24-𝓑𝓾𝓰𝓲𝓮?

I passi che si susseguivano l'uno dietro l'altro, mi distraevano dall'ansia che stavo provando in quel momento. Continuavo a fissare i miei piedi avanzare, seguendo l'andatura sicura di Ares che si trovava davanti a me. Coglieva ogni attimo trascorso a voltarsi per controllarmi, come se potessi volatilizzarmi in un battito di ciglia.

I dannati braccialetti che portavo ai polsi non mi permettevano neanche di agganciare con facilità il pensiero di Lantus. Lo avevo perso da un bel po' e, per quanto ci provassi, non ne sentivo più i lamenti. Avrei voluto ascoltarli ancora una volta, mi mancava quel suo essere pesante.

Il lungo corridoio che stavamo attraversando, pareva infinito. Le pareti, rivestite da legno bruno, regalavano agli ambienti quel non so che di mistico. Era tutto molto lugubre. Dal soffitto, dai toni poco vivaci dell'amaranto, scendevano dei grossi lampadari scuri ricchi di pietre preziose che pendevano da essi. Ogni tanto, le gemme venivano colpite dai raggi solari, riflettendosi sulle pareti donavano una varietà di colori che non avrei mai potuto immaginare. Non pensavo neanche potesse filtrare la luce tra quei cosi.

Sui muri erano appesi dei quadri che raffiguravano corpi dilaniati da armi appuntite come lance, massacrati come le più insignificanti delle bestie, trafitti da parte a parte, dissanguati. Quello stesso sangue dei dipinti pareva colare dalle cornici. Rabbrividii al pensiero che non fossero solo dei dipinti di pura fantasia.

Ogni disegno aveva un protagonista simile all'altro e la stessa punizione finale. Erano tutti uomini adulti dai capelli scuri e un fisico aitante, nudo, spogliato di ogni possibilità di difesa. Chi trucidato alle spalle, chi in un letto, chi a mezz'aria. Profili simili, posizioni diverse. Come volessero raffigurare un'unica cosa. Avrei potuto dare con facilità un titolo a quelle opere: tutte le volte che ho sognato di ucciderti.

Un brivido preoccupante mi percorse la schiena, portandomi ad emettere un suono sgradevole di disgusto. Ares si voltò per l'ennesima volta ma, in quel caso, mi riservò un sorriso sghembo.

«Cosa c'è, piccola principessa? Ti senti a disagio tra queste meraviglie?» insinuò, mostrando le opere appese. «La mia Signora ama dipingere, trova sfogo al suo malessere.»

«Lei cura il suo male, dipingendo uomini trafitti da lance?» Il sarcasmo mi uscì spontaneo, non pensai.

Dovevo stare molto attenta alle parole, non avevo i miei poteri, non avevo nessuno che potesse difendermi, eppure, la mia lingua non riusciva a stare ferma.

Ares agitò la mano come mosso da una sinfonia.

«Non capisci, Bocconcino. Questa è pura arte» mosse ancora le dita, come a suonare uno strumento a tasti. Fermò di colpo il suo cammino, stoppò i movimenti, abbassò lento il braccio e, con la stessa calma, si voltò con aria di sfida, verso di me. «Inoltre, sei poco attenta!» La sua voce risuonò come uno stridulo che tentava, invano, di essere melodioso. «Quello che vedi raffigurato, guarda bene, è un solo uomo, sempre lo stesso.»

Le sue parole mi colpirono, come un cavallo in piena corsa, quello che vedi che ti sta per travolgere ma, allo stesso tempo, qualcosa ti blocca e non riesci proprio a spostarti, rimani ferma, ancorata a quel terreno instabile che tiene salde le tue caviglie quasi fosse fatto di sabbie mobili che ti spingono sempre più giù fino all'impatto. Uno di quegli incidenti che sapevi già sarebbe avvenuto, ma faticavi a realizzare fosse vero.

Quegli uomini che parevano simili, erano ritratti dalla stessa mano imprecisa e, semplicemente, non sapeva riproporlo allo stesso modo, riducendolo a somiglianze casuali che di casuale non avevano nulla.

Mi avvicinai, strinsi gli occhi fino a farli diventare due fessure, toccai il quadro, seguendo quel profilo perfetto disegnato con qualche imprecisione. Quando realizzai ebbi un colpo al cuore.

Non riuscii a capacitarmi di come non fossi riuscita a riconoscerlo prima.

Quell'uomo non poteva essere nessun altro che Killian.

