30-𝓣𝓾𝓽𝓽𝓪 𝓵𝓪 𝓿𝓮𝓻𝓲𝓽à?

Killian

Un'anima oscura, pesante, a causa dei segreti che tengo in fondo al cuore. Ho peccato come un banale essere umano, ho tenuto la verità, dentro di me, per troppo tempo. Un tempo che mi ha logorato, come un mare in perenne tempesta logora gli scogli più grandi. Lascia che, man mano, si sgretolino a ogni colpo.

Io sono stato la mia stessa tempesta.

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«Non so cosa fare.» ammisi l'evidenza alla donna che mi aveva cresciuto insieme a mia madre e che, da quando quest'ultima non era più con noi, cercava di aiutarmi a sorreggere il peso che mi stava dilaniando.

«Non so cosa dirvi di fare, se non di raccontarle la pura e semplice verità.» La guardai torvo, perché tutti quei segreti mi stavano facendo impazzire ma, allo stesso tempo, era troppo tardi.

«Non mi perdonerà, Ester. Non posso raccontarle tutto.»

«Allora iniziate dalla cosa più ovvia, Signor Killian.» Si avvicinò di qualche passo a una distanza che le permise di scaldare le mie mani attraverso le sue, con l'affetto che provava nei miei riguardi. Le strinse, accarezzandomi il dorso, mentre i suoi occhi comprensivi mi sussurravano di seguire quel passo che non avevo il coraggio fare. «Voi l'amate, diteglielo. Raccontategli il motivo del vostro amore. Non abbiate più paura dei sentimenti che vi legano.»

«Mi ucciderà, Ester?» chiesi in una sorta di ironia che poteva divenire anche reale.

«Probabile.» rispose, allargando il suo volto in un sorriso consolatorio. «Magari, assicuratevi che non abbia oggetti contundenti nelle vicinanze.» Mi sbeffeggiò, mentre si allontanava per tornare a sistemare il disordine che avevo creato in camera, preso da uno strano nervosismo.

Aledis si era convinta che io fossi innamorato di una donna qualunque. Quella ragazza mi avrebbe fatto impazzire. Le avevo offerto le mie scuse per i comportamenti da completo imbecille. Cosa voleva di più?

Ester aveva ragione!

Non potevo più sottrarmi a quella verità. Ero sicuro che Clelia non avesse detto nulla a riguardo, durante la permanenza di Aledis al castello, ma quello non significava che non le avesse insinuato qualche malefico dubbio.

Fu proprio con i suoi stratagemmi che scoprii che il re mi aveva sempre mentito riguardo la morte di mia madre.

Questo mondo è pieno di omertà, una di quelle che uccide e che mi ha portato a pensare che le cosiddette bugie bianche siano dette o evitate per il bene degli altri.

Menzogne!

Avrei potuto offrire ad Aledis la luce della sincerità, riempire la sua vita di colori, magari con il tempo, ma avevo preferito scegliere la strada dell'oscurità solo per paura. Paura di non essere visto. Paura di dover affrontare una menzogna ancora più grande che speravo non arrivasse mai a bussare alla mia porta, perché, se fosse arrivato mai quel giorno, allora sì che avrebbe preferito vedere il mio corpo esanime. Altro che perdono!

Un tonfo, a pochi passi dalla mia stanza, qualcosa di rotto, mi riscosse dai pensieri.

Io ed Ester ci guardammo, per un solo brevissimo momento. Pensai che Aledis avesse avuto un malore improvviso, anche se sembrava stare più che bene, fino a qualche minuto prima.

Senza neanche pensarci, mi concentrai per raccogliere segni della sua aura, ma era troppo debole. Quei dannati bracciali le avevano tolto ogni briciola di potere, anche se la sua forza continuava a risplendere a discapito di tutto.

Mi precipitai all'esterno della stanza, scardinando la porta. Ero in ansia perenne quando si trattava di quella testa calda ma, quella volta, non riuscii a tenere sotto controllo alcuna emozione.

«Signor Killian, aspettate, voi siete...»

Ester cercò di avvisarmi di qualcosa, ma la mia mente non riusciva a darle retta. Niente importava più della salute della ragazza.

La corsa sembrò infinita. Nel lungo corridoio mi accorsi subito che qualcosa non andava. I personaggi raffigurati nei miei quadri puntavano tutti nella stessa direzione: la biblioteca.

