George
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Buona lettura!
Disclaimer: assunzione di psicofarmaci
menzione di comportamenti autolesionistici
«Che succede, Georgie? Hai litigato con Isabelle?»
«Non voglio parlare di lei... non stasera. Per favore...»
Angelina rise amaramente. «Giuro che non riesco a capirti. Cosa pensi che sia, un giocattolo che puoi chiamare quando ti pare? Tu non mi consideri da mesi, George. Da quando stai con lei non c'è stato più posto per altro nella tua vita. E adesso mi chiami e mi chiedi di venire qua di corsa. Non c'è bisogno di un genio per capire che è successo qualcosa con lei... ma come pensi che mi senta io?»
Il ragazzo, seduto in terra e con la schiena appoggiata al divano, abbassò lo sguardo colpevole. Non era molto lucido, anzi per niente. La grande quantità di alcool ingerita gli aveva offuscato la mente, ma le parole di Angelina lo colpirono in pieno.
«Angie... hai ragione. È successo qualcosa ma... non ho voglia di parlarne. E se ti ho chiamato è perché avevo bisogno di parole di conforto, di distrarmi... avevo bisogno di te.»
La ragazza sembrò calmarsi, e il sorriso ritornò sul suo volto. «Tieni, beviamoci su. Forza» disse allungandogli una nuova bottiglia piena fino all'orlo. «Fortuna che mio padre aveva queste in dispensa, a quest'ora non avrei proprio saputo dove andare a prendere da bere!»
Le loro mani si scontrarono per un secondo e George sentì una scarica elettrica percorrere tutto il suo corpo. Ritrassero entrambi le mani a causa di quel contatto inaspettato.
«George...»
«Non stupirti, Angie. Tu mi hai fatto questo effetto per anni. Ogni volta che in Sala Grande, in Sala comune oppure agli allenamenti di Quidditch per sbaglio ci sfioravamo, io provavo queste cose. Ogni volta che ti incontravo nei corridoi... era difficile toglierti gli occhi di dosso. Questo è andato avanti per anni. Ma tu... lascia perdere.»
«Mi dispiace tanto, George. Mi dispiace di non averlo capito prima... mi dispiace di aver scelto lui... per tanto tempo ho compiuto delle scelte sbagliate, se vuoi anche un po' infantili... Fred è sempre stato l'unica opzione immaginabile per me...è stato il mio primo tutto. Ma finalmente ho aperto gli occhi. Ho capito di volere te...» disse Angelina avvicinandosi un po' al ragazzo. «Lo avevo capito già da prima della Guerra, ma non ho avuto il tempo di confessarti cosa provavo. E dopo... non ci riuscivo. Ero come bloccata, la sua morte mi ha distrutto... era il mio migliore amico e lo sarà per sempre, nonostante tutto...ma rivederti quel giorno a Ottery mi ha fatto aprire gli occhi. Vederti così... così bello e triste allo stesso momento. Mi ha smosso di nuovo qualcosa dentro. E ho capito che non volevo più stare lontano da te, nemmeno per un secondo... ma tu avevi già incontrato lei. Il tuo cuore era già occupato».
La ragazza alzò lo sguardo, amareggiata, e vide che George la stava già osservando, con gli occhi lucidi e il respiro pesante. Il tempo sembrò fermarsi e dilatarsi, e nello spazio di un millisecondo nella testa di entrambi passarono un vortice di pensieri diversi.
Il tempo, però, riprese la sua corsa quando le loro bocche si scontrarono, fameliche e bisognose.
George chiuse gli occhi, cercando di scacciare quelle immagini, quei flash offuscati dalla sua mente. Il buco nero dentro al suo petto non accennava a diminuire, lo stava mangiando vivo da quel momento, dal giorno in cui aveva rovinato l'unica cosa bella che la vita era riuscito a donargli dopo la morte di Fred.
Non riusciva più a mangiare, non riusciva più a respirare. Si aggirava per casa come un fantasma, come un guscio vuoto. Non riusciva più a guardarsi allo specchio, non riusciva più ad incontrare il suo sguardo vacuo e nero. Due pozze scure di pentimento e rimorso che gli restituivano l'immagine di un mostro.
Nei giorni seguenti il ragazzo aveva recuperato in parte la memoria dell'accaduto. Brevi spezzoni che comparivano a intermittenza e che provocavano in lui dei sensi di colpa che gli mozzavano il fiato. Era stato lui a cercare Angelina, era stato lui a baciarla quella sera. Era stato lui a iniziare a spogliarla e a spingerla verso la camera. Quella camera dove aveva fatto l'amore più e più volte con Isabelle. La camera in cui aveva deciso di tradire la fiducia della persona che amava di più al mondo, e di infangare la memoria di Fred.
«George, ma sei sicuro? Non credo sia una buona idea-»
«Sono sicuro. È quello che voglio... voglio te».
