VIII

Quel giorno aveva pensato davvero tanto. Dopo aver vagato senza meta per qualche ora, quasi senza accorgersene si era ritrovato in direzione di Hogwarts. Il castello si ergeva ancora maestoso, con le sue guglie e le sue torri. Scese a terra e si ritrovò presto a passeggiare vicino al Lago Nero, godendosi la bellissima giornata di sole, nonostante fosse dicembre e le temperature non facessero sconti. Decise di sedersi nel loro posto segreto, una nicchia coperta da cespugli proprio sulla riva del lago, in cui lui e il fratello passavano gran parte del loro tempo. Si guardò intorno, e fu sommerso dai ricordi.

«Andiamo Fred! Passala anche a me!»

«Oi George, che fretta hai?» disse, rivolgendosi al gemello.

«Se non te lo dico, va a finire che la fumi tutta e non me ne lasci neanche un po'. Tanto lo so come sei» rispose George con il broncio.

Fred rise. «Tieni, ecco a te. Ti pare che possa lasciare il mio fratellino senza questa buonissima erba?» disse mentre gli passava lo spinello.

«Smetti di chiamarmi fratellino. Sei solo nato qualche minuto prima di me. Sai che notizia!»

«George, per caso ti ha punto un acromantula? Mi sembri particolarmente nervoso. Che succede?» continuò Fred, scompigliando con una mano i lunghi capelli rossi del fratello, identici ai suoi.

«C'è che tra poco si avvicina il ballo del Ceppo e sono un fascio di nervi. Non so davvero a chi chiedere. O meglio, ci sarebbe una ragazza ma...»

«George, ti tranquillizzo subito. L'unica cosa che devi fare è conquistarle con la dolcezza. Un fiore, dei cioccolatini... e sarà tua» disse, facendo il suo famoso occhiolino. «Comunque, chi sarebbe la fortunata donzella che vuoi invitare?»

«In realtà la conosci molto bene, è...»

«George, guarda!» Fred lo interruppe, sbracciandosi in direzione del castello. In lontananza, George vide Angelina e Alicia che li salutavano rientrando, probabilmente di ritorno da Hogsmeade.

«Sai, domani ho intenzione di invitare Angelina al ballo. Che dici, accetterà?» disse Fred, guardando verso le due ragazze.

George non sapeva cosa dire. Era invaghito di Angelina dal primo anno ed era proprio lei che avrebbe voluto invitare. Ma non se la sentì di rovinare il momento al fratello. Non ne avrebbe avuto il coraggio.

«Certo, Fred. Sono sicuro che ne sarà immensamente felice» rispose, mentre la sua bocca si ritirava in una linea sottile.

Pensò senza sosta agli accadimenti di quella mattina. Si sentiva tradito, pugnalato alle spalle da Lee. Perché non gli aveva parlato in privato della sua idea? Perché aveva dovuto coinvolgere anche i suoi genitori? Sapeva quanto si sentisse oppresso e non compreso dalla propria famiglia, e questo non avrebbe fatto altro che aggravare le cose. Adesso che sua madre e suo padre sapevano delle condizioni in cui si riduceva un giorno sì e l'altro pure, non l'avrebbero lasciato in pace un attimo. Sua madre gli avrebbe probabilmente fatto il terzo grado su ogni cosa.

E inoltre, cosa avrebbe dovuto fare? Partecipare a quegli incontri? A George sembrava una grande perdita di tempo. Non aveva bisogno di nessuno. Che cosa avrebbe risolto ad andare in mezzo ai babbani a parlare di ciò che gli era capitato? Innanzitutto, avrebbe dovuto mentire sulla maggior parte delle cose, degli eventi e delle informazioni. Non poteva certo svelare l'esistenza del mondo magico! Certo, non avrebbe dovuto mentire sul dolore che provava ad ogni respiro, sul senso di vuoto che lo accompagnava in ogni movimento. Ma si sentiva confuso. 

Che devo fare?

Gli tornò in mente il riferimento che Lee aveva fatto. E prima che tu possa dire di no, sappi che anche Isabelle sarà coinvolta. Non riusciva a capire il senso di quella frase. In che modo lo sarebbe stata? Faceva parte dell'organizzazione? Frequentava la comunità? O lei stessa sarebbe stata una partecipante, pronta a condividere la sua esperienza con gli altri?

