MY LIFE; PARTE UNO (GRACEY)
Ha un aspetto orribile: sono queste le prime parole che mi vengono in mente non appena mi soffermo ad osservare il suo viso.
Ha un aspetto orribile, un livido violaceo sotto lo zigomo destro e dei graffi sul collo; eppure, nonostante ciò, reprimo l'istinto di sommergerlo di domande ed attendo che sia lui a darmi delle spiegazioni a riguardo.
"Il viaggio è... Andato" si limita a rispondere in modo criptico, abbandonando lo zaino sui cuscini del divano; chiude gli occhi per qualche secondo, fa schioccare l'osso del collo e torna a fissarmi, con un sorriso forzato "scommetto che il piccolo criminale è al piano di sopra in camera sua"
"Hai indovinato a metà: è al piano di sopra, ma non si trova nella sua camera. Quando si è ammalato ha insistito per dormire nella tua, ed io non ho potuto negarglielo"
"Come sta adesso?"
"Meglio, ma ha ancora la febbre"
"Vado da lui, torno subito".
Annuisco in silenzio, lo seguo con lo sguardo mentre sale al primo piano e poi torno a concentrarmi sulle fiamme che ancora scoppiettano allegramente nel camino: ormai non c'è più traccia delle pagine che ho dato in pasto a loro, tuttavia già so che non abbandoneranno mai la mia mente.
Almeno finché non avrò avuto delle spiegazioni approfondite da parte di Theodore.
Attendo il suo ritorno tormentandomi il labbro inferiore, pensando al modo migliore per introdurre l'intero argomento, e quando mi rendo conto che è già trascorsa mezz'ora e lui non è ancora sceso in salotto, decido di alzarmi e di raggiungerlo; e mentre salgo i scalini, uno ad uno, sono costretta a fermarmi più volte per prendere un paio di profondi respiri e rallentare il battito del mio cuore, che sembra essere intenzionato a scoppiarmi nel petto.
Quando socchiudo la porta della camera da letto trattengo involontariamente il respiro: sia padre che figlio sono profondamente addormentati, abbracciati l'uno all'altro.
Non voglio rovinare questo momento e così richiudo la porta, senza fare rumore, scendo nuovamente in salotto ed attendo il suo risveglio sempre più confusa, perché ciò che ho appena visto stona e strida completamente con i numerosi articoli che ho letto e con le immagini che ho visto; l'ex compagno di mia madre mi raggiunge qualche ora più tardi in cucina, strofinandosi gli occhi con la mano destra, mentre sorseggio una tisana.
"Ti senti più riposato?" gli domando subito, posando la tazza sopra al tavolo, e lui in tutta risposta mi chiede per quanto tempo abbia dormito "un po', quando sono salita in camera per controllare che fosse tutto apposto stavate già dormendo, ed ho preferito non svegliarti"
"Purtroppo l'aereo non è il mezzo di trasporto più comodo del mondo, soprattutto quando si tratta di dormire"
"Hai fame? È quasi ora di cenare, se vuoi posso preparare qualcosa per entrambi e per Benjamin"
"Lui sta ancora dormendo, e per quanto riguarda me non ho affatto appetito"
"Ne sei sicuro? Hai fatto un lungo viaggio..." insisto, e dopo un paio di tentativi riesco a convincerlo; mi alzo dalla sedia, poso la tazza vuota dentro al lavandino e mi avvicino ai fornelli per preparare dei semplici spaghetti al pomodoro: la prima ricetta che mi viene in mente e che so cucinare senza trasformare la stanza in un campo di battaglia.
Compio tutti questi movimenti in modo meccanico, come un automa, con una morsa allo stomaco provocata non dalla fame, ma bensì dall'ansia: preparare degli spaghetti al pomodoro è solo una scusa per tenere le mani occupate e per pensare al modo migliore per dirgli quello che ho scoperto da Karla e da Ashley.
Ma quando ci sediamo l'uno di fronte all'altra la mia vigliaccheria prende il sopravvento, ed anziché chiedergli del Mostro dell'Alabama, gli domando come si sia procurato i graffi sul collo ed il livido in viso.
