XXXIV

«Tesoro, posso entrare?»

Silenzio.

«Bel, sto entrando.»

«Non voglio vedere nessuno, vai via Sammy.»

⸞⸞⸞⸞⸞⸞

«Isabelle, c'è George alla porta...»

«Mandalo via.»

Sospiro.

«Va bene.»

⸞⸞⸞⸞⸞⸞

«Non me ne vado da qua finché non mi spieghi che cazzo è successo. Sei rintanata in questa stanza al buio da due giorni.»

Come avrebbe potuto spiegare ciò che era accaduto? Non lo sapeva nemmeno lei.

Cercava, invano, di cancellare i momenti di quella sera, ma non ci riusciva. Si erano come insidiati nella sua mente, e continuavano a proiettare un film di cui lei conosceva già l'amaro finale.

George aveva fatto una scenata di gelosia, non di quelle rumorose e caotiche, ma di quelle sottili, subdole. Se non avesse conosciuto lui e Angelina e i loro trascorsi, avrebbe pensato alla sua reazione come a quella di un fidanzato tradito.

Forse si sente davvero così.

Ancora una volta il dolore si espanse nel suo stomaco e nel suo petto. Premeva sulla cassa toracica, impedendole di respirare.

Come aveva potuto fare una cosa del genere? Come si era permesso di tradire così la sua, di fiducia. Come si era azzardato a farlo in quel modo, come si era azzardato a farlo con lei. Pensò che probabilmente, se lo avesse fatto con Alicia, con Katie, o con qualsiasi altra ragazza all'interno del locale, avrebbe fatto meno male. Mi sarebbe andato bene anche vederlo sbavare dietro a una delle cubiste. Ma con lei, era tutto diverso.

Lui l'aveva amata a lungo, in modo profondo e viscerale. Lo capiva, era il tipo di amore che aveva provato per Eric. Il primo, grande amore. Quello che ti leva il sonno e la fame, quello che ti fa toccare il cielo con un dito, ma che in un secondo ti riporta a terra, dandoti la sensazione di esserti sfracellato al suolo.

Le parole di George riecheggiarono ancora una volta nei meandri della sua mente, forse per la centesima volta in quei giorni in cui sentiva di trovarsi in un limbo, fuori dallo spazio e fuori dal tempo.

Angie, tutto bene? Questo tizio ti sta importunando?

E poi, il suo sguardo ferito, attraversato da incredulità, da dolore. Come hai potuto farmi soffrire, Georgie?

Dovresti capire che non me ne frega più un cazzo di Angelina da mesi, che ti sei fossilizzata su una cosa che non esiste più e che ti voglio! Isabelle, io ti voglio! Ti voglio con tutti i tuoi giorni no, ti voglio con tutto il tuo dolore, voglio tutto di te. Voglio renderti felice. Voglio farti svegliare la mattina con il sorriso. Voglio prendere tutti i tuoi pezzi e cercare di rimetterli insieme, voglio essere il collante della tua vita. Voglio farti stare bene. E voglio farti capire che tu con me non soffrirai, mai. Non lo permetterei mai.

E voglio farti capire che tu con me non soffrirai, mai. Non lo permetterei mai.

Non lo permetterei mai.

Mai.

E invece l'aveva fatto. L'aveva fatta soffrire, e l'aveva fatto nel modo più spietato. L'aveva colta nelle sue debolezze, nelle sue paure. Paure di cui ridevano insieme fino al giorno prima.

«Cosa vuoi che ti dica?»

«Voglio che mi dici la verità, e che non ometti niente. Dimmi come ti senti, Bel, non chiuderti a riccio... sai che non devi farlo, o almeno non con me.»

«Va bene, Sammy." Sospirò. "Non so da dove partire...»

⸞⸞⸞⸞⸞⸞

«Io non riesco nemmeno a guardarti, giuro. Ho voglia di darti un pugno in faccia!»

«Tesoro, per piacere cerca di calmarti. Così non risolvi niente!»

«Io dovrei calmarmi, Charlie? Io? Ringrazia il cielo, Merlino o chi vuoi tu, che non ho ancora davvero spaccato il bel nasino di tuo fratello.»

Sammy girava per la cucina della Tana in modo nervoso, portandosi le mani alla testa di tanto in tanto. Negli occhi, quello sguardo che Isabelle conosceva bene, e che Charlie aveva imparato a temere. L'acqua cheta poi spacca i ponti, come diceva sempre sua madre.

George rimase in silenzio, seduto al solito posto al tavolo. Tenne la testa bassa, incapace di affrontare la rabbia di Sammy. Incapace di affrontare ogni cosa, in quel momento.

