XVIII


Aveva quasi fuso la cassetta a forza di ascoltarla. In ogni suo momento libero estraeva il walkman dalla tasca del cappotto dove lo teneva, indossava le cuffiette sopra la testa, sistemava i cuscinetti alle orecchie, o meglio orecchio, e premeva il pulsante di play. Non importava quale canzone partisse. Ognuna era speciale, a suo modo. Ognuna di esse gli ricordava Isabelle.

Fece così anche quel giorno. Era in camera sua, steso sul letto, ad osservare il mondo fuori dalla finestra. Mondo che, per oggi, stava andando avanti senza di lui. Quel giorno aveva deciso di non andare a lavoro. In realtà aveva deciso di non aprire proprio il negozio, e quando lo aveva proposto ai suoi fratelli avevano tutti concordato senza obiezioni.

Era il 2 maggio 1999 e George non aveva voglia di vedere nessuno.

La canzone che partì fu Always dei Bon Jovi. Sprofondando ancora di più tra i cuscini e le coperte, chiuse gli occhi, lasciandosi avvolgere dalle note.

Ripensò all'anno appena passato. I ricordi della battaglia erano ancora vividi nella sua mente, come se fosse appena avvenuta. Ripercorse i corridoi del castello, la desolazione e la distruzione che lo circondava. Si ritrovò di nuovo al quarto piano, e prima che la scena più straziante di tutte si presentasse alla sua memoria, decise di aprire gli occhi. Mettendosi una mano sul petto cercò di ristabilire un respiro regolare. Quel giorno era davvero difficile per lui, ma non solo. Anche la sua famiglia stava soffrendo moltissimo. Quella mattina, dopo colazione, aveva sentito sua madre piangere in camera sua. Era stato quasi tentato di entrare a consolarla, abbracciarla, ma era stato preceduto da Ginny in corridoio, che con uno sguardo dolce e comprensivo gli aveva detto: «Non ti preoccupare George, qui ci penso io. Perché non vai un po' in giardino? C'è un bel sole, si sta molto bene».

Ma lui non aveva voglia di andare all'aria aperta, non aveva voglia di sentire la sensazione di calore data dal sole sulla sua pelle. Non voleva sentire il vento mite che gli scompigliava i capelli e gli arrossava le guance. Non voleva sentire niente. Ancora una volta, il senso colpa di provare qualsiasi cosa gli stava attanagliando le viscere. E questo perché la persona più importante della sua vita non poteva sentire più niente.

Facendosi forza sulle braccia si alzò dal letto e scese al piano inferiore. Era ormai ora di pranzo e sembrava che sua madre si fosse ripresa. La trovò in cucina, davanti ai fornelli. Quello era l'habitat naturale per Molly Weasley.

Si mise a sedere al tavolo al suo solito posto. Di fronte, suo fratello Percy stava leggendo con grande interesse la Gazzetta del Profeta. Sulla prima pagina George riuscì a scorgere il titolo "Anniversario della battaglia di Hogwarts" e sotto vide una foto di Harry mentre entrava al Ministero, che cercava in tutti i modi di scappare dalle grinfie dei giornalisti e soprattutto di Rita Skeeter. Portava la sua valigetta sotto un braccio e con l'altro cercava di ripararsi dai flash delle fotocamere.

Perché non lo lasciano in pace? Quanto ancora deve soffrire?

Sotto l'articolo continuava con: "Harry Potter, il Prescelto che ha salvato tutto il mondo magico dalle tenebre del Signore Oscuro, ha deciso di non rilasciare nessuna intervista... "

«Ha fatto bene a non rilasciare nessuna dichiarazione. Perché non lo lasciano stare?» si ritrovò a dire quasi senza accorgersene.