Angelina aveva tentato, dopo il bacio, di comunicare i suoi dubbi. Nonostante tutto, lei sapeva bene quanto Isabelle significasse per lui, quanto fosse innamorato. Sapeva bene che stavano per superare un punto di non ritorno. Ma lui non l'aveva ascoltata. Si era semplicemente spento, cercando di scordarsi di quel paio di occhi verdi, dolci e profondi. Non voleva pensare, non voleva provare niente. Voleva solo trovare un anestetico per il dolore, la rabbia e la gelosia provata vedendo lei con Lucas. Un rimedio per il suo cuore ferito e frantumato.
Ma alla fine, aveva compiuto la scelta peggiore della sua vita. E se ne sarebbe pentito amaramente per il resto dei suoi giorni. Il dolore lo avrebbe accompagnato mentre cercava di portare avanti un esistenza che lui per primo sentiva come vuota.
Voglio solo morire. Voglio solo porre fine a questo infinito tormento
Ecco, di nuovo quel pensiero. Un mantra che attraversava la sua mente ogni minuto, ogni secondo. Non lo lasciava libero di pensare, libero di dormire, libero di vivere.
Voglio solo morire
Aggirandosi per la cucina, più volte aveva pensato di prendere un coltello e fare un semplice taglio, netto e profondo sul braccio. Sarebbe stato doloroso, sì. Ma avrebbe potuto porre fine alle sue atroci sofferenze. All'incessante sensazione di colpa e vergogna che lo accompagnava da quando apriva gli occhi a quando li chiudeva. E che tormentava anche i suoi incubi.
Scosse la testa, cercando di riprendere la lucidità. Doveva tirare fuori le palle, quelle che aveva avuto nel tradire l'unica persona che avesse mai davvero amato in modo viscerale e profondo, e affrontare la situazione.
Doveva riuscire a sopportare il peso dei suoi sbagli, anche se questo significava vivere con un rimorso per il resto dei suoi giorni.
Un nuovo flash si presentò alla sua mente. Questa volta, però, George rivide lo sguardo ferito, l'espressione atterrita di Isabelle. L'incredulità e la delusione passare in un lampo sul suo volto, mentre la luce si spegneva nei suoi occhi.
Perché l'aveva persa, lo sapeva. L'aveva visto chiaramente nei suoi gesti. L'aveva sentito nel suo tono di voce. Tu per me sei già morto
Morto come Fred
Una nuova stilettata di dolore lo attraversò da cima a fondo. Perché quella sera non aveva tradito solo Isabelle, aveva tradito anche suo fratello. La persona con cui aveva condiviso tutto, gioie e soddisfazioni, dolore e sofferenza. Aveva infangato la sua memoria in modo viscido, disgustoso. E si sentiva un verme per questo. Si chiese cosa avrebbe pensato, come si sarebbe comportato con lui di fronte a quel gesto così meschino.
Ricordava ancora, con estrema chiarezza, l'incubo che lo stava perseguitando da quella sera, durante le poche ore di sonno che riusciva a strappare.
Isabelle e Fred, avvinghiati insieme, stretti in un contatto fin troppo intimo. Lo sguardo diabolico del fratello, quello sguardo che aveva già tormentato i suoi sogni.
Tu mi hai rubato la ragazza, ti restituisco il favore, Georgie
Ti piacciono i giocattoli usati, fratello?
«Figliolo... sapevo di trovarti qua».
La voce di suo padre lo fece trasalire, immerso com'era nel mare dei pensieri e dei sensi di colpa.
«Scusa, papà...» disse cercando di asciugare velocemente due lacrime solitarie sul suo volto. «Come stai? Come ti senti oggi?»
Arthur si mise a sedere accanto al figlio, sull'erba verde dei campi dietro la tana. Accanto a loro, uno spaventapasseri che lui e Fred avevano creato l'estate precedente al loro primo anno di scuola, divertendosi ad utilizzare del materiale babbano portato dal padre. Era stato poi incantato per evitare che il freddo, il caldo e le intemperie lo potessero rovinare. Quello stupido spaventapasseri era uno dei tanti ricordi di un infanzia spensierata e felice, lontana dai problemi e dai drammi che stava vivendo adesso.
«Sto meglio, figliolo... grazie. Mi dispiace di avervi fatto prendere uno spavento.»
«L'importante è che adesso tu stia bene, e che tu sia a casa...» rispose George con voce bassa.
«Ma tu come stai, Georgie?» chiese il padre, poggiando una mano sulla sua spalla. Il suo sguardo era colmo di preoccupazione.
Per un po' l'unico rumore udibile fu il chiacchiericcio proveniente dalla Tana e il rumore dei loro respiri pesanti. Il freddo era pungente e dalle loro bocche uscivano nuvolette di vapore.
