XXVI
Disclaimer: menzione di tentativi di suicidio
Amsterdam
Il giorno dopo
«Ti prego, solo un'altra volta! »
Il sorriso di Isabelle occupava tutto il suo campo visivo. Si trovavano seduti su una delle tante panchine presenti in giro per la città, che si caratterizzava per i suoi canali e i suoi ponti. Una meraviglia. George non aveva mai visto niente del genere prima, e nemmeno l'Egitto con le sue piramidi poteva reggere il confronto, almeno a suo parere.
Adorava quella città. E adorava la persona con cui la stava visitando. La donna più bella su cui avesse mai posato gli occhi e che, finalmente, poteva chiamare la sua fidanzata.
La mia fidanzata.
Ancora non ci credeva. Nel corso della sua vita aveva sempre sentito dentro di sé di non meritare molto. A dir la verità, aveva sempre avuto la sensazione di non meritare niente. A partire da Angelina, si era sempre sentito così messo da parte, così poco coinvolto, da sviluppare all'interno della sua mente l'idea di non essere abbastanza per essere voluto, abbastanza per essere amato. Si era sempre accontentato di rimanere in un angolo, felice per le gioie provate da suo fratello e dagli amici intorno a lui. Non aveva mai provato gelosia verso di loro, ma una piccola punta di sana invidia. Si era sempre chiesto cosa gli mancasse per raggiungere la tanto desiderata felicità.
Ma con Isabelle era tutta un'altra storia.
Gli sguardi che lei gli rivolgeva, il modo in cui rideva ad ogni sua battuta, anche la più stupida, la forza con cui lo abbracciava, così stretto da toglierli il fiato, gli restituiva la certezza che quei malsani pensieri fossero soltanto tali. Pensieri, che si scontravano con la bellissima realtà che stava vivendo.
«George? Ci sei? » chiese Isabelle, mentre sventolava una mano velocemente davanti ai suoi occhi.
Lui ritornò alla realtà, aprendosi in un enorme sorriso. Annuì, mentre le faceva una lieve carezza sul volto. «Scusami Bel, stavo pensando ad una cosa... niente di importante» disse, mentre scuoteva la testa. «Adesso, tornando alle cose serie, cosa mi stavi chiedendo?»
La risata della sua ragazza gli scaldò il cuore. «Ti stavo chiedendo di farmi vedere un'altra piccola magia, solo una!» disse, prima di iniziare a voltare la testa a destra, poi a sinistra. «Non c'è nessuno intorno a noi adesso, guarda! Solo una, per favore!» disse facendo il labbrino imbronciato.
Le sue sopracciglia prima si corrugarono, ma dopo pochi secondi capì di non poterle resistere. Si assicurò nuovamente che non ci fosse nessuno intorno a loro e, sempre guardingo, tirò fuori la bacchetta dalla tasca dei jeans.
«Cosa vorresti vedere?»
«Non lo so, scegli tu! Basta che sia qualcosa di un po' più... esplosivo! Vediamo un po'...finora mi hai fatto vedere come far levitare oggetti, come ricomporre qualcosa che si è rotto e come creare una piccola e grande luce e poi spegnerla. Ma ora vorrei vedere qualcosa di più! Non c'è ad esempio... un incantesimo per il fuoco?» chiese lei, con una nuova luce negli occhi. Aveva preso bene la faccenda della magia e George si sentiva sollevato. Non avrebbe sopportato di doversi di nuovo separare da lei a causa della sua natura.
«Va bene. Però allontanati un po', non vorrei farti male...»
Lei senza dire niente si alzò dalla panchina e si spostò di qualche passo. George si guardò intorno cercando qualcosa da poter bruciare e assicurandosi nuovamente dell'assenza di babbani. Voleva evitare guai con il ministero. Ma in quel momento, per fortuna, la zona in cui si trovavano era libera.
Vide alcune cartacce in terra, probabile souvenir di qualche turista irrispettoso, e decise di puntarvi contro la sua bacchetta.
«Incendio».
Piccole fiamme si sprigionarono dalla punta della sua bacchetta, andando a colpire la carta sul terreno che iniziò ad accartocciarsi e a diventare presto cenere.
«Che spettacolo! Bellissimo! Sai, Stella avrebbe adorato tutto questo!» disse lei mentre batteva le mani estasiata.
«Sono felice che tu stia reagendo in questo modo, Bel» le disse mentre passava una mano sui suoi lunghi capelli corvini.