Al pensiero della ragazza, nel suo petto si fece strada una sensazione di calore e il suo stomaco fece un guizzo. Era sempre così, ormai, quando pensava a lei. Sospirando, decide di stendersi sul morbido terreno che circondava il lago. Allungò le gambe e mise le braccia piegate sotto la testa, chiudendo gli occhi e godendosi ancora un po' il fantastico solicino pomeridiano che lo stava scaldando.

Aprì gli occhi dopo quello che gli sembrò un secondo, ma in realtà doveva essere all'incirca tardo pomeriggio, perché il sole stava iniziando a calare lentamente. Si alzò e prima di rimontare in sella alla scopa, decise di andare a fare un giro intorno alla scuola. Non ci aveva messo più piede da maggio.

Si avvicinò al grande atrio esterno e posò lo sguardo su una grande lastra di marmo bianco, alta all'incirca tre metri, posta sul lato destro. Sua madre gli aveva detto che era stata eretta qualche mese prima e che rappresentava una sorta di monumento ai caduti, un omaggio per ricordare i valorosi combattenti che avevano perso la vita per la difesa del mondo magico. George si avvicinò e iniziò a scorrere i vari nomi, posti in ordine alfabetico. Ne riconobbe alcuni.

Cedric Diggory

Remus Lupin

Severus Piton

Albus Silente

Ninfadora Tonks Lupin

E tra gli ultimi, un nome che conosceva molto bene.

Fred Weasley

George rimase immobile per qualche minuto ad osservare il nome del fratello su quella parete bianca. Osservò più attentamente le lettere scolpite nella pietra. E mentre lo faceva, ebbe come un'intuizione. Capì. Capì che non poteva continuare a sprecare la sua vita. Non poteva deludere in questo modo suo fratello, che era convinto, lo stava sorvegliando, ovunque egli fosse. Non era giusto sprecare una vita che la sua metà non aveva avuto la fortuna di poter continuare.

Decise che era arrivato il momento di mettere da parte l'orgoglio, le ferite e il dolore, e lasciarsi aiutare.

Adesso toccava a lui.

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Rientrò alla Tana soltanto al calare del sole. Atterrò delicatamente dietro casa, appoggiando la scopa vicino alla porta ed entrando.

«Ciao mamma. Sono tornato».

Molly si girò di scatto, lasciando i piatti che stava riponendo nella credenza e corse verso l'ingresso. Lo abbracciò senza parlare. Lo accolse nella sua stretta, e il ragazzo affondò la testa nell'incavo del suo collo, come se fosse ancora un bambino e non un ragazzone di un metro e novanta. Si inebriò del suo profumo accogliente. Sapeva di casa.

«Ho deciso di accettare il consiglio di Lee. È arrivato il momento di affrontare la situazione. Non posso continuare in questo modo. Mi dispiace mamma...»

«Per cosa ti dispiace, tesoro?» gli chiese la madre, osservandolo.

«Per il dolore che vi ho causato in questi mesi. Stiamo soffrendo tutti e io mi sono comportato da perfetto egoista. Credevo di essere l'unico a star male e... sono stato uno stronzo, mamma».

«Linguaggio, George» rispose Molly con uno sguardo torvo. «Ad ogni modo, non devi scusarti. Capiamo bene cosa significhi questo per te. Tesoro, voi due eravate l'uno l'ombra dell'altro. Non ho mai pensato di potervi vedere staccati nemmeno per un secondo. Voi eravate un noi. E adesso...» la voce le si spezzò in gola. «Adesso è arrivato il momento di reagire. Dobbiamo farlo, tutti. Per lui. Non vorrebbe vederci in questo modo, anzi non ne sarebbe per niente felice. Ma tu lo sai meglio di me».

George, per la prima volta da molto tempo, riuscì a sorridere al pensiero del fratello.

«Sapete cosa avrebbe detto Fred, vedendovi così, vero?».

George e Molly si girarono verso le scale e videro scendere Ginny, seguita da un ragazzo alto, moro e con gli occhiali dalla montatura tonda. La solita cicatrice si trovava posizionata sulla sua fronte, coperta da ciuffi di capelli. «Oh, il piccolo Georgie adesso ha bisogno di un abbraccio dalla mammina» disse la ragazza, ridendo.

George rise di gusto, immaginando quelle parole uscire dalla bocca di Fred. Ginny ci aveva preso in pieno, avrebbe proprio detto una cosa del genere. Fu sorpreso di riuscire a sostenere ancora la conversazione senza sentire il dolore che di solito gli mozzava il fiato. Anzi, si stava quasi divertendo.

«Ciao Harry!» esclamò George, rivolgendo un sorriso al fidanzato di sua sorella.

