XVI

Aveva il respiro pesante. Il sudore colava ai lati della sua fronte, impregnava la maglietta e il giacchetto che indossava quel giorno. Camminava tra i lunghi corridoi, guardando a destra e sinistra per orientarsi. I quadri appesi alle pareti lo seguivano con lo sguardo. Sembravano tutti agitati. Alcuni avevano lasciato il loro posto per dirigersi chissà dove, probabilmente a nascondersi. Vide Pix, il Poltergeist combinaguai solitamente festoso e malandrino, fare capolino da una parete ad osservare la scena. Con lo sguardo terrorizzato e impaurito, si ritirò e scomparve, in completo silenzio.

Un forte rumore. George voltò la testa, con gli occhi spalancati. Nonostante il rombo avesse fatto tremare tutta la struttura del castello, non era sorpreso. Era un rumore che aveva già sentito diverse volte. Anche se non ricordava dove. Lo riconosceva.

Svoltando un angolo, si ritrovò di fronte a un cumulo di macerie proprio al centro del corridoio del quarto piano. Si avvicinò piano, guardingo. I mangiamorte sarebbero potuti uscire allo scoperto e attaccarlo da un momento all'altro. Con la bacchetta tenuta ben dritta davanti a lui, mosse alcuni passi incerti. Sentiva le gambe che gli tremavano.

«George!»

Il ragazzo, sentendosi chiamare, girò la testa verso la direzione da cui era provenuto. Vide i capelli rossi di Ginny che balzavano fieri sulle sue spalle ad ogni movimento. Stava correndo verso di lui. Lo superò, mettendosi in ginocchio proprio di fronte al cumulo di sassi e macerie. Iniziò a mani nude a spostarli, mentre il suo respiro si faceva sempre più agitato. Sembrava sul punto di scoppiare a piangere, e lui non capiva il perché. Dopo qualche minuto, in cui rimase ad osservarla, lei parlò.

«Perché non mi aiuti?» disse con un tono di voce disperato.

Come scosso dal suo stato di trance, si mosse e si accucciò accanto alla sorella. Insieme riuscirono a spostare tutti i massi, e ciò che vide al di sotto lo sconvolse.

Steso in terra, di spalle rispetto a loro, si trovava un corpo. I capelli rossi tipici della sua famiglia spiccavano fieri sul capo. Indosso, il giacchetto uguale al suo.

«Fred! Oh no! Ti prego, dimmi che non è vero!» urlò lui, mentre girava il corpo.

Ma quello in terra, esanime, non era Fred. Ad un osservatore esterno, sarebbe potuto sembrare lui. Ma il volto leggermente più incavato e la gobbetta sul naso non lasciavano dubbi. In terra, senza vita, si trovava il corpo di George Weasley. Il suo corpo.

«Non te lo aspettavi, vero?» sentì dire a sua sorella, che si era alzata, e si era posizionata dietro di lui. La voce di Ginny sembrava uscire direttamente dall'oltretomba.

George, sconvolto, si girò ad osservarla. Ma lei non c'era più.

In piedi, dietro di lui, si trovavano adesso Fred e Angelina. Erano entrambi elegantissimi. Fred, con indosso uno smoking nero, Angelina con un vestito rosso scollato e lungo fino ai piedi. George si rese conto che erano i vestiti che avevano indossato al ballo del Ceppo, qualche anno prima.

«Freddie... che succede? Angie, che ci fai qua?»

Fred mise un braccio intorno alla spalla della ragazza, attirandola a sé e dandole un lieve bacio sulla bocca.

«Mi chiedi anche che succede, Georgie?» fece una risata gutturale, diabolica. «Ho saputo che ti sei approfittato della mia assenza per farti la mia ragazza... quindi mi stavo chiedendo... dove hai trovato il coraggio di fare una cosa del genere?» disse, guardandolo negli occhi con aria di sfida, con un sorriso malizioso sul volto.

George rimase a bocca aperta per qualche secondo, senza sapere cosa rispondere. Continuava a spostare lo sguardo da Fred ad Angelina, da Angelina a Fred.