«Benvenuta, mia cara.» La voce di quella donna rimbombò per l'immenso salone nel quale ero appena entrata.

Era lì, in attesa, mi guardava dall'alto del suo trono regale fatto di forme acuminate del colore dell'oro. Quella donna era bellissima. Una delle più belle creature incontrate fino a quel momento. I suoi lunghissimi capelli ricci e rossi le accarezzavano le braccia, come una matassa di serpenti color del rubino. Scendevano sinuosi e,  voluminosi, abbracciavano i braccioli della seduta. Pareva potessero muoversi e ondeggiare aggraziati, come bisce assassine.  Occhi verdi, agghiaccianti, spenti, mi scrutavano con malvagità, mentre un sorriso nefasto le riempiva la bocca turgida e sensuale. Poteva avere il doppio dei miei anni, ma esprimeva fascino da tutti i lembi di pelle. Il fascino del male.

«Dovresti inchinarti dinnanzi la mia Signora.» Ares assunse un tono austero che non aveva avuto fino a quel momento. Sembrava intimorito dalla presenza di quella donna.

«Non crucciarti, mio fedele amico, non ho bisogno dei suoi elogi.» La donna si alzò e, con movimenti eleganti, scese le scale che la distanziavano da noi e mi raggiunse.

Si avvicinò a me, sfiorando il mio volto. Fermò le dita sotto il mento e mi costrinse a guardarla negli occhi. Inghiottii della saliva che sembrava non voler scendere. Incastrò il suo sguardo nel mio e potei notare nelle sue iridi le sfumature di un mare calmo e incontaminato, al contrario di lei.

Qualcosa mi scosse dall'interno , un brivido che non riuscii a riconoscere, mi portò una strana sensazione dentro. Il cuore batteva all'impazzata, ma non era solo la paura di quella donna e dell'ignoto a farlo uscire fuori dal petto. Era qualcosa di più tangibile, di più reale. La consapevolezza di aver già visto quei dannati occhi.

I miei li sgranai e lei fece il contrario, li socchiuse per cercare in me qualcosa che non avrei potuto comprendere.

«Dimmi, mia cara, sai chi sono? Hai mai sentito parlare di me?» mi chiese senza mai abbassare lo sguardo.

Tentennai nel risponderle. L'avevo sentita nominare solo una volta, nella foresta, il giorno che incontrai il primo sospiro.

Ricordo che ero ancora nascosta tra i cespugli quando quel mostro  disse a chiare lettere: Raith, il ratto della regina! Subito dopo fece il suo nome.

«Sì, lei è la regina Clelia» risposi, mantenendo fissi gli occhi sui suoi.

«Oh, ma dammi del tu, Aledis, cosa sono tutti questi convenevoli?» Rise, mentre lasciava che la sua mano si allontanasse dal mio viso e le sue iridi lasciassero cadere quelle catene che avevano creato.

Come conosceva il mio nome?

Emise un suono sguaiato, voltandosi verso un grande arco ricolmo di rose e piante rampicanti. S'incamminò verso di esso e, una volta raggiunto, colse una rosa per donarmela.

L'afferrai e una spina mi punse l'indice. Una goccia di sangue mi accarezzò il dito, Clelia la raccolse e la portò alla bocca, leccò con gusto e mi sorrise.

«Che buon sapore, mia cara. Mh, sai di... conosciuto.» Quella donna aveva tutta l'impressione di non capire lei stessa cosa volesse o cosa stesse facendo. Sembrava confusa. «Dimmi, Aledis, ti chiami così, vero? Mi hanno raccontato la verità su di te?» Continuava a fissarmi, porto le dita affusolate sul suo di volto, quella volta, picchiettava le unghie appuntite sulla guancia. «Hai ferito il lupo di quell'essere immondo che ti ha costretta a vivere da lui?»

«Killian non è un essere immondo» Alzai i toni in un moto di coraggio.

Clelia guardò Ares ed entrambi, dopo qualche interminabile secondo, risero di gusto. Una risata subdola che bruciava ogni più piccola briciola di orgoglio.

Lo avevo difeso, senza alcun motivo. Lui non c'era mai stato per me, non si era mai preoccupato della mia salute, della mia vita. L'ultima volta era rimasto tra le lenzuola insieme a quella donna dai capelli biondi, mandando Raith al suo posto. Non meritava le mie parole e quei due lo sapevano bene. Ero in quella prigione anche a causa sua, oltre che della mia scelleratezza. Lui non meritava niente di ciò che stavo provando. Mi aveva sempre lasciata sola, eppure, mi chiedevo per quale motivo il mio cuore potesse battere anche per lui.