Lo sguardo della ragazza sembrò farsi più scuro. «Vorrei che anche Sammy reagisse in questo modo...»
George annuì, diventando serio. Il giorno prima, sul treno, avevano scoperto il motivo alla base dello strano malumore e della distrazione della loro amica bionda. La mattina della loro partenza, quella in cui Sammy e Pam si erano recate nella stanza di Isabelle, Charlie aveva avuto la stessa idea di suo fratello. Voleva svelare, una volta per tutte, ogni segreto tra di loro.
Nonostante i suoi tentativi iniziali di spiegare solo a parole la sua vera natura di mago, Sammy non gli aveva creduto e aveva iniziato ad arrabbiarsi, per quello che credeva essere uno scherzo di pessimo gusto. Aveva cominciato a lanciare oggetti al povero Charlie che, per difendersi e prima che la situazione degenerasse, aveva dovuto utilizzare un incantesimo Immobilus per poterla fermare. Lei, congelata sul posto, si era finalmente resa conto della realtà dei fatti e ne era rimasta completamente scioccata. Da allora non parlava a Charlie e anzi, cercava in ogni modo di evitarlo. Si era seduta in uno scompartimento diverso da quello prenotato, mentre suo fratello, disperato, si confidava con lui e Lee, credendo di averla persa per sempre.
«Sono sicuro che riusciranno a chiarire questa situazione. Charlie e Sam sono fatti l'uno per l'altra, non temere» rispose lui, mentre le cingeva le spalle con un braccio. «Che ne dici, cerchiamo un posticino dove lasciare le ultime note?»
Lei annuì, aprendosi in un altro dei suoi stupendi sorrisi. «Assolutamente sì, signor Weasley. Faccia strada!»
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Passeggiava in silenzio, godendosi la loro compagnia, la loro vicinanza. In sottofondo, c'era il rumore dei battelli e delle piccole barche piene di turisti che guadavano i canali.
«Quindi funziona così: a undici anni vi arriva una lettera tramite gufo, che vi dice che potete frequentare la scuola di magia di... com'è che hai detto che si chiama?»
«Hogwarts!» rispose lui, ridendo.
«Ehi, non prendermi in giro! Questo è un mondo completamente nuovo per me, mi ci devo ancora abituare!» rispose Isabelle, mentre il suo labbro inferiore iniziava a sporgere, formando una piccola smorfia. «Comunque, continuando il discorso! Hai detto che ci sono quattro casate-»
«Case.»
«Ok, quattro case» rispose la ragazza, enfatizzando l'ultima parola. «In cui venite smistati. E tu, dov'è che ti hanno messo?»
«Io e Fred siamo stati smistati nella casa Grifondoro, come tutti in famiglia del resto. Solo chi ha grandi doti di coraggio e lealtà può accedervi.»
«Direi proprio che tu sei la rappresentazione vivente di coraggio e lealtà!» gli rispose lei, dandoli una piccola pacca sul petto, mentre continuavano a camminare.
«Comunque, le altre case sono Serpeverde, Tassorosso e Corvonero. Nel momento in cui vieni smistato, i membri della tua casa diventano la tua famiglia. Condividi tutto. I dormitori, la sala comune, il tavolo da pranzo e cena in sala Grande, e via dicendo. Alla fine del sesto anno io e Fred però abbiamo abbandonato gli studi.»
«E come mai?»
George rise, ripensando alla loro uscita in grande stile e al ricordo della Umbridge, che correva disperata cercando di sfuggire all'enorme fuoco d'artificio a forma di drago che la inseguiva.
«Storia lunga, quella te la racconto un altro giorno. La cosa importante da sapere è che io e Fred abbiamo sempre avuto il fiuto per gli affari, tante idee in testa e un bel gruzzoletto per realizzarle tutte. Quindi, nonostante nostra madre e nostro padre non fossero d'accordo, ce ne siamo andati e abbiamo creato il nostro negozio. Il Tiri Vispi Weasley.»
«Spero che un giorno mi ci porterai... » rispose lei sorridendo.
«Certo, Bel. Appena torniamo sarà una delle nostre prime tappe» disse dandole un lieve bacio sulla guancia.
Un breve silenzio calò tra di loro, interrotto presto da Isabelle.
«George, sul treno ho avuto modo di pensare...e mi è tornato in mente il giorno in cui Laura ci ha chiesto di parlare del momento in cui la persona che abbiamo perso se ne è andata...»
