V
Il giorno dopo aver fatto quella che lui considerava una figuraccia, George si ritrovò sbracato sul divano di Lee, con ancora indosso i vestiti della sera prima e la stanza che gli girava intorno. Dopo aver cercato di riprendersi, senza troppi successi, decise che era l'ora di tornare alla Tana. Non poteva continuare a nascondersi per sempre ed ignorare quello che era successo con la sua famiglia.
Si alzò per salutare Lee prima di smaterializzarsi e si avvicinò alla sua stanza. Dopo aver bussato alla porta, senza ricevere risposta, decise di entrare.
«Andiamo amico! Ma entri senza bussare?» George rimase un secondo a bocca aperta di fronte a Lee, completamente nudo, steso sul letto insieme alla ragazza odiosa con cui ricordava di averlo visto la sera precedente, anche lei completamente senza vestiti. Lee divenne tutto rosso in viso e tentò di coprire entrambi con le lenzuola.
«Io...Io ho bussato! Giuro, non ho visto niente!» balbettò George. Si coprì gli occhi con le mani. Qualcuno mi cancelli la memoria, ora pensò. Si sarebbe sognato quella scena per il resto dei suoi giorni.
«Oh Lee, caro! Non ti preoccupare! Non imbarazzarti, non è certo niente che il nostro Georgie non abbia mai visto prima! Non è vero, caro?» disse Pam.
George la conosceva da circa quindici ore e già non la sopportava più. Ma chi si credeva di essere?
«Ehm, si... certo. Lee, ero venuto per dirti che torno a casa. Grazie di tutto, ci vediamo. Ehm, ciao, Pam» continuò lui, facendogli un sorriso forzato. Quella ragazza a primo impatto proprio non gli piaceva. E non capiva cosa ci trovasse Lee in lei.
Uscì dalla stanza senza aspettare risposta e si chiuse la porta alle spalle. Oh sì, quando torno a casa devo chiedere a Hermione di aiutarmi a cancellare questo ricordo, altrimenti stanotte chi dorme. Bleah.
«George, aspetta» disse Lee uscendo dalla stanza con indosso una vestaglia marrone. «Mi dispiace che tu abbia dovuto vedere, non pensavo che ti saresti svegliato così presto. Ieri sera anche Pam era parecchio ubriaca ed era rimasta sola perché le sue amiche se ne sono andate di corsa e sai, una volta qua una cosa ha tirato l'altra e-»
George lo interruppe, facendosi pensieroso. «Aspetta, parli della bionda e della mora che abbiamo aspettato in fila fuori?»
Lee annuì. «Si, sono sua sorella Sammy e la sua amica Isabelle. Non so dove sono scappate così di corsa ma non volevo che Pam rimanesse sola quindi-»
George lo interruppe di nuovo. «E come ti è sembrata Isabelle? Era sconvolta, agitata, piangeva oppure...»
«Ehi ehi, frena! Cos'è tutto questo interesse per lei? Mi sembra di ricordare che ti ha dato un due di picche ieri sera» rispose Lee ridendo.
«Due di che?»
Lee continuò a ridere sotto i baffi. «Niente, niente, lascia stare. Ma perché tutto questo interesse? Mi sono perso qualcosa?»
«Diciamo di... sì? Non so neanche io bene cosa è successo". George fece un sospiro prima di continuare. «Dopo che se ne è andata via dal bar, l'ho rivista in mezzo alla pista ed era veramente...» disse sospirando «... bellissima. Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso. Poi è arrivato questo tizio, non so nemmeno chi fosse, probabilmente il fidanzato, o l'ex, non so, e ha iniziato a strattonarla...mi ha fatto salire un nervoso... Poi l'ha portata fuori e io ho iniziato a seguirli e...»
«Oh no, George...» disse Lee guardandolo preoccupato.
«Beh, cosa dovevo fare secondo te? Lasciarla sola con quel tipo? Sembrava davvero sconvolta. Comunque, quando sono arrivato fuori stavano letteralmente urlando e quando l'ha strattonata di nuovo è stato più forte di me, sono intervenuto».
Lee scosse la testa, senza dire niente.
«Cosa? Volevo assicurarmi che stesse bene, tutto qua.»
«Io invece credo che qualcuno si sia preso un bella cotta!» disse Lee ridendo.