«Ciao George, come te la passi?» rispose lui.

«Non c'è male, tu invece come va? Riesci ancora a sopportare quella vipera di mia sorella?» disse sorridendo, mentre la rossa gli faceva la linguaccia. «A proposito, hai visto quella nana da qualche parte? Mi deve ancora restituire dieci galeoni» continuò, facendo finta di non averla davanti.

Harry rise di gusto e presto tutti lo seguirono. Era davvero strano sentire quel rumore cristallino e piacevole in casa Weasley ultimamente. Ma le cose stavano andando per il verso giusto, e George lo sentiva.

Si sistemarono intorno al tavolo per la cena, e presto furono raggiunti anche da Ron e Percy, di ritorno dal negozio, e da Arthur ed Hermione, che arrivavano dal ministero. Hermione, infatti, aveva iniziato da poco il suo tirocinio all'interno dell'Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche, mentre Harry si trovava alle prime fasi del suo addestramento per diventare Auror.

Molly iniziò a servire le pietanze e presto la casa fu riempita di un piacevole intreccio di voci e tintinnio di piatti e bicchieri. L'atmosfera era serena e George si sentiva, per la prima volta da molto tempo, a suo agio in mezzo alla sua famiglia.

«È bello riaverti con noi, Georgie.» Il ragazzo si girò verso la sorella, seduta accanto a lui. «Abbiamo tutti bisogno di te, io ho bisogno di te» gli disse, con i suoi grandi occhioni lucidi. Lui senza rispondere le prese la mano e gliela strinse sotto il tavolo. Intrecciarono le dita e rimasero così. Era il silenzio a parlare per loro.

E George disse di nuovo a sé stesso che era arrivato il momento di essere forte, per la sua famiglia e per Fred.

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«Basta, non ci vado».

«Oh, andiamo Bel, falla finita. Cosa c'è che non va adesso?» Sammy si trovava stesa sul letto, mentre Isabelle continuava a girare come una trottola per tutta la stanza, facendo avanti e indietro dall'armadio allo specchio. Pile di vestiti si trovavano ammucchiati e sparsi in vari punti della stanza.

«C'è che sto cercando qualcosa da mettere per l'incontro di stasera, e voglio dire, cosa ci dovrebbe essere di difficile? Devo andare in una cazzo di chiesa ad ascoltare altre persone che si piangono addosso come me, e invece indovina? Non riesco a trovare niente di decente da mettere» le disse la ragazza mora con un tono disperato.

«Ma se così stai benissimo!»

Isabelle si guardò allo specchio ancora una volta. In quel momento indossava un paio di jeans a vita alta scuri e una felpa verde scuro con il cappuccio. Al volto, un velo leggero di trucco.

Vedendo la sua amica ancora incerta, Sammy si alzò e andò a piazzarsi accanto a lei, appoggiando il mento sulla sua spalla destra e incrociando il suo sguardo nello specchio. «Bel, ti conosco come le mie tasche. E so cosa stai cercando di fare.»

«Ah sì? E cosa? Sono curiosa, sentiamo.»

«Hai una paura fottuta perché non sai cosa aspettarti da questo incontro. E stai cercando ogni scusa possibile per non doverti presentare» le disse la bionda con un sorriso.

Isabelle sospirò. La sua amica aveva ragione. Era completamente terrorizzata. Aveva deciso di partecipare agli incontri alla comunità di St. Andrew sotto consiglio della dottoressa Fain, anche se non ne era ancora convinta al cento per cento. Non sapere cosa la attendeva le faceva fottutamente paura. Non era abituata a non avere il controllo su ogni singolo aspetto della sua vita.

«Andiamo Bel. Andrà tutto bene. Sono sicura che ti troverai bene. Cosa potrebbe accadere di brutto?»

«Potrebbero offrire caffè inglese, o peggio, americano» disse la ragazza enfatizzando l'ultima parola. «Se è così, scappo. Te lo dico già adesso».

Sammy rise: «Va bene, tesoro. Ma sono sicura che avranno una buonissima miscela italiana di caffè da offrirti.»

«Non posso fare niente per convincerti a venire? Ti prego» disse Isabelle facendo gli occhioni da cucciolo.

«Bel, qualcuno ti dovrà pur sostituire stasera a lavoro. Altrimenti sarei venuta, e lo sai» rispose Sammy, ritornando a sedere sul letto e incrociando le gambe. «E poi, c'è una cosa bella che non sai, e credo che ti tirerà su il morale, o almeno, così dice Pam».