Nel frattempo, erano arrivati in un grande parco pubblico, con una lunga distesa verde di fronte a loro e, in lontananza, diverse altalene e dondoli per bambini. Si misero a sedere in terra, sull'erba morbida e lui posizionò il suo braccio sulle spalle di Isabelle, mentre lei si accoccolò contro il suo petto.
«Vorresti sapere cosa è successo veramente a Fred?» continuò lui.
«Sì, mi piacerebbe... se te la senti di raccontare».
George fece un lungo sospiro. Non sapeva da dove iniziare.
«Allora, vediamo... c'è stato un mago oscuro, che ha minacciato per tanti anni l'incolumità di tutto il mondo magico. Il suo nome era Voldemort e ha causato tanto dolore. A tante famiglie, compresa la mia. Aveva degli ideali di potere molto particolari. Credeva nella supremazia dei purosangue, nelle famiglie di maghi non imparentate in alcun modo con i nati babbani o con i mezzosangue.»
«Chi sarebbero i mezzosangue?»
«Sono maghi nati da genitori babbani, oppure da un mago e un babbano» rispose lui, sperando che lei riuscisse a seguire il filo del suo discorso.
«Voldemort ha utilizzato tutti i mezzi in suo possesso per assicurare la supremazia dei maghi. Il suo intento era quello di conquistare il mondo magico, eliminando quelli che lui considerava "scarti", non degni di certi doni, e poi arrivare a portare orrore e scompiglio anche nel mondo non magico... il vostro.»
«Sembra la descrizione di Hitler...»
«Chi, scusami?» chiese lui, confuso.
«Hitler, era il Führer della Germania, ha promosso gli ideali di antisemitismo, razzismo e nazionalismo, ha portato alla morte di milioni di persone tra ebrei, omosessuali, zingari, persone con disabilità fisica e mentale... è stata una brutta pagina per la storia dell'umanità...e la tua descrizione di questo Lord Voldemort me lo ricorda molto.»
«Deve essere stato terribile anche per voi...» disse mentre un'espressione triste comparve sul suo volto.
Lei annuì, facendogli segno di continuare. «Comunque, Voldemort non aveva fatto i conti con il Prescelto, Harry Potter, che ci ha salvato tutti. È stato lui a ucciderlo e gliene siamo tutti immensamente grati.»
«E ora che fine ha fatto, questo Prescelto?»
George rise, pensando ad Harry. Gli tornò alla memoria il momento imbarazzante in cui aveva sorpreso lui e Ginny che si baciavano nella cucina della Tana.
«Beh, praticamente ha ormai preso la residenza a casa mia e sta insieme a mia sorella, oltre ad essere il migliore amico di mio fratello Ron, quindi posso dire che è diventato uno di famiglia» disse ridendo. «Il giorno in cui Voldemort è stato ucciso ci trovavamo tutti a scuola. Eravamo lì per proteggerla, per cercare di dare una mano. Io e Fred, insieme ai nostri genitori ed altri maghi e Auror, facevamo parte dell'Ordine della Fenice, una sorta di resistenza contro il signore Oscuro e i suoi seguaci» disse, mentre sentiva il groppo in gola e le mani che iniziavano a tremare. Sciogliendo l'abbraccio, le mise in grembo, torturandole come era solito fare. Isabelle se ne accorse e le prese tra le sue, cercando di sciogliere un po' della sua tensione.
«George, non devi sentirti obbligato a raccontarmi niente. Hai già detto moltissimo e non devi forzarti. Non voglio che tu soffra» sussurrò lei con occhi comprensivi.
Lui scosse la testa. Voleva parlare, sentiva il bisogno di farlo con lei, di confessare tutto. Voleva che tra loro non ci fossero più segreti, di alcun genere.
«Ci siamo separati. Quello è stato un grosso errore. Fred e Percy, nostro fratello maggiore, si sono avviati al quarto piano della scuola per cercare eventuali Mangiamorte, è così che venivano chiamati i seguaci di Voldemort. Uno di loro, Rookwood, cercando di colpirli con un incantesimo ha provocato una piccola frana. L'intera parete di rocce del corridoio è crollata e Fred, per salvare Percy, lo ha spinto di lato e...»
Le lacrime iniziarono a farsi strada. Le sentiva scorrere lungo le guance, arrivare fino in bocca. Sentiva il loro sapore amaro. Amaro come il dolore che pulsava nel suo cuore.