«Chi si è preso una cottarella?» La voce stridula di Pam arrivò dall'altro lato della porta socchiusa. Dopo qualche secondo, uscì dalla stanza, con indosso la camicia di Lee e i capelli biondi raccolti in una coda disordinata.
«Nessuno. Ora, se non vi dispiace me ne vado. Ho cose importanti da fare». Non sarebbe certo rimasto lì a far mettere il naso a quella pettegola in cose che non la riguardavano. Senza aspettare risposta, uscì dalla porta dell'appartamento e una volta nell'atrio con un colpo di bacchetta si smaterializzò.
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Dopo l'incontro, o meglio lo scontro avvenuto di fronte alla psicologa, Isabelle ed Eric non si erano più visti. Il ragazzo aveva provato a chiamarla innumerevoli volte, lasciando altrettanti messaggi in segreteria, ma lei non aveva mai risposto.
«Bel, per favore, possiamo parlarne? Mi dispiace di aver detto certe cose mai sai bene che non è così come pensi...»
«Isabelle, questo è il quarto messaggio che lascio. Potresti richiamarmi? Ti prego.»
«Ok, questo è il quindicesimo messaggio, farò un ultimo tentativo. Non credo di meritarmi questo trattamento, sto soffrendo anche io come te. Perché non vuoi superare tutto questo insieme? Richiamami.»
«Isabelle, ti sto chiamando per ricordarti dell'incontro di questa settimana, è stato spostato a mercoledì alle 15, ci vediamo lì.»
«Non posso crederci. Sono stato come un coglione ad aspettarti là sotto per un quarto d'ora e ho fatto la seduta da solo. Così non posso continuare, Isabelle.»
La ragazza si sentiva bloccata. Il flusso di emozioni che entrambi avevano lasciato uscire quel giorno l'aveva come freddata, congelata. Sentiva di non provare niente. E per quanto si sforzasse, non riusciva a richiamare Eric. Non riusciva a vederlo. Semplicemente non poteva, perché aveva paura che si sarebbe frantumata, una volta ancora.
Non aveva più avuto visioni di sua figlia. L'episodio del salotto era stata l'unica volta, ed Isabelle ne fu davvero felice. Perché averla vista, anche solo per qualche secondo, le aveva provocato una sensazione di dolore e di vuoto ancora peggiore di quella sentita fino a quel momento. L'unica cosa da fare era di chiudere nuovamente il pensiero della bambina in uno dei cassetti più profondi della sua mente e lasciarla lì, cercando di continuare ad andare avanti in quella che lei stessa sentiva come non vita.
Avvicinandosi all'apparecchio, premette il pulsante per cancellare anche gli ultimi messaggi in segreteria lasciati da Eric. Non si sentiva ancora pronta per affrontarlo.
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La musica nel locale era altissima. Isabelle, dietro al bancone, con un grembiule intorno alla vita, si sporse in avanti per cercare di sentire l'ordine che i ragazzi appena entrati le avevano richiesto.
«Due rum e cola e due long Island, giusto?» disse lei, cercando di alzare la voce il più possibile.
«Si, grazie!» le rispose un ragazzo biondo cenere, molto attraente.
Isabelle trovava piacevole potersi distrarre per qualche ora la sera al pub di Rob, nonostante il lavoro non la appagasse. La aiutava a non pensare. Sammy, durante i turni di mattino e pomeriggio si beccava sempre pranzi di lavoro o al massimo qualche famiglia di passaggio, mentre a lei la sera toccava la movida di Londra. Dal giovedì alla domenica sera, il pub si animava di tantissimi ragazzi e ragazze, e l'ambiente era davvero festoso. In più, poteva rifarsi gli occhi, come adesso.
Dopo aver preparato i cocktail, li mise sul bancone e li spinse verso il ragazzo. Dopo averli passati ai suoi amici accanto a lui, la ragazza notò che uno di loro diede una gomitata nel fianco del biondo. Isabelle roteò gli occhi al cielo. Sapeva già cosa sarebbe successo da lì a pochi secondi.
Il ragazzo, visibilmente imbarazzato, si schiarì la gola e disse: «Posso sapere come ti chiami?»
Isabelle si sentì arrossire, ma rispose, annuendo con la testa. Non si sentiva per niente in vena, ma il ragazzo la stava guardando con degli occhioni da cucciolo e non si sentiva di fare la stronza. «Certo. Sono Isabelle, piacere!» Non era solita dare tante confidenze agli sconosciuti o agli avventori del pub, ma il ragazzo le sembrava davvero molto dolce, anche se tanto più giovane rispetto a lei.