"Non ho voglia di parlarne".
Ecco.
L'ennesima risposta evasiva che mi fa ribollire il sangue nelle vene, e che incredibilmente mi fa trovare la forza di prendere in pugno la situazione; lascio cadere la forchetta che ho in mano e lo guardo incredula, con gli occhi spalancati.
"No! Non puoi rispondermi ancora in questo modo, non lo accetto! Quando sei partito mi hai promesso che al tuo ritorno mi avresti dato tutte le spiegazioni che meritavo, ed io ti ho lasciato andare senza oppormi. Non puoi presentarti dopo quattro giorni trascorsi nello Yemen con delle ferite e dirmi 'non ho voglia di parlarne'"
"Non sono stato nello Yemen, ma a Creta"
"E perché mi hai raccontato una bugia?"
"Non l'ho fatto volontariamente, io per primo ero convinto che Sara dovesse recarsi là. Solo all'aeroporto ho scoperto che la sua destinazione era un'altra, ma il volo partiva a breve e non ho avuto occasione di avvisarti"
"Allora spiegami che cosa sei andato a fare a Creta e come ti sei procurato quei graffi"
"Gracey, non posso rispondere a questa domanda perché non ho voglia di parlarne e perché a Creta sono successe delle... Delle cose di cui io per primo faccio fatica a capacitarmene. Dovrei spiegarti troppo ed ora come ora non me la sento"
"Sapevo che mi avresti detto parole simili, ero pronta a scommetterci qualunque cosa" mormoro; abbasso lo sguardo verso il mio piatto di spaghetti ancora intatto prima di guardarlo negli occhi, e mi libero dal peso che non riesco più a portare sulle mie spalle "so che mi odierai per questo, ma sentivo di doverlo fare: durante la tua assenza ho frugato nella tua camera da letto. Dentro un cassetto ho trovato delle buste che contenevano dei fogli e nel tuo laptop ho visto tutte le ricerche che hai fatto riguardo ad un uomo di nome Kaniel Outis. Benjamin ha riconosciuto l'indirizzo che c'era scritto su uno dei fogli, e mi ha detto che lì ci abita 'zia Karla', la donna che si è occupata di lui durante questi sette anni, mentre tu eri in... Prigione".
Mi fermo per osservare la sua reazione: non un solo muscolo del suo viso si è mosso, ad eccezione delle labbra dischiuse in un sorriso che non riesco a decifrare, e che mi fa pensare a quello dello stregatto.
"E scommetto che tu sei andata da 'zia Karla' e lei ti ha raccontato molte cose, vero?"
"Non esattamente, ma mi ha detto che tu non sei stato arrestato solo una volta, e che ti ha conosciuto quando eri in carcere perché lei stava facendo un tirocinio nell'infermeria. E mi ha anche parlato della madre di Ben"
"Ohh, davvero?" il sorriso sulle sue labbra si accentua "che cosa ti ha raccontato di lei? Sarei molto curioso di saperlo"
"Ha detto che anche la madre di Benjamin, Nicole, lavorava nell'infermeria del carcere e che tu l'hai convinta ad appoggiare la tua evasione. Ed una volta fuori le hai spezzato il cuore, e questo ha avuto delle pesanti ripercussioni sulla sua salute fisica...".
Mi blocco di nuovo; questa volta, però, non dipende da me, ma dalla risata che esce dalle labbra di Theodore.
"Quello che ti ha raccontato la strega dai capelli rossi non è altro che un mucchio di cazzate prive di senso"
"E per quale motivo avrebbe dovuto raccontarmi delle bugie?"
"Semplice: mi odia con ogni fibra del suo essere"
"Eppure, finora, è stata l'unica a darmi delle spiegazioni, mentre tu non hai fatto altro che dirmi mezze verità e bugie su bugie, perché non dovrei crederle? Dici che ti odia così tanto da inventarsi falsità sul tuo conto? Quindi sono false anche tutte le notizie che riguardano il Mostro dell'Alabama?".