La presa di Isabelle non si staccò mai. Le sue piccole mani rimasero saldamente intrecciate con le sue.
«Fred, nonostante tutto, ha sempre voluto un gran bene a Percy. E sono sicuro che avrei fatto lo stesso per lui. Voglio dire, è mio fratello...»
«Nonostante tutto? Che significa?» chiese con tono incuriosito.
«Percy si è sempre vergognato della nostra famiglia. Ha sempre voluto di più. Non sopportava l'idea di avere pochi soldi, di essere meno degli altri. Ed è per questo che ha sempre cercato di eccellere nelle materie scolastiche. È diventato prima Prefetto, poi Caposcuola... e infine è riuscito ad entrare a lavorare al Ministero. Il suo sogno. Divenne assistente del ministro della magia, Solo che, mentre faceva questo, se ne è andato di casa e ha reciso ogni ponte con noi. Mia madre era distrutta, mio padre anche. Io e Fred... ce lo aspettavamo. Non ci ha sorpreso più di tanto, solo che ci faceva soffrire vedere i nostri genitori così, e soprattutto nostra madre. Ha un cuore d'oro ed è molto sensibile. Ama ognuno di noi in un modo inimmaginabile.»
«Deve essere una donna meravigliosa...»
«Lo è... Ad ogni modo, ecco la vera storia della morte di Fred. Ogni giorno, per quasi un anno, ho pensato che fosse colpa mia. Mi sono incolpato di non essere con lui come sempre, di non averlo salvato. Di non essermi sacrificato io al posto suo...» rispose, incrociando lo sguardo con quello di Isabelle. Gli occhi della ragazza si riempirono improvvisamente di lacrime.
«George, per favore, non dirlo nemmeno per scherzo! Il solo pensiero di non essere qui con te, in questo momento, mi toglie il fiato e-»
«Ehi, piccola, stai tranquilla. Sono solo stupidi pensieri... so che non è colpa mia. Finalmente l'ho capito. Ed è anche grazie a te... e al tuo prezioso aiuto» le rispose mentre le baciava delicatamente le mani.
Lei sembrò tranquillizzarsi e appoggiò la testa sulla sua spalla. Rimasero così, per diverso tempo, a godersi la loro compagnia e i rumori intorno a loro.
«Si sta facendo tardi, che ne dici se scriviamo le note? Potremmo lasciarle, ad esempio...» disse Isabelle, mentre si guardava intorno. «Su quelle altalene laggiù! Forse troviamo uno spazietto!» continuò mentre si alzava e iniziava a camminare verso la fine del parco. George la seguì.
Una volta lì davanti, individuarono una fessura abbastanza grande nel legno che componeva la struttura dell'oggetto. Poi lei, come al solito, staccò due fogli dal taccuino e gli porse una penna. Si misero a sedere, di nuovo in terra e uno accanto all'altro, iniziando a scrivere.
Caro Fred.
Sono arrivato alla fine di questa fantastica avventura. Le città che abbiamo visitato sono tutte bellissime, ma la cosa che ha reso tutto ancora più magnifico sono state le persone con cui ho condiviso questa esperienza. Sono così felice che le ragazze siano entrate a far parte non solo della mia vita, ma anche di quella di Lee e di Charlie. Sono state una boccata di aria fresca quando stavamo annaspando per cercare di respirare. Sono state la nostra ancora di salvezza. Adesso che sanno della magia sarà nostro compito proteggerle dalle insidie che, sappiamo bene, il nostro mondo può nascondere.
Fred, io non potrò mai dimenticarti. Tu sei, e sempre sarai, parte integrante di me. Non passerà mai giorno in cui io non ti ricorderò con dolore e nostalgia. Ma sono felice, finalmente, di poter rimettere in sesto la mia vita. Senza di te mi sento spoglio, ma sono grato di poter conservare nel mio cuore e nel mio animo tutti i momenti che abbiamo passato insieme.
Credo che Isabelle mi stia aiutando a superare questo enorme vuoto. Lo sta riempiendo con le sue risate, con i suoi baci, con il suo amore. E credo di star facendo lo stesso con lei.
L'unica cosa che rimpiango è che tu non l'abbia potuta conoscere. È bellissima, tosta, una forza della natura. Ma sono sicuro che tu lo sai.