Per quello stesso uomo che si era lasciato eccitare per poi offrirsi a un'altra davanti ai miei occhi. Quell'uomo che mi aveva lasciata inoltrare da sola nella foresta senza battere ciglio. Perfino il lupo che avevo ferito si era interessato più di lui.

D'altronde, Killian era stato chiaro, tante di quelle volte che faticavo a capire come mai mi stessi chiedendo ancora il perché di tutto.

Perché lo pensavo ardentemente.

Perché sentivo il bisogno delle sue labbra sulle mie.

Perché avrei voluto essere al posto di quella donna.

Perché il mio sentimento era rivolto proprio a un uomo che non mi aveva mostrato il minimo interesse, anzi, mi aveva rifiutata per ben due volte.

Ero sicura che Malakay non lo avrebbe mai fatto ma, per quanto volessi anche lui, in cuor mio, sapevo benissimo che erano due desideri differenti.

Uno era puramente carnale.

E poi c'era Raith, la mia bestia preferita. Lui, sì che c'era sempre stato per me. Anche per lui sentivo battere il mio cuore, ma sapevo benissimo che non poteva funzionare. Eravamo destinati a due mondi diversi e non potevo fare altro che imputare le mie emozioni a un affetto profondo che non avevo mai provato per un estraneo.

«Ti sbagli, mia cara.» Clelia mi riscosse dal mio stato di torpore dovuto al divagare dei pensieri. «Killian è un mostro!» Il tono della donna non ammetteva repliche. «Lui mi ha portato via la cosa più preziosa, per sempre.» Il suo sguardo si incupì, divenne sincero ma, allo stesso tempo, quel mare che mostrava, diventò tempesta. «Per quanto riguarda te... ti ha sempre mentito. Non ha mai detto una sola verità.»

«Tu cosa ne sai? Come puoi affermare una cosa tanto stupida? Io e Killian parliamo a mala pena, non ricordo mi abbia mai raccontato qualcosa della sua vita» risposi di rimando alle sue affermazioni senza senso.

«Se ne sei proprio sicura, ti sfido!» affermò con fin troppa convinzione. «Dopo la grande festa che ho organizzato in tuo onore, torna nel suo palazzo, il giorno dopo, a sorpresa.» Mi stava lasciando libera di andare dalla mia nuova famiglia e non avrei perso quell'occasione. «Dovrai solo promettermi che farai ciò che ti dico, una volta tornata lì.» Annuii con fare vigoroso, entusiasta di qualsiasi proposta potesse farmi. «Entrerai nella stanza proibita e prenderai l'ampolla di vetro che tiene sottochiave. Al suo interno ha un liquido blu.»

«Te lo devo portare? Lo vuoi? A cosa serve?» Mille domande mi frullavano in testa, ma sapevo che qualunque risposta mi avrebbe mandata ancora di più in confusione.

«Saprai cosa farne non appena la guarderai.» Ma non pensavo che quella stessa confusione non mi avrebbe fatto chiudere occhio per diversi giorni.

«Tu come fai a sapere queste cose?»

«Beh, non lo sai? I sospiri mi sono devoti. Riportano tutto ciò che deve essere riportato.»

Ares smise di fare il soprammobile e si avvicinò. Sentivo il suo fiato freddo sulla schiena nuda. Poggiò un casto bacio su di una spalla e sputò nel mio orecchio parole incomprensibili.

«La notte della festa sarai mia e di nessun altro» disse sensuale, mentre stringeva i miei fianchi.

«Io non sarò mai tua, toglietelo dalla testa!» risposi in un lieve accenno di nervosismo.

«Tu potresti essere mia, se solo la mia Signora lo volesse, e lei ora lo vuole, solo per quella notte.»

«Non riuscirete a convincermi, è follia, voi siete matti!» continuai, soffocando una risata che voleva essere una presa in giro.

«Bocconcino, credi sul serio che la mia Regina abbia bisogno di convincere qualcuno?» chiese sarcastico.

Clelia fece un passo verso di noi, prese le nostre mani e le unì in un intreccio che mi fece salire il disgusto.

«Mia cara, il suo di sangue lo avevo già bevuto.» Lo aveva appena fatto anche con il mio, era una trappola quella spina. «Phàtos!»

E i miei occhi non videro altro che Ares...









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