MATTER OF TIME (GRACEY)
"Cazzo! Cazzo! Cazzo!" continuo a ripetere, facendomi largo tra i marciapiedi affollati di Chicago, ignorando il dolore che sento al fianco sinistro ed il cuore che minaccia di esplodermi nel petto; tutti i miei sforzi, però, si rivelano inutili perché quando raggiungo il luogo dell'appuntamento è ormai troppo tardi: la porta d'ingresso dell'edificio è chiusa a chiave, e a nulla servono i miei tentativi di spingere e tirare la maniglia "no, no, no! Maledizione! No! Cazzo!".
Sfogo la frustrazione che sento contro la mia povera borsa, scagliandola sul marciapiede, proprio nel momento in cui una donna, con addosso un elegante completo color rosa pastello, esce da una porta secondaria e s'incammina verso la direzione opposta alla mia; la raggiungo, bloccandole fisicamente il passaggio e le chiedo se sono arrivata troppo tardi per il provino.
Lei, ovviamente, conferma le mie paure ed a nulla servono le parole supplicanti che escono dalle mie labbra.
"Mi dispiace, signorina" mi dice, in tono cordiale ma freddo "le audizioni si sono concluse mezz'ora fa. Avrà più fortuna la prossima volta, le auguro una buona giornata"
"La prossima volta? E quando ci sarà una prossima volta?"
"Tra circa dodici mesi"
"Dodici mesi? Un anno? Ma io non posso aspettare tutto questo tempo!" insisto, spostandomi a sinistra, impedendole così di superarmi "la prego, mi dia una possibilità! Sono sicura che potrà fare una piccola eccezione!"
"Mi dispiace, ma non posso fare alcuna eccezione, signorina..."
"Gracey. Gracey Hollander"
"Signorina Hollander. Avrebbe dovuto presentarsi in orario per il provino, proprio come hanno fatto tutte le altre ragazze. Ora, se non le dispiace, devo andare o rischio di arrivare in ritardo ad un appuntamento. E tutti noi sappiamo quanto sia terribilmente seccante arrivare in ritardo ad un appuntamento, vero?".
Ignoro la frecciatina della donna e, per l'ennesima volta, la supplico di fare un'eccezione.
"La prego! La prego, mi dia una possibilità! Questo provino significa molto per me! Le prometto che non se ne pentirà e non le farò perdere un solo minuto del suo prezioso tempo, ma mi dia una possibilità. Mi sono trasferita dal Kansas per riuscire a realizzare il mio sogno, non voglio gettare tutto al vento per una sciocchezza come pochi minuti di ritardo"
"È evidente che noi due abbiamo un concetto differente di tempo, signorina Hollander, se per lei 'mezz'ora' equivale a 'pochi minuti'. D'accordo, le darò una possibilità, mi dia il suo book fotografico".
Il sorriso apparso sulle mie labbra si spegne rapidamente, sostituito da un'espressione confusa.
"Book fotografico?" domando, spiazzata, e l'organizzatrice piega le labbra in un'espressione seccata.
"Sì, signorina Hollander, un book fotografico. Tutte le aspiranti modelle sanno che bisogna presentarsi ad un provino con un book fotografico come curriculum personale. Senta, gliel'ho detto, ho un appuntamento molto importante e non posso arrivare in ritardo, ma voglio venirle incontro. Ecco. Prenda questo" mi dice, porgendomi un biglietto da visita su cui c'è scritto un nome ed un numero di telefono "quando avrà tutto il necessario mi chiami. E vedremo se potrò fare ancora qualcosa per lei. Nel frattempo, buona giornata".
Questa volta non provo a fermarla.
Osservo la donna allontanarsi a passo veloce e poi abbasso lo sguardo sul piccolo rettangolo di carta che ho in mano, ignorando la mia borsa ancora abbandonata sul marciapiede.
Non è molto, penso con una smorfia, ma è comunque un inizio.
Non appena rientro in appartamento, Ashley, la mia coinquilina, mi sommerge subito di domande, perché è ansiosa di sapere l'esito del provino.
"Allora?" mi chiede, infatti, distogliendo lo sguardo dalla rivista che sta sfogliando "come è andata? Ti hanno presa? Ti hanno detto qualcosa? Cosa hai dovuto fare?"
"Nulla. Non ho dovuto fare nulla perché sono arrivata con mezz'ora in ritardo al provino e non ho potuto sostenerlo"
"Ohh, Gracey!" esclama Ashley, alzando gli occhi azzurri al soffitto "ti avevo raccomandato di non arrivare in ritardo! Lo sai che quando si tratta di provini gli organizzatori pretendono la massima serietà e puntualità! È più forte di te non riuscire a rispettare gli orari che ti vengono imposti?"
"E tu sai perfettamente quanto significava per me quel provino!" ribatto, lasciandomi cadere sul divano.
Non sono stata del tutto sincera con Theodore quando mi ha chiesto spiegazioni riguardo al mio trasferimento a Chicago: è vero, sono venuta fin qui per avere più possibilità di intraprendere una brillante carriera, ma non sto studiando veterinaria all'università.
Il mio sogno è riuscire ad entrare nel mondo della moda, e nel frattempo lavoro come cameriera in un ristorante, insieme ad Ashley, per mantenermi e per pagare le spese dell'affitto.
Mamma e Zack non condividono la mia scelta, di conseguenza non perdono occasione per tentare di farmi cambiare idea, e di farmi tornare a Tribune: ancora non hanno capito che non ho alcuna intenzione di ritornare nella piccola città del sud in cui ho trascorso la maggior parte della mia vita.