La raggiunsi, non m'importava di nient'altro, se non di lei. Dovevo assicurarmi che stesse bene.

La luce soffusa che usciva dalla stanza mi confermò che la porta era stata aperta.

Non mi chiesi neanche come potesse essere successo.

Poggiai le mani agli stipiti, con il fiato corto e il cuore in gola. Alzai lo sguardo e lei era lì, seduta su una poltrona. Mi guardò con aria spavalda e le narici che sembravano sputare fumo.

«Signor Killian,» Ester, che aveva continuato a chiamarmi, fino a quando non riuscì ad avvicinarsi a una distanza che le permettesse di non urlare, si fermò per riprendere il respiro, poggiando le mani sulle sue ginocchia. «voi siete...»

«Raith!» rispose Aledis, atona, accavallando una gamba sull'altra.

Mi affacciai per osservarmi a un piccolo specchio verticale posizionato accanto a una delle librerie. Mi ero trasformato, in un impeto di sensazioni che non ero riuscito a controllare. Si erano accumulate dentro di me, esplodendo nella presenza della bestia. Il forte desiderio di assicurarmi che non le fosse accaduto nulla di male, aveva impedito alla mia razionalità di emergere. Non ero riuscito a vedermi. Gli abiti, appena indossati, erano ridotti a brandelli.

«Dobbiamo parlare...» dissi, continuando a guardarmi il folto pelo delle braccia, mentre mi domandavo come fossi potuto essere tanto stupido.

«Ah sì? Non credi sia troppo tardi, ora?»

Il tono della sua voce mi colpì in pieno petto per il disgusto che non riusciva a nascondere, neanche volendo.

I suoi occhi non stavano mostrando alcuna pietà per la bestia che aveva davanti.

Ripresi il controllo. Ormai non potevo più nascondermi sotto altre sembianze per starle vicino. Tornai ad essere il me che Clelia aveva sotterrato per molto tempo.

Le unghie si ritrassero, tornarono a inserirsi sotto la pelle delle dita. I peli castani lasciarono il posto alla pelle liscia e le zanne si nascosero all'interno della bocca. Mi feci piccolo, ancora più piccolo di quando riprendevo le mie sembianze "umane". Vergogna e timore avevano preso il possesso delle mie azioni.

«Non è mai troppo tardi, Signorina Aledis.» Ester chiuse la porta con la chiave ancora attaccata, lasciandoci dentro la stanza. «Non uscirete di lì fino a quando il Signor Killian non avrà detto ciò che vuole dirvi. Tornerò fra un po' di tempo, vi prego, tengo così tanto a quei libri, non fate loro nulla di male...» ordinò da fuori la porta.

Sentimmo i suoi passi allontanarsi e Aledis non smetteva di fissarmi. Stava aspettando che io aprissi bocca, mentre io aspettavo che lei mi rivolgesse le sue domande. Dopo qualche minuto di silenzio assordante, mi decisi a parlare.

«Scusami.» Non sapevo che altro dire.

Avrei dovuto raccontarle tutta la storia, è vero, ma prima di ogni cosa avevo bisogno di porgerle le scuse per tutte le bugie che le avevo raccontato e per quelle verità che avrei sperato non venisse mai a scoprire.

«Scusami un cazzo!»

Ecco, la mia Aledis, quella incazzata che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno, era tornata.

Aveva messo da parte quel gelo che mi stava mostrando per lasciare il posto alla rabbia. Preferivo quell'emozione negativa all'indifferenza.

Il mio sguardo andò a finire sulla boccetta rotta che si trovava a terra, vicino ai piedi di Aledis.

Tutto mi fu chiaro...

«Ehi, ragazzina, questo tipo di linguaggio non si addice a una donna.» La canzonai come la prima volta che le rivolsi la parola.

Anche allora volevo fare il duro, ma fingevo, per darmi delle arie da uomo potente.

«Ora basta, Killian!» Perse la pazienza e non potevo darle torto. «Voglio uscire da questa stanza il prima possibile, quindi, dimmi quello che devi dirmi e facciamola finita.»

«Chiedimi ciò che vuoi sapere.»

«Parla, Killian, Raith o chi diavolo sei tu.»

«Non so da dove iniziare, Al.»

