16. Tu devi imparare a respirare.
Essere il Procuratore significa avere tantissimi vantaggi, non lo nego. Di solito sono dal lato opposto della barricata, io di prassi rappresento la quintessenza di ciò che i Procuratori odiano: la difesa, quella efficace e lapidaria.
Lo dico senza alcuna falsa modestia: ho imparato dai migliori. Nonostante odi visceralmente mio padre, in un'accezione che le parole non possono pienamente trasmettere, riconosco in lui del talento, quello prettamente Anderson. Abbiamo carisma naturale, siamo affascinanti e abbiamo il dono di avere un cervello tale che studiare legge, economia e politica per noi è come respirare. Calchiamo i palcoscenici più ostici al mondo, oscilliamo fra legge e politica come equilibristi consumati e brilliamo. Non sappiamo fare di meno. Imparare da mio nonno e mio padre mi ha permesso di essere sempre pronto al peggio, di saper affrontare la qualunque senza esplodere né mai venire meno al cognome che porto con fierezza totale, assoluta.
Jacob alla fine ha ceduto. Non ho idea di chi di loro due abbia ceduto in realtà, ma di fatto mi ha chiamato dopo l'evento di beneficenza e mi ha detto che voleva proseguire, con Mja disponibile a discutere di ciò che è successo. Non che avesse grandi alternative, se proprio vogliamo dire la verità: è tutto accaduto su suolo canadese, il reato è di competenza canadese. Precisamente di Toronto, la cui giurisdizione legale - guarda caso – fa capo a me.
Certo, poteva capitarle un altro Procuratore ma, in quel caso, nessuno dei miei tre colleghi si sarebbero preso un caso così rognoso: Alfred è un codardo di prima categoria e ancora mi chiedo perché abbia scelto di fare il procuratore, Joffrey è arrivista e non si metterebbe mai contro uno come Matthew e Kevin, beh lui è un incompetente che nutre una paura reverenziale nei miei confronti, terrorizzarlo per far sì che rinunciasse al caso sarebbe stato oltremodo semplice.
Lucas Matthew mi conosce, conosce noi Anderson da un ventennio si può dire. È fin troppo convinto che siamo suoi amici e l'errore di premere i tasti giusti affinché il caso possa approdare sulla mia scrivania lo farebbe. Povero fesso.
Mio fratello non è un cretino, né il primo coglione che si affaccia al panorama politico e giuridico di Toronto. Sa benissimo come funziona e sa anche benissimo che nessuno avrebbe aperto un caso sulla base delle sue sole dichiarazioni. Quelle, semmai, potevano avere un fortissimo impatto sulla stampa e sull'opinione pubblica.
Anche per questo, proprio perché lui sa esattamente quali sono i confini che il mio potere come Procuratore ha, gli ho detto di no. Oltre che per tanti altri motivi, non ultimo perché si è impuntato a ripetermi un no che non si può permettere di dirmi. In un modo o nell'altro, io ottengo sempre ciò che voglio.
Ho chiesto a Meredith di restare qui con me a Toronto finché non sarà finito il processo, ho bisogno di una persona di fiducia che sia altamente consapevole e preparata che mi affianchi, qualcuno di completamente inattaccabile da poter nominare come consulente dell'accusa e lei è perfetta. Il pregio assoluto di Meredith è che è così palo in culo che se anche si fa nemici, non lascia mai nessuna traccia si possa poi, in futuro, usare contro di lei. In lei rivedo me stesso, con una grazia e una faccia tosta che non potrò mai eguagliare, lo ammetto.
Secondo lei sto facendo un errore, non dovrei farmi coinvolgere per l'ennesima volta in una storia simile. Tanto più considerando quello che stiamo facendo per Alex, in pieno silenzio stampa oltretutto.
Non posso darle torto, io stesso mi sconsiglio di andare avanti, ma c'è un ma. E quel ma è quel fottuto fastidio che mi ha preso nell'esatto momento in cui ho sentito cosa è successo a Mja. Nell'esatto momento in cui il mio cervello ha elaborato la scena di Matthew che allungava le sue mani luride su di lei, ho capito che non avrei potuto lasciar perdere.