Percy si irrigidì sentendo la voce di suo fratello rivolta verso di lui. Abbassò lentamente il giornale e lo fissò negli occhi solo per un secondo, prima di spostare lo sguardo. Era ancora pallido, e da diverse settimane se ne andava via subito dopo il lavoro senza dire quale fosse la sua destinazione, anche se George ipotizzava che andasse a casa della sua fidanzata Joyce. Poi ricompariva semplicemente per andare a dormire, e solitamente, se trovava qualcuno sveglio in salotto si affrettava a dare la buonanotte e a scomparire nella sua stanza.

«Hai ragione...» disse semplicemente, mentre riportava il giornale davanti a sé.

George lo guardò stranito. Non riusciva a capire il cambiamento di umore di suo fratello da qualche mese a quella parte, ma gli sembrava troppo familiare. Già una volta aveva deciso di allontanarsi dalla famiglia e il risultato era stato disastroso.

Con una mano abbassò il giornale di scatto fino ad inchiodare il suo sguardo su quello del fratello.

«Percy, mi spieghi che cosa hai?» chiese George. Non riusciva più a trattenersi. Questa situazione lo stava facendo preoccupare, e anche un po' incazzare.

«Io... io non ho niente» disse lui, balbettando.

«Che succede ragazzi?» intervenne sua madre, portando in tavola un grosso pentolone pieno di zuppa. George notò che aveva gli occhi ancora arrossati dal pianto, che probabilmente era continuato dopo quella mattina.

«Succede che Percy si comporta in modo strano dal nostro compleanno» disse lui, poi continuò: «Perché mi eviti?»

«Io... io non ti evito» rispose lui, mantenendo lo sguardo basso.

«Oh sì, lo fai».

Suo fratello si guardò intorno un po' spaesato. Cercò protezione nella madre, che però stava attendendo curiosa insieme a George. Lo stava fissando intensamente, mentre posizionava le braccia nella sua classica postura.

«Io...» disse, prima di scoppiare a piangere e portarsi le mani al volto. I singhiozzi scossero il suo corpo minuto. Senza dire niente si girò e si aggrappò alla madre, quasi come se da questo dipendesse la sua vita. Continuò a piangere, con il volto sprofondato nel tessuto della gonna della donna. Molly rimase un attimo sconvolta ma poi si limitò ad abbracciare il figlio, senza dire una parola.

«Percy? Perché stai piangendo così?» provò a chiedere lui, a disagio.

Il fratello continuò a piangere ancora per qualche secondo. Poi si asciugò le lacrime con la manica della maglia che indossava e lo guardò, con gli occhi arrossati dal pianto.

«Ge-George mi dis-dispiace... è solo che...» fece ancora qualche secondo di silenzio prima di continuare. «Io ... credevo di farcela. Mi sono sempre detto che dovevo essere forte, per tutti noi... mi sono chiuso in me stesso, cercando di non esternare il dolore che provavo ma... quando ti ho visto il giorno del compleanno... avevi lo sguardo così spaesato e io... mi sono sentito perso. Non puoi capire quanto mi fa male vederti da solo» disse, mentre portava la mano destra a stringere il tessuto della maglia, al centro del petto. «... io mi sento responsabile George. Mi ha salvato quel giorno. Se non mi avesse spinto via adesso non sarei qui e-»

«Percy» disse George, interrompendolo. «Non ti incolpo di niente. Non incolpo nessuno se non me stesso, e anche su quello ci sto lavorando. Per favore, non sentirti responsabile, Fred ha solo fatto quello che avremmo fatto tutti. Sei parte di questa famiglia anche se per molto tempo non avresti voluto esserlo, e sono sicuro che Fred non si è mai pentito nemmeno un secondo della scelta che ha compiuto. Avrei fatto la stessa cosa anche io, per te e per tutti, in questa famiglia». Il suo sguardo era serio, e si stupì di essere riuscito a non piangere. Anche se, dentro, si sentiva morire.

