17-𝓒𝓮𝓷𝓮𝓻𝓮.

Killian

«Stronzo!» ero quasi estasiato dalla poesia che emanava quella parola così ritmata. «Ti rendi conto, Ester? Mi ha definito uno stronzo.»

Non sapevo se ridere o fare uscire fuori la bestia che abitava in me.

Guardando dal finestrone del salone la osservai nervoso, mentre attendeva Raith per l'allenamento post cena. Era uno di quei giorni in cui il sole non sarebbe tramontato, ma la sua luce, a filo con l'orizzonte, illuminava il volto di Aledis donandole un colorito dorato. Era serena, mentre giocava con Lantus...

Il tempo che ti ho tolto lo stai vivendo ora. Vorrei che lo sapessi, anche se questo significherebbe perdere qualcosa. Desidero troppo in questo momento, ma non posso offrire la possibilità di un istante sincero.

Era perfino riuscita a farsi ben volere dalle mie amate peonie. Che persona bizzarra!

Avevamo avuto un piccolo scontro, prima che andasse via come una furia. Pensava che le mie parole fossero dovute a una mancanza di fiducia nelle sue capacità e, in parte, aveva ragione.

Era solo una ragazzina alle prima armi. Non conosceva la magia. Certo, la gestiva benissimo per essere una novellina, ma ancora doveva imparare a controllare i suoi sentimenti per poter esprimerla al meglio.

«Guardate il lato positivo, mio Signore...» Ester cercava di farmi vedere la cosa sotto una prospettiva diversa. «Ha anche pensato alle vostre fossette.» Scosse il capo con il ghigno che la contraddistingueva quando mi prendeva in giro, come a sottolineare la cosa più ovvia.

Sì, lei ci aveva pensato sul serio al mio sorriso e le piaceva, questo era naturale. Avrei potuto giocare di più conoscendo questo particolare, ma mi sentivo in colpa, in parte.

Avevo ascoltato un suo pensiero senza che lei ne fosse a conoscenza, anzi due.

«Devo dirglielo, Ester. Ho la sensazione di averla violata» ammisi con la coscienza sporca.

«Signor Killian, ma cosa dite?» Lo sgomento di Ester risultò palpabile. «La ragazza voleva entrare in connessione con voi, mi sembra così ovvio. Perché non lo riuscite a vedere?»

«Perchè non sapeva di poterlo fare e questo è ingiusto.»

«Ascoltate, Signore...» Ester si avvicinò per accarezzarmi un braccio con fare materno. «La bestia ci ha provato tutto il giorno, senza successo, ma con voi ci è riuscita senza neanche volerlo. Questo vorrà pur dire qualcosa, no?»

«Oh, sì, certo!» sorrisi nervoso. «Vuole dire che non mi tollera a tal punto da non riuscire a controllarsi.»

«Esatto, avete centrato il punto.» Mi schernì senza mezzi termini. «Non vi sopporta. Siete una specie di piattola purulenta per lei. La vostra sola presenza la infastidisce talmente tanto che potrebbe essere la soluzione più celere per farle acquisire il controllo necessario» spiegò, abbassando il tono della voce, come a non farsi udire da orecchie indiscrete. «Mio Signore, avete il coltello dalla parte del manico e neanche ve ne rendete conto.»

«Quindi, secondo te, dovrei...»

«Mettere da parte Raith, solo per un po'» continuò. «Vi comportate in maniera tanto diversa voi due. Lui è così buono con la ragazza, sarebbe difficile farle uscire fuori sentimenti negativi. Mentre con voi è un vulcano in eruzione.»

Non avrebbe dovuto farmi piacere quell'affermazione ma, il pensiero di urtare i nervi scoperti di quell'esserino malefico che continuava a stuzzicare la mia pazienza, era dannatamente assuefacente.

Giocare al gatto al topo non mi aveva mai estasiato come in quei giorni con lei. Chi era il gatto, chi il topo dipendeva dal momento e, quando era lei a rincorrere me, diventava esilarante.

«Mi sa che hai ragione.» La guardai un'ultima volta da quella vetrata. Era distratta dal lupo giocherellone.

