III
Entrarono nel locale, scortati da una ragazza altissima, con un paio di tacchi vertiginosi e un vestito che lasciava poco spazio all'immaginazione. Furono portati ad un tavolo nella parte laterale del locale, in una buona posizione, era infatti leggermente rialzato rispetto alla pista da ballo e avevano una visuale completa di quasi tutto l'interno.
«Io vado al bar, tu vieni?» gli chiese Lee, alzando la voce per farsi sentire con quel casino.
Il ragazzo annuì e si avviò verso il bancone. Fidandosi del suo amico, George iniziò a bere quello che aveva chiamato "Negroni sbagliato". Era forte, e aspro, ma buono. Lo ingurgitò in pochi minuti. Sentiva il bisogno di lasciarsi andare all'alcool. In quel locale c'era troppa gente e lui si sentiva stordito, un pesce fuor d'acqua.
Senza di te mi sento niente, Freddie
«Oi, vacci piano!» disse Lee ridendo, per poi ordinare subito un altro giro per entrambi. Mentre beveva il suo secondo drink, questa volta con più calma, George vide che si stavano avvicinando a loro Pam e la ragazza che aveva catturato la sua attenzione fuori dal locale.
«Ragazze! Venite qua, beviamo qualcosa insieme! Offro io!» disse Lee.
«Grazie caro, sei davvero gentile. E, a proposito, Lee, non ti ho ancora presentato Isabelle! È una cara amica di lunga data e...» Pam non riuscì a finire la frase perché fu interrotta proprio dalla ragazza in questione, che ignorandoli completamente, si rivolse al barman.
«Uno scotch liscio, senza ghiaccio». Il suo tono era duro, freddo. Pam rimase un attimo a bocca aperta, poi scrollò le spalle e continuò a parlare con Lee. «Ad ogni modo, sarei davvero felice di accettare quel drink...» disse, sbattendo le ciglia in direzione del suo amico.
Odiosa, pensò George. Non aveva mai sopportato le ragazze che si vendevano in questo modo. Che gusto c'era? Preferiva quelle toste, con un po' di carattere. Si avvicinò alla ragazza che, a quanto aveva capito, rispondeva al nome di Isabelle, mentre Lee flirtava palesemente con Pam. Appoggiandosi al bancone accanto a lei, che sorseggiava dal bicchiere, si rivolse al barman. «Prendo quello che ha preso lei».
Non sapeva da dove venisse quel coraggio, forse era colpa dell'alcool che iniziava a fare effetto. La ragazza, improvvisamente, sbatté con violenza il bicchiere sulla superfice e si rivolse a lui con lo sguardo iniettato di sangue. Disse solo: «Non infastidirmi» prima di girarsi e andare via, perdendosi tra la folla. George rimase a bocca aperta, mentre la guardava allontanarsi.
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Dopo qualche ora, George era davvero ubriaco fradicio. Aveva bevuto altri tre bicchieri di cocktail che aveva fatto scegliere al barman, aveva solo chiesto che fossero particolarmente forti, e lui lo aveva accontentato. Girava tra la folla che ballava, seguendo il ritmo di una canzone che ovviamente non conosceva ma che trovava orecchiabile, persino carina. Con la testa che gli girava e con le orecchie che gli fischiavano per la musica troppo alta, cercò di orientarsi per ritrovare il tavolo dove aveva visto andare Lee, mano per mano con Pam. Mentre cercava di farsi largo tra la calca di gente ubriaca e sudata, intravide la ragazza che poco prima lo aveva trattato in modo rude e scortese.
Stava ballando da sola, anche lei visibilmente ubriaca. I capelli neri le scendevano sulle spalle, e rimbalzavano ad ogni suo movimento. George si fermò ad osservarla, e dovette ammettere che era davvero sexy. Il vestito di paillette fasciava la sua figura tonica ed esaltava la sua pelle olivastra. E sapeva muoversi bene. I suoi fianchi andavano a ritmo di musica perfettamente, accompagnati da movimenti di bacino circolari. Portando le braccia sopra la testa, iniziò a muoverle una contro l'altra, su e giù, in un movimento ipnotico.
Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Mentre la guardava, George si accorse con la coda dell'occhio di una figura che si stava avvicinando a lei. Era un ragazzo giovane, doveva avere la sua età, forse leggermente più grande, molto alto e con dei capelli neri corti. Prese la ragazza per un polso, strattonandola per portarla via dalla pista. La ragazza si fermò e con uno sguardo carico di rabbia, pronunciò alcune parole al ragazzo, che ovviamente George non poteva sentire. Dopo qualche secondo, lei con un gesto di stizza si liberò dalla sua presa ancora salda e si avviò verso la porta laterale del locale, seguita ovviamente dallo sconosciuto.
George non sapeva bene perché, ma sentì il bisogno di seguirla. Voleva assicurarsi che stesse bene, che fosse tutto a posto.
Spingendo la porta tagliafuoco che dava sull'esterno laterale del locale, George sentì delle voci concitate.