«Non riesco a capire perché... Mi sento malissimo... ho fatto una cosa terribile, immonda e non riesco a perdonarmi. Continuo a pensare a lei... ai suoi occhi. Erano vuoti, spenti... erano morti, papà. E pensare che sono stato io la causa di tutto ciò... mi sta uccidendo dentro» rispose, per poi appoggiare la testa sulle ginocchia. Non voleva che suo padre lo vedesse piangere, non poteva sopportare di farsi scoprire così debole.
«Figliolo... non ci sono parole che possano esprimere il mio dispiacere per quanto è accaduto. Non tenterò di giustificarti... credo infatti che nella vita ognuno di noi debba prendere le proprie responsabilità per i gesti che decidiamo di compiere. Ma quello che posso assicurarti è che autodistruggerti così non porterà a niente. Charlie mi ha detto che non mangi e non bevi da giorni, finirai per sentirti male.»
«Non ce la faccio... come posso mangiare? come posso comportami come se niente fosse sapendo che lei sta soffrendo? È tutta colpa mia... io la amo e l'ho fatta soffrire. Non posso... non riesco a fare finta di niente. E poi... papà... non è solo questo. Facendo quello che ho fatto... ho tradito la memoria di Fred. È come se avessi disonorato il suo nome...»
«George, conosco bene ognuno di voi. Credo di poter dire senza ombra di dubbio che Fred non si sarebbe mai arrabbiato con te per una cosa del genere» rispose con fermezza. «Certo, forse vi sareste presi a cazzotti per un po'... ti avrebbe lanciato qualche frecciatina, ma non ti avrebbe mai voltato le spalle. Tu eri la sua vita, George. Come lui era la tua. Non avrebbe mai permesso a una cosa del genere di allontanarvi, di dividervi» rispose suo padre con le lacrime agli occhi. Era davvero difficile scatenare una reazione emotiva in quell'uomo, che nonostante l'apparente dolcezza e bontà, era restio a lasciarsi andare sentimentalmente. Ma parlare di Fred sortiva questo effetto, e nemmeno lui ne era esente.
«Non riesco neanche a guardarmi allo specchio... mi sento morire, ogni secondo che passa... è davvero difficile, papà...» sussurrò George, scoppiando in un singhiozzo strozzato. Arthur, vedendo le condizioni del figlio, lo avvicino a sé. Come quando era piccolo, George si buttò tra le braccia del padre, cercando di ottenere anche solo un piccolo conforto da quella stretta calda e accogliente. Si lasciò andare dopo giorni di amarezza, di rimpianti, di dolore e di sofferenza. Dopo giorni di senso di colpa che avevano divorato il suo stomaco e la sua anima. Giorni interi di completo buio e vuoto.
«Figliolo... lascia andare tutto... sfogati».
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e pianse per un tempo che gli parve indefinito, fino a quando il suo stomaco iniziò a bruciare a causa dei singulti e i suoi occhi furono completamente rossi.
«Potrò mai stare meglio? Potrò mai farlo... senza di lei?» chiese George con un filo di voce, guardando suo padre negli occhi.
L'uomo sospirò profondamente. «Non lo so... ma una cosa che ho imparato nella mia vita è che siamo artefici del nostro destino. Solo noi possiamo decidere cosa ci capita... quali scelte prendere.»
«Cosa posso fare, papà? Ti prego aiutami, perché non so davvero dove sbattere la testa... mi sembra di impazzire.»
«Credo che tu debba fare un tentativo. Perché non provi a parlarle?»
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Decise di seguire il consiglio di suo padre. Dopo averlo salutato con un forte abbraccio, si smaterializzò velocemente davanti la porta del vecchio appartamento della ragazza, nella speranza di trovarla in casa.
Bussò e attese risposta. Niente. Riprovò altre due volte, fino a che la porta si spalancò.
«Con quale faccia ti fai vedere qua? Vattene, prima che ti prenda a pugni».
George rimase per un attimo senza parole. La figura davanti a lui lo stava osservando con due occhi marroni, freddi e glaciali, aveva la mascella tesa e i pugni chiusi. I capelli biondi erano lasciati disordinati e dei ciuffi scendevano sulla fronte.
George indietreggiò, incredulo di fronte a ciò che stava osservando. Il suo cuore si spezzò, ancora una volta. Lei era già andata avanti, l'aveva già dimenticato. Le erano bastati solo pochi giorni per superare quel dolore immenso che sembrava provare, quel dolore che gli aveva trasmesso con i suoi gesti, con i suoi sguardi. Solo pochi giorni per buttarsi tra le braccia del ragazzo che aveva detto non avere nessuna importanza, per lei.
«Lucas, chi è? È arrivata Beth con la valigia che le avevo chiesto?»