«Io... I-io...»

«Credevo che avessi smesso di balbettare in questo modo a cinque anni, Georgie. Non è vero? Fr-Fre- Fre-d- Fred-die!» disse ridendo ancora una volta. Perché gli stava facendo questo? Era vero, aveva avuto qualche problema di balbuzie da molto piccolo, ma il fratello gli era sempre stato vicino, lo aveva sempre difeso quando i suoi fratelli più grandi o qualche altro bambino lo prendeva in giro. Perché adesso si comportava così? Che ne era del suo porto sicuro, della sua metà? 

«Fred... ti giuro, io non ho fatto niente! Lei mi ha baciato entrambe le volte, e io...» non sapeva come continuare. Aveva risposto a quei baci, gli erano piaciuti. E si sentiva una merda per questo.

«Mi stai accusando, George?» disse la ragazza, con uno sguardo gelido, continuando a tenersi stretta a Fred. «Mi sembrava che non fossi sotto Imperius! Eri consenziente, e ho sentito anche qualcun altro apprezzare il nostro incontro...» disse ridendo.

George si sentì diventare tutto rosso. Non aveva potuto controllare il suo muscolo involontario. Abbassò lo sguardo dalla vergogna. Avrebbe pagato tutti i galeoni del mondo per poter scomparire in un buco del pavimento.

Si costrinse a muovere le gambe e alzarsi in piedi. Rimase qualche secondo senza dire niente, spostando il peso da una gamba all'altra e contorcendosi le mani tutte sudate.

Fred si avvicinò a lui e gli toccò una spalla. George incrociò lo sguardo del fratello e perse un battito. Di chi erano quegli occhi infuocati? Dov'era lo sguardo di dolcezza con cui era sempre stato guardato durante i loro venti anni passati insieme?

«George, lo capisco. Non ti incolpo di niente». Di fronte a queste parole, George sembrò rilassarsi un po'. Ma ciò che seguì lo fece rabbrividire. «Hai sempre voluto essere come me, hai sempre voluto avere ciò che avevo io. Non sei mai riuscito a crearti una personalità, non sei mai riuscito a farti una ragazza. Ma d'altronde, penso sia assolutamente normale, voglio dire, mi hai visto?» si girò, iniziando ad osservarsi in uno specchio al centro del corridoio. L'oggetto era di media grandezza, di colore bianco e appoggiato su una base di legno, anch'essa bianca, con quattro zampe. George aggrottò le sopracciglia. Da dove era arrivato?

Fred continuò, specchiandosi con fierezza. «Ho sempre saputo di essere il più bello tra i due!» disse, ridendo. Una risata malefica, agghiacciante. A George si rizzarono i peli sulle braccia. Non sapeva cosa dire. Non riconosceva la persona di fronte a lui. Aveva le sembianze di suo fratello, ma non era assolutamente lui.

Angelina si avvicinò a George, prendendolo per un braccio delicatamente. Senza dire niente lo fece avanzare, andando proprio di fronte allo specchio. Fred si spostò di lato, facendo spazio.

«Guardati, George. Guarda il fallimento che sei» dissero entrambi, in coro.

Deglutendo rumorosamente, George si avvicinò alla superfice riflettente. Chiuse per un secondo gli occhi, prima di aprirli e specchiarsi. Quello che vide gli fece provare un terrore profondo, oscuro, che gli attanagliò le viscere.

Riflesso nello specchio, infatti, non vide sé stesso.

Vide Fred.

Cacciò un urlo. Si propagò per tutto il castello, e oltre.

Un grido di dolore.

«George».

Aprì gli occhi. Si alzò di scatto, guardandosi intorno spaesato.

«George...»

Si voltò verso destra. Con lo sguardo ancora offuscato dal sonno, vide la sagoma familiare di sua sorella minore.

«George!» urlò lei.

Iniziando a riprendersi, osservò la stanza in cui si trovava. Era la sua stanza, o meglio, la loro stanza. Quindi si trovava a casa, alla Tana.