«Ma in che condizioni ti sei ridotta? Ma ti sei vista? Sei uno straccio!» disse con voce dura il moro.
«E a te cosa importa, Eric? Cosa te ne importa?» rispose la ragazza con voce spezzata.
«Mi importa di te, Bel. Tu ti stai lasciando andare, non sei più tu da quando...»
«No! Tu non devi dirlo!» urlò la ragazza, mentre si metteva le mani alle orecchie, forse per non sentire ciò che l'altro aveva da dire.
«Bel...»
«No! Non starò qua a sentirti parlare di lei! Io... io non riesco... non...» rispose lei, iniziando a iperventilare. Respirava affannosamente, con il petto che andava su e giù in modo incontrollato.
Il ragazzo cercò di avvicinarsi per abbracciarla, ma lei si scansò. Lui riprovò nuovamente, e dopo un altro tentativo andato a vuoto cominciò a scaldarsi. Iniziò a strattonare la ragazza per avvicinarla a sé.
«Eric... lasciami andare, mi stai facendo male!» esclamò lei, con lo sguardo spaventato.
George, che era stato fino a quel momento in disparte ad assistere alla scena, sentì le gambe muoversi ancora prima che lui le comandasse.
«Ti ha detto di lasciarla andare, non hai sentito?»
Eric si girò di scatto. Contrariamente a quanto George pensava, non aveva il volto arrabbiato, ma era addolorato, con gli occhi lucidi. Sembrava sul punto di scoppiare a piangere.
«Non ci posso credere, Bel. Vai una sera in discoteca e ti fai l'amichetto». La smorfia era passata, adesso il ragazzo scuoteva la testa incredulo. «Perché non sparisci, idiota? Fatti gli affari tuoi», disse rivolgendosi a lui.
«Cosa? Chi? Lui? Ma se nemmeno lo conosco!», tentò di difendersi la ragazza.
George non sapeva cosa fare. Si sentiva stupido per essere intervenuto in quello che ormai, era chiaro, era un litigio tra fidanzati.
Eric stava ancora tenendo stretto il braccio di Isabelle, che nel frattempo stava fissando intensamente negli occhi George. Adesso vedeva un cambiamento nello sguardo di lei, non era più disprezzo come qualche ora prima ma forse... curiosità?
«Voglio solo accertarmi che non le farai male, e poi me ne vado», disse lui.
«Ma senti questo!» disse Eric. «E sentiamo, chi saresti tu per darmi questi ordini?»
George rimase a bocca aperta. Non sapeva cosa dire. Sapeva di essersi intromesso in qualcosa che non lo riguardava, ma non era riuscito a farne a meno.
«Io me ne vado» disse Isabelle, approfittando del silenzio da parte di entrambi. Girò i tacchi e iniziò a rientrare dentro il locale. Passando accanto a George, gli tirò una spallata e a lui sembro di sentirla mormorare a denti stretti: «Fatti i cazzi tuoi».
Mentre Eric rimase impotente ad osservare la ragazza che se ne andava, con le spalle corrucciate, George si girò e rientrò dentro il locale, per cercare di fermarla. Doveva assicurarsi che stesse bene. Non sapeva perché, ma sentiva di doverlo fare.
Ma quando rientrò, la ragazza sembrava essersi volatilizzata.
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Si fece largo tra la folla, sgomitando e spingendo chiunque le si parasse davanti. Devo andarmene, ora, pensò lei. Intravide in mezzo alla folla Sammy, la ragazza con cui era arrivata, la sua migliore amica. La vide avvinghiata ad un tizio con i capelli rasati e dilatatori alle orecchie. Sammy aveva sempre avuto gusti particolari. Raggiungendola, le prese la spalla con forza, staccandola dal bacio appassionato.
«Io me ne sto andando. Ci vediamo a casa».
«Come, di già Bel?», chiese Sammy. Aveva un sorriso ebete sul volto, anche lei era particolarmente ubriaca. Dopo qualche secondo, però, recuperò il minimo di lucidità necessaria per accorgersi dello sguardo sconvolto della sua amica e i suoi grandi occhi verde scuro lucidi «Bel, cosa è successo?» disse, con uno sguardo di preoccupazione. Non rideva più, e iniziò ad avvicinarsi a lei. Alzò le mani per stringerla in un abbraccio ma l'altra si scansò.
«Niente, me ne vado. Questa serata mi sta annoiando».
«Bel, per favore non fare così. Parlami, che succede?» chiese Sammy, ancora più preoccupata. Ultimamente era abituata alla carenza di affetto da parte della sua migliore amica, e non si stupì che si fosse allontanata, ma a preoccuparla era lo sguardo perso che vedeva nei suoi occhi.
A quelle parole, Isabelle non riuscì a trattenere le lacrime e iniziò a balbettare in maniera confusa. «Ecco, Eric, lui... non so come ... l'ho incontrato, era in mezzo alla pista e lui... insomma si, mi ha visto e mi ha portato fuori e io...». Non riuscì a finire la frase.