Dopo la mia insinuazione, il suo viso cambia completamente: il sorriso svanisce con la stessa rapidità di un battito di ciglia e le sue guance sbiancano, facendo risaltare ancora di più il livido; anche il suo respiro muta, trasformandosi in un rantolo che mi fa temere per un possibile malore.
Ho fatto centro.
"Che cosa hai detto?"
"Hai capito, non c'è bisogno che ripeta"
"Lo so, ma speravo comunque di essermi sbagliato" mormora, posando a sua volta la forchetta sul piatto "e così, la strega ti ha parlato anche di questo pezzo del mio passato?"
"No, lei non mi ha detto nulla. Quando sono tornata a casa ho ricevuto una visita inaspettata da Ashley: aveva svolto qualche ricerca al computer ed era ansiosa di farmi vedere che cosa aveva scoperto. Mi ha portato un'intera cartellina di pagine stampate"
"Avrei dovuto prevedere questa mossa da parte sua".
Alle parole di Theodore segue un lunghissimo silenzio carico d'imbarazzo.
Aspetto che sia lui a dire qualcosa, e lui attende lo stesso da me.
Ed alla fine, sono io a muovere il primo passo.
"Inutile dirti che su quelle pagine c'era scritta una storia completamente diversa da quella che tu mi hai raccontato. C'erano articoli su articoli di giornale e delle foto segnaletiche..."
"Sì, immagino perfettamente il contenuto di quella cartellina"
"Perché stai ridendo?"
"Rido perché mi sento sull'orlo di un esaurimento nervoso" dice semplicemente, scompigliandosi i capelli con la mano sinistra, la stessa che tiene sempre celata da un guanto di pelle nera " se non vuoi più parlarmi lo capisco perfettamente e se vuoi andartene non sarò di certo io a bloccarti"
"Io non voglio andarmene, ma vorrei avere delle spiegazioni da parte tua"
"E quali spiegazioni vorresti avere, Gracey? Quello che hai letto parla chiaro"
"No, invece!" esclamo "io voglio sentire la tua... Versione dei fatti. Voglio sapere che cosa è successo veramente, perché quello che ho letto non può essere reale. Sei stato incastrato, non è così? Sei stato incastrato ed hai ricevuto così tanta pressione mediatica sulle tue spalle che sei arrivato ad auto convincerti..."
"Gracey" il mio nome esce sottoforma di un sospiro esausto "non arrampicarti sugli specchi alla ricerca di un qualcosa che non esiste. Te lo ripeto per l'ultima volta: quello che hai letto è tutto vero"
"Ma non può essere tutto vero, perché non corrisponde all'uomo che io conosco fin da quando ero una bambina. Tu non hai mai fatto del male a me o a mio fratello, e non l'hai neppure fatto a mia madre... Sono sicura che dietro c'è altro, ed io vorrei riuscire a capire. Non credere che non sia sconvolta in questo momento..."
"Allora siamo in due ad esserlo"
"Maledizione, vuoi darmi delle spiegazioni?" grido, esasperata, senza più riuscire a trattenermi "chiunque al mio posto se ne sarebbe già andato urlandoti contro i peggiori insulti, io invece sono ancora qua e ti sto chiedendo di raccontarmi tutto quello che è successo, perché io voglio sapere la storia della tua vita prima di giudicarla in base a degli articoli di giornale che risalgono a più di vent'anni fa... Dove stai andando?".
Interrompo il mio monologo quando lo vedo alzarsi dalla sedia e spostarsi nel salotto, per poi tornare con le mani occupate da una bottiglia di liquore ed un pacchetto di sigarette; si accomoda di fronte a me e se ne accende subito una, prendendo una profonda boccata.
"Vuoi sapere la storia della mia vita, giusto? Allora abbiamo entrambi bisogno di bere qualcosa di forte: io per riuscire a raccontarla e tu per riuscire ad ascoltarla. E, fidati, il vino è fin troppo leggero" risponde l'ex compagno di mia madre, piegando le labbra nel sorriso di poco prima, quello dello stregatto.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top