Il fratello lo guardò con gli occhi colmi di lacrime mentre si teneva ancora attaccato con le braccia alla madre. Anche lei aveva gli occhi inumiditi e faceva dei respiri profondi, probabilmente per non scoppiare in singhiozzi.

«Non chiuderti in te stesso, Percy. Hai visto come è andata l'ultima volta. Ti abbiamo ripreso per un soffio. Ti prego, parla con noi, parla con me» concluse, mentre si alzava e si avvicinava al fratello. Aspettò che si staccasse dalla madre e poi lo strinse in un forte abbraccio fraterno.

Furono interrotti da Ginny e Ron, appena entrati in cucina, e dal rumore della metropolvere che indicò il rientro di suo padre e Harry dal Ministero per pranzo.

«Non potete capire che delirio stamani...» disse Harry, mentre si avvicinava a salutare Ginny con un bacio sulle labbra. Era provato e si vedeva. Aveva due borse scure sotto gli occhi e il colorito pallido.

«Oh caro, siediti! Con un po' di zuppa ti sentirai subito meglio!»

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Quel pomeriggio si sarebbe tenuto ad Hogwarts una sorta di cerimonia celebrativa per i caduti della Seconda Guerra Magica, ma George decise di non andare. Il suo stato d'animo era già precario e non voleva aggravarlo ancora di più. Visto che avevano deciso di andare tutti, compreso Lee e Charlie, rientrato dalla Romania, si ritrovò da solo in casa già dal primo pomeriggio.

Dopo essere passato a depositare un semplice fiore sulla tomba di suo fratello, si mise a sedere nuovamente sul letto, accendendo ancora una volta il Walkman che Isabelle gli aveva regalato al suo compleanno. Nei giorni precedenti aveva scoperto che non era un oggetto nuovo ma che era proprio il suo. George era rimasto stupito. Le volte in cui l'aveva incontrata in gruppo, l'aveva vista arrivare o rientrare da lavoro con le cuffie in testa. Era quindi un regalo decisamente personale, ma che lui aveva apprezzato. L'aveva ringraziata in modo impacciato già nei giorni seguenti al compleanno, non sapendo però cosa dire per esprimere le emozioni che stava provando. Lei aveva solo fatto uno dei suoi meravigliosi sorrisi ed aveva alzato le spalle. Era una ragazza umile e generosa, e George adorava questo lato di lei.

Una volta finita la canzone dei Bon Jovi che stava ascoltando e che era l'ultima, la cassetta finì e George riavvolse il nastro. Dopo un breve silenzio partì uno dei messaggi registrati che aveva ascoltato forse un milione di volte. La voce della ragazza si insinuò nel suo orecchio e poi si propagò in tutta la sua testa, la sua mente.

Buon compleanno George! Sono un po' imbarazzata, ciò che sto facendo è qualcosa di completamente nuovo per me. Ma ehi, nella vita mai dire mai, no? Comunque, non mi dilungo oltre. Voglio solo che tu sappia che sei una persona speciale. Sei gentile, premuroso e dolce. E io ... ti voglio bene per questo! Sono felice di aver conosciuto un... amico come te. Ancora tanti auguri e... buon ascolto!

Mentre cercava di rilassarsi ascoltando la musica e di non pensare alla sua famiglia riunita, probabilmente in lacrime, sentì suonare il cellulare. Era un messaggio di Isabelle.

Ciao George, come stai? Lee mi ha detto che giorno è oggi, non lo sapevo... Ti va di incontrarci?

Non ci pensò due volte. Ormai diventato esperto dei cellulari babbani, compose velocemente il suo numero e dopo aver atteso due squilli sentì la voce della ragazza. «Pronto?»

«Dove ci troviamo e a che ora?»

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Aveva inviato quel messaggio di getto. Seduta sul divano di casa sua e guardando fuori dalla finestra, si era ritrovata a pensare a George. Chissà cosa sta facendo...

