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Disclaimer: violenza
«Dove cazzo eri, Isabelle?»
La ragazza voltò la testa verso la direzione da cui aveva sentito provenire la voce. Una figura era seduta sul divano, ma lei non riusciva a distinguerla. Si avvicinò all'interruttore della luce e lo premette. Si stupì di vedere Eric seduto sul divano a braccia conserte che la osservava.
«Eric, cosa ci fai qua? Come hai fatto ad entrare?»
«Non importa. Tu piuttosto, dov'eri? Non rispondi alle mie chiamate da giorni, settimane. Cosa pensi, che sia un pupazzo che puoi usare solo quando ti pare? Non funziona così. E ora rispondi, dov'eri?»
A Isabelle non piaceva la piega che la conversazione stava prendendo. Cercò di mantenere la calma ma dentro si sentiva ribollire. «Non che ti debba interessare, ma sono andata all'incontro che la Dottoressa Fain mi ha consigliato. È un gruppo di ascolto e devo dire che è stata un'esperienza intensa, ma che rifarò volentieri. Credo che mi servirà. Comunque, chi ti ha dato le chiavi? Sammy?»
Eric si alzò dal divano, andando verso di lei. Aveva il volto livido di rabbia.
«Sono passato al pub prima e le ho detto che mi servivano urgentemente alcuni documenti per la psicologa che ti eri scordata di portare all'ultima seduta, quindi mi ha dato una chiave di scorta.... Sai, Isabelle, l'unica cosa che ti servirebbe è parlarmi. Invece mi ignori completamente, come se non esistessi. Come pensi che mi senta, eh Bel? Come pensi che mi senta?» urlò lui.
«Eric, abbassa la voce. Ti sentiranno anche i vicini. Non c'è bisogno di fare così. Mi dispiace di non averti richiamato ma non ce la facevo... avevo bisogno di qualche giorno per riprendermi dal nostro scontro» gli rispose Isabelle, che si stava iniziando a spaventare. Non lo aveva mai visto così. Non aveva mai alzato la voce con lei.
«Tempo per riprenderti... che stronzata. E io cosa devo dire? Pensi che io mi sia ripreso? Avevo solo bisogno di te. Ho ancora bisogno di te...» le disse avvicinandosi. Le accarezzò lentamente una guancia con il dorso della mano, mentre la fissava dritta negli occhi.
«Sei così bella... mi manchi tanto, Bel. Ti prego... torna a casa».
«Eric, io...»
Fu interrotta dalle labbra del ragazzo sulle sue. Il suo sapore era familiare, accogliente. Era sapore di casa. Rispose al bacio solo inizialmente. Dopo pochi secondi, infatti si staccò, allontanandolo, posando una mano sul suo grande petto.
«Ti prego Eric, basta. Io... non credo che sia il caso di continuare.»
«Va bene, era solo un bacio. Non credevo di farti questo effetto...» disse con lo sguardo ferito.
«Non sto parlando solo... solo di questo. Sto parlando in generale. Eric, io credo che ormai sia il caso di... salutarci».
Il ragazzo la guardò confuso. «Cosa vuoi dire?»
Isabelle sospirò prima di parlare. Stava cercando le parole giuste per comunicare ciò che provava già da qualche mese.
«Io credo che... non ci sia più niente che ci lega» disse, facendo un sospiro profondo. «Lei non c'è più e ... io credo di non amarti più come prima. Mi dispiace così tanto ma... è la verità. Voglio dire, non potrò mai dimenticarti e non sparirò dalla tua vita ma... credo che sia meglio allontanarci, per il bene di entrambi».
Eric la guardò con un'espressione indecifrabile negli occhi.
«C'è qualcun altro, non è vero?» disse, stringendole improvvisamente i polsi con le sue mani forti.
«N-no, non c'è nessuno, ma di cosa parli...Eric, mi fai male!»
«Avanti, dimmelo! Chi è questo figlio di puttana che si sta approfittando di te? Voglio dire, è chiaro che sei vulnerabile adesso ed è facile prendersi gioco di te-»
Isabelle era sconvolta. Chi era il tizio davanti a lei, e cosa ne aveva fatto del dolce e premuroso Eric che conosceva?