Non dormiva da tre giorni, non dormiva da quando aveva visto il dolore attraversare quegli occhi verde scuro che tanto amava. Da quando aveva visto calare sul suo meraviglioso volto quella maschera di freddezza.

Da quando aveva rovinato tutto.

«Charlie, lasciami in pace, non adesso» disse Sammy, cercando di divincolarsi dalla presa del compagno. Si piazzò davanti a George, a braccia incrociate. «Dimmi che si sbaglia, che si è immaginata tutto. Per piacere, dimmi che è così. Dimmi che si sta solo facendo tante paranoie.»

Lui alzò la testa di scatto. «Cos'è, pensi che io non la ami più?» chiese con lo sguardo ferito.

«Non ti ho detto questo. Rispondi, per favore.»

Il problema era che lui non sapeva davvero cosa dire. In un primo momento aveva dato la colpa all'alcool, come sempre, ma sapeva che era una scusa che non reggeva. Poteva andar bene per le cazzate fatte a sedici anni, non a ventidue. Era ora di prendersi le proprie responsabilità, agire da uomo.

Agire da uomo un cazzo, sabato sera non lo hai fatto.

Scosse la testa per scacciare quella maledetta vocina nella sua testa. Non lo lasciava in pace da quella sera, costantemente impegnata a fargli notare la grande stronzata che aveva commesso.

«Sam, ti prego, sto soffrendo come un cane. Ho bisogno di parlarle, di guardarla negli occhi, di dirle che mi dispiace, che non deve avere paura di niente, che amo solo lei-»

«Ti ho detto di rispondere. Non lo ripeterò un'altra volta.»

«Va bene, va bene. Non so bene cosa sia successo... è che mi sono preoccupato per lei. La conosco da una vita, siamo stati migliori amici per tantissimi anni e... non volevo che succedesse qualcosa di male, ci tengo a lei, nonostante tutto.»

Questa era la verità. Il problema era che non aveva detto tutta la verità.

Non poteva parlare della sensazione di fastidio provata alla bocca dello stomaco, quando aveva visto le braccia di Angelina avvolte intorno al collo di quel tipo. Perché non voleva più pensarci nemmeno lui, e non poteva rischiare che anche Isabelle lo venisse a sapere.

Dilla tutta la verità, George.

Scosse di nuovo la testa. Basta, Angelina non mi interessa. È il passato, e rimane nel passato. Ho fatto una scelta.

«Io ho scelto lei, Sammy. L'ho scelta dal primo giorno in cui l'ho vista a quegli incontri, l'ho scelta dal primo momento che ho posato i miei occhi su di lei. E sto malissimo, sapendo che soffre, da sola. So bene come fa, so che si chiude, so che non mangia, che non dorme. So che si autodistrugge. E ho bisogno di vederla, di toccarla, di sfiorarla. Voglio farle sentire che non dovrà più stare male così, che mi prenderò cura di lei di nuovo, come ho sempre fatto. Ho bisogno di farmi perdonare. Per favore, Sammy... sei l'unica che la può convincere.»

La ragazza rimase qualche minuto in silenzio, mordendosi le labbra.

«Se combini un altro casino io non ti aiuterò più. Sono stata abbastanza chiara? E se lei poi non vorrà più vederti, io non interverrò un'altra volta.»

Il volto di George si illuminò. Aveva una possibilità, e non intendeva sprecarla. Annuì, sorridendole.

Sammy si spostò verso la culla in salotto, dove Alec dormiva beatamente. Prese con delicatezza il suo bambino tra le braccia e lo strinse a sé. «Charlie, riportaci all'appartamento.»

⸞⸞⸞⸞⸞⸞

«Secondo me ha il naso di Charlie. Voglio dire, è palese!»

«Ma non dire scemenze, Beth! Si vede lontano un miglio che lo ha preso da Sammy. E a questo punto, spero di non sbagliarmi! Sennò chissà quanti complessi gli verranno! Vorrà andare di sicuro dal chirurgo plastico appena fatti diciotto anni!» esclamò ridendo Pam.

Entrambe osservavano il bambino, tenuto saldamente tra le braccia di Isabelle seduta sul divano. La ragazza in quel momento aveva davvero bisogno di un contatto umano puro, semplice, e il suo nipotino acquisito era semplicemente perfetto. Quel bambino non l'avrebbe fatta soffrire, in alcun modo.

Si prese del tempo per osservare ogni dettaglio del suo piccolo visino. Gli occhioni azzurri e limpidi, le guance piene. Le sopracciglia chiare, proprio come Sammy da piccola, e i capelli biondi. Sembrava in tutto e per tutto la sua fotocopia. Si perse a giocare con lui, facendo facce buffe e dondolandolo, mentre accoglieva la piccola mano nella sua.

