15. Christmas Winter Ball.

La serata del Christmas Winter Ball è finalmente arrivata.

Non vi dico la contentezza, guardate. Sono tutto un gaudio, proprio.

No. Non è vero manco per il cazzo.

Ho deciso di presentarmi da solo all'evento, né più né meno come ho fatto per tutta la mia vita. Tutti, ovviamente, si aspettavano di vedermi con Marianne e invece no.

Sono arrivato solo e ho fatto la mia figura impeccabile sul red carpet di arrivo: vestito con uno smoking Valentino, intramontabilmente classico, perfetto sulla mia figura, papillon e fascia nere in seta gros grain nera, ci sono solo i revers della giacca un po' lucidi ma nulla di esageratamente vistoso. Non sono nel mio gusto.

«Anderson!»

Mi volto sulla sinistra, lì dove la una voce femminile e familiare richiama la mia attenzione. «Beaumont.» angolo un sorriso mentre mi avvicino ad Hanna. Ha frequentato Yale con me, Alexander, Garrett, Meredith e Madelaine solo che lei, a differenza nostra, ha scelto di diventare un giudice. Ha fatto strada da sola, è uno dei giudici più in gamba del panorama americano, in trasferta momentanea a Toronto. «Non immaginavo di trovarti qui.»

Si avvicina e mi abbraccia, prendendomi il viso fra le mani con delicatezza. Non eccessivamente alta, i suoi capelli hanno quella sfumatura fra il miele e il castano che non so mai definire, pelle ambrata come il caramello, è quel tipo di bellezza che vedresti bene in un romanzo d'epoca: senza tempo, esile ed elegante, una principessa orientale arrivata non si sa come, qui nelle nostre terre. 

«Sorpresa. Non sei felice?» mi sorride entusiasta. «Mi ha invitata tuo padre. Cito testualmente: non vorrai che mio figlio faccia la figura dello scapolo scellerato?» mi guarda, ilare. «Chi sono io per farti passare per zitello impunito, Thom. Mi ringrazi dopo.» mi sventola la mano sotto al naso.

«Ma sei seria.»

«Purtroppo per te sì. Tuo padre è un impiccione assurdo.»

«Che piaga sociale.» smuovo appena le spalle, lei si piazza di fronte a me e prende a sistemarmi il papillon che mi sono spostato senza volerlo.

«Cosa. Avermi come tua dama stasera? Anderson, mi sto offendendo.»

Faccio una risata, guardandola dall'alto. «Addirittura.»

Mi accarezza il collo e scende sul petto seguendo i revers della giacca. «Sono un animo sensibile, lo sai.»

«Thomas!» la voce di mia madre ci interrompe e Hanna fa spazio a mia madre Kate. «Come sei bello, vieni qui fatti salutare.»

«Mamma.» mi avvicino, avvolgendole i fianchi con un braccio mentre lei mi bacia sulle guance, stringendomi un po' a sé.

«Sei nervoso?» mi guarda. «Che dico. Tu non sei mai nervoso.» registra, finalmente, la presenza di Hanna. «Hanna, cara, ma che piacere rivederti! Ma vieni qui fatti abbracciare.»

«Katherine. Sei splendida.»

Lascio che Hanna e mia madre chiacchierino mentre io scandaglio la sala. Primo: mi sto assicurando che nessuno che non mi sia gradito sia in sala; secondo: cerco mio fratello.

Non ci vuole molto per intercettarlo, è circondato da altri Hamilton. Jacob, poi, sembra preso dalle presentazioni ufficiali con i genitori di Mja.

Non che non li conoscessimo, anzi. Conosco benissimo Elizabeth e James, proprio per questo tendo ad evitarli – più James che Elizabeth a dire il vero.

Espiro lentamente, sento la mano di mia madre contro le spalle ed intercetto il suo sguardo.

«Ce la fai.» un sussurro destinato solo a me.

Le prendo le mani e le bacio. «Come sempre.»

«Allora non nasconderti. Non sei nato per l'ombra. Lo sai.»

Mi sta incoraggiando a raggiungere Jacob ed affrontare, di conseguenza, Mja.

Adocchio Hanna intenta a parlare con altri giudici e mi do una mossa. Cammino e so che sembro sicuro di me, elegante in una maniera incredibile.

"Anderson!"