«Intanto lasciami andare!» disse scostandosi dalla presa. «Non c'è nessuno, e poi cosa significa questo? Io sono distrutta, vuota, sono addolorata. Non sono diventata improvvisamente stupida o pazza e nessuno si sta approfittando di me. Che cosa ti prende, si può sapere?»
Il ragazzo la guardò con occhi infuocati e la bocca aperta, respirando affannosamente. Isabelle sentì il suo fiato e si accorse che puzzava di alcool. Ma certo.
«Perché hai fatto così tardi? Sono stato anche io a quegli stupidi incontri e alle 10.30 avevamo già finito. Cosa hai fatto fino ad adesso? È l'una passata.»
«Io- io, niente! Ero... in giro.»
«Con chi? Rispondi!»
La ragazza si sentì messa alle strette. «Sono stata a bere qualcosa con una persona. Un ragazzo che ho conosciuto stasera all'incontro», disse mentendo. Non poteva dirgli che era stata in compagnia di George. Sicuramente ricordava di lui alla serata in discoteca e avrebbe piantato una grana ancora peggiore.
Non si aspettava minimamente il colpo che le arrivò. Eric la spinse a terra senza preavviso. Cadde su un fianco, e si voltò a guardarlo sconvolta. «Credi di potertela cavare così? Credi di potermi lasciare dopo tutto quello che abbiamo passato? Che io ho passato? Sto soffrendo come un cane, Stella non c'è più e tu sei sparita dalla mia vita. E adesso, improvvisamente, sembra tutto tornato alla normalità, esci a fare i tuoi giri con completi sconosciuti e pretendi che io stia ad osservare senza dire niente? Cosa pensi di fare, eh Isabelle?»
Le sferrò un calcio nell'addome. Lei si piegò in due, incredula di fronte a quel gesto. Sentì un dolore lancinante nel punto in cui lui aveva colpito e la sua vista si offuscò per un attimo. Eric la prese per i capelli e la tirò su, portando i loro sguardi allo stesso livello.
«Perché non puoi amarmi, Bel? Perché mi hai abbandonato così? Avevo bisogno di te".
La osservo ancora per qualche secondo e Isabelle vide un lampo attraversare i suoi occhi. Era livido di rabbia, gelosia e odio. Insieme all'alcool, formavano un mix letale.
La sua furia continuò ad abbattersi su di lei. Le tirò uno schiaffo. Poi un altro. La ragazza si portò una mano al volto, guardandolo sconvolta. Osservò le sue dita e vide che erano piene di sangue. Le aveva procurato un taglio sulla bocca.
Improvvisamente, le sembrò di vedere quello sguardo malvagio diradarsi dai suoi occhi. Ne ebbe la conferma quando iniziò a cambiare espressione e tono di voce.
«Oh santo cielo, Isabelle, mi dispiace così tanto, ti prego, scusami, non so cosa mi sia preso... Per favore, tesoro, fatti aiutare. Ti aiuto ad alzarti, aspetta...» esclamò, cercando di prenderle un gomito per tirarla su.
La ragazza si scansò, con uno sguardo di terrore negli occhi. «Ti prego, Eric. Non mi toccare.»
«Ma, Isabelle...»
«Per favore, vattene. Lasciami in pace...» Non sarebbe riuscita a rimanere un secondo di più con lui nella stessa stanza. «Ti prego...»
Eric deglutì rumorosamente e dopo aver guardato Isabelle negli occhi con uno sguardo disperato, la superò e uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
Non riusciva a credere a quello che era appena successo. Aveva poche costanti nella vita, ma Eric era una di quelle. Erano cresciuti insieme ed era stato il suo primo amore, il suo primo tutto. Si fidava ciecamente di lui, con lui era scappata da una situazione familiare opprimente ed asfissiante, con lui aveva creato il suo futuro, il suo rifugio sicuro. Era il padre di sua figlia e indipendentemente da come le loro strade si fossero delineate, avrebbe sempre avuto un posto speciale nel suo cuore. Ma le cose erano appena cambiate, drasticamente.