Lei non è mia.
Lo so benissimo, non me lo sono dimenticato. Ho, semplicemente, archiviato la questione. È un dato di fatto, questo. È la donna di mio fratello, non la chiamo cognata perché per me non lo sarà mai, ma resta pur sempre meglio di Geneviève.
Abbiamo preso tutte le precauzioni del caso: Mja e Jacob devono arrivare necessariamente nel parcheggio sotterraneo e protetto. Da lì accederanno ai piani per mezzo del percorso dipendenti, in modo da evitare accuratamente qualunque possibilità di paparazzata ed intralcio da parte dei fotografi, ci manca solo uno spoiler grande come una casa e Matthew prende il via come un uccel di bosco.
La tempestività e la discrezione sono essenziali in questi casi.
Per mantenere una privacy ancora maggiore è stata allestita una sala riunioni per prendere le deposizioni di Mja e delle altre donne coinvolte. Pareti e non vetri, insonorizzazione e massimo riserbo su chi entra ed esce dalla stessa. Pur di non dare un pretesto e via di fuga a Mja, le ho pensate tutte.
Uno si potrebbe anche chiedere perché stessi facendo tutto questo quando potevo semplicemente affidare a qualcun altro questo compito e rendere veloci le cose per tutti. La verità è che non posso né voglio rendere le cose veloci. Le cose veloci sono quelle che, in tribunale così come nella vita, crollano sempre miserabilmente nel giro di poco.
Se un caso arriva nelle mie mani, sono io che devo valutarlo e ponderarlo, sono io che faccio le domande. E le domande, in realtà, mi vengono in mente nel momento stesso in cui guardo in faccia l'imputato, il testimone o la vittima. È una specie di dono, intuito secondo alcuni. Osservo il modo in cui parlano, in cui raccontano, i tempi che scelgono per il loro racconto. Valuto tutto, dalla postura della schiena ai movimenti delle mani, fino all'intonazione della voce. È per questo che sono bravo, non è solo perché conosco la legge come le mie tasche, ma per un insieme di cose che non mi permettono di essere mai superficiale. Figurarsi quando c'è il mio cognome in ballo, seppur indirettamente.
Mja ha fatto una pausa, le ho concesso un attimo di tregua perché la situazione stava diventando ingestibile. Non è con me che deve chiudersi, non sono io il suo nemico. Io sono qui per darle giustizia, anche se lei non sembra rendersi conto della gravità di ciò che ha vissuto né della portata che questo processo avrà sulle vite di ognuno di noi, me compreso.
Sto seduto al tavolo ovale della sala riunione, ho posato la penna e sto rispondendo ad alcune notifiche. C'è un messaggio di Hanna che mi fa sorridere appena e a cui rispondo velocemente. La risposta arriva veloce, mi conferma che per stasera lei c'è.
Come ho detto, ho archiviato la storia con Mja, lei è la donna di Jacob e ho ben compreso quale sia il mio ruolo in tutta la faccenda. Avere Hanna intorno aiuta a mitigare un po' il mio cattivo umore, oltre che placare quel senso costante di delusione che mi prende spesso e volentieri.
Sì, io e Hanna siamo amici, ma non è quel tipo di amicizia che potrei avere con Meredith, per esempio. Meredith è quanto di più vicina a una sorella ci possa essere per me, nonostante le riconosca la sensualità e fascino innegabili, non potrei mai veramente stare ed amare una persona così identica a me. Mai e poi mai.
Con Hanna c'è chimica e un patto silente che va avanti da anni: nel momento in cui entrambi siamo single e liberi, ci facciamo compagnia. In che modo è facilmente immaginabile, non credo di doverlo specificare.
A mia madre piace molto Hanna. Lo so, me lo dice ogni volta che la vediamo. Siamo come due opposti che si attraggono e l'evento di qualche sera fa non è stato il primo in cui mia madre mi ha fatto presente che potremmo essere una coppia splendida, se solo ci decidessimo a volerlo. Non ha aggiunto, stavolta, che i nostri figli sarebbero incredibilmente belli con la pelle di Hanna e i miei occhi – per fortuna, non penso avrei retto, altrimenti.