Perché a volte, Freddie, io credo di sentirti. A volte mi sembra di sentire la tua risata quando sto anche solo pensando ad uno scherzo o una battuta. Mi sembra di sentire i tuoi passi scendere dalle scale dell'appartamento sopra il negozio. Penso che tu stia osservando ogni mio gesto, ogni mia mossa. Credo che tu sia diventato per me quello che una volta Isabelle mi ha detto essere "un angelo custode."
Freddie, ti prego. Continua a farlo. Saperti sempre con me rende meno difficile l'andare avanti in questo mondo che, senza di te, ha perso molto del suo colore.
Ma cercherò di fare del mio meglio per restituirgliene un po'.
Ti voglio bene, Gred.
Tuo, Forge.
Si rese conto di piangere solo quando alcune lacrime bagnarono il foglio di carta. Le asciugò con l'indice per poi voltarsi ad osservare la sua ragazza, concentrata a scrivere.
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Piccola mia,
non passa giorno in cui non mi manchi. Non passa momento in cui non senta un buco profondo nello stomaco e nel cuore. Ogni giorno senza di te risulta una tortura, e anche se non lo dico o non lo do a vedere, dentro di me provo ogni giorno una sofferenza non descrivibile a parole.
Mi manca sentire la tua risata la mattina appena alzata, mentre ti preparavo la colazione. Mi manca farti le codine e passare ore a pettinare i tuoi morbidi capelli neri, uguali a quelli di tuo papà. Mi manca uscire al parco, giocare insieme. Mi manca tutto di te. Mi manca tutto della nostra famiglia.
Ma ho imparato a mie spese che continuare a vivere nel passato non serve a niente. Non aiuta me, non aiuta tuo papà. E odiarmi per ciò che è successo non mi aiuterà a riportarti indietro.
Ho imparato a rendere più sopportabile la tua assenza. E per quanto possibile, mi sembra di stare un po' meglio. C'è una persona che mi sta aiutando in questo. E mi sta facendo davvero tanto bene all'anima.
Stella, vorrei che tu lo potessi conoscere. Ti avrebbe fatto sicuramente ridere e so per certo che vi sareste legati indissolubilmente, perché siete entrambi due angeli, due persone pure. Sarebbe stato impossibile il contrario.
Anche lui ha perso una persona cara. E oggi la mamma ti vuole chiedere un favore.
Per favore, Stella, se puoi, trova questa anima pura, che come te, è stata strappata troppo presto da questa vita. Il suo nome è Fred, e sarei molto felice se tu potessi tendergli una mano.
Insieme, sono sicura, riuscireste a non perdervi, a non smettere di brillare di luce propria come hai sempre fatto e come, sono sicura, ha sempre fatto anche lui.
Saperti insieme a lui porterebbe un po' di serenità al mio cuore straziato.
La tua mamma ti pensa sempre e ti ama, adesso e per l'eternità.
«Sei pronta? Il sole sta tramontando, dobbiamo andare».
La dolce voce di George le giunse ovattata. Troppo concentrata sulla scrittura dell'ultima nota. Dell'unico mezzo che le dava la sensazione di essere ancora vicino alla sua bambina, alla sua piccola farfalla.
Tirando su con il naso, si alzò in piedi. Dopo aver piegato il foglio in due lo inserì nello spazio della struttura dell'altalena che avevano individuato in precedenza insieme.
Poi, mano nella mano, si incamminarono in silenzio. Un momento del genere richiedeva un piccolo raccoglimento in sé stessi.
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«Charlie, devi lasciarmi in pace. Voglio stare sola».
Sammy pronunciò queste parole prima di prendere con un gesto di stizza la sua valigia e scendere dal treno. Iniziò ad incamminarsi velocemente da sola verso l'uscita della stazione di King's Cross.
Charlie, dal canto suo, aveva il volto segnato dalla disperazione. Grandi occhiaie viola circondavano i suoi occhi azzurri. Fece un lungo sospiro, mentre vedeva la ragazza di cui era innamorato allontanarsi. Non gli aveva rivolto parola per due giorni e sembrava intenzionata a continuare su questa linea.
«E se non volesse più avere niente a che fare con me? Isabelle, non so cosa fare...» disse rivolgendosi a lei con un tono di voce basso, roco.
Isabelle gli diede una piccola pacca sulla spalla, cercando di consolarlo. «Charlie, ti assicuro che Sammy ha solo bisogno di qualche giorno in solitudine. Sai come è fatta, ha bisogno del suo tempo per metabolizzare le cose... e questa è una situazione particolarmente insolita e stressante. Dalle solo del tempo, vedrai che tornerà in men che non si dica da te.»