Immersa nei suoi pensieri, sentì un rumore fin troppo familiare. Il rumore di una pallina che rimbalzava, seguita da una risata cristallina, felice.
Ancora tremante, cercò di alzarsi e a passi lenti si avvicinò alla fonte del rumore. Sbarrò gli occhi di fronte alla vista di sua figlia. Pensò, ancora una volta, di essere impazzita. Cosa c'era che non andava in lei?
La bambina sollevò lo sguardo e fissò intensamente Isabelle negli occhi. Aprì la sua bocca in un bellissimo sorriso con una finestrella tra i denti, e la chiamò, di nuovo. «Mamma?»
Isabelle sentì un brivido correrle lungo la schiena, Scappò immediatamente in camera, piangendo, e cercando di dimenticare il doppio incubo che aveva appena vissuto.
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Che serata pesante. Per essere un martedì sera, c'era fin troppa gente per i miei gusti. Non vedo l'ora di fare un bagno caldo e stendermi nel letto...
Sammy arrivò di fronte alla porta di casa e infilò le chiavi nella serratura. Era stata una serata impegnativa e non era abituata a fare quel turno serale. Aveva la schiena a pezzi e si sentiva un gran mal di testa. Ma era felice di aver fatto un favore ad Isabelle. Dio solo sapeva di quanto aiuto lei avesse bisogno in quel momento, e sperava che quegli incontri avrebbero contribuito.
Si chiuse la porta alle spalle e si tolse il giaccone pesante.
«Isabelle? Ci sei? Sono tornata» disse vedendo le luci accese nell'appartamento.
Non ricevette risposta. Si avviò verso camera della sua migliore amica, e vide che la porta era aperta. «Bel? Che fai, dormi?» disse Sam, entrando.
Rimase senza parole nel vedere la sua amica seduta in terra, con le ginocchia al petto e il viso affondato in esse. Stava singhiozzando e si stringeva con una mano l'addome.
«Bel, cos'è successo?» chiese sedendosi preoccupata vicino a lei. «Bel, parlami».
Le mise una mano sotto al mento e cercò delicatamente di sollevare il suo volto. Spalancò gli occhi di fronte alla vista del sangue sulla sua bocca.
«Bel, chi ti ha fatto questo? Forza, parlarmi! Rispondimi!» le disse preoccupata.
Isabelle tra un singhiozzo e l'altro cercò di parlare, senza riuscirci.
«Bel, adesso calmati. Fai un respiro e cerca di dirmi cosa è successo.»
«O-ok. Sono rientrata e c'-c'er- c'era Eric, ad asp-aspettarmi» disse singhiozzando.
«Ti ha fatto lui questo?»
Non ci poteva credere. Eric era probabilmente un tipo poco paziente, a volte antipatico, ma non era mai stato violento con Isabelle, mai in tutti questi anni. Si pentì immediatamente di avergli lasciato le chiavi di scorta. Che stupida era stata a fidarsi di lui.
La sua amica annuì semplicemente. Lentamente, distese le gambe e si alzò la felpa, mostrando la pancia. Sammy sbiancò alla vista di un enorme ematoma, viola e rosso, sulla sua pelle.
«Quel bastardo. Giuro che lo ammazzo». Era incazzata nera. Come si era permesso di alzare un dito sulla sua migliore amica?
L'unica cosa che poté fare fu abbracciarla forte, accarezzandole i capelli, mentre Isabelle continuava a singhiozzare, disperata.
Dopo quella che le sembrò una mezz'ora, la ragazza si calmò e lei riuscì a metterla a letto, ancora truccata e con i vestiti con cui era uscita indosso.
Chiuse delicatamente la porta e la guardò dormire, come una bambina piccola, con le coperte che la coprivano fino al mento.
Eric è un uomo morto, pensò, prima di prepararsi e mettersi anche lei a letto, esausta da quel turbine di emozioni.
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George si svegliò il giorno dopo con un sorriso sul volto. La serata passata con Isabelle era stata magica. Non si sentiva così bene davvero da molto, molto tempo. Scese a fare colazione canticchiando e questo non passò inosservato al resto della sua famiglia.