Prima che la ragazza si presentasse di fronte alla porta, George corse con tutto l'energia che aveva in corpo. Una volta svoltato il primo angolo, si accasciò a terra, scosso da singhiozzi e in preda a una crisi di panico.
Voglio solo morire
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Can you hear me screaming? Please don't leave me
Hold on, I still want you
Come back, I still need you
Let me take your hand, I'll make it right
I swear to love you all my life
Hold on, I still need you
I don't wanna let go
I know I'm not that strong
Era tutto pronto.
Si guardò allo specchio, e non si riconobbe. Ma ne fu finalmente felice. Non sopportava più, e soprattutto in quei momenti, di vedere il volto di Fred riflesso. Sul lavandino un tubetto quasi vuoto, un contenitore e un pennello. Si diede un ultima occhiata, e si ritenne soddisfatto.
Si stese poi dentro la vasca, completamente vestito. L'acqua iniziò a strabordare, iniziando ad allagare il pavimento del bagno.
Con mani tremanti, iniziò a svitare il tappo di due flaconcini. Non acquistava niente da più di un anno e quello strano signore di mezza età, che girava in un vicolo buio di Londra, si era stupito di rivederlo.
«Ah, è tornato il rosso. In cosa posso aiutarti oggi? Ottundimento, divertimento o oblio?»
«Oblio, per favore. Voglio smettere di sentire ogni cosa.»
«Ho proprio quello che fa al caso tuo. Non rimarrai deluso, vedrai».
Non aveva mai provato niente del genere, nemmeno dopo la morte di Fred. Certo, aveva acquistato erba, crack e, solo una volta, cocaina. Ma gli psicofarmaci erano una nuova frontiera, per lui.
Da quello che gli aveva raccontato Lee, più esperto di lui del mondo babbano, era facile sviluppare una fissazione, se non una dipendenza per gli effetti di quei farmaci. Innocui solo all'apparenza, potevano avere effetti molto deleteri a lungo termine.
Ma lui non aveva intenzione di diventare un tossicodipendente. La sua necessità impellente era non sentire niente. Smettere per qualche momento di pensare, smettere per qualche secondo di morire di dolore.
Amareggiato, pensò a come si fosse ridotto. Fino ad una settimana prima dormiva abbracciato alla donna della sua vita, alla sua dolce Bel, e adesso aveva rovinato tutto. A lei non era servito molto tempo per dimenticarlo e buttarsi tra le braccia di qualcun altro. Ma sapeva di non avere diritto di replica. Lei si meritava ogni cosa bella di questo mondo, lei si meritava solo di essere felice. Lui era riuscito solo a procurare una nuova spaccatura nel suo cuore già fragile. E se lei aveva scelto Lucas per riparare quel profondo cratere, lui doveva farsene una ragione.
Nuove ondate di dolore lo pervasero in ogni parte del corpo. Affranto, decise di procedere. Era arrivato il momento di concedersi quel dolce, squisito oblio.
Versò una manciata di pillole sulla sua mano. Dopo qualche secondo, però, decise di vuotare tutto il contenuto di entrambe le boccette. Non voleva solo dormire, voleva sparire, essere il niente solo per un po'. Esitò per un secondo, chiedendosi se fosse davvero ciò che voleva. Sarebbe riuscito davvero a stare meglio in quel modo?
Non mi interessa se funziona solo per mezz'ora, io non voglio più sentire niente.
Ingoiò di getto il grande quantitativo di pillole. Per qualche minuto, gli sembrò essere rimasto tutto uguale, e iniziò a maledire lo spacciatore. Aveva paura che lo avesse ingannato, rifilandoli un placebo.
Ma poi, una sensazione strana lo pervase in tutto il corpo. Un senso di calma, di serenità lo colse, e lo fece sentire come su una nuvola. I contorni intorno a lui iniziarono a dissolversi e sparire, la vista si fece più sfuocata.
E George, scivolando dentro l'acqua fino al mento, entrò nel buio e nel niente ma finalmente con il sorriso sul volto.
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Lo so.
Lo so.
Vi ho probabilmente scioccato.
Ma non vi preoccupate! Forse sarò ripetitiva ma è funzionale alla trama 😂(mi odiate ormai, lo so!)
Inoltre, voglio scioccarvi un altro pochetto. Vi comunico che mancano ufficialmente due capitoli più epilogo alla fine di questo viaggio. Ma non vi preoccupate! Ho delle sorprese in serbo per voi e non resterete delusi, o almeno lo spero!✨✨
Voglio ringraziarvi per il vostro supporto. Vedere quel 10 tondo tondo accanto alle visualizzazioni mi ha reso veramente felice. Siete speciali, sul serio❤.
Infine, voglio ringraziare effywriter per il suo continuo supporto, sopratutto quando vorrei lanciare il pc dalla finestra. Grazie, amica mia. ❤✨
Baci Stellari!
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