8. Complicazioni.
Il karma è un fottuto bastardo. Forse pure peggio di me, lo devo riconoscere.
Se avessi potuto prevedere che Marianne avrebbe avuto il posto proprio al Palazzo di Giustizia dopo il nostro incontro, probabilmente non l'avrei sfiorata con un solo dito.
Leviamo pure il "probabilmente". Sicuramente non l'avrei toccata manco se fossi stato pagato – non sono io quello con le attitudini da gigolò in famiglia, è bene specificarlo.
La situazione è alquanto strana per cui l'affronto come so meglio fare: in silenzio, apparentemente nulla sembra toccarmi più di tanto.
Stare a stretto contatto con Marianne, però, logora anche il mio proverbiale autocontrollo. Come adesso, in questo momento in cui sta parlando di qualche cosa non meglio precisata e continua a toccarsi i capelli con fare quasi vanitoso.
È arrivata da qualche minuto nel mio ufficio, il cellulare ha vibrato per qualche notifica in arrivo e lei ha cercato di adocchiarlo senza farsi notare da me, peccato che io noti tutto, ma proprio tutto. Specie quando stai provando a invadere il mio spazio personale e vitale.
Più che ascoltarla sul serio, sto leggendo un documento importante e l'ascolto con mezzo orecchio, lasciando qualche commento di tanto in tanto per farle capire che sto anche ascoltando.
«...e quindi capirai la mia sorpresa quando ho risentito Jake!» sembra divertita. «Ci vediamo domani sera. Curioso, no?»
«Cosa, esattamente?»
«Che sua sorella sia tua cliente e lui mi chiede di rivederci, in nome dei nostri vecchi tempi.» ha atteggiato le labbra in un incrocio fra broncio e mezzo sorriso che sono riuscito a cogliere prima che lei si distraesse di nuovo col cellulare.
Odio molte cose, penso che oramai lo sappiate tutti. Specie quando qualcuno cerca di provocarmi e poi fingere un disinteresse che non è reale. E odio le cose dette a metà. Odio, fondamentalmente, l'atteggiamento infantile che a volte Marianne ha, soprattutto nei miei confronti.
«Esci con Jake Hamilton.»
«Oh, ho la tua attenzione.» posa il suo cellulare sulla scrivania in modo che io veda con chiarezza la chat aperta proprio su Jake. «Sì. Siamo ottimi amici.» peccato che io non sia un coglione qualunque e quel "ottimi amici" non è altro che un tentativo pseudo elegante di dirmi che s'è fatta sbattere per dritto e rovescio da Jake.
«Bene.» no, non va bene manco per il cazzo. Non c'è niente che va bene in questo momento.
«Ti dà fastidio? Ti sento innervosito...»
«Senti male.» asciutto, riportando lo sguardo sui documenti: sto segnando a matita le correzioni che poi Juliette dovrà effettuare nella stesura definitiva.
«Sicuro?»
Prendo un respiro prima di tornare a guardarla. La fisso: oggi si è messa una camicetta con un'arricciatura al collo, quindi quasi monacale se non contiamo la gonna che invece è aderente in maniera quasi eccessiva e un nastrino tipo in velluto ferma i capelli in una coda bassa. Non mi piace nemmeno un poco.
«Sai, dovresti smetterla.» riprende a parlare.
«Di fare cosa, esattamente?»
«Di mettere ansia al prossimo. Lo fai anche con la povera Juliette.» mi indica. «Se non sapessi che sei tu, mi staresti alquanto antipatico.»
«La gestione dell'ansia altrui non è un affare che mi compete.» né voglio che mi competa, chiariamolo. «È il mio lavoro insegnare. Lo faccio con lei come con chiunque altro qui dentro.»
«Possono imparare anche autonomamente. E poi sai...» angola un sorrisetto. «Ad alcune piace essere irritate.»
La fisso per qualche istante, poi decido di chiudere la cartelletta davanti a me. «Non è di mio interesse conoscere cosa a lei piace o meno. A me importa che esegua i miei ordini. Nell'istante in cui chiedo, lei esegue. Lei come chiunque altro qui dentro.» sottolineo «La disciplina, l'ordine, la metodologia di lavoro non la impari da sola. Ti viene impartita. Senza un maestro non ci sono regole. È la base.»
«E credi di dover essere per forza tu ad impartire tale metodologia.»
«Visto che sono il capo, sì. Chi dovrebbe farlo? Il Sindaco?» retorico. «Ma se preferisci, posso affidarti a qualche altro procuratore.» da Juliette il discorso lei lo ha spostato su sé stessa e noi due in un battito di ciglia.
«Perché, cosa non ti va bene ora?»
«Innanzitutto, togliti quel nastro. Non sei Candy Candy.» lo indico appena. «Il nastro suggerisce delicatezza, sensibilità. Ti rende una preda facile. Scioglili piuttosto. Se li raccogli, niente trecce. Semmai chignon o code alte e severe. Se vuoi rispetto, datti un'aria inavvicinabile.» non dovrei essere nemmeno io a dirle certe cose, ma oramai. «Se hai paura, non mostrarlo mai.»