«In queste notti mi sta facendo impazzire, non dorme mai e piange senza controllo... diventerò pazza, lo so» disse Sammy, mentre si sedeva sul divano accanto a lei. Appoggiò la testa allo schienale e chiuse gli occhi, sospirando.

«Sorella, hai voluto la bicicletta? E ora pedali!»

«Pam, un bambino non è una bicicletta. Non so se te ne eri accorta!»

«Bel, pensi che queste due ce la faranno mai a non litigare?» disse ridendo Beth, adesso seduta a gambe incrociate sul tappeto di fronte al divano.

«Per il mio nipotino preferito potrei anche farci un pensierino, dai!» rispose Pam.

Isabelle si sentì ancora una volta grata per il grande dono che la vita le aveva fatto. Le sue amiche erano una benedizione, una ventata di aria fresca quando non riusciva a respirare. Proprio come in quei giorni. Era riuscita ad alzarsi dal letto solo grazie all'insistenza di Pam e Beth, e non avrebbe potuto ringraziarle abbastanza per le risate che le avevano fatto fare da quella mattina. Con Alec in braccio, poi, ogni male sembrava essersi dissolto.

Quando però Sam lo riprese per allattarlo, una nuova mina di dolore esplose dentro al suo cuore, dentro al suo animo. Le sembrò che mille spilli l'avessero trafitta da angolazioni diverse. Si mise una mano al petto, cercando di ricordare come si respirava. Ma faceva fatica, e le sue amiche se ne accorsero subito.

«Bel, respira forza.»

«Prendo un bicchiere di acqua».

Le mani le formicolarono, così come i piedi. Sentì un forte dolore allo stomaco, il battito accelerato e la sudorazione aumentata.

«Per favore, calmati... respira.»

«Non è successo niente, Bel. Sono sicura che risolverete, anzi ne sono certa. Ora però cerca di calmarti...»

Le sue amiche erano d'oro, ma in quel momento le loro frasi sortirono solo l'effetto contrario. Isabelle venne colta da un attacco di panico, nemmeno troppo forte, ma che la spaventò moltissimo. Riuscì a riprendersi solo dopo aver respirato a lungo dentro a un sacchetto di carta che Beth aveva trovato in cucina.

Guarda cosa mi hai fatto, Georgie.

⸞⸞⸞⸞⸞⸞

«La mia solita sfortuna. Quando decido di andare a uno dei pochi gruppi di ascolto organizzati il sabato sera, mi perdo le serate migliori.»

«Non la definirei una delle migliori serate che abbiamo fatto...»

Dopo essersi ripresa dall'attacco di panico, si era seduta sul divano con una coperta addosso, nonostante le calde temperature estive. Si sentiva uno straccio, senza forze, prosciugata di ogni energia positiva, o di ogni energia in generale. Le aveva impiegate tutte a scervellarsi per trovare una spiegazione ai comportamenti di George, a cercare di non spezzarsi ancora di più in due.

«Comunque Bel, non vorrei girare il coltello nella piaga ma...secondo me stai reagendo in un modo un po' esagerato».

Dopo questa affermazione di Pam, sia lei che Beth si girarono a guardarla con gli occhi spalancati.

«Tu non c'eri là fuori, Pam. Non lo sai.»

«Ok, è vero, non c'ero. Ma se dovessi arrabbiarmi così per ogni volta che Lee si gira a guardare qualche ragazza, oppure a preoccuparsi per una di voi, non staremmo nemmeno più insieme.»

«Non è la stessa cosa, e tu lo sai. Tu non hai visto come la guardava... sembrava distrutto... deluso da ciò che ha visto. Deluso dal fatto che...»

Sospirò, cercando di buttare giù il magone che sentiva formarsi in gola. Ricacciò indietro le lacrime, mentre cercava di calmare il tremore delle sue mani.

«Deluso dal fatto che lei stesse baciando un altro».

L'aveva finalmente detto. E, come prevedeva, faceva un male cane.

«Dovresti parlare con lui. Sicuramente ci sarà una spiegazione razionale... ne sono più che certa!» le disse Pam, mentre, in piedi dietro al divano, le accarezzava i capelli.

«Io una spiegazione ancora non l'ho trovata... e non credo nemmeno che ci sia...» sussurrò rassegnata.

Il rumore del campanello interruppe qualsiasi altro discorso. Sammy uscì dalla sua vecchia stanza, dove aveva messo Alec a dormire, e corse alla porta. «Apro io!»