«Inizia dal momento in cui hai cominciato a dirmi cazzate.» disse nera di rabbia, portando la sua mano di lato al viso con il palmo aperto. «Chi diavolo sei?»

«Sono sempre io, Aledis. Sono sia Killian che Raith. In verità mi chiamo Killian Raith. E non ti ho mai detto una sola bugia, ho omesso, quello non posso negarlo, ma non ti ho mai mentito.»

«Tenersi dentro delle verità che sai benissimo di non dover nascondere, equivale a mentire, Bestia.» sentenziò, incrociando le braccia. «Parla, questa volta fallo per davvero, non tralasciare nulla.»

La sua rabbia mi entrò nelle viscere. Presi un grosso respiro e decisi che l'unico modo che avevo di salvare qualcosa che non sapevo se potesse essere salvato era quello di aprire il mio cuore.

«Io ti avevo trovata, Aledis» dissi tutto d'un fiato, come per riuscire a recuperare un coraggio che avevo perso.«Ti avevo trovata, in quella cazzo di foresta.» abbassai il tono in un flebile sospiro, «ma non ero sicuro che tu saresti mai stata in grado di trovare me!»

«Cosa intendi dire?» domandò, mentre arricciava il suo naso perfetto che le faceva strizzare gli occhi. Quelle iridi che viravano dal verde all'azzurro, come un mare calmo, sembravano presagire tempesta.

Mi avvicinai a lei, sedendomi sulla poltrona accanto. Avevo voglia di strapparmi i capelli, piuttosto che raccontare. Era come estirpare delle radici dal petto, erano rimaste a crescere per troppo tempo. Facevano male. Ogni parola strappava una radice e portava con sé un battito.

«Vedi, Cappuccetto...»

«Non chiamarmi così, parla, Signore mio padrone.»

«Non chiamarmi così.»

Il suo sguardo tranciò di netto il mio.

«Va bene, hai ragione.» ammisi. Avevo già perso troppo tempo. Dovevo concederle questa parte di verità. «Aledis, credo tu abbia sentito le voci che circolano su noi Killiuk e il nostro mondo dei sentimenti.» Mi fece un cenno di assenso, senza lasciare che le braccia, ormai salde in quell'incrocio, si rilassassero. «Noi siamo destinati a una persona, questo accade agli uomini dei Killiuk, ma non è detto che quella stessa persona alla quale siamo destinati, allo stesso modo, possa vederci come noi la vediamo.»

«Non capisco il senso.» ammise, scuotendo la testa, mentre riduceva gli occhi in due fessure, come a metabolizzare le mie parole.

«È tutto un casino, Al.» Piantai le mani alle tempie ed emisi un sospiro profondo. «Io sono destinato a te, tu sei la mia metà esatta, ma non è detto che io sia la tua.» Lo avevo ammesso, ero riuscito a fare uscire quella verità che tanto mi affliggeva.

«Ed è per questo motivo che ti avvicinavi con le sembianze di Raith? Volevi tastare il terreno mentre impazzivo?»

«Io me lo sentivo che la mia metà esatta sarebbe stata bella, ma non così, non come te, Aledis.
Ti sei presa tutto, Al, tutto!» Sentii che non sarei riuscito più a fermarmi. «L'incantesimo che mi bloccò i poteri citava: la tua magia tornerà solo quando il cuore si spegnerà.» e non lo feci, non mi fermai. «E tu lo hai spento! Ha cessato di battere nello stesso istante in cui ti ho vista. È stato un attimo, quel tanto è bastato per spezzare il sortilegio che mi teneva in catene, e loro sono tornati... io sono tornato!»

Continuava a guardarmi con occhi che pretendevano risposte. La bocca non emetteva alcun suono, ma loro parlavano ed emanavano una rabbia che non avevo mai visto. Non mi osservavano più con desiderio, ma con un disgusto che fece rivoltare lo stomaco anche a me. Non potevo più nascondere quella verità.

«Tu eri bloccato nel corpo di Raith, per questo ti ho visto sotto quelle sembianze, prima di incontrare l'altra parte di te, vero?»

Annuii...