Alla menzione di quel nome, il volto di Sammy si fece ancora più serio. Annuì e disse: «Ok Bel, ce ne andiamo subito. Prendo i nostri cappotti e ce ne andiamo». La prese per mano e facendosi largo tra la folla, tornarono verso il tavolo. Con un po' di fatica trovarono i loro cappotti sepolti sotto una valanga di borse, giubbotti e altri oggetti personali, li indossarono e si avviarono velocemente verso l'uscita.
Di fronte all'ingresso, trovarono Pam che si stava baciando con Lee, appoggiata con la schiena alla parete del locale, e il ragazzo che la cingeva per i fianchi. Sammy si avvicinò alla sorella e le toccò un braccio.
«Pam, noi andiamo via. Ci vediamo dopo, ok? Fatti riaccompagnare da lui, non tornare sola, mi raccomando», disse la bionda.
Pam si staccò dal bacio con Lee e girò lo sguardo verso le sue amiche.
«Ok, va bene. Non aspettatemi sveglie stanotte, non credo di tornare», disse ridendo, per poi riportare lo sguardo verso il ragazzo di fronte a lei. Lui le rispose semplicemente sorridendo.
Senza rispondere, Sammy prese di nuovo la mano della sua migliore amica ed aprì la porta del locale, uscendo nel gelido inverno londinese.
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Sedute sulle metro, Isabelle aveva appoggiato la testa sulla spalla di Sammy. Non aveva spiccicato parola da quando le aveva detto di Eric in mezzo alla pista da ballo. La testa le girava, e non solo per l'alcool. Non si aspettava proprio di trovarlo lì, anzi si era lasciata convincere ad andare a quella serata soltanto perché il locale si trovava nella zona opposta della città rispetto all'appartamento del ragazzo, che fino a pochi mesi prima era anche il suo.
«Cosa ti ha detto?». Non c'era bisogno che Sammy specificasse niente, Isabelle sapeva a chi si riferisse.
«Ehm... vediamo... mi ha detto che sono uno straccio, che ero ridotta malissimo, che mi sono fatta l'amichetto e...» fece un sospiro prima di continuare. «Stava per parlare di lei».
Sammy si irrigidì a quelle parole. Non disse niente, decise semplicemente di cingere con un braccio le spalle della sua amica con i capelli corvini e di attirarla a sé. Rimasero così, in quell' abbraccio, carico di significati e di tensione, fino a che non fu il momento di scendere dal mezzo.
Isabelle entrò nella sua stanza, e si chiuse la porta alle spalle. Si mise a sedere sul letto singolo sul lato sinistro della camera e prese la testa fra le mani, Sospirò profondamente. Era stata proprio una serata di merda. Aveva sperato di passare qualche ora un po' più spensierata, leggera. Invece era andato tutto all'opposto. A partire dalla ressa di gente che c'era dentro il locale, fino all'incontro con quello che era il suo fidanzato, o ex, non riusciva ancora a capire. Lei ed Eric si trovavano in questa situazione di stallo da circa nove mesi. Se ne era infatti andata dall'appartamento che condividevano ed era stata ospitata prima da sua madre. Dopo qualche settimana, però, aveva sclerato, non potendo più tollerare le pressioni costanti da parte sua, che ripeteva continuamente di come dovesse andare da uno psicologo, di come dovesse farsi aiutare, di come dovesse recuperare il rapporto con Eric.
Devi, devi, devi.
Sua madre sapeva dire solo questo. Sapeva pensare, solo questo. Isabelle era costantemente investita dalle aspettative della sua famiglia, in particolare da parte di sua madre. Aspettative che si trasformavano in un pesante macigno che premeva sullo stomaco della ragazza, quando l'unica cosa che avrebbe voluto era un po' di pace dal dolore senza fine che provava dal novembre dell'anno prima.
Un pensiero si fece strada nella sua mente, ma lei lo richiuse immediatamente in uno dei cassetti nel punto più profondo della sua mente. L'incontro con Eric l'aveva sconvolta, e aveva perso il controllo totale che cercava di avere sulle sue emozioni. Ma non poteva permettersi di lasciarle uscire, non poteva permettersi di lasciare uscire i ricordi. Perché temeva che l'avrebbero annientata.
Si cambiò velocemente, indossando il pigiama e senza struccarsi, si infilò sotto le coperte. Rabbrividendo per il contatto con le lenzuola fredde, si strinse le braccia intorno al petto per riscaldarsi. Prima di addormentarsi, il suo pensiero andò a quel ragazzo alto, con i capelli rossi, che aveva cercato prima di approcciarla al bar, e che dopo si era intromesso in affari che non lo riguardavano. Coglione, pensò lei. Ma l'ultima cosa che visualizzò nella sua mente prima di scivolare nel sonno, finalmente in pace, furono i suoi bellissimi occhi color nocciola, che l'avevano osservata con uno sguardo penetrante, e in cui, in un certo senso, riconosceva qualcosa che apparteneva anche a lei. In quegli occhi aveva riconosciuto il dolore.
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