Isabelle chiuse gli occhi, sprofondando nei cuscini sotto di lei e volendo scomparire. Non ce l'avrebbe fatta a sopportare gli sguardi di Lee o di Charlie. Sicuramente sapevano tutto, e avrebbero in ogni modo provato a giustificare le azioni del loro fratello e amico.

«Vieni... è sul divano».

Passi, poi silenzio.

«Ciao, amore...»

Il suono caldo della sua voce la fece irrigidire e rabbrividire nello stesso istante. Sperando che le sue orecchie le avessero giocato un brutto scherzo, si alzò di scatto voltandosi. Ma non c'era nessuno sbaglio.

Lui era lì, bello come il sole. Con dei jeans scuri e una maglietta bianca le sembrava una visione divina. Quei capelli rossi che amava accarezzare e stringere, gli occhi color nocciola in cui sprofondava. Occhi che ora erano solcati da profonde occhiaie scure.

Ma subito dopo la prima reazione data dal suo corpo, comparve quella del suo cuore ferito. Sentì montare la rabbia e la delusione, in primis verso Sammy.

«Come hai potuto? Sapevi che non ci volevo parlare!» esclamò, mentre puntava il dito verso di lui. Non lo stava guardando appositamente, perché aveva paura che se avesse incrociato le sue iridi nocciola si sarebbe sciolta.

«Isabelle, devi dargli una possibilità. Fagli spiegare... sai bene anche tu che chiuderti così nel tuo malessere non ti fa bene.»

«Per piacere, amore... dammi solo qualche minuto... ti prometto che ne varrà la pena» disse lui con gli occhi lucidi, tendendoli una mano. Lei lo osservò per qualche secondo prima di procedere, in silenzio, spedita in camera sua senza rispondere a quel tentativo di contatto. Dopo che anche lui fu entrato, si chiuse la porta alle spalle.

«Prevedo tempesta, ragazze!» disse Beth, mentre si scambiava sguardi preoccupati con le altre.

⸞⸞⸞⸞⸞⸞

«Avanti, togliamoci il pensiero.»

«Di che parli, Bel?»

Seduta sul letto, con le braccia avvolte intorno alle ginocchia, Isabelle si sentì persa. Aveva una terribile sensazione.

È venuto qui per dirti che si è accorto che ama lei e che vuole stare insieme a lei, che con te si è sbagliato, cioè sarà stato anche bello ma sei troppo impegnativa, troppo frammentata, troppo a pezzi per lui e

«Bel, per favore guardami».

George si inginocchiò di fronte a lei, posando le mani sulle sue ginocchia strette al petto. Lei trasalì al contatto, e si spostò. L'impronta delle sue mani era bruciante sulla sua pelle, e le era mancata. Ma non voleva provare certe sensazioni, non ora che aveva deciso di porre fine alla loro relazione.

«Mi spieghi perché stai piangendo ancora?»

Non si era nemmeno accorta delle lacrime. Forse aveva pianto troppo in quei giorni, e ormai erano diventate parte del suo viso, della sua pelle. Non rispose, semplicemente spostò lo sguardo a terra, incapace di guardarlo.

«Perché hai detto togliamoci il pensiero? Cosa pensi che voglia fare?» chiese lui, mentre non sapeva come comportarsi, cosa fare. Isabelle non si era mai ritratta così al suo contatto, e quel gesto aveva aperto una voragine nello stomaco del ragazzo. La persona che amava di più al mondo stava soffrendo ed era tutta colpa sua.

«Lo sappiamo entrambi, non fare finta di niente...»

«No, non lo so. Dimmelo tu.»

Dopo qualche secondo di esitazione, lei alzò lo sguardo e i loro occhi si incrociarono. Ancora una volta, brividi lungo la schiena a quel contatto così intimo, così profondo.

Ti prego, non mi lasciare

«Tu sei venuto qua per lasciarmi...»

Ti prego non lo fare

Finalmente l'aveva detto. Ma, contrariamente alle sue aspettative, o meglio, alle sue paure, la reazione di George la stupì. I suoi occhi si colmarono di lacrime, che si affrettò ad asciugare prima che potessero terminare la loro corsa.

«Perché mai... perché mai dovrei fare una cosa del genere?» chiese con la voce spezzata.

«Perché ti sei accorto che ami lei... ti ho visto l'altra sera, George. Ho visto il tuo sguardo, ho sentito il tuo tono di voce... ho visto il tuo corpo irrigidirsi, non puoi mentire. Non lo puoi fare, non mi devi raccontare cavolate-»

L'ansia si stava di nuovo impadronendo di lei, doveva cercare di calmarsi.