«Ho provato a non guardarti negli occhi, quella sera, sapevo che un solo sguardo avrebbe attivato il tuo potere e avrei dovuto costringerti a venire con me, per non farti combinare cazzate.» Mi giustificai, alzandomi. «Avresti potuto uccidere un essere umano, non volendo, e non potevo darti questo peso.» Era una neonata, non avrebbe controllato i suoi poteri. «Ho provato a non guardarti con tutte le mie forze, ma non ci sono riuscito e, quando sono andato via, ormai la mia mente non faceva altro che pensarti e vederti ancora, e ancora, perché tu ti sei presa anche i miei pensieri, Aledis.»

«Lantus? Era una messa in scena quella?» Continuava a rimanere seduta, ma la sua agitazione era palpabile.

Tagliava l'aria, distruggeva quel poco di ossigeno che riuscivo a inalare, mi lasciava senza fiato e con il petto in fiamme.

«No, è stata una casualità che ho colto al volo.» Niente bugie, solo omissioni. «Lantus non mi conosceva, cioè, diciamo che lui era abituato alla mia versione Killiuk. Ero intrappolato in quel corpo da anni.» spiegai. «Quando la mia forma umana è riaffiorata e il lupo mi ha visto, si è spaventato perché, nella sua mente, erano riapparsi dei ricordi, piccoli, quasi insignificanti, ma qualcosa che riguardava il suo passato. Spaventato dalla mia vista ha iniziato a correre. Lo avrei potuto raggiungere facilmente, ma anche io mi ero perso, dentro di me e, di conseguenza, persi anche lui.»

«Passato? Di cosa stai parlando?»

Non feci in tempo a rispondere a quell'ultima domanda, per fortuna.

Una coltre di fumo denso, accompagnata da un'entrata in scena fatta di fulmini e saette, si fece spazio tra le librerie. Una folata di vento accarezzò i capelli di Aledis, giocando con loro, fino al momento della sua comparsa teatrale.

Vestito di nero, tutto d'un pezzo, con l'aria di uno che aveva voglia di prendermi per il culo, mentre rimaneva poggiato con una spalla alla libreria, mi fece venire l'istinto di strappare a mazzi quei suoi capelli tanto biondi da sembrare bianchi.

«Ti ha invitato qualcuno, Malakay?»

«Non ho bisogno di nessun invito.» rispose, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni scuri, senza distogliere lo sguardo da Aledis.

La guardava come fosse un pezzo di carne pregiata. Mi fece ribollire il sangue

«Stiamo parlando, Mal!» dissi perentorio, ma con lui "perentorio" era morto da sempre.

«Ti ho lasciato anche troppo tempo. Lo sai bene, Killian: o io o Clelia.»

Non potevo ribattere. Avevo dato la mia parola per poterla salvare dalle grinfie della regina e lui era riuscito a convincerla e, perfino, a distrarla durante la festa al castello. Aveva fatto un lavoro perfetto quel Drasoul del cazzo. Era stato, a dir poco, formidabile.

«Di cosa state parlando?» chiese Aledis, sempre più interdetta e fuori di sé.

«Non ti ha detto ancora nulla il tuo padrone?»

Scosse la testa, prima di rivolgermi un'occhiata di disprezzo.

«Oh, Fiorellino, è arrivato il momento.» Sputò, avvicinandosi a lei con la velocità che solo un Drasoul poteva permettersi.

Lei si scatto in piedi dalla poltrona, spaventata. Il suo petto si alzava e si abbassava.

Il biondo la prese per i fianchi e la strinse con forza. Avrei dovuto fermarlo, ma avevo promesso.

Lui avrebbe preso Aledis, come concordato, e avrebbe fatto in modo di portarla da me per lasciarmi il tempo di spiegare, ma quel tempo non lo avevo avuto. Non fino in fondo.

«Non c'è bisogno di fare le valigie, Fiorellino, ho tanta di quella roba lasciata dalle mie puttane.» Si voltò verso di me. «A proposito... bella camicia, Killiuk.» disse, strizzando l'occhio, riferendosi al mio abbigliamento stracciato.

Come era arrivato, nella stessa modalità di fumo e saette, sparì, portandosi via una parte di me: la mia Cappuccetto...

💥Buonasera, cuZzoli.
Finalmente siamo arrivati a capire tutti gli strani comportamenti di Killian. Non ha avuto il tempo di spiegare tutto, ma lui è un uomo di parola. Malakay è riuscito a portare Al via con sé. Ne vedremo delle belle tra quei due.

















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