15-I𝓷𝓯𝓮𝓻𝓷𝓸 𝓮 𝓟𝓪𝓻𝓪𝓭𝓲𝓼𝓸

Lei era bellissima!

Quella ragazza, che usciva come una furia dal palazzo di Killian, era di una bellezza sconvolgente.

I capelli biondi sembravano come seta dorata e scendevano morbidi fin sulle natiche. Un fisico longilineo e a dir poco mozzafiato, mi ricordava quanto il mio rientrasse nella norma, facendomi scendere da un piedistallo immaginario. La distanza non mi permetteva di scorgere molti altri dettagli, ma era una dannata fata.

A passo svelto lasciava quella casa non prima di essersi fatta sentire, sbattendo il portone d'ingresso.

Ester, dal finestrone che affacciava sulla fontana, la osservava con un'espressione contrita. Era dispiaciuta per quella ragazza e io mi domandavo cosa diamine le aveva fatto quello stronzo senza sentimenti ma, allo stesso tempo, un nodo mi stava torcendo lo stomaco al pensiero che quei due avessero qualche relazione sentimentale.

Cosa improbabile, nell'effettivo, visto che Killian era stato privato dei sentimenti in qualche strano rito avvenuto alla sua nascita. Almeno credevo.

«Chi è quella?» chiesi al Killiuk al mio fianco, mentre mi spingeva dentro le stalle.

Non ero ancora riuscita a farmi sentire dalla sua testona, ma lui con me ci riusciva benissimo.

«Lei? Ehm, lei è... "Una delle amanti di Killian..." Non lo so, non l'ho mai vista!» Lo avevo fatto, ero riuscita a leggere la verità, mentre mi mentiva spudoratamente.

«Leggere i tuoi pensieri ha il suo vantaggio, bestia!» commentai, offesa dalla presa in giro.

«Oh, cazzo! Avevo dimenticato questo particolare» rise, «ma c'è una cosa che non sai...»

«Cosa?»

«Silenzio, dopo, ora abbassati.» Mi zittì, nell'attesa che la figura di quella donna sparisse dalle nostre viste.

C'era stata una specie di disconnessione, perché non riuscii a decifrare cosa stesse passando dalla sua testa, mentre guardava quelle cosce chilometriche sgambettare a pochi metri dal suo faccione.

Oltrepassato il cancello, la ragazza si voltò di scatto dalla nostra parte ma, per fortuna, non riuscì a vederci. Rimasi accovacciata dietro una balla di fieno fino a quando Raith non mi fece cenno di uscire.

«Allora, Bestia omertosa, hai qualcosa da dirmi?»

«Sono affari che non ti riguardano» affermò con una certa stizza.

«Oh, mi riguardano eccome, abito in questa casa, non dimenticarlo.» Stavo vivendo ciò che avevo appena scoperto, con un sentimento che non riuscivo proprio a comprendere.

Lo sentivo, era potente, ma qualcosa lo bloccava. Era come se, dentro di me, venisse custodito ma schiacciato, allo stesso tempo, da un peso di dimensioni soprannaturali che non permetteva che quelle emozioni crescessero ed esplodessero all'esterno.

Era una sensazione che mi stava consumando dall'interno. Si nutriva di me e di tutto ciò che avevo di buono. Lo stava facendo all'oscuro di tutti, in silenzio. Una pace che presagiva bufera.

«Perché non riesco più a sentire i tuoi pensieri?» strizzai gli occhi in due fessure, nell'intento di trovare la concentrazione ormai persa.

«Perché, quello che non sai è che posso decidere di non farti ascoltare» confessò, quasi orgoglioso. «Come fai tu!»

«Io? Ma se io sto facendo di tutto per farmi sentire. Cosa c'è di sbagliato in me?»

«Niente, Aledis. La questione è semplice, tu non ti fidi» chiarì tenendo a precisare quale fosse il mio errore, secondo lui.

«Mi fido di te, che dici?» Mi fidavo, era vero, ma fino a che punto riuscivo realmente a farlo?

Resami conto che Raith aveva ragione, uscii dalla stalla con l'intento di tergiversare e prendere aria, magari conquistando gli splendidi fiori stronzi che non avevo avuto l'onore di estirpare.

Il Killiuk non mi seguì, all'inizio. Mi lasciò andare senza aggiungere altro, ma lo vidi, con la coda dell'occhio, alzare le spalle e negare con un cenno del capo mentre sorrideva sornione sotto quella maschera d'indifferenza che avrebbe voluto mostrare.

Incantata da quel meraviglioso giardino che più guardavo e più sentivo mi appartenesse, restai in silenzio, pensierosa, mentre Raith, alle mie spalle, cercava il modo di non ridere di me.

«Cosa c'è, dimmi?!» cascai nel suo tranello. «Perché sghignazzi di me?» chiesi, pur percependo le motivazioni che lo portavano verso la presa in giro.

«Aledis, io non posso sentirti solo perché tu non lo vuoi, lo sai questo, vero?» La domanda non poteva che essere retorica. «Al contrario, tu mi senti perché io l'ho desiderato con tutte le forze.»