Il ragazzo davanti a lei scosse la testa energicamente. «No, no, assolutamente no! Ti prego, Bel... non ti lascerei per niente al mondo, ti prego credimi...»

«Come faccio a crederti? Tu mi crederesti, se mi avessi visto fare una cosa del genere? Con Eric, ad esempio?»

«Io... non lo so, Bel. Ma l'unica cosa che ti posso assicurare è che non sono innamorato di Angelina. Lo sono stato, ma quello è il passato. Per me adesso esisti solo tu.»

Tentò di avvicinarsi ancora una volta a lei, stavolta posando le mani sul suo volto rigato dalle lacrime. Lei non si spostò. «Isabelle, sono stato un grandissimo coglione. Non posso trovare delle parole che spieghino quanto mi dispiace averti fatto soffrire in questo modo. Sammy mi ha raccontato che ti sei chiusa in camera, non mangi da tre giorni... ti prego, se puoi perdonami...» disse mentre le lacrime riconciavano a scorrere sul suo volto. Questa volta non le fermò. «So che probabilmente non mi crederai, forse non mi crederei nemmeno io, ma ti giuro che ho fatto così solo ed esclusivamente perché ero preoccupato per lei, hai visto come si comporta, è senza controllo ed è pur sempre una mia amica e non posso cancellare il bene che le voglio nonostante tutto, ma ti assicuro che non c'è niente tra noi, che io non provo amore per lei. Io sono completamente e perdutamente innamorato di te, dal primo momento che ti ho visto. Devi credermi amore... Ti amo con ogni fibra del mio corpo. E vederti così mi sta uccidendo dentro.»

Mentre parlava, le asciugò con i pollici le lacrime salate che stavano bagnando le sue guance. Isabelle chiuse gli occhi e cercò di godersi per qualche secondo quel contatto, quella vicinanza che aveva agognato per giorni e che temeva di non sentire più. Nonostante questo avvicinamento fisico, però, non seppe davvero cosa pensare. Doveva credere a quelle parole, o doveva fidarsi delle sue sensazioni?

Delle tue paure, casomai.

George la fissò intensamente negli occhi, facendola sciogliere. «Ti giuro, Bel... non c'è niente, devi credermi... io ti amo, ti amo più della mia vita... ti prego, non mi allontanare... non mi lasciare, non potrei sopportarlo...»

«Mi sono solo immaginata la gelosia nel tuo sguardo? O era reale?»

George rimase in silenzio, incerto. Esitò qualche secondo di troppo a rispondere, e per lei fu la conferma che cercava.

«Basta così, vattene» esclamò, spostando con un rapido gesto le mani dal suo volto.

«Per favore, no!»

La maschera di freddezza tornò, ancora più saldamente di prima. Non poteva fargli vedere quanto la sua incertezza l'avesse ferita.

È geloso di lei è geloso di lei è geloso di lei

«Non sono geloso, ti prego non mi mandare via...»

«Giuralo.»

«Lo giuro, Isabelle. Te lo giuro sulla mia stessa vita.»

«Non basta, non mi basta.»

«Cosa vuoi che faccia?»

Sapeva bene di stare per superare una linea sottile. Una linea di sofferenza. Ma non potè farne a meno. Aveva bisogno di quelle parole. Aveva bisogno di certezze. E, in quel momento, le sembrò l'unica soluzione possibile per ottenerle, anche se questo significava andare a colpire dove lui era più debole, dove lui era più vulnerabile.

«Giuralo su Fred.»

«Io...» Il suo sguardo sembrò perso, con due buchi neri al posto del solito nocciola che le scaldava il cuore. Lo osservò con impazienza, mentre attendeva la sua risposta. La risposta che avrebbe deciso tutto.

«...lo giuro su Fred.»

⸞⸞⸞⸞⸞⸞

Quella notte fecero l'amore in modo diverso.

I loro corpi si scontrarono in modo quasi violento, colti dal bisogno di ritrovarsi, di fondersi per non lasciarsi andare più.

Si divorarono, si mangiarono, spinti da qualcosa di differente.

Spinti dalla paura di perdersi.

Spinti dalla paura di frammentarsi di nuovo senza la presenza dell'altro.

Perché George teneva insieme i pezzi di Isabelle, perché Isabelle teneva insieme i pezzi di George.

___________________________________________

Buonasera gente!
Il capitolo era pronto da qualche giorno, quindi ho pensato di pubblicarlo, spero che vi piaccia! Fatemi sapere cosa ne pensate...

Un abbraccio ❤

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top