Case 2 - Spiegazioni non proprio logiche
I tacchi degli stivali ancora bagnati dalla neve di (NM) ticchettavano sul pavimento in legno scuro. La casa del dottore era strana, suo toni del marrone e dell'oro, piena zeppa di cianfrusaglie che sembravano risalire a duecento anni prima. Le sembrava quasi di essere nel romanzo di Hugo Cabret, con le stesse colorazioni e gli stessi orologi antichi e in numeri romani.
Era tutta un'altra epoca, quasi fossero in un 1800 Steampunk, e lei rimase meravigliata da quello stile un po' antiquato.
«Eccoci.» disse il corvino mostrandole con la mano quella che era la stanza degli ospiti.
Aveva percorso una scala a chiocciola per poi andare dritta sulla fine di un corridoio, ove c'era la stanza. Era piccola e con delle finestre ad arco come nelle ville di una volta. Il parquet era in legno scuro e le pareti bianche, decorate con dei gigli fiorentini color marrone pastello.
Lei entrò e ringraziò Léon, poi si sedette sul copriletto marrone con grazia, inclinando le gambe.
Il corvino la guardò per un momento con aria pensierosa, quasi stesse riflettendo su temi filosofici e inconcepibili.
«Tu se umana, vero?» chiese improvvisamente lui con una mano coperta da un guanto nero sul mento.
La ragazza inizialmente non capì cosa intendesse, nel senso che cos'altro poteva essere se non umana? Certo, era a conoscenza di varie leggende metropolitane come lo Slenderman o i licantropi di Twilight, ma non ci aveva mai creduto fino in fondo.
«Sto solo cercando un modo di spiegarti la situazione senza sembrare ridicolo. Quindi, tu sai cosa sono i vampiri, vero?»
«Certamente!» esclamò lei quasi si fosse offesa. «Solo perché studio letteratura francese all'università non significa che non sia informata se non su Molière. Attualmente, mi sono letta circa tre volte Dracula e vari romanzi di Stephen King e-» lui la interruppe sul nascere di una conversazione piuttosto spinosa.
Il corvino percorse la stanza fino ad arrivare al davanzale della finestra per appoggiarsi su di esso e guardare fuori. Si potevano scorgere i lampioni tra le strade che sembravano illuminati con delle candele e i fumi delle fabbriche. Sembrava di essere in una delle epoche passate o in un romanzo di Victor Hugo.
Ora che ci faceva caso, pure gli abiti del medico sembravano appartenenti all'epoca vittoriana o alla Belle Epoque. Lì per lì non si fece tante domande, probabilmente erano solo gusti.
«Allora lascia che ti spieghi una cosa: lo Ius Sanguinis è un ordinamento che si attiva quando un vampiro si ferisce per salvare un umano. Tu sei in debito con me del tuo sangue, quindi dovrai versarlo per me in una quantità eguale o superiore di quello che io ho versato per te.» disse con calma, scandendo ogni parola per non creare inutili paranoie nella testa della giovane.
Il piano, però, non andò in porto e la ragazza si strinse contro la testiera del letto, si portò le gambe al petto e una mano alla gola. Era palesemente spaventata, anche perché il camino era acceso da quando l'aveva portata in casa, tant'è che tremava come una foglia.
Quando il ragazzo allungò una mano per tranquillizzarla, si strinse ancora di più, quasi nel timore di farsi toccare. Non era spaventata, si corresse, era terrorizzata come una bambina, il problema è che non era a conoscenza del motivo.
Lui ci restò male a vederla in quel modo, paralizzata come se stesse cercando di attentare alla sua vita. Gli dispiacque, doveva essere sincero.
«A-A-Aspetta, tu sei un vampiro, giusto? S-Significa che mi succhierai il sangue e diventerò un vampiro pure io?! Ecco perché sei uscito la notte.» disse lei con voce tremante.