Il richiamo mi fa rallentare e mi volto verso la mia destra, facendo un cenno di saluto ma continuando verso Jacob.

«Che ne pensi?» lo chiedo a Jacob direttamente. Voglio darle tregua, per quello mi concentro su mio fratello per ora.

«Ottimo lavoro.» mi guarda. «Sono certo che il buongusto non è opera tua.»

Rieccolo.

Ogni cazzo di volta che mi armo di buona volontà, Jacob deve farmi incazzare.

«È più forte di te.» lo dico con amarezza.

«Te le cerchi.»

La mano di Hanna sulla mia spalla mi ferma dal dire altro. 

«Jacob, ma che piacere!» un sorriso verso mio fratello. «Te lo rubo, okay? Salutaci la tua fidanzata, volevo così tanto conoscerla. Ci sarà modo dopo.»

«Hanna. Da quanto tempo.» Jacob fa palleggiare lo sguardo fra noi due e smuovo il capo come a dirgli "lascia perdere". «Ovviamente. A dopo.»

Ha risposto senza dire un cazzo e Hanna sembra non farci caso. Jacob sparisce e pure Mja è già sparita.

Per loro fortuna – e soprattutto mia – devo tenere un discorso di cui non mi importa niente, ma che farà fare tanta bella figura a questo posto di merda che fra una settimana nemmeno abbandonerò.

Salgo sul palco, consapevole che né Mja né Jacob mi stanno ascoltando. Nell'attenzione generale parlo come al solito: sono brillante, quando voglio. Peccato che la mia testa sia proprio altrove.

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Sono insofferente.

Mia madre lo ha capito da un pezzo, infatti sta intrattenendo lei gli ospiti al nostro tavolo, Hanna compresa. Approfitto della distrazione generale per svignarmela.

Ho bisogno di aria.

Ho messo in conto di poter trovare qualche cacacazzo lungo la via per il giardino, ma non ho messo in conto che avrei visto Mja.

È sola, sta fumando e sembra assorta in chissà che pensiero.

«Bambi.»

Le tocco il braccio per richiamare la sua attenzione, lei invece salta come se le fosse apparso il Diavolo in persona di fronte. 

«Cazzo, ma sei matto?!?!» si è voltata e mi sta guardando come se avesse visto la morte in faccia.

Corrugo la fronte, piego un po' la testa di lato e la osservo.

«Che ci fai qui?» ha il tono quasi aggressivo, sulla difensiva.

«Avevo bisogno di prendere aria.» il mio tono è placido, non sto mica mentendo.

«Proprio la mia? Non puoi andare da un'altra parte?» seccata.

«È tua quella intorno a questa colonna? Non lo sapevo.» lo dico con serietà, ma il sarcasmo è bello presente posso assicurarlo.

Lei inizia a muoversi verso destra e a momenti manco mi guarda. «Allora prenditela. Ci vediamo Thomas.»

Prendo un respiro ed inizio a seguirla. «Non puoi scappare per tutta la vita, ad un certo momento anche Walt Disney ha pensato che Bambi dovesse affrontare la realtà e crescere.»

«Non ti facevo un cultore di classici animati.» senza voltarsi.

«Perché di me non sai nulla, conosci solo quello che ho voluto farti vedere.»

«Non ho tempo, Thomas.» 

E dove minchia devi andare, ora? Siamo a un ricevimento che durerà ancora per chissà quanto, che fretta hai Mja? Dimmi.

«Sai cos'apprezzo di te? La tenacia.» Mi tengo a distanza, ma oramai l'ho affiancata più che seguirla.

«Ma davvero? E io che pensavo al mio fondoschiena, che scema.» tagliente.

«Anche.» Accenno un sorriso, ma proprio labile.

Stranamente, sono davvero tranquillo in questo momento per cui non mi costa nulla apparire calmo e controllato.

«Solo.» si blocca di colpo e si volta verso di me. «Ma che vuoi da me, Thomas? Dammi tregua!»

Wow, tigre. Nemmeno ti ho detto niente di strano e già scatti così.

Mi sta guardando dal basso verso l'alto mentre mi avvicino. Sono così controllato e freddo che probabilmente se morissi ora, non sentirei un cazzo. Completamente estraniato dai miei stessi sentimenti. «Sono curioso Mja. Sono curioso di sapere a che gioco stai giocando con mio fratello.» e soprattutto perché ci siamo ritrovati l'uno contro l'altro senza manco accorgercene.

