripeta. Ora andiamo, ho perso fin troppo tempo.» rispose bruscamente, per poi tornare a camminare come se nulla fosse successo.
Lei, allora, affrettò il passo e lo seguì.

-•-•-•-•

Lo so, pure io mi rendo conto che non è tra i miei capitoli migliori, anzi, è forse quello che è venuto peggio.
Il fatto è che mi sono fidanzata, il problema è che il mio ragazzo ancora non lo sa. Glielo dirò, un giorno.
Comunque, mi dispiace davvero per il ritardo, ma tutti abbiamo avuto dei casini, no? Oltretutto sto cambiando scuola, quindi hai voglia a imparare il greco in due settimane!

Comunque, ditemi cosa ne pensate e noi ci rivedremo giovedì 💙.

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