Mi voltai nella sua direzione dopo aver donato un sorriso a una peonia che pareva ascoltarci e seguire i miei movimenti.

«E se... se poi tu riuscissi a controllare i miei pensieri?» Non lo avrebbe mai fatto, sentivo di poter contare sulla sua discrezione.

«Anche se potessi farlo, non lo farei» Mi fermò, togliendo ogni dubbio all'istante. «Possiamo avere solo una comunicazione che puoi chiudere quando ti pare. Dobbiamo essere entrambi a volerla, altrimenti non funzionerà come dovrebbe» specificò.

«Quindi, mi stai dicendo che, prima, volevi che io sapessi chi fosse quella ragazza che stava uscendo dal cancello?»

Rimase interdetto, non sapeva cosa rispondere. Ero convinta di aver preso il punto, in pieno centro. Proprio come facevo con le mie frecce e quella, in particolare, lo aveva destabilizzato.

Avrei potuto giurare che le peonie avessero perfino sorriso nel vederlo così impacciato.

«Perchè pensi che volessi fartelo sapere, scusa? Che motivo avrei?»

«Magari perché credi possa cadere nella sua trappola», affermai con sicurezza.

«Di quale trappola stai parlando?» chiese con un sorriso di scherno.

Mi preparai, prendendo un grosso respiro, prima di raccontare ciò che la mia fervida immaginazione aveva generato, con lo stesso pathos con cui leggevo le favole a Yara, fino a qualche anno prima.

«Della magistrale trappola che orchestra fingendosi affascinante oltre ogni misura.» Non mi resi conto del mio parlare senza mezzi termini. «Lui ti porta a desiderarlo dal primo momento, lo fa con tutte, immagino. Ti incastra nella sua tela appiccicosa e ti trascina, lento ma inesorabile, dentro il suo letto fatto di rovi acuminati che potrebbero tagliarti il respiro se solo pungessero le carni, portandoti a pretendere il suo corpo nudo e il suo cuore gelido», continuai a blaterare. «Ma lui no, lui non vorrà mai lo stesso dalla sua vittima», accentuai ancora di più il senso mostrandomi e alzando il capo. «Lui lascerebbe marcire la donna altrove, dopo aver consumato, ma non nel suo misero baldacchino.» Terminai lo sproloquio, resami conto di come Raith mi stava guardando.

Aveva gli occhi spalancati, quasi spaventati, non riusciva a decifrarmi. Teneva la testa piegata da un lato, come a cercare di comprendere la mia follia. Non ci sarebbe mai riuscito. Le peonie, con il loro colori sgargianti, sembravano ascoltare ogni mia parola con entusiasmo. Era tutto molto strano, ma avevo l'impressione che adorassero sentirmi raccontare cavolate.

«Quale pianta strana hai masticato?» Si avvicinò toccandomi la fronte, preoccupato. «No, la temperatura è nella norma. Stai forse delirando?» rise di me e di ciò che avevo appena detto.

«Sei un cretino, giuro!» Lo insultai, in risposta al suo sfottò. «Avrò romanzato, giusto un po', la cosa», dissi stringendo pollice e indice a due centimetri dall'occhio. «Ma, devi ammettere che, non ho tutti i torti. Ho pensato dal primo momento in cui l'ho visto che Killian fosse un tipo poco serioso che ama svolazzare di fiore in fiore e la tua ammissione di poco fa me ne dà conferma.»

«Io non ho ammesso proprio niente. La tua è pura e semplice follia!» esclamò perentorio, prima di distrarmi, cambiando discorso. «Devi allenarti ancora po', signorina. Dopo cena passeremo un'oretta a controllare fuoco e fulmini e saette»

«È strano...» Composi un pensiero ad alta voce grattandomi il mento, di proposito, ma lui non lo sapeva.

«Cosa, Aledis?» domandò sbuffando.

«Non capisco come dalle mie mani possano uscire questi due elementi. Tu parli di controllo ma, fuoco e fulmini, sono partiti da me e non ero vicina ad alcuna fonte.»

Osservò con gentilezza, la stessa che mi donava ogni qualvolta doveva darmi una notizia poco assimilabile per la mia testa bacata. Scosse il capo in una risata incredula.

«Non capisci, capretta?» La scrollai anche io allo stesso modo e Raith si asseriò, afferrando, con entrambe le zampe, le mie spalle, come a tentare di svegliarmi dai miei sogni a occhi aperti. «Tu sei fuoco, tu stessa sei energia. Dentro di te esistono già questi elementi, ti sono stati concessi di diritto. Gli altri puoi controllarli. Riesci a farlo con una con naturalezza, lo ammetto, ma hai ancora bisogno di pratica, molta.»

«Quando è successo tutto questo?» Avevo mille dubbi che mi frullavano, ma la risposta che più mi premeva conoscere era quella che ancora non mi faceva dormire sonni tranquilli.