«Psst, psst. Ehi, Ron. Hai notato come sembra felice stamani George?» disse Ginny al fratello di fronte a lei, che era impegnato a divorare la sua colazione. «Cos'è, si è drogato secondo te?»
«Hmpf?» rispose masticando rumorosamente.
«»Niente, Ron, lascia perdere. Dimentico che quando mangi il criceto nella tua testa va in tilt, o perlomeno più del solito» disse la ragazza sbuffando.
«Ho notato anche io, Gin. Chissà che ha fatto? Ho sentito che ieri sera è tornato molto tardi» le disse Percy seduto di fronte a lei.
Entrambi i fratelli si girarono verso George, che era intento a prepararsi una tazza di thè in cucina. Canticchiava ancora sottovoce, sembrava davvero sereno. Era strano vederlo così.
«Cosa c'è? Perché mi fissate?» chiese lui quando si voltò.
Ginny e Percy distolsero subito lo sguardo, ritornando a concentrarsi sulle loro colazioni «Niente, niente, Georgie» disse frettolosamente la ragazza.
George si sedette al suo solito posto, a fianco di Ginny e dal lato opposto di Ron e Percy, iniziando a mangiare. Dopo qualche minuto, ruppe il silenzio.
«Per caso qualcuno di voi sa cos'è un cellulare e come si usa?»
Ginny e Percy scossero la testa.
«Oh, io lo so! Hmpf, allora, praticamente, hmpf» disse Ron tra un boccone e l'altro: «me ne ha parlato Hermione. Ne ha appena comprato uno, e dice sia comodissimo. È una specie di trabiccolo con cui puoi chiamare gli altri, quindi niente strillettere, niente gufi, niente di niente! Componi un numero, aspetti che squilli e... parli con l'altro! Magico, no?»
George annuì pensieroso. Dove poteva procurarsene uno? Doveva assolutamente chiamare Isabelle.
«Perché lo chiedi? Cosa ci nascondi?» disse Ginny, sorridendo maliziosa.
«Niente, fatti gli affari tuoi, serpe» disse George facendo la linguaccia, che lei ricambiò.
Finì la colazione e si rivolse ai suoi fratelli: «Ragazzi se non è un problema... stamani vorrei provare a tornare al negozio. Credo di... sentirmi pronto».
Ron e Percy si guardarono con sorpresa, ma furono ben felici della notizia.
«Prima però devo passare da Lee, devo ... parlargli di una cosa». Doveva assolutamente capire come fare per mettersi di nuovo in contatto con Bel. Non vedeva l'ora di poterle chiederle di uscire di nuovo. Lei gli piaceva, e anche tanto.
«Va bene, ti aspettiamo direttamente in negozio allora» disse Percy, mentre con Ron si dirigeva verso il camino.
Dopo aver osservato i fratelli scomparire in una nube verde, salutò Ginny scompigliandole i capelli e si smaterializzò di fronte a casa di Lee.
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«Quindi la serata è andata alla grande, mi sembra di capire!»
Lee lo guardò con un sorriso enorme. Per la prima volta vedeva il suo amico con una nuova luce negli occhi e non poteva esserne più felice.
«Si, è andata davvero molto bene. Voglio dire, l'incontro è stato davvero tosto. Ma mi sono sentito, come dire... compreso. Egoisticamente credevo di essere l'unico a soffrire per la perdita di qualcuno, ma purtroppo il mondo è pieno di persone come me. Compresa Isabelle.»
«Mmm, Isabelle. Il tuo sguardo mi dice che è successo qualcosa in più di un semplice scambio di opinioni tra voi».
George si fece tutto rosso in volto. «Ehm, si. Sono passato infatti per questo». Si frugò nelle tasche ed estrasse il bigliettino che lei gli aveva lasciato la sera prima: «Siamo andati a bere una cosa a fine incontro e Isabelle mi ha dato il suo numero di cellulare, ma non ho assolutamente idea di cosa sia o di come fare a procurarmene uno. Quindi... potresti aiutarmi? Sei tu l'esperto di questi aggeggi babbani».