«Piacere, io sono Lucas». Il ragazzo le porse la mano. Isabelle la strinse con forza e gli sorrise, sforzandosi.
Mentre stava per portare la sua attenzione sul cliente successivo, il ragazzo parlò di nuovo: «So che forse non è opportuno ma... ti va di trovarci fuori quando stacchi stasera? Ti trovo molto bella e...mi piacerebbe chiacchierare sai... un po' in privato». Le orecchie del ragazzo diventarono tutte rosse. Isabelle rise: «Sono molto lusingata ma credo che tu sia un po' troppo piccolo per me, mi dispiace».
Il ragazzo la guardò con un'aria perplessa. «Perché quanti anni hai? E soprattutto, quanti anni mi dai?»
«Non dovresti mai chiedere l'età ad una ragazza ma...» fece una pausa, incerta sul da farsi. Alla fine, cedette: «Ho 23 anni e credo proprio che tu abbia a malapena compiuto gli anni che servono per entrare in un locale come questo. O sbaglio?» Il ragazzo infatti avrà avuto sì e no 18 anni. Isabelle lo guardò dritto negli occhi, divertendosi un mondo. Seppe di avere ragione quando il sorriso sul volto del ragazzo scomparve e la sua bocca divenne una linea sottile.
«Va bene, allora ho capito. Buon lavoro Isabelle, è stato un piacere conoscerti». Il ragazzo si girò e si disperse tra la folla.
Dopo un paio di ore la situazione era più gestibile ed Isabelle decise di fare una pausa e di andare a prendere una boccata d'aria. Dopo aver avvisato Nigel, il ragazzo che di solito si trovava in turno con lei, si tolse il grembiule e lo appoggiò sul bancone. Si fece prestare una sigaretta da Rob e si avviò all'uscita, indossando il suo cappotto pesante. Le temperature fuori erano davvero gelide. Il Natale si stava avvicinando e probabilmente a breve avrebbe nevicato. Si appoggiò con la schiena al muro appena fuori dalla porta del locale e si accese la sigaretta. Dopo alcuni tiri, vide in lontananza due figure, un ragazzo e una ragazza, che si stavano avvicinando a lei. Dopo aver messo a fuoco, roteò di nuovo gli occhi al cielo. Ma che cos'è stasera, tutti qua, pensò.
Si trattava di Pam e il ragazzo che ricordava di aver visto avvinghiato a lei la sera in discoteca, al compleanno di Mark. Come si chiamava? Lin, forse?
«Izzie!» urlò Pam appena la vide fuori dalla porta. Non poteva sopportare quel soprannome. Era il modo in cui la chiamava sua madre e Pam era l'unica che ancora non aveva capito quanto la cosa la infastidisse.
«Ehi, ciao...» disse lei, in imbarazzo. Voleva bene a Pam, erano cresciute insieme, ma con il passare degli anni si era resa conto che la loro amicizia sembrava soltanto sulla carta, un'amicizia di facciata solo perché era la migliore amica di sua sorella. In realtà, più e più volte, entrambe, si erano rese conto di non trovarsi, di non cliccare. Avevano caratteri completamente opposti. Se Pam era espansiva, gioiosa e anche un po' pettegola, Isabelle era molto più chiusa in sé stessa, riservata, e si faceva molto i fatti suoi. Non amava che i suoi fatti personali venissero raccontati in giro, perciò faceva lo stesso con quelli degli altri. Se essere amica con Sammy le sembrava naturale, cosa ben diversa era con Pam.
«Ti ricordi di Lee, vero?» La ragazza annuì, anche se fino a quel momento aveva avuto un vuoto totale. Il ragazzo la salutò con un sorriso enorme. Sembra a posto, pensò Isabelle.
«Sai, in realtà la scorsa volta non ti sei proprio comportata bene, Izzie. Ti stavo per presentare Lee e il suo amico carino, anzi carinissimo, e tu te ne sei andata!» disse, girandosi verso il ragazzo accanto a lei con gli occhi spalancati. «A proposito, Lee! Perché chiami Georgie? Mi sembra così gentile e perbene! Ma che magnifica idea! Puoi farlo venire qua e quando Isabelle stacca dal lavoro ci possiamo bere una cosa e-». Fu interrotta proprio da Lee.