Lantus non era mai stato così attivo ed entusiasta di rincorrere stupidi legnetti volanti. Aledis era diventata la sua casa e Malakay stava per portargliela via per un po'. Nessuno ne conosceva i reali motivi, in realtà neanche io.

Lei non si voltò, ma sapeva che la stavo scrutando, vedevo le sue spalle tese, l'aria imbronciata e lo sguardo impertinente di quella che mi avrebbe dato filo da torcere nel mio mondo fatto di bugie.

Una ragnatela fitta che s'incrociava a mille maglie, raggiungendo un centro unico.

Non potevo sapere che il destino si divertiva ad essere così crudele nel nascondersi per così tanto tempo. Non esisteva soluzione per ciò che avevamo fatto io e Malakay.

Lui era ormai perso, ma per me c'era ancora speranza, credevo.

La stessa che aveva bussato alla mia porta o, forse, io alla sua, ma si era affacciata e non potevo non coglierla. Era la mia soluzione.

«Passare del tempo con quel mostriciattolo lederà la mia sanità mentale, te ne rendi conto?» bofonchiai senza distogliere lo sguardo dal giardino.

«Ne sono consapevole, certo. Ma è l'unica alternativa sensata» rispose, prendendo le distanze. «Signor Killian, non abbiamo idea del perché il Drasoul sia venuto a reclamarla. Ha qualcosa in mente e lo sappiamo bene, non possiamo mandarla in casa di quel mostro senza armi a disposizione» continuò. «La ragazza è molto capace, lo abbiamo visto. Ha solo bisogno di assumere consapevolezza per potersi destreggiare al meglio e colpire quando risulterà necessario. Non sarete sempre lì a difenderla.»

«Questo lo so, ma resta il fatto che non sappiamo se accetterà.»

Lo sguardo di Ester si accese. Non avevo detto niente di strano, ma lei capì, lei mi capiva sempre.

«Da quando, vostra Signoria Illustrissima, si preoccupa dei desideri degli altri?» Mi prese in giro, allargando la sua espressione in un sorriso che mostrava la maggior parte dei denti. «Lei accetterebbe, Killian, ma non serve che voi siate troppo esplicito. Raith ha avuto un imprevisto e non potete perdere altro tempo, punto» consigliò una scusante credibile. «Non dovete aggiungere altro.» Il sorriso mutò in un'aria seria che non avrebbe ammesso repliche.

Ester era così, lo era sempre stata. Mi portava rispetto a parole e a fatti, ma era come la madre che mi era stata portata via. Era come la mia Faith. Era la mia confidente, un'amica leale che non mi avrebbe mai abbandonato e mi avrebbe sempre scelto di supportarmi e sopportarmi con i miei milioni di difetti e le mie eterne bugie.

Labbra arricciate in un broncio, braccia conserte, gambe tese e sguardo che avrebbe potuto disintegrare palazzi se le saette nelle sue iridi si fossero materializzate.

Non c'era l'ombra di una nuvola nel cielo, ma parve ugualmente scurirsi quando capì che la mia presenza avrebbe preso il posto di quella del suo amico.

«Dov'è Raith? Dovevamo continuare l'allenamento!» sbuffò adirata.

«La bestia ha anche il suo da fare. Aveva dimenticato di avere già un altro impegno, Aledis.»

Sgranò gli occhi, lasciando che la tensione si alleggerisse, almeno un po', solo dal suo corpo. Fece ricadere le braccia lungo i fianchi, distolse lo sguardo dal mio, guardò i ciottoli della stradina che portava alla grande fontana e si perse. Lo fece senza rendersene conto, smarrendosi in se stessa.

Non potevo sentirla. Mi sforzai pur sapendo che avrei potuto violare i suoi pensieri più intimi, ma non ci riuscì. Non era arrabbiata con me. Non voleva farmi sapere quanto fossi stronzo. Sembrava solo... delusa.

«Il tuo problema è che ci sia io o che Raith abbia un appuntamento?»