Quella mattina aveva ricevuto una telefonata da Lee. Fu sorpresa quando lui le disse di che giorno si trattasse. Sapeva poche cose sulla morte del fratello di George, lui era sempre stato molto riservato su questo, e lei non aveva voluto insistere più di tanto. Lo capiva, perché era ciò che faceva anche lei, quando si trattava di parlare di sua figlia.

Credeva che lui non avrebbe nemmeno risposto, troppo impegnato a cullarsi nel suo dolore, ma rimase spiazzata quando dopo pochi minuti vide il suo nome sul display del cellulare. Rispose con un semplice «Pronto?»

«Dove ci troviamo e a che ora?»

«Ciao George. Come stai?» disse lei d'un fiato. Sentiva il cuore martellare nel petto e non sapeva perché. Anzi, forse lo sapeva ma non voleva ammetterlo a sé stessa.

Silenzio. Poi dopo qualche secondo lo sentì sospirare. «...Sto. Allora, ci vediamo oggi?»

«Certo. Che ne dici se...» esitò qualche secondo. «Vieni qua da me e poi andiamo insieme a fare una passeggiata? Oggi c'è un bel sole, potremmo anche arrivare ad Hyde Park.»

«Ok, va bene. Tra mezz'ora sono lì» rispose lui.

Mezz'ora? Non ce la farò mai a prepararmi. Questo quello che avrebbe voluto dire. Ma invece rispose: «Mm, ok! A tra poco!» prima di chiudere la telefonata.

Corse sotto la doccia. Voleva darsi un minimo di contegno, rendersi presentabile per lui, non voleva farsi vedere con la tuta che indossava da quella mattina. Dopo aver asciugato i capelli alla velocità della luce e aver indossato un paio di pantaloni neri a vita alta, una camicetta bianca con le maniche lunghe e le sue solite Dr Martens si avvicinò allo specchio. Doveva ancora truccarsi quando sentì suonare il campanello.

Oh cavolo. È già qua?

Andò ad aprire e rimase colpita, ancora una volta, di quanta bellezza inconsapevole emanasse il ragazzo di fronte a lei. Il colore inconfondibile dei suoi capelli, adesso corti ai lati e più lunghi sopra a formare un ciuffo disordinato, gli occhi color nocciola che la guardavano in modo magnetico. Le spalle e il petto che sembravano stare stretti nel maglioncino blu leggero che portava. Infine, il giacchetto di pelle nera che Lee lo aveva convinto a comprare, che gli dava un'aria da ragazzaccio ma che contrastava con la sua bontà d'animo.

«Sei pronta?» chiese lui, appoggiando l'avambraccio allo stipite della porta.

Lei rimase un secondo immobile, imbambolata a fissarlo.

«Bel? Tutto bene? Perché mi fissi?» disse lui, facendosi un po' rosso in viso.

Lei si scosse dallo stato di trance e si fece da parte per farlo entrare in casa. «Ci metto solo cinque minuti, accomodati pure» rispose, prima di sparire nuovamente in bagno. Dopo poco ritornò in salotto e lo trovò seduto sul divano, intento a guardare fuori dalla finestra mentre si contorceva le mani. Sembrava pensieroso.

«Andiamo?» chiese lei mentre si metteva il giacchetto di pelle.

George annuì e la seguì fuori dalla porta dell'appartamento.

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«Oggi sei parecchio silenzioso, ti va di parlarne?»

Erano seduti su una panchina al centro di Hyde Park. Isabelle adorava quel posto. Portava sempre Stella a giocare lì. La bambina si divertiva un mondo a passare da un gioco ad un altro senza mai fermarsi: altalena, dondoli, e a volte si divertiva anche a buttarsi nelle pozzanghere fangose che si formavano dopo qualche giorno di pioggia, giusto per farla impazzire. Al pensiero della bambina nel suo petto si fece largo una sensazione di calore mista a dolore.