«George, che cazzo succede? Ti ho sentito urlare come un pazzo, mi hai svegliato! A dir la verità hai svegliato anche Harry e Ron, ma sono venuta solo io a vedere come stavi. Quei due non si alzano nemmeno se vengono pagati...» disse lei, mentre lo osservava con sguardo preoccupato. I suoi grandi occhi marroni erano lucidi.

«Io... Gin, non lo so che è successo. Credo che fosse... un altro incubo» sussurrò, rassegnato. Abbassò lo sguardo. Credeva di aver superato certe difficoltà. Non aveva più avuto incubi da diversi mesi, ma si sbagliava. La tortura non sembrava ancora terminata.

«Ancora Fred?» chiese lei.

George sussultò alla menzione di suo fratello. Il sogno sembrava così vivido... e Fred sembrava così... maligno. Non si sentì di raccontare tutto a Ginny. Non voleva farla preoccupare.

Annuì semplicemente. La sorella chiuse gli occhi per un secondo, sospirando. Poi li riaprì, e lo abbracciò. Le sue piccole braccia avvolsero il suo collo. Rispose dopo qualche secondo appoggiando la sua testa sulla sua spalla, proprio come faceva con sua madre.

«Non so dirti quando tutto questo passerà. Ma sono sicura che prima o poi starai meglio» fece una pausa. «... staremo tutti meglio» disse mentre continuavano ad abbracciarsi.

George rimase in silenzio. Cosa poteva dire? Il loro contatto, la loro vicinanza, parlava al posto loro.

Ginny si staccò da lui e si alzò in piedi. Si lisciò la vestaglia bianca che aveva indosso e si voltò verso la porta per uscire.

«Ah, Georgie, prima che mi dimentichi. Dato che sono le quattro e mezzo... » disse ridendo sotto i baffi. «Buon ventunesimo compleanno, fratellone».

George si sentì mancare. Aveva completamente rimosso che giorno fosse.

1° aprile 1999.

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Dopo vari tentativi inutili di riaddormentarsi, ed essersi rigirato nel letto per quelle che a lui sembrarono almeno tre ore, decise di alzarsi.

Scese in cucina e sentì sua madre trafficare ai fornelli. Cercò di scansare alcuni piatti che stavano levitando dalla credenza fino al tavolo, seguiti da posate e bicchieri. Sua madre, di spalle, stava cucinando alla maniera tradizionale, mentre canticchiava un motivetto che George aveva sentito spesso passare ultimamente in radio.

«Buongiorno mamma».

Molly trasalì. Si girò e con una mano appoggiata al bancone della cucina e l'altra sul petto, si rivolse a lui. «Georgie! Che paura che mi hai fatto! Buongiorno mio tesoro! Vieni, qua, fatti abbracciare!»

Si avvicinò e così come era successo molte volte negli ultimi mesi, appoggiò la testa nell'incavo del collo di sua madre, mentre cingeva la sua vita con le braccia. «Tanti auguri George» disse lei a bassa voce, sussurrando al suo orecchio destro.

«Mamma...»

«Oggi dobbiamo farci tutti forza. Ma ce la faremo» disse lei, stringendolo ancora un po' di più a sé.

Si sentiva completamente vuoto. Il giorno del suo compleanno sarebbe dovuto essere speciale. Lo era sempre stato, fino all'anno prima. Quello era il primo compleanno che avrebbe passato da solo. E la cosa lo annientava. Avrebbe potuto mangiare la torta, avrebbe potuto scartare i regali. Ma si sarebbe sentito incompleto. Non avrebbe avuto insieme a sé la sua esatta metà.

Mentre si staccava dall'abbraccio della madre vide scendere dalle scale i suoi fratelli, accompagnati da Harry ed Hermione. Oramai avevano preso la residenza a casa Weasley. Uno in camera di Ginny, l'altra in camera di Ron.

Si avvicinarono imbarazzati. Mentre salutavano Molly lo osservavano più o meno tutti di sottecchi. Sentì un leggero fastidio. Rivedere certi sguardi lo rendeva nervoso. E lo rendeva più vulnerabile. George si accorse che Percy era molto pallido, e che continuava a contorcersi le mani. Gli fece un sorriso ma si accorse che il fratello non riusciva a sostenere il suo sguardo.