Lì il medico si rese conto di cosa stesse succedendo: la giovane era spaventata non da lui in quanto individuo, ma da lui in quanto vampiro. Al che, scoppiò in una fragorosa risata al sentire quelle parole. Probabilmente la testa le era stata riempita di stupidaggini, di ridicole leggende metropolitane che gli umani si divertivano a raccontare ai loro bambini.
«Ma cosa ti hanno raccontato?» chiese, cercando di ritornare serio come prima. «Per prima cosa non siamo romantici, chiaro? Non assomigliamo affatto a un branco di transessuali che se ne vanno in giro in abito da sera a tentare di rimorchiare tutti quelli che incontrano con un falso accento europeo. Dimentica quello che hai visto al cinema: non diventiamo pipistrelli, le croci non servono a niente. L'aglio? Vuoi provare con l'aglio? Mettiti una treccia d'aglio intorno al collo e non solo i vampiri, ma persino gli umani scapperanno a gambe levate! Oltretutto, non voglio vedere una testa d'aglio in questa casa, il suo odore mi fa vomitare. Non dormiamo in bare di lusso foderate di seta. Vuoi ammazzarmi? Piantami un paletto di legno direttamente in mezzo al cuore, chi non morirebbe? Ascolta, so che voi umani avete idee piuttosto confuse su di noi, ma è normale. Da quando quello scemo del Conte ha fatto parlare di sé sembra che noi povere creature non possiamo provare neanche un po' di sentimento! E poi c'è la Meyer, che non ha capito che i vampiri al sole si abbronzano come ogni semplice mortale! Ah, gli umani non li capisco.»
Léon Victor si ritrovò a fare il discorso più esaustivo e nervoso dei suoi ventuno anni di vita, lo sapeva bene, ma ciò servì non solo a farlo sfogate ben bene, ma anche a tranquillizzare la povera umana che nel frattempo si era rilassata. Il medico aveva la mano sulla fronte con fare melodrammatico, quasi stesse recitando una parte in un'opera lirica, e lei rise a quella scena.
Lo sguardo dell'uomo si addolcì alla vista di lei che era serena. Era incantevole nella sua innocenza, come un fiocco di neve.
«Oh, merda! Ho perso il filo!» sbottò maledicendo se stesso. «Comunque, tu mi sei in debito del tuo sangue, ma tagliarsi non serve a nulla. Devi spargere sangue in un contesto nel quale io ne traggo beneficio, come prendersi una coltellata al posto mio o farmi una trasfusione di sangue. Insomma, credo che tu abbia capito che finché il debito non è saldato non ti posso lasciar andare a meno che io stesso non dichiari di averlo annullato.»
Spiegò il tutto con precisione e passione, non si poteva dubitare la sua appartenenza alla stirpe vampirica, tant'è che (NM) rimase con un solo dubbio: «Quindi, il succhiare il sangue cosa sarebbe?» chiese.
Léon Victor guardò la giovane donna perplesso, non sapeva che stupidaggini le avessero raccontato nel mondo umano. Certo, medicina la aveva studiata all'università di Parigi, la sua amata Sorbonne, ma della cultura sapeva ben poco e ancor meno ciò che si diceva su di loro.
«Un casino, è lungo da spiegare. Per ora accontentati di sapere che non farò nulla del genere. Ora, prima che vada a dormire, hai altre domande?» lei scosse la testa. «Perfetto, domani ti spiegherò ulteriori dettagli, oggi è andata così. Buonanotte.» concluse freddamente, dirigendosi verso l'uscita e sbattendo la porta alle sue spalle prima che lei potesse rispondere.
Dire che (NM) fosse scossa da tutte quelle informazioni avvenute in un periodo di tempo tanto ristretto sarebbe un eufemismo. In realtà rideva per non piangere, siccome aveva capito metà delle cose che le erano state dette. Credeva che i vampiri fossero come il conte Dracula: uomini alti e imponenti che giravano con dei mantelli e con i canini appuntiti in bella vista.
La ragazza si lasciò cadere sul letto e, vuoi per la stanchezza vuoi per lo stress emotivo e fisico della giornata, cadde in un sonno profondo.