Lo sguardo di Isabelle si fece curioso. Rimase in silenzio con un'espressione interrogativa sul volto, aspettando che la sua amica continuasse.

«Stasera potresti incontrare una persona che conosci».

Isabelle sgranò gli occhi. «Oh santo cielo, non dirmelo. Perché se stasera devo ritrovarmela tra i piedi ti giuro che non mi presento e-»

Sammy la interruppe, ridendo: «Ma no, sciocchina! Pam è da Lee stasera, ovviamente». Ormai la più piccola delle sorelle Davis passava ogni sera a casa del nuovo fidanzato.

«E allora chi?»

«Pam mi ha chiamato oggi. Mi ha detto che potresti incontrare un certo ragazzo dai capelli rossi, mi pare abbia detto che si chiama George?»

Isabelle alzò di scatto la testa dal cassetto, dove era impegnata a cercare dei calzini colorati che si abbinassero alla felpa. «Che cosa?» urlò.

Sammy si coprì le orecchie con le mani. «Abbassa la voce! Ti sentiranno da Buckingham Palace!»

Isabelle cercò di ricomporsi, processando l'informazione. Aveva il cuore che batteva a mille. Come era possibile che George fosse coinvolto? Ricordava di quando Lee aveva detto che abitava fuori Londra. Non poteva essere.

«Non guardarmi con quella faccia, io non so niente in più di questo» le disse Sammy alzando le braccia. «Immagino che dovrai svelare da sola questo enigma. E adesso muoviti, o altrimenti farai tardi!»

Isabelle si mise i suoi soliti anfibi e indossò il giaccone pesante e la sciarpa. Salutò Sammy con un gesto della mano e uscì dall'appartamento, diretta alla Chiesa di St Andrew, con tanti interrogativi in testa e zero risposte.

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Uscendo dalla metropolitana con le cuffie nelle orecchie, Isabelle si strinse ancora di più nel giaccone, rabbrividendo per il gelido vento invernale. A passi veloci svoltò un paio di isolati e ben presto vide di fronte a sé la grande facciata della chiesa. Era composta da piccole pietre di colore marrone chiaro, con al centro un'unica grande vetrata trasparente. Ai lati della facciata, due piccole torri composte dallo stesso materiale, con due guglie appuntite protese verso il cielo.

Le luci all'interno erano accese e Isabelle vide fuori dalla porta un piccolo gruppo di persone, riunite a chiacchierare e fumare sigarette. Decise di concedersene una prima di entrare, ma si accorse di aver dimenticato l'accendino.

Si maledisse internamente. Adesso doveva andare a chiedere da accendere a qualcuno e avrebbe dovuto socializzare. Perfetto.

Scansionò velocemente le persone che si trovavano di fronte a lei e infine decise di avvicinarsi a una ragazza minuta, con capelli neri e due ciuffi rosa chiaro sul davanti. Guardandola più da vicino, notò che aveva il septum al naso e un trucco pesante sul volto. Avrà avuto sì e no sedici anni.

«Scusa, hai da accendere?»

La ragazza si voltò. Annuì e tirò fuori dalla tasca del grande giaccone verde un accendino bic, anch'esso rosa e lo porse ad Isabelle.

«Prima volta qua, eh?»

Isabelle rispose confusa. «Come, scusami?»

«Hai la faccia di una messa parecchio male, quindi ho ipotizzato che anche tu fossi qua per gli incontri. Di solito sono molto brava a capire le persone» rispose la ragazza, osservandola con un'espressione stanca.

«Ehm, si. In effetti sono qua proprio per questo. Ed hai perfettamente ragione, è la mia prima volta. Si vede così tanto?»

«Un po' sì. Hai lo sguardo spaesato, come un cerbiatto illuminato dai fari di un Range Rover» continuò la ragazza ridendo. Allungò una mano verso Isabelle per presentarsi. «Piacere, io sono Elizabeth, ma tutti mi chiamano Beth.»

«Piacere di conoscerti, Beth. Io sono Isabelle, ma tu puoi chiamarmi Bel». La ragazza le piaceva, le ispirava simpatia.

«Mi piacerebbe tanto stare qua a parlare con te ma... dobbiamo andare, stanno per incominciare!» esclamò Beth, avviandosi verso l'interno, seguita da Isabelle.

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All'interno erano disposte all'incirca una quindicina di sedie, a formare un cerchio. Mentre tutti prendevano posto, Isabelle si guardò intorno, cercando una chioma rossa tra le varie persone nella stanza. Dove sarà? Sentiva il cuore battere a mille. Il solo pensiero di incontrarlo di nuovo le procurava un brivido lungo la spina dorsale.