Si voltò del tutto dandomi le spalle. Lantus si era spostato di qualche metro, trovando comodità sotto un Dissalciuk. Aledis sembrava cercare il suo aiuto, ma oramai era troppo tardi. Quel lupo aveva la capacità di addormentarsi nel tempo di un respiro.

«Il mio problema sei tu, sei sempre tu,» blaterò incerta.

«Bene, in qualcosa dovevamo andare d'accordo. Abbiamo trovato un punto in comune,» le risposi di rimando. «Siamo il problema l'uno dell'altra.»

Glielo dissi con la maturità che mi contraddistingueva dal primo momento, con lei. Ce lo avevo proprio nella testa e nei gesti quel mio modo di essere infantile al limite del comico.

«Sei ridicolo, Killian. Ti atteggi a Signore dell'universo, ma in fin dei conti sei solo uno che parla per dare fiato alla bocca.» Si voltò, sfidandomi con la sua aria impertinente da bambina viziata.

«Io non mi atteggio proprio a niente, io lo sono!» ribattei, allargando il petto. «Ascoltami...» le dissi avvicinandomi al suo volto ricolmo di lentiggini chiarissime, «Io sono e, fino a quando abiterai la mia casa, sarò sempre il tuo Signore, non te lo ripeterò più. Puoi anche continuare a pensare che io sia un grandissimo stronzo, però! Te lo concedo, Cappuccetto» soffiai quelle parole a un centimetro dalla bocca.

Sapevo che lei mi desiderava, bramava le mie labbra sulle sue.

Ingoiò la saliva, me ne accorsi, ma si atteggiò da strafottente. Riusciva bene a ingannare quando prendeva atto delle sue espressioni.

«Tu... tu sei solo un grandissimo stronzo» sussurrò sensuale senza distogliere, neanche per un attimo, lo sguardo.

Si fece sempre più vicina.
Il centimetro che prima ci separava divenne un misero millimetro, prima che la sua mano mi afferrasse per la nuca e mi spingesse labbra contro labbra.

Quel bacio diventò, in un attimo, quasi un morso famelico. Sentii il suo sapore di fragole, ma non ne avevo in giardino, e mi piaceva. Mi piaceva come me l'aveva rubato, mi piaceva come mi faceva sentire in quel momento, prima di tornare in me, prima di tornare lo stesso di sempre.

Per qualche minuto che parve pochi secondi, non riuscì a controllare il mio corpo. La sollevai dal terreno e la incastrai con le gambe al mio bacino. Seguii il ritmo della sua lingua che si spingeva sempre più in fondo con un movimento seducente che mi portava a desiderare di più, sempre di più.

Per un attimo lo riuscii a vedere quel futuro che avevo buttato nelle latrine dei cavalli. Riuscii a toccarlo, come stavo facendo con la sua pelle di seta profumata. Lo desideravo di nuovo, ma non con lei.

«Ester mi aveva detto che eri impegnato, ma non immaginavo che si riferisse a questo.» Quella voce... Era tornata, cazzo!

Ci spostammo entrambi, lasciando che quella magia naturale sparisse. La poggiai delicatamente sui ciottoli, aspettando che le sue gambe trovassero la stabilità. Si pulì il viso, senza alzare lo sguardo dal terreno.

«Cosa vuoi, Kayra?» Non mi voltai subito, mi assicurai che Aledis stesse bene, ma non credevo che la cosa potesse farle realmente male.

Lei mi desiderava era palpabile - e come darle torto -, ma qualcosa la spingeva verso qualcun altro, non poteva essere stata più chiara durante la cena.

Era solo una ragazzina sfacciata, non avevamo niente in comune, o quasi.

«Cosa voglio? Me lo chiedi pure? Voglio la mia dose e poco m'importa se la stavi per dare alla ragazzina.» Mi resi conto che avrei dovuto calibrare meglio la mia idea di "sfrontatezza". Kayra aveva appena vinto il primo premio per l'impertinenza.

Avevo il coltello dalla parte del manico, lo sfruttai per imprimere nella bambina una ferita a largo taglio e rigirare il pugnale nelle carni.

«Aspettami nella mia camera, Kayra,» comandai, incastrando il mio sguardo in quello di Aledis. «Avevo giusto bisogno di te, sei arrivata in tempo, mia cara.»