«Pam, non credo proprio che sia una buona idea. Sai, George vive fuori Londra e oramai è tardi e non riuscirebbe ad arrivare in tempo e poi...»
«Oh, che peccato». La ragazza sbuffò: «Però la prossima volta lo dobbiamo chiamare, me lo prometti?» disse con un acuto finale. Isabelle stava per mettersi le mani alle orecchie, e dovette resistere all'impulso di metterle da qualche altra parte, più esattamente sulla faccia della sua amica.
«Te lo prometto, tesoro». Il volto del ragazzo sembrava raggiante, mentre guardava Pam. Isabelle si chiese come facesse a sopportarla. L'amore è strano.
Pam aveva raccontato sia a lei che Sammy che i due, dopo la serata in discoteca, avevano passato tante di quelle che lei stessa aveva definito come "bellissime notti di amore e passione", fornendo la descrizione di molti dettagli che le due ragazze si sarebbero volentieri risparmiate. I due erano diventati inseparabili e lui, qualche giorno prima le aveva chiesto di essere ufficiali.
«Beh, io devo rientrare, ci vediamo ragazzi» disse Isabelle, cercando di dileguarsi. Non poteva sostenere ancora un secondo di più il tono di voce stridulo della sua amica.
«Izzie, siamo venuti apposta per bere qualcosa! Ci prepari uno dei tuoi famosi cocktail?» le disse la ragazza, con una luce negli occhi.
Isabelle imprecò mentalmente. Fece un sospiro profondo e annuì, sforzandosi di sorridere a entrambi.
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Quando Isabelle rientrò a casa, aveva un mal di testa terribile. Forse era colpa della musica troppo alta, o forse della voce di Pam che non si era mai fermata un attimo. Aveva continuato a blaterare per circa un'ora e mezzo, e lei aveva smesso di ascoltarla dopo tre minuti. Era più forte di lei. Lee, al contrario, sembrava sopportarla bene, anzi annuiva e sorrideva felice ai suoi vari e infiniti sproloqui.
Una cosa che però aveva attirato la sua attenzione era il riferimento che Pam e Lee avevano fatto al ragazzo con i capelli rossi, che da quello che aveva capito si chiamava George. Si rese conto che quando lo avevano nominato, il suo stomaco aveva fatto un guizzo. E non capiva ancora di più il fastidio che aveva sentito quando Pam lo aveva definito carinissimo. Era... gelosia?
Mentre scuoteva la testa tra sé e sé, si fece strada in lei un pensiero che cercò subito di nascondere: le avrebbe fatto stranamente piacere rivederlo. Ripensò ai suoi occhi dolci e al modo in cui l'avevano guardata mentre stava avendo un crollo emotivo fuori dal locale, ai suoi capelli mossi dalla lieve brezza invernale e della voglia di accarezzarli che le era presa per un singolo istante.
Cercando di scacciare via il pensiero, posò le chiavi sulla mensola vicino alla porta e accese la segreteria telefonica, per sentire se Eric avesse chiamato ancora. Si tolse il giaccone e lo poggiò sul divano. Partì il nastro e quando sentì una voce femminile che non riconobbe, si mise ad ascoltare con più attenzione.
«Buonasera signorina Banks, sono la Dottoressa Fain. La chiamo per dirle che sono molto dispiaciuta di non averla vista alla seduta di mercoledì con il Signor Bane. A questo punto, e per il momento, credo che la terapia di coppia non sia molto produttiva, quindi vorrei proporle di iniziare un percorso singolo, che ne pensa? La prego di richiamarmi a questo numero! Ah, e prima che mi dimentichi, gradirei anche invitarla ad un gruppo di ascolto che si riunisce il martedì sera. Credo che potrebbe fare al suo caso. Le lascio nuovamente il mio numero per ogni evenienza...» il messaggio continuava ma Isabelle lo rimandò indietro. Terapia singola? Gruppo di ascolto? Il messaggio della Dottoressa Fain l'aveva davvero confusa. D'accordo, ammetteva di aver bisogno di aiuto. Non poteva più continuare a far finta che tutto andasse bene, perché non era così. Ma aveva tanta, tantissima paura. E mettersi in discussione era qualcosa che al momento trovava molto difficile.
Adesso sì che non sapeva cosa fare.
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