Mi sta fissando allibita. «Preda di cosa, di qualcuno che si incazza? Pensi che non mi rispettano? E pensi di avere ragione solo perché sei il mio capo?!»
«Sei ancora troppo suscettibile su qualunque cosa. Sei una preda facile per chiunque. Se ti avessi solo come avversaria, non ti rispetterei.» posso essere crudele, ma sono sincero almeno. «Sono il tuo capo. Vero. Ma dovrebbe esserci il rispetto e la fiducia necessaria che ti porta ad eseguire se io ti dico di fare una cosa, non a contraddirmi continuamente. La differenza, Marianne, è che io difficilmente ho bisogno di essere moderato da altri in pubblico, tu invece parti per la tangente. E ritorniamo al solito discorso.» espiro, ho le palle già girate come non mai. «Sai di avere un certo peso ma non ti comporti come il tuo cognome vorrebbe che tu facessi.»
«Tu non sai ancora nulla di me.» se potesse, mi starebbe già sputando in faccia. Si è pure alzata in piedi. «Tu fai prevalere esattamente questo e ne dai prova anche ora. Di avere in tasca tutte le verità. Comprese le mie. Ma ti dico una cosa Anderson. La fiducia che vorresti avere non la otterrai così con me. Non sarà cercando di fare il prepotente verbalmente che otterrai che io mi apra.» Sbatte le palpebre fin troppo rapidamente. «E tu del mio peso a casa, di come sono sai tanto così?» mi indica con un gesto nervoso delle dita una quantità, relativamente piccola. Poi porta le mani al fiocco, disfacendolo completamente e sciogliendo quella specie di acconciatura, passando le mani fra i capelli, frizionandoli. «Questo ti sembra più rispettoso? O forse ora credi che io sia una persona eccelsa con la quale avere a che fare a lavoro? Da non ribaltare come sei solito fare?» è paonazza in viso, ma continua imperterrita. «La differenza è che io ti modero sempre. Sei tu che non lo vedi. E non otterrai nulla nell'immediato se continui a farmi scappare. Ma se è quello che vuoi, ci stai riuscendo benissimo. Specie quando citi il mio nome. Forse dovresti andare da qualcun'altra.»
Mentre lei parla, ho adagiato la mia schiena contro la poltrona, fissandola per tutto il tempo. È così platealmente impreparata, così debole. È così facile farla cadere nelle provocazioni, anche le più piccole. Schiocco la lingua contro il palato, molto pigramente. «E tu credi di essere pronta ad auto gestirti? Credi di essere pronta per l'aula?» fletto il capo verso la spalla destra per poter incontrare i suoi occhi. «Ti basta davvero così POCO per scattare?» pongo quella domanda in maniera subdola, lo so.
Lei schiude le labbra, boccheggiando. Vuole ribattere ma ha il cervello palesemente in tilt e non riesce a dirmi nulla di sensato.
«Avvocato, devi fare di meglio. Se non avessi saputo nulla di te, tu avresti scoperto le tue carte in poche parole. Avessi detto una stronzata tirando ad indovinare, tu mi avresti invece confermato che è tutto vero ciò che ho detto.» sospiro appena, in realtà è tutto così patetico che non so nemmeno bene perché ci sto perdendo tempo. «È per questo che io modero te e non tu me. Tu pensi di farlo, non è così. Sono io che te lo lascio fare. Perché soffri del fatto di non poterlo fare in maniera naturale.» smuovo il capo in cenno di diniego. «Non faccio quello che ti piace. Faccio quello che ti è necessario. E non è compreso, in questo, il fatto che sempre ti piaccia.»
Il cellulare di lei vibra di nuovo: una chiamata da parte di Jake. Osservo quello schermo e poi sollevo lo sguardo su di lei.
«Scegli bene chi frequentare, Marianne. Perché io non sono solito raccogliere le stronzate altrui.» le indico la porta. «Puoi andare.»
Lei prende di scatto il cellulare e rifiuta la chiamata, fissandomi. «Mi stai mandando via, Thomas.»
«Procuratore.» preciso, svogliato. «Ho del lavoro da portare a termine e tu delle telefonate a cui rispondere.» sia mai che quel porco di Jake aspetti, non scherziamo.
«Beh. Sai che c'è di nuovo?»
Alzo lo sguardo su di lei. «No. Illuminami.»
«Io stasera ci esco. E ci faccio quello che mi pare.»
«Liberissima.»
«Già tu hai quell'altra.» lo dice con disprezzo.
«Io credo sia il caso che tu esca a prendere una boccata d'aria fresca, Avvocato Saint-Laurent. Non vorrei mai che tu dicessi cose in preda a un'agitazione momentanea, cose che potrebbero costarti la carriera. Sei d'accordo con me?»
Mi lancia in faccia quel nastrino in velluto che teneva fermi i suoi capelli e gira i tacchi, uscendo dal mio ufficio. Per non farsi mancare nulla, sbatte pure la porta.
Arcuo entrambe le sopracciglia. «Ah beh.» prendo il nastrino e lo lascio cadere nel cestino accanto la mia scrivania.
Sono già stanco di tutta questa merda.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top