Dopo che tutti ebbero fatto gli auguri a George, si sistemarono intorno al tavolo per colazione. Suo padre era già uscito presto per andare a lavoro, e come gli disse sua madre lo avrebbero rivisto la sera per cena, insieme a Bill e Fleur.

«Mamma... ti sembra il caso di fare una cosa così in grande?» chiese Ginny, mentre sistemava due fette di pane tostato e di bacon nel suo piatto. Guardò George e sorrise comprensiva.

«Perché, Ginevra? Non posso invitare tutta la mia famiglia in un giorno così importante?Ascoltatemi tutti. Avete dei musi lunghissimi. Ma provate solo per un secondo a pensare a cosa direbbe Freddie a vedervi così». La sua voce si incrinò, pronunciando il nome del figlio, ma continuò, facendosi forza. «Sarebbe molto dispiaciuto, forse arrabbiato. Lui vorrebbe essere celebrato, in un giorno del genere. E nonostante il dolore che ci accompagna ogni giorno, è proprio quello che faremo. Fine della discussione».

Percy diede un colpo di tosse. Tutti si girarono ad osservarlo. Sembrava ancora più bianco ed emaciato di qualche secondo prima. Si guardò intorno spaesato, e George notò che le sue mani avevano iniziato a tremare.

«Percy, stai bene?» gli chiese lui.

Il fratello annuì lentamente, e altrettanto lentamente scostò la sedia e si alzò dal tavolo, senza aver toccato cibo. Tornò al piano superiore in silenzio. I commensali si lanciarono sguardi interrogativi.

«Non vi preoccupate. Percy oggi non sta molto bene... anche se non lo dà a vedere si sente in qualche modo colpevole per ciò che è successo a Fred, e oggi è molto... difficile, anche per lui» disse Ron con uno sguardo triste.

Harry a quelle parole smise di mangiare. Si incupì, e dopo qualche secondo si alzò, anche lui in silenzio, e uscì fuori, nel giardino sul retro della casa.

«Scusatemi, vado a vedere come sta» disse Ginny, con uno sguardo apprensivo.

George sapeva bene cosa passasse per la testa di Harry e Percy. Suo fratello si reputava in parte responsabile della morte di Fred, mentre Harry aveva sulle spalle le morti di alcune delle persone a lui più care, e ovviamente suo fratello gemello si trovava tra queste. Ma George non incolpava nessuno di quella tragedia. Incolpava solo sé stesso, e in quel giorno, lo stava facendo ancora di più. Si alzò anche lui e decise di ritirarsi nella sua camera per qualche momento, prima di doversi cambiare e andare a lavoro. Aveva bisogno di stare solo.

«Che bel modo di iniziare la giornata! Vero, Herm?» chiese Ron con tono amareggiato. Lei scosse la testa, mantenendo il silenzio che ormai si era creato e che sembrava difficile da poter spezzare.

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«Allora, come stanno andando i preparativi?»

Isabelle si trovava al telefono con Pam, mentre camminava veloce per le vie di Londra. Oggi, 1° aprile, era il compleanno di George, ed era stata incaricata dalla sua amica di andare a ritirare la torta per la festa a sorpresa che Lee aveva voluto organizzare in onore del suo amico.

«Benissimo! Lee è da tutta la mattina che corre di qua e di là, ha preso anche qualche ora di permesso a lavoro, insomma, vuole fare le cose per bene!» le rispose Pam. «Tu? Hai trovato la pasticceria?»

«Sì, pacco ritirato!» esclamò ridendo e buttando un occhio al grande sacchetto che teneva in mano. Dentro, una torta al cioccolato, la preferita di George, secondo Lee.

«Ok! Ti ricordi tutto per stasera, vero?»

«Certo. A stasera!» disse chiudendo la telefonata.

Sarebbe dovuta andare verso le dieci a casa del fidanzato della sua amica, e che ormai era diventato anche amico suo. Aveva imparato a conoscerlo in questi mesi e trovava molto piacevole la sua compagnia. Con una scusa avrebbero fatto andare George nell'appartamento, e lui avrebbe trovato i suoi amici più cari ad aspettarlo.