«Hai ragione, Bel. Ho accettato il tuo invito e adesso mi comporto così...» disse lui, abbassando lo sguardo. Continuava a non lasciare in pace le sue mani, contorcendole.

«Non devi chiedermi scusa... Sai che ci sono per te» disse, prendendogli una mano e stringendola nelle sue. Che differenza! Le sue piccole mani riuscivano a coprire solo metà di quelle di George. «Gli amici servono a questo, no?» Fu difficile per lei usare quel termine. Quando pensava a lui, amico era l'unica parola che non sembrava giusto utilizzare. Ma le cose stavano così, e lei doveva accettarlo.

«Oggi è una giornata dura per me. Lo è per tutta la mia famiglia in realtà ma... Oggi c'era una specie di commemorazione, per lui. Cioè, non solo per lui...» disse in modo confuso.

«Cioè?» rispose lei, osservandolo.

Sembrò pensarci un attimo. «Sai... Il 2 maggio dell'anno scorso non è stato solo mio fratello a perdere la vita. C'è stato un...incidente. Quindi oggi, la commemorazione era per tutti loro. E le famiglie. Ma non me la sono sentita di andare. Non penso che avrei retto».

Isabelle lo guardò con tenerezza. Il ragazzo di fronte a lei stava soffrendo tanto, e si vedeva. Si avvicinò a lui e appoggiò la testa sulla sua spalla. Lui, in risposta, appoggiò la testa sulla sua. Rimasero entrambi in silenzio, ma lei non avrebbe saputo dire per quanto tempo.

Prima ancora di accorgersene, una delle domande più stupide che poteva fare uscì dalla sua bocca.

«... e come sta Angelina?» Non era riuscita a farne a meno. La ragazza non si era più fatta vedere dal disastro del compleanno di George, così come anche Alicia e Katie. Le sorelle Davis e Beth erano state ben felici del loro allontanamento, ma lei non faceva altro che chiedersi cosa fosse successo su quel terrazzo. Perché era scappata così? E perché lei gli aveva tirato uno schiaffo? Non aveva mai avuto il coraggio di chiederlo direttamente a lui.

«A dire la verità, non lo so. Non la vedo e non la sento dalla sera del mio compleanno» rispose lui, mantenendo la stessa posizione.

«Che succede tra voi, George?» Accidenti, ma che mi prende oggi?

«Diciamo che... è una storia lunga. Non credo che tu abbia voglia di ascoltarla».

Lei si scostò dalla posizione e inchiodò i suoi grandi occhi verdi su di lui, con aria divertita.

«Mettimi alla prova!» disse ridendo.

Un'ombra scura sembrò scendere sul volto del ragazzo, ma durò solo qualche secondo. Poi il suo sorriso si aprì, creando le fossette sulle guance che Isabelle tanto adorava. Dovette tirare fuori tutta la sua forza di volontà per resistere all'impulso di avvicinarsi e posare le labbra sulle sue.

"E va bene" disse grattandosi la nuca con fare imbarazzato. «Come sai già, con Angelina, Alicia e Katie siamo grandi amici dai tempi della scuola. Facevamo tutti parte della squadra di...» sembrò pensarci un secondo «cricket. A parte Lee, lui si divertita solo a commentare gli allenamenti e le partite contro le altre... scuole. Comunque, abbiamo passato tutti gli anni scolastici praticamente appiccicati. Eravamo inseparabili. E io... ho sempre avuto una cotta per lei. Più che cotta, ero proprio perso».

Isabelle continuò ad annuire, fissandolo. Aveva intuito qualcosa, ma sentirlo dire direttamente da lui le fece un po' male.