«Charlie, se c'è una persona che conosce Samantha sono io. Da piccole non mi ha parlato per due settimane perché le avevo rotto una tazzina del set delle bambole! Una sola!» gli disse Pam, mentre scendeva dal treno e si avvicinava a loro, riuniti al binario. «Lasciale un po' di spazio. Sono sicura che tornerà».
Anche George e Lee cercarono di trovare delle parole che potessero confortare il ragazzo. Ma, nonostante i loro sforzi, tutto sembrava vano. I suoi occhi erano rossi e sembrava sul punto di scoppiare a piangere.
Isabelle poteva capire la paura di Sam, ma comprendeva anche la frustrazione di Charlie. Non aveva scelto di essere un mago. Non poteva cambiare la sua natura e sperava che Sammy potesse ripensarci e tornare sui suoi passi.
Si incamminarono verso l'atrio della stazione. Era ormai serata inoltrata e avevano deciso di prendere un taxi per ritornare all'appartamento delle ragazze, luogo da cui i loro tre amici maghi si sarebbero smaterializzati nelle rispettive case. Isabelle non aveva ancora potuto vedere quell'originale mezzo di trasporto ed era particolarmente curiosa.
«Allora, sei soddisfatta di questa vacanza?» le chiese George, mentre le posava delicatamente un braccio intorno alla vita. Si erano fermati di fronte all'ingresso della stazione e Lee stava cercando di fermare un paio di taxi. Sammy non si vedeva da nessuna parte. Probabilmente si era già avviata verso l'appartamento.
«Assolutamente sì. Non potevo chiedere di meglio» disse, sporgendosi a dare un bacio lieve sulle labbra del suo ragazzo.
Sentì improvvisamente il suo telefono cellulare vibrare. Lo estrasse dalla tasca posteriore dei jeans che indossava e vide un numero che non riconobbe.
«Pronto?»
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Mentre la osservava rispondere al cellulare, George si girò verso Charlie che stava davvero male, nel tentativo di consolarlo. Non avrebbe mai voluto essere nei suoi panni. Non sapeva come avrebbe reagito se Bel lo avesse rifiutato a causa della sua natura magica.
Probabilmente non bene.
Gli diede una pacca fraterna sulla spalla e lui rispose con un sorriso tirato e gli occhi tristi.
«S-sì, a-a-arriviamo subito...»
Avvertì immediatamente il cambio nel tono della voce di Isabelle. Si voltò verso di lei e la vide, bianca come un fantasma, chiudere la telefonata e cercare di aggrapparsi a qualcosa, qualsiasi cosa, pur di non svenire.
Ma l'unica cosa vicina a lei era la sua valigia e non sarebbe bastata per reggere il suo peso.
George fece un balzo in avanti, tendendo le mani e riuscendo a riprenderla prima che cascasse in terra. Preoccupato, cercò di farla tornare in sé. La ragazza infatti aveva gli occhi sbarrati e un colorito pallido. La sua pelle sembrava fredda al contatto, nonostante le temperature estive.
«Bel, cos'è successo? Chi era al telefono?» chiese, mentre la faceva sedere a terra, con la schiena appoggiata alla parete dell'edificio. «Pam, puoi passarmi dell'acqua?»
Mentre beveva dalla bottiglia che Pam le aveva dato, Isabelle si limitò a stare zitta, osservando il vuoto.
George si inginocchiò di fronte a lei. La costrinse ad guardarlo negli occhi e le parlò di nuovo.
«Bel, dimmi chi era al telefono. Se non me lo dici, non posso cercare di aiutarti. Per favore...» disse, mentre prendeva le piccole mani della ragazza e le stringeva tra le sue. Gli altri del gruppo, intorno a loro li osservavano preoccupati.
Lei deglutì, prese un respiro profondo e infine, confessò la ragione del suo improvviso malessere.
«Era Laura al telefono. Mi ha chiamato dall'ospedale... oh George, perché? Perché succedono queste cose? Perché a lei?» disse scoppiando in singhiozzi e coprendosi la faccia con entrambe le mani.
«Cosa è successo, Isabelle?»
«... non so come dirtelo, George...»
«Dillo e basta».
La frase che pronunciò poi uscì dalla sua bocca in un sussurro.
«Beth ha tentato il suicidio.»
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