Sta scuotendo la testa e sembra nauseata. «Vedi Thomas, il problema è proprio questo: non riesci a capire che io non sto giocando. Io sono serissima porca puttana.» una pausa. «Per te forse è normale farlo e dai per scontato che tutti lo facciano.»

Normale. Cosa, esattamente?

Nella sua testa c'è quella cazzo di versione dei fatti secondo cui io sono lo stronzo senza sentimenti che manipola e gioca con tutti. E magari lo faccio anche, ma non lo sto facendo ora.

Ma che mi impegno a fare? Pure se urlo, chi cazzo mi ascolta? Nessuno, ve lo dico io.

È più semplice guardarla con biasimo, perché al solito non ha capito un cazzo.

«No Mja.» no, io non gioco con i miei sentimenti né con quelli delle persone a cui tengo. Di solito, vedi Mja, sono sempre gli altri ad usarmi. «Ti sei talmente scottata con me che pensi io sia una persona da cui stare lontani.»

«Puoi biasimarmi per caso?» sembra incredula.

Come te lo dico, Mja? Come te lo dico che non mi hai mai dato il tempo di dire qualcosa? Di reagire? Di scegliere? Anche solo di potermi difendere, per dire.

Come te lo dico che fra i due sei tu quella che mi ha spezzato il cuore?

Non te lo dico, faccio prima.

«Bambi...» azzero, però, la distanza fra noi due e la guardo con più intensità.

Che silenzio. Eppure a me pare di sentire distintamente il rumore sordo del suo battito cardiaco impazzito. O forse è il mio. Tiro fuori lentamente le mani dalle tasche e sento di essere un po' troppo teso per uno che sembra il ritratto della calma assoluta.

«Non hai più quel potere, smettila. Io ho un nome.» così, dal nulla, ancora una volta lei non aspetta. Quando mai Mja mi dà il tempo di fare qualcosa? Mai.

Mi ritrovo a scuotere la testa, in questo momento mi sento solo amareggiato. «Il giorno in cui prenderò ordini da te, l'inferno gelerà.»

Lei fa un passo all'indietro e mi guarda come se la mia sola presenza le desse immenso disturbo.

Cosa cazzo avrò mai fatto per farmi odiare così tanto da te, Bambi?

«Poetico non c'è che dire, ma se vuoi scusarmi...»

Che cosa patetica. Veramente. Espiro arreso e la guardo. Allungo, però, il braccio verso di lei e faccio scorrere la mano fino ad afferrarle il polso e trattenerla a me. Non è una presa stritolante, anzi sto bene attento a non farle male. Ma lei mi guarda come se avesse appena preso una scossa elettrica.

«Non puoi fuggire per tutta la vita, lo sai vero?» mi perdo a guardarla. A guardare i suoi occhi, le sue labbra. Quand'è che ho perso il diritto a toccarti? A parlarti, addirittura. Com'è successo?

«Io non...» si è fermata, sfuggendo alla mia presa. «Io scelgo di evitare di starti vicino perché con te divento un'altra persona.» a voce bassa, consapevole.

Un'altra persona. Con me. Ho questo potere, addirittura.

Sto per dire qualcosa ma è la voce di mio fratello che la richiama che rompe ogni mia speranza. Lei si volta a guardare Jacob, per poi tornare a guardarmi. «Io amo Jacob e se non lo vuoi accettare non è un problema mio, ma soltanto tuo. Perché io» indicandosi il petto con l'indice. «Con te ho chiuso.»

Si volta e, piuttosto svelta, raggiunge Jacob.

Resto da solo e per un attimo ho il bisogno di chiudere gli occhi, lasciare che il freddo canadese penetri fin dentro le mie ossa e mi renda insensibile, più di quanto non lo sia già. Molto di più di quanto la gente crede che io sia.

"Amo Jacob."

Tanto è bastato per me per capire tutto il quadro, alquanto patetico, della situazione.

Io una possibilità non ce l'ho mai veramente avuta. Il mio ruolo è stato deciso e quello sarà da qui fino alla fine. Tanto vale mettersi il cuore e cervello in pace ed andare avanti. 

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