Si svegliò relativamente presto.
La prima cosa che fece fu guardare l'ora sul cellulare che aveva nella borsa. Si guardò intorno e la vide sul pavimento in legno, lasciata a se stessa come il peggiore dei sacchetti dell'immondizia. Rise nel vedere come stava maltrattando l'oggetto fatto il pelle che le aveva regalato la zia a Natale.
Si alzò una volta fattasi forza fino ad arrivare all'oggetto e lo aprì, per poi prendere il dispositivo mobile.
La prima cosa che le saltò all'occhio, oltre che all'ora, fu la totale assenza di segnale.
In realtà non si preoccupò più di tanto, siccome di telefonate urgenti non ne doveva fare. Persino quella sua amica non sapeva nulla della sua fuga, avrebbe potuto avvertire il padre e allora avrebbe fatto ciaone a quel suo disperato tentativo di allontanarsi.
Decise che non ci avrebbe ricavato un ragno dal buco, al che scese in salotto. Si aspettava di vedere il medico seduto sul divano, forse a leggere qualche libro di anatomia e con una tazza di caffè in mano, invece la stanza era vuota.
Sul tavolo della cucina c'era un cesto di vimini con delle mele rosse, vicino al quale c'era un biglietto. Si avvicinò, prese un frutto e guardò il pezzo di carta per vedere se c'era scritto qualcosa.
"Ti ho lasciato da mangiare, fatti bastare una mela e un cambio di vestiti in bagno. Quando sei pronta esci e va' a fare la spesa, che non ho più un pezzo di pane. Questa è la lista, i soldi sono sotto il cestello di frutta. Starò fuori fino a mezzogiorno." recitava, per poi elencare ciò da prendere, come il pane e le uova.
Lei non era abituata ad andare al mercato a fare la spesa, di solito la madre la portava alla drogheria, ma mai al mercato. Continuò a mangiare la mela tranquillamente, non si fece problemi di alcun genere, tanto le bancarelle non sarebbero scappate.
•••
Erano le dieci in punto quando uscì.
Si era messa gli abiti che Léon le aveva dato -in stile anni '40, a quanto pare il medico era rimasto nella seconda guerra mondiale- e aveva preso i soldi.
Probabilmente se il padre l'avesse vista vestita come Eva Braun al mercato sarebbe stato andato su tutte le furie e l'avrebbe portata via, ma ormai aveva accettato l'incarico. Si ritrovò a girare in una città che sembrava essere basata sui quartieri inglesi del 1800, ma le mode, le usanze e persino gli oggetti usati sembravano risalire alla Germania hitleriana, ma senza le SS che marciavano imperterrite per le strade fatte di ciottoli.
(NM) guardò le vie in cerca di quella che l'avrebbe condotta nel luogo che il biglietto le aveva indicato, ovvero "Piazza della Bastiglia" in centro città. Guardava un po' con sospetto tutte le persone che le passavano accanto, con quei loro cappotti neri probabilmente presi da un nonno che aveva combattuto al fianco degli Alleati.
Rimase, però, incantata dall'atmosfera. Le strade di ciottoli, i lampioni in stile parigino e le macchine antiche la lasciarono di stucco. Non aveva mai visto cose del genere se non in foto, vederle finalmente dal vivo era per lei una cosa meravigliosa. Mentre passeggiava sentiva i tacchi sulle strade, il vociare delle persone, sentiva il romanticismo della città.
Non seppe dire per quanto girò, dimenticandosi totalmente di andare al mercato.
«Oh, eccoti!» sentì all'improvviso. La ragazza si girò e vide dietro di sé il medico, che la guardava con un sorrisetto sardonico. «Orsù, principessa, il ballo vi aspetta.»
-•-•-•-•
Ehilà~
Il capitolo è stato scritto molto velocemente, non so come sia venuto, oltretutto sto sperimentando uno stile nuovo.
Ditemi cosa ne pensate e noi ci vediamo giovedì. O lunedì.
Addio~
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