Beth le fece segno di andare a sedersi accanto a lei. Accomodandosi, vide che l'unica sedia rimasta libera era proprio quella accanto alla sua. Forse Pam si è sbagliata, forse è già stato qua la scorsa settimana e non questa. Forse non ha fatto in tempo ad arrivare a Londra, oppure...

«Buonasera a tutti. Scusate il ritardo. Ho trovato un po' di traffico».

Isabelle alzò di scatto la testa e vide davanti alla porta di ingresso il ragazzo dai capelli rossi che tanto aveva desiderato rivedere. Indossava un cappotto nero lungo fino al ginocchio e una sciarpa ricamata a mano, di colore oro e rossa. I suoi inconfondibili occhi color nocciola stavano scansionando la stanza, alla ricerca di un posto libero dove sedersi. Rigirava tra le mani i guanti pesanti che aveva appena tolto. Sembrava agitato.

«Non ti preoccupare, stavamo giusto per iniziare. Puoi accomodarti...» disse una donna bionda sulla cinquantina, con un paio di occhiali tondi sul naso e un cartellino attaccato alla maglia con scritto "Laura- mediatore" «su quella sedia rimasta disponibile, accanto alla ragazza mora». Con il dito indicò il posto accanto al suo.

George spostò lo sguardo verso la direzione indicata dalla donna e ad Isabelle parve di vedere gli occhi del ragazzo illuminarsi, quando si incrociarono con i suoi.

I loro sguardi si intrecciarono per un momento. Iridi nocciola su iridi verde scuro.

Isabelle sentì una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Spostò lo sguardo a terra, imbarazzata, mentre sentiva il colore salirle alle guance. Stava andando a fuoco.

George si avvicinò e prese posto vicino a lei.

«Ciao» le disse semplicemente, mentre procedeva a togliersi il cappotto e la sciarpa.

Isabelle alzò lo sguardo e incrociò ancora una volta i suoi occhi: «Ciao» gli disse, quasi senza fiato. Faceva fatica a deglutire, era rimasta senza salivazione. Cosa mi sta succedendo?

Questa volta fu George a distogliere lo sguardo. Ed Isabelle ebbe modo di osservarlo, forse per la prima volta in modo completo, da vicino.

Era impossibile non notare i suoi capelli rossi, un po' più corti dall'ultima volta che lo aveva incontrato, e gli occhi color nocciola. Ma ad un esame più dettagliato, Isabelle poté notare altre caratteristiche: la mascella squadrata, il naso abbastanza lungo con una piccola gobbetta al centro, una miriade di lentiggini chiare su tutto il volto, delle sopracciglia spesse e disordinate, di colore rosso chiaro, e labbra piene e carnose, invitanti. È bellissimo, pensò lei.

George si voltò verso di lei proprio nell'esatto istante in cui lo stava osservando. Isabelle fu scossa dal suo stato di trance, e notò un dettaglio che prima le era sfuggito. A George mancava l'orecchio sinistro. Confusa, continuò a fissarlo, sorridendo in maniera imbarazzata. Andiamo, smettila di guardarlo così, sembrerai una pazza alla fine.

Il volto del ragazzo si aprì in un bellissimo sorriso timido e la ragazza poté aggiungere un altro punto a suo favore: denti perfettamente allineati e bianchi.

Furono entrambi distratti dalla mediatrice, che prese la parola.

«Benvenuti a questo nuovo appuntamento settimanale. Sono felice di vedere vecchie conoscenze». Si rivolse alla maggior parte dei presenti, compresa Beth. «Ma sono ancora più felice di vedere dei volti nuovi» disse guardando in direzione di George e Isabelle.

«Io sono Laura, e sarò la mediatrice di questo gruppo. Abbiamo alcune regole che vi spiego brevemente. Primo: astensione del giudizio. Tutto ciò di cui parlerete sarà un vostro vissuto personale e nessuno potrà contestarlo in alcun modo. Secondo: rispetto della privacy. Tutto quello che emerge qua non dovrà essere riportato all'esterno. Terzo: lasciarsi andare. Non conosco personalmente nessuno di voi ma so che questo momento, questo spazio, è un'opportunità per rimettersi in gioco. Fatelo vostro, lasciatevi coinvolgere. Sarà utile, vedrete. Detto questo. Possiamo iniziare. Chi si sente di parlare per primo?»

George ed Isabelle si scambiarono uno sguardo preoccupato. In cosa ci siamo cacciati?



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