[ "Non tentarmi, Anderson. Sei proprio senza disciplina, che devo fare con te?" ]
Sbuffo una risata all'ultimo messaggio di Hanna, digitando una risposta mentre sento la porta della sala riunione aprirsi. Uno, due, tre passi prima di sentire il rumore della borsa depositata su una sedia.
«Sorridi.» Mja sembra quasi incredula.
«Ogni tanto accade.» silenzio il cellulare e lo deposito sulla superficie lignea del tavolo ovale, rigorosamente con lo schermo rivolto verso il basso.
«Mh.» poco convinta. «È strano. Non te l'ho mai visto fare.»
Liscio la cravatta mentre mi alzo. «Ci sono tante cose che non mi hai mai visto fare.» per tua volontà, Mja. Non certo perché io te le ho negate tutte.
Arriccia il naso e non pare soddisfatta. «Manca molto ancora?»
Mi avvicino alla porta, richiudendola come si deve. «Manca quanto deve mancare.»
«Non è una risposta.»
«La tua è una domanda inutile.» prendo un respiro. «Ricominciamo, Mja.»
Lei ha un mezzo sussulto al "ricominciamo" e io inarco il sopracciglio sinistro, interrogativo.
«Sì, certo. Ovvio.»
Ah beh, se lo dici tu. Quando le passo accanto trattiene il respiro, portandosi la mano destra contro il viso, indice e pollice che premono contro la radice del setto nasale.
«Hai bisogno di un'aspirina?»
«No, no.» sventola la mano, sistemandosi la giacca. «Non fa caldo qui dentro?»
La guardo più attento. Perché è di nuovo imbarazzata nel rimanere da sola con me?
Non la sto toccando, non la sto nemmeno sfiorando con lo sguardo. Sono quanto di più neutro ci possa essere in questo momento.
«Come preferisci.» prendo in mano la cartelletta e mi muovo facendo su e giù. In realtà sono pochi passi, ben calibrati. Pochi gesti che, però, trasmettono sicurezza e controllo. «Riprendiamo. Domani ci prepareremo per le domande che io, in quanto accusa, ti farò in aula.»
«Devo sempre testimoniare?»
«Direi proprio di sì, sei tu l'accusatrice principale. Le foto ritraggono te. Il giudice vorrà sentire necessariamente da te la versione dei fatti per poter emettere una condanna.»
«Mh. Ma non sempre la vittima testimonia.»
«In quei casi significa che la vittima è morta, Mja.» la guardo eloquente. Non la sto più chiamando Bambi, appositamente, e lei ne sembra quasi offesa. «Ci siamo?»
«Ci siamo.»
È scocciatissima, lo sento, lo percepisco.
«Quindi, Miss Hamilton, lei dice che è andata volontariamente a cena col mio assistito.»
«Sì.»
«Bene. Ha accettato un invito ed è presumibile, dunque, che lei stesse accettando implicitamente la corte del mio assistito? Insomma, le sarà capitato di avere a che fare con uomini più o meno interessati che la corteggiassero.»
«Ma che domanda è!?» sbotta, infastidita.
Abbasso il foglio e la fisso. «Una domanda di merda, Mja. Ma è una domanda che ti faranno.»
«Per dirmi che me la sono cercata perché sapevo di piacergli!? Ma manco l'avevo mai visto prima!»
Questo sarà un pomeriggio estremamente lungo. «Sì. Esattamente questo.»
Sembra scandalizzata. «Non si devono permettere.»
«Invece lo faranno. E una volta che si sono permessi cosa farai? Gli tirerai una scarpa in tribunale?» conoscendola? Sì. Eccome se lo avrebbe fatto.
«Beh.» stringe le braccia sotto il seno, incrociandole. «Potrei.»
«Brava, oltraggio alla Corte. Così da che sei la vittima, diventi imputata e ti devo pure difendere.»
«Non voglio rispondere a queste...» un cenno del mento. «Sono svilenti, viscide, orribili.»