Non era una domanda che avrebbe avuto un chiarimento in quel momento. Non lo volevo. Era un mio pensiero detto a voce alta, per farmi sentire dall'emozioni nascoste. Quelle che rimangono incastrate nel profondo dell'anima, bussando qualche volta alla porta del cuore. Vogliono essere ascoltate ma, per paura di essere comprese, vengono ignorate, negate e, quella porta, inesorabilmente richiusa.

La mia vita era cambiata da un secondo all'altro e non avevo idea dei motivi che mi avevano portata ad "accendere" quel potere e i sentimenti sconosciuti.

Rimbombava incessante la voce del sospiro che, nella foresta, continuava a echeggiare quelle tre parole: tu sei morta!

Io ero morta per davvero e stavo vivendo il mio paradiso e il mio inferno personale. Raith rappresentava il primo. Killian e Malakay... Beh, ancora non ne ero certa. Potevano essere un po' dell'uno e un po' dell'altro. Solo di una cosa ero sicura: in qualche modo li volevo entrambi...

Guardando Raith mi resi conto che, per quanto continuassi a negarlo a me stessa, a causa delle nostre evidenti differenze e la completa incompatibilità, per quanto rifiutassi la sola idea di noi due insieme, volevo anche lui.

Non avevo mai avuto quel tipo di interesse per nessun uomo ad Airsa, neanche una volta. Qualche sostanza strana presente nell'aria di Ylion aveva questo effetto su di me, probabilmente.

«Ci vediamo da qui subito dopo cena, va bene, capretta?» Me lo chiese senza aspettare una risposta.

Andò via con passo sicuro e fiero, lasciandomi sola, con i pensieri affamati di conoscenza e lo stomaco inappetente.

Rimasi vicino alle peonie per qualche minuto. Erano bellissime, più del solito. Sembravano risplendere sotto quel sole che non aveva voglia di tramontare.

«Ho così tanti quesiti irrisolti e, il fatto che rimanga a parlare con con voi, mi fa pensare che io abbia anche dei seri problemi.»

Loro non risposero, ma si sporsero per raccogliere una carezza. Mi accovacciai nell'aiuola per non perdere quella sensazione di calore e comprensione che mi stavano donando in quell'istante. I loro colori sgargianti e vivaci, mettevano allegria, la sentivo scorrere sotto la pelle.

A pochi metri da me, all'entrata della stalla, vidi Lantus sonnecchiare sotto il tiepido sole. Coricato su un lato, sembrava godersi il suo momento di relax.

Mi alzai, silenziosa, lenta e invincibile. Con passo delicato, attenta a non calpestare ramoscelli e foglie secche per non fare alcun tipo di rumore, cercai di avvicinarmi al lupo per farlo spaventare.

Un piccolo scherzo innocente che mi avrebbe ripagata da tutti gli insulti.

Sempre più vicina ero eccitata all'idea di riuscire a terrorizzarlo, anche solo per un attimo.

Incrociai lo sguardo attento di Orio. Quel dannato cavallo dal manto nero e lucente avrebbe avuto bisogno di una bella strigliata. Nitrì più forte che poté, risvegliando Lantus dal suo riposino per poi rivolgermi un'occhiata soddisfatta. Era solo un destriero, eppure riusciva a farsi capire dagli occhi e, ammetto che, quella capacità lo rendeva speciale. Che grande stronzo!

«Cosa avevi intenzione di fare, piccola testuggine?» chiese Lantus annoiato.

Rimase sdraiato, immobile.

«Volevo farti spaventare, non è ovvio?» domandai retorica.

«Sei una sciocca! Dovresti ringraziare Orio, invece di lanciargli tutte quelle occhiatacce odiose» continuò a blaterare senza smuoversi di un centimetro.

«Ringraziarlo di cosa? Non esiste!» affermai incrociando le braccia, sbuffando.

«Non disturbare il cane che dorme, non lo sai?» Attirò la mia attenzione e si spostò a pancia in giù, lasciando la sua posizione rilassata. «Quando spaventi un lupo, da queste parti, c'è il rischio che diventi aggressivo, incontrollabile, almeno per i primi secondi e, credimi, bastano per mettere fine a una fragile vita come la tua.» Mi spaventò con il suo sguardo glaciale. «Quindi, sì, dovresti ringraziare Orio, decisamente» affermò sbeffeggiandomi, prima di tornare nella sua posizione da "lupo strafottente".

Di nascosto lo feci, lo ringraziai Orio, da lontano, con lo sguardo pieno di scuse e riconoscenza.

Lantus era davvero, davvero enorme e non credevo di poterlo abbattere una seconda volta per un caso fortuito.

«Signorina, Aledis...» La voce di Ester mi riscosse dai miei pensieri. «Il signor Killian la sta aspettando per cena.» Il suo tono non ammetteva repliche e io la guardai interdetta.

Killian e io avremmo cenato da soli, come due persone civili?

Nah! L'inferno stava bussando davvero alla mia porta.

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Buona sera, piccoli cuZzoli.
Questo capitolo era previsto per lunedì, ma ho in mente di allietarvi con un ottima cena quel giorno. Spiegato come "funziona" Aledis (almeno un po' ), vi auguro un buon fine settimana.

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