Lee rise di gusto. «Chi lo avrebbe mai detto, il grande ed irreprensibile George Weasley che cede alla tecnologia babbana» disse versandosi una tazza di caffè. «Certo, ci penso io. Tu basta che torni questa sera e ti farò avere ciò che cerchi.»
«Grazie, sei davvero un amico.»
«Georgie! Buongiorno! Cosa ci fai qua? Come è andata ieri sera? Hai visto Isabelle?» George girò la testa verso la camera da letto, dove vide Pam appoggiata allo stipite della porta. In meno di un minuto gli aveva già procurato un forte mal di testa con le sue mille domande.
«Ciao Pam, è andato tutto bene, grazie. Si, ho visto Isabelle» disse lievemente imbarazzato. Nonostante il loro avvicinamento di qualche giorno prima, a volte la trovava ancora troppo invadente, e non si fidava del tutto a raccontare le sue cose personali. Soprattutto quelle che coinvolgevano la mora a cui pensava sempre.
«Bene, Lee allora vado. Passo finalmente al negozio oggi.»
«Oh George, ma è magnifico!» disse il suo amico sorridendo. «Sono fiero di te».
Si avvicinò a lui e lo strinse in un forte abbraccio, che lui ricambiò. «Spero che non spaccherai niente, stavolta!» Risero entrambi.
Si sentì squillare un telefono e Pam tornò velocemente in camera. Era il suo cellulare. George osservò incuriosito il modo in cui premeva alcuni pulsanti sull'oggetto. La ragazza mise l'apparecchio all'orecchio e iniziò a parlare: «Pronto! Ciao, Sam- si, sono da Lee, ma dimmi pure-» si interruppe, ascoltando pensierosa. «Che cosa?! Cosa ha fatto?! Ma si, certo, vengo subito... No no, arrivo subito, salgo sul primo taxi che trovo» disse velocemente, terminando la chiamata.
«Che succede, tesoro?» le chiese Lee.
La ragazza sembrava davvero arrabbiata. «C'è un'emergenza con Isabelle, devo scappare a casa». Si voltò verso la camera, indossò il cappotto e la borsa e si diresse verso la porta.
«Che emergenza con Isabelle?» chiese George, cambiando subito espressione.
«Cosa c'è? Perché sei così incazzata?» disse Lee, avvicinandosi a lei.
La ragazza abbassò la voce, probabilmente per non farsi sentire dal loro amico con i capelli rossi. «Eric ieri sera ha dato di matto, non so molto perché Sammy mi ha raccontato velocemente ma... sembra che l'abbia picchiata. Spero tanto di non trovarmelo davanti, perché lo ammazzo».
George, che si era avvicinato di soppiatto, riuscì a captare solo qualche parola, ma essenziale. «Qualcuno ha picchiato Isabelle?» Il suo viso si fece prima sconvolto, e poi livido di rabbia. «Chi? Dove? Ieri sera l'ho lasciata davanti alla porta del suo appartamento e non c'era nessuno e-»
«Ehi ehi, calmati, tigre. Non sappiamo niente. Adesso fai un bel respiro» disse Lee, girandosi verso di lui.
«Devo vederla. Pam, vengo con te!» esclamò agitato.
Lee mise le mani sulle sue spalle. «Senti cosa facciamo: adesso vai in negozio, ti concentri su quello, poi stasera quando sei di ritorno passi di qua, e magari, se la situazione si è calmata, andiamo insieme da lei. Non serve a niente adesso, sarò probabilmente sconvolta. Lasciamo gestire la situazione alle ragazze, ok?»
«Lee ha ragione, per adesso è meglio che ci pensiamo noi. Più tardi vi aggiorno e se anche lei se la sente, potete passare a trovarla».
George annuì, anche se poco convinto. Era incazzato nero, chi le aveva fatto questo e perché? Come era possibile pensare di far del male ad una creatura così pura, ad una ragazza, anzi una donna così delicata?
Uscì dall'appartamento dopo Pam e una volta di fronte all'ingresso si smaterializzò al Tiri Vispi Weasley, con lo stomaco in subbuglio e mille questioni in testa.
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