«E ci sto andando pure leggero.» deposito il blocco note sul tavolo. «Lo capisci che stiamo per portare in tribunale Matthew e non conta un cazzo che tu fai Hamilton di cognome? Sei una donna e in quanto tale ti massacreranno. Tutti, indistintamente.»
La vedo trasalire e fissarmi.
«Anche chi ti darà ragione, lo farà perché ti vedrà debole. Debole ma coraggiosa e tu dovrai lasciare che lo credano perché è così che funziona se vuoi vincere al loro stesso gioco. Ti diranno che sei un'arrampicatrice sociale che sfrutta famiglia e posizione per agganciarsi a quelli più in alto di lei. Dovrai essere pronta al fatto che tireranno in ballo Jacob in veste di tuo compagno.»
«Lui non c'entra.»
«Ah no? Bene. Come hai conosciuto Jacob?»
Si muove a disagio sulla sedia. «Un pomeriggio, stavo andando verso il parcheggio. Abbiamo parlato di te.»
«E non hai accettato la sua corte? Non ti ha fatto mica intendere di essere interessato a passare tempo con te, da solo?»
«Sì, beh...» sta un po' arrossendo. «Sì.»
«Tu quindi hai capito dal suo linguaggio del corpo che ti desiderava. Al vostro primo appuntamento, ti ha toccata?»
«Thomas!» sconvolta. «Che domande fai?!»
«Mja.» sono placido, tranquillissimo. «Domande. Tu rispondi.»
Si guarda intorno, è evidente che non ha alcuna voglia rispondere.
«Mja.»
«Sì, Thomas. Sì, diamine. Mi ha toccata, ci siamo toccati. Contento?!»
Inspiro ed espiro lentamente. «Dimmi, Miss Hamilton. Perché mai Jacob Anderson non l'hai denunciato per molestie?» una pausa. «Ti ha fatto intendere di essere interessato a te. Ti ha pagato la cena, ti ha toccato.»
«Ma lui è il mio compagno!»
«Matthew aspirava ad esserlo. È reato corteggiare una donna?»
«Thomas fai alquanto schifo.» è inviperita con me.
Appoggio le mani allo schienale della poltroncina che ho davanti e scarico il peso del corpo sulla gamba sinistra, rilassando un po' la destra. La fisso: è paonazza a momenti, si è sbottonata la giacca e gioca con le maglie del suo Rolex.
Scuoto il capo e mi viene da ridere. Un accenno breve, prima di espirare, quasi rilassato. «Ah, Mja.»
«Cosa ti ridi.»
«Tu devi proprio imparare a respirare.»
«Vuoi vedere come la lancio a te una scarpa?»
«Dai. Vediamo. Sicura di voler rischiare di rovinare la punta delle tue Jimmy Choo ultra chic? Poi come fai? Non sono più adeguate al tuo outfit.» le fissazioni di Mja su colore, ordine, allineamenti e simili mi sono tutte note. Tutte, dalla prima all'ultima.
Infatti lei tentenna, lanciandomi un'occhiata di puro astio. «Ti odio, Anderson.»
«L'odio è pur sempre un sentimento potente, Hamilton.»
Ci guardiamo per qualche istante, almeno fino a che lei non cede e sposta lo sguardo.
È come se mi si accendesse una lampadina: più sei inarrivabile, inavvicinabile, lontano, più ti vogliono.
No, Mja. No.
Non ricominciamo sto cazzo di gioco al massacro, no.
«Non sei pronta.»
«Lo so.»
A cosa, esattamente? Al processo? Ad avermi così vicino eppure così lontano nella sua vita? A stare sola con me in una stanza? A dirmi addio? A che cazzo?
Nessuno di noi due lo dice.
«Ci vediamo domani, Jacob ti sta aspettando.»
Nel nominare mio fratello è come se le cadesse una secchiata d'acqua gelida e consapevolezza addosso.
Annuisce e si rialza, prendendo il cappotto e la borsa. Si ferma solo a guardarmi, titubante.
La guardo, lei mi guarda.
«Ci vediamo domani, allora.» sta cercando conferme.
«Sì. Certo.»
E dove vuoi che vada, Mja?
Manco affanculo mi ci vogliono.
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