Mi voltai solo allora per osservarla e, il sorriso sornione che vidi apparire sul suo volto, mentre lanciava uno sguardo di sfida alla ragazza che era appena rimasta folgorata dalla mia risposta, infastidì anche me.

Senza aggiungere un'altra parola, aprì lo spacco del suo vestito scarlatto, mostrando la lunga coscia rosea, mosse con una mano i biondi capelli al vento e, con l'aria di chi aveva appena vinto una battaglia, si avviò dove le avevo appena ordinato di andare.

«Brava, cucciolotta!» gongolai in modo che potesse sentirmi solo Aledis.

«Tu sei malato!» urlò non appena la bionda entrò in casa. «Ci stavamo baciando, ti sei reso conto?»

«Tu mi stavi baciando.» Lo dissi con un tono accusatorio, puntandole il dito contro, senza dimenticare di offrirle il mio migliore sorriso da stronzo, quello che tanto le piaceva.

Lo vidi perfettamente il momento in cui si accese la miccia. Aveva ragione Ester. Lei con me era un vulcano in eruzione e dovevo farla esplodere.

«Tu... Tu... sei un emerito coglione.»

«Tu, tu, tu...» continuai facendole il verso. «Ebbene, sì, Cappuccetto! Cosa credevi? Che il mio desiderio di te fosse talmente grande da non riuscire a controllarmi?» Mi avvicinai di nuovo al suo volto, la presi dalle braccia, sputando una grande verità che sapevo l'avrebbe ferita nell'orgoglio, quantomeno. «Ti do una notizia, ragazzina. Mi sarebbe bastata una donna nel letto, una qualsiasi, ma è arrivata quella più esperta... la preferisco!» morsi le mie labbra, strizzando l'occhio.

La rabbia la incendiò, nel vero senso del termine.

Le braccia divennero fuoco rovente nelle mie mani. Mi spostai di colpo, guardandole. Erano rosse.

Il suo corpo prese fuoco, divampava al ritmo della sua ira. Mi parve una reazione eccessiva, ma non avevo mai avuto a che fare con una donna con poteri così devastanti. Potevo sedarla con il mio, ma aveva bisogno di imparare a controllarsi.

Lantus, in lontananza, si era risvegliato dal suo sessantesimo sonnellino giornaliero. Avevamo la conferma che non era un pigrone eccessivo, l'istinto era ancora funzionante.
Non osava muoversi, aspettava un mio cenno e, forse, era la chiave.

«Avvicinati e parla con lei.» Il mio non era l'ennesimo ordine, ma una preghiera. «Fa' qualcosa per calmarla prima che distrugga tutto o che si faccia del male.»

Aledis continuava ad ardere, incontrollata, non distoglieva lo sguardo dalla sua preda. Me.

«Lo farò, ma promettimi di non ascoltare, te ne prego.»

«Non lo avrei fatto comunque, puoi stare tranquillo»

Il lupo si avvicinò cauto, mentre le fiamme la circondavano in tutto il corpo. Quando se ne rese conto, per davvero, il panico prese il sopravvento.

«Oh mio Dio, cosa mi sta succedendo? È colpa tua, Killian?» gridò, lanciando la prima fiammata contro di me. La schivai, per fortuna.

Lantus si concentrò e lei parve ascoltarlo.

Mantenni la promessa. Non sapevo cosa si stessero dicendo, la ragazza smise piano di emettere fiammate e crollò inesorabile sul selciato.

Il suo fuoco si spense lento e io l'avevo appena ridotta in cenere.

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Buonasera, piccoli lemuri!
Entrare nella testa di Killian è tanto difficile. Ha così tanti segreti che diventa dura non spiattellarli tutti in un capitolo. Aledis, invece, ha un carattere bello fumantino e non avrebbe potuto esprimerlo meglio. D'altronde è una donna e, qualsiasi possa essere la motivazione, è stata umiliata. È che non ho i poteri, forse, altrimenti avrei ridotto lui in cenere.
Alla prossima, un bacione, giuoie!







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