Amica. Ecco cos'era per George. Il pensiero le fece stringere lo stomaco, di nuovo. Succedeva spesso, ultimamente. Dalla sera di Capodanno Isabelle si era chiusa in sé stessa e le cose si erano un po' raffreddate con lui. Il loro gruppo sembrava ormai ben consolidato, e quasi ogni settimana si ritrovavano insieme per uscire a cena, andare in qualche locale oppure semplicemente trovarsi all'appartamento di Lee o in quello delle ragazze per chiacchierare. Ma oltre alla semplice e pura amicizia, non c'era stato più niente tra loro. Non avevano più vissuto momenti emozionanti. Si erano allontanati anche al gruppo di ascolto, dove si erano ritrovati a lavorare con altri membri, forse involontariamente, forse per scelta, Isabelle non riusciva a capirlo.

Charlie, che ormai faceva coppia fissa con Sammy, tornava ogni fine settimana dall'estero, dove lavorava con alcune specie animali esotiche. Sia lei che Sam non erano riuscite a capire che tipo di specie fossero. Ma ciò che scaldava il suo cuore era lo sguardo luminoso e carico di felicità che vedeva sul volto della sua amica ogni volta che era insieme a lui. Questo le bastava. Sarebbe tornato anche quel giorno, facendo una sorpresa al fratello minore.

Rientrata all'appartamento, posò la busta e tirò fuori il dolce, inserendolo con cura in uno dei grandi scompartimenti del frigo. Sentì voci concitate provenire dalla camera di Sammy, e dopo essersi tolta il giacchetto di pelle si avvicinò.

«Non ci posso credere! Prima o poi esplodo!» era la voce di Pam.

«Ti puoi calmare? Cosa vuoi che sia? Vengono per George, mica per Lee!"» le rispose Sammy.

Isabelle, incuriosita, con una mano spinse la porta socchiusa e trovò le due sorelle sedute sul letto. Pam aveva uno sguardo arrabbiato e notò che le tremavano le mani dal nervosismo.

«Che succede ragazze? Che ci fai qua Pam? Non dovevi essere da Lee?» chiese lei.

Sammy e Pam si scambiarono uno sguardo preoccupato.

«Mi state facendo preoccupare, cosa è successo di così grave?» continuò lei. Non capiva perché le sue amiche non le rispondessero.

«Bel, non ti arrabbiare ma...» iniziò Sam, interrotta subito dopo dalla sorella.

«No, lascia che si arrabbi! Indovina che idea brillante ha avuto Lee?» disse Pam alzando la voce.

Isabelle continuò ad osservarla con sguardo interrogativo. Di che cosa stavano parlando? Alzò le spalle, come a voler dire che non ne aveva idea.

«Ti dico solo due parole. Angelina, Alicia. Me ne sono andata prima di iniziare a lanciargli il servizio di piatti dietro».

Isabelle chiuse gli occhi. Sospirò, portandosi le dita a massaggiare le tempie. Perfetto. Un'altra serata in compagnia di quella vipera e dei suoi tentativi di saltare addosso a George.

Dalla sera di Capodanno erano state costrette a sopportare la presenza di quella ragazza più o meno altre sette volte. Lee aveva spiegato a loro, soprattutto a Pam, che sia lei che Alicia erano compagne di scuola e che non credeva fosse giusto troncare i rapporti. Aveva anche poi spiegato in privato alla sua ragazza dei trascorsi con George, e ovviamente Pam non aveva aspettato un secondo prima di andare a riferirle tutto.

«Pam, che cosa dobbiamo fare? È la festa di George, e non possiamo certo decidere noi chi invitare, non trovi?» disse, cercando di non far vedere quanto questa notizia l'avesse infastidita.

Senza attendere risposta, si voltò e andò verso la sua camera. Aveva bisogno di una doccia bollente, e sperava che l'acqua sul suo corpo potesse portare via i residui del suo cuore frammentato.

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