Lee

«Perché cazzo hai fatto una stronzata del genere? Ti rendi conto della gravità della situazione? Tu l'hai tradita... io non posso crederci. Non ti riconosco nemmeno più... Chi sei? Perché il George che conosco non farebbe mai niente del genere. Ti giuro, faccio anche fatica a guardarti adesso».

Il suo amico dai capelli rossi si limitò a fissare il vuoto di fronte a sé. Seduto sul divano nell'appartamento sopra il negozio da circa venti minuti, non aveva risposto a nessuna delle domande, nessuna delle provocazioni che Lee gli aveva fatto.

«George, rispondimi cazzo!»

Lo vide trasalire, ma di nuovo, nessuna risposta. I suoi occhi erano persi, vacui, dei buchi neri senza vita.

«Va bene, continua pure il gioco del silenzio. Ma sappi che stavolta non troverai un appoggio in me. Isabelle è anche mia amica, e l'hai distrutta. Dopo quello che ha passato, tu eri una delle poche persone di cui si fidava ciecamente. Non avresti dovuto farlo».

Dopo qualche minuto, spinto dalla rabbia, continuò ad inveire contro di lui. «E poi, non ti vergogni? Cazzo, George... Angelina è stata anche con Fred, non ti fai neanche un po' schifo? In questo modo è come se avessi infangato anche la sua memoria... Cazzo, che casino avete combinato... mi fate vomitare tutti e due».

Per quanto ci provasse, Lee non riusciva davvero a trovare un senso al gesto compiuto dai suoi migliori amici. Sapeva bene che George era stato innamorato di Angelina per anni, ma con Isabelle lo aveva visto rifiorire. Era felice, come non era forse mai stato. Era ritornato in vita dopo la morte del fratello, e tutto grazie a lei.

E adesso, aveva rovinato tutto. Ripensò al giorno prima, quando Isabelle era scoppiata in un pianto disperato di fronte a lui e Pam, una volta tornati nel loro appartamento. La mano destra della ragazza, che era rientrata sconvolta, si era spaccata. Ma probabilmente il dolore fisico in quel momento lei non lo stava nemmeno sentendo. Si era affrettato a guarirla con del Dittamo e con l'uso della sua bacchetta, ma per la ferita nel suo cuore non esisteva nessun incantesimo, nessuna pozione in grado di aiutarla.

«Era talmente tanto sconvolta che si è ferita una mano smaterializzandosi! Le hai fatto male in ogni senso possibile, George» continuò Lee, infierendo sull'amico.

Di fronte a quelle parole, il rosso voltò la testa e fissò lo sguardo su di lui. Lee deglutì, perché in quegli occhi non vide niente. Erano due abissi neri, di completo vuoto, confusione e solitudine.

Poi, con voce bassa e roca, George pronunciò delle parole che fecero gelare il sangue a Lee.

«Voglio solo morire.»

«Ma che cazzo dici, amico? Non farmi spaventare...»

«Che senso ha continuare? Che senso ha andare avanti dopo aver perso le sole due persone che davano senso alla mia vita?» disse lui con tono monocorde.

Lee non rispose. Non sapeva davvero cosa dire. Come poteva consolare il suo amico dopo quello che aveva combinato? Non ci riusciva, era troppo arrabbiato, troppo deluso.

Di fronte al suo silenzio, George si alzò e, quasi muovendosi come un automa, si andò a rintanare in camera del gemello, chiudendosi la porta alle spalle.

Fu tentato di avvicinarsi alla stanza, bussare e appianare tutte le loro divergenze. Sapeva che sarebbe stato molto più giusto stargli vicino, consolarlo, aiutarlo a recuperare il suo rapporto con Isabelle. Ma sarebbe stata una grande forzatura. E Lee era troppo spontaneo, troppo sincero e troppo vero per fare qualcosa che andava contro la sua volontà.

Senza salutare, si avviò verso la porta di ingresso dell'appartamento e si smaterializzò. Non avrebbe sopportato di stare in quella casa per un secondo di più.

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