«Ma il destino ha voluto che lei non mi ricambiasse. O meglio, non mi ricambiasse completamente. È davvero complicato da spiegare ma in parole povere, si è sempre di più avvicinata a Fred, nel corso degli anni. La nostra scuola ha organizzato un ballo e io volevo invitarla, ma mio fratello mi ha battuto sul tempo. Non sapeva assolutamente niente dei miei sentimenti per lei...Hanno iniziato ad uscire insieme e io ho fatto l'unica cosa che potevo fare, ovvero mettermi da parte. Non mi sarei mai permesso di intralciare la felicità di Fred» disse con gli occhi lucidi mentre raccontava.

«Il problema si è presentato qualche mese fa. Lei mi ha confessato di provare qualcosa per me da sempre, e per me è stato davvero difficile. Voglio dire, come posso anche solo pensare di fare un tentativo con lei? È stata con mio fratello...E poi, trovo difficile credere alla sincerità dei suoi sentimenti. Se è sempre stato così, perché non me ne ha mai parlato? Perché ha aspettato adesso?»

«George, è veramente terribile tutto questo. Ma tu non hai colpe. Fidati... Se c'è qualcuno che si è comportato male, e ancora lo sta facendo, quella è Angelina. Con che coraggio ha fatto una cosa del genere? Dopo essere stata con tuo fratello...» Si sentì meglio. Finalmente poteva tirare fuori ciò che pensava su quella ragazza.

«Non posso fare a meno di sentirmi in colpa. Ho comunque ricambiato alle sue avances, ai suoi baci e... mi sono piaciuti» rispose lui.

Isabelle si bloccò di fronte a quella frase. Mi sono piaciuti. Ecco che improvvisamente le poche speranze che si erano riaccese in lei si affievolirono. Non avrebbe mai potuto competere con Angelina. Significava troppo per lui.

Sospirando, cercò di assumere la faccia più neutra possibile, senza far trasparire le sue emozioni. «Sei sempre stato innamorato di lei, penso sia normale che tu ricambi certe attenzioni. Ma non devi forzarti a fare niente. Lei dovrà capirlo, dovrà farsene una ragione prima o poi».  A dire quelle parole sentì il cuore appesantirsi.

George annuì silenzioso. «E tu come stai, Bel? Mi sembra passato così tanto tempo dall'ultima volta che abbiamo parlato in questo modo» disse lui, cercando di cambiare discorso.

«Io sto bene... diciamo. Il lavoro di gruppo mi sta aiutando tanto. E anche la dottoressa Fain. Mi sento bene la maggior parte dei  giorni...mentre altri è più difficile. Ma fa parte del gioco, no?»

«A proposito. Volevo chiederti scusa. Ultimamente mi sono allontanato da te, anche al gruppo non abbiamo più lavorato insieme... a malapena ci siamo parlati» rispose lui, guardandola dritto negli occhi. Lei si sentì sciogliere dentro.

«No-non ti preoccupare George. Credo che sia stata una cosa reciproca. Forse la comparsata di Eric quel giorno non ha aiutato. Ma non sono assolutamente arrabbiata. Anzi... sono felice che tu abbia tentato di difendermi. Pensavo che non esistessero più i cavalieri ma... mi sbagliavo!» disse lei, ridendo impacciata.

«Non dirlo nemmeno per scherzo, Isabelle. Lo rifarei altre mille volte. E sì, avevo paura di aver esagerato... ma sono felice che non lo pensi.»

«Ottimo! Visto che adesso è tutto chiarito... perché non andiamo a prenderci un gelato? Muoio di fame! E poi, ho ancora un'oretta prima di dover entrare a lavoro!» esclamò lei, alzandosi in piedi con un piccolo balzo.

Lui la imitò e annuì, con un grande sorriso sul volto.

Mentre si avviavano fuori dal parco, George mise istintivamente un braccio sulle sue spalle. Lei si accoccolò nella sua stretta e avvolse il braccio intorno alla sua vita.

Isabelle pensò che, finalmente, la loro amicizia fosse tornata sui giusti binari. E che, momentaneamente, poteva provare ad accontentarsi di averlo nella sua vita, anche se in un modo diverso da quello da lei desiderato.

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