"Che cosa hai intenzione di fare adesso?"
"Ho incontrato una delle organizzatrici del provino. Mi ha dato questo bigliettino da visita e mi ha detto di chiamarla non appena avrò il mio book fotografico... So che non è molto, ma è sempre meglio di niente, che ne pensi? Secondo te equivale di più ad un 'sì' o ad un 'no'?"
"Non lo so. Le uniche cose che so è che tua madre ha lasciato un messaggio nella segreteria telefonica, ed il nostro turno al ristorante inizia alle tre. Riuscirai ad essere puntuale?".
Preferisco non rispondere alla battutina di Ashley e nascondo il viso dietro ad uno dei cuscini del divano.
Io ed Ashley non condividiamo solo lo stesso appartamento e la passione per lo shopping: anche lei si è trasferita a Chicago per inseguire il suo sogno legato al mondo dello spettacolo; ed anche lei spera che ogni provino a cui partecipa si riveli essere quello giusto, quello che cambierà la sua vita per sempre.
E, proprio come me, cade sempre in uno stato di perenne agitazione quando mancano poche ore al fatidico momento.
Provo a rassicurarla mentre ci occupiamo di sistemare alcuni dolci sul banco della caffetteria, ma mi blocco nello stesso momento in cui vedo un uomo passare velocemente davanti alla vetrina del ristorante, e la mia coinquilina è costretta a schioccare le dita della mano destra davanti ai miei occhi per farmi tornare alla realtà.
"Hai detto qualcosa?" domando, confusa, sbattendo più volte le palpebre.
"Sì, Gracey. Stavamo parlando del provino che devo affrontare domani mattina e all'improvviso ti sei pietrificata. Che cosa hai visto?" mi domanda a sua volta Ashley, sbirciando in direzione della vetrina ed osservando con curiosità i passanti.
"Nulla... Nulla... Io... Devo uscire per qualche minuto..."
"Che cosa? Sei impazzita? Il Capo sarà qui a momenti e dobbiamo ancora terminare di allestire il bancone prima dell'apertura! Non puoi lasciarmi da sola ad occuparmi dei dolci e dei tavoli! Quella iena mi ucciderà e ti sbatterà fuori da questo posto se non ti trova qui al suo arrivo... Ed io non ci tengo a perdere il lavoro perché tu devi andare ad inseguire le farfalle per le strade di Chicago"
"Ti prometto che resterò fuori solo qualche minuto, il Capo non si accorgerà neppure della mia assenza, ma tu devi coprirmi" rispondo, togliendomi il grembiule "quando se ne presenterà l'occasione, non esiterò a ricambiare il favore. Sono in debito con te"
"No, non sei in debito con me. Sei in pesante debito con me, Gracey".
Ignoro completamente le ultime parole che Ashley mormora ed esco dal ristorante correndo, cercando con lo sguardo l'uomo che ho visto passare davanti alla vetrina, lo stesso con cui ho parlato davanti al tavolo di una caffetteria appena poche ore prima, e lo trovo appoggiato ad un lampione, impegnato ad accendersi una sigaretta.
Anche se sono trascorsi sette anni dal giorno in cui ha fatto una sorpresa a me, Zack e mamma, pranzando insieme a noi, non è cambiamento minimamente, ad eccezione dei capelli che sono tornati del loro colore naturale e del pizzetto sul mento, striato di grigio; l'osservo in silenzio mentre ripone l'accendino in una tasca dei pantaloni per poi concentrarsi sulla sigaretta: prende una profonda boccata, l'allontana dalle labbra, soffia fuori una nuvola di fumo scuro, e ripete la stessa operazione diverse volte, finché nella sua mano destra non resta altro che un mozzicone, che finisce a terra, sotto la suola della sua scarpa destra.
Muovo qualche passo per avvicinarmi a lui, ma mi blocco all'improvviso, proprio come è accaduto al ristorante, quando vedo un ragazzino uscire da un edificio, insieme a tanti altri, e raggiungere Theodore; parlano per qualche secondo prima d'incamminarsi verso la mia direzione ed io, per non essere riconosciuta, sono costretta a nascondermi dietro il tronco di un albero.
Li vedo passare a pochi centimetri di distanza da me e, spinta da un impulso che non riesco a reprimere, decido di seguirli; ma dopo pochi minuti sono costretta a nascondermi nuovamente dietro il tronco di un albero perché Theodore si volta all'improvviso, probabilmente perché ha capito che qualcuno lo sta seguendo, e subito dopo sento il ragazzino rivolgergli una domanda, chiamandolo per nome.
"Perché ti sei fermato, Theodore?"
"Credevo di aver visto qualcuno, Ben, ma devo essermi sbagliato. Forza, torniamo a casa".
Aspetto una decina di secondi prima di tornare sul marciapiede e sono costretta ad accelerare il passo perché rischio di perderli tra la folla; li seguo fino ad un grazioso quartiere di villette e, riparata all'ombra di un vicolo, li osservo percorrere il piccolo vialetto di una abitazione bianca, a due piani, prima di sparire dietro la porta d'ingresso.
Solo a questo punto decido di tornare al ristorante, ma per tutto il tragitto, e per tutto il lungo turno che sono costretta ad affrontare a causa della mia incursione fuori programma, continuo a pensare all'ex compagno di mia madre ed al ragazzino che è andato a prendere a scuola: potrebbe essere suo nipote, ma durante la relazione che ha avuto con mia madre non ha mai accennato ad una sorella o a un fratello; in realtà solo ora mi rendo conto che non ha mai parlato molto della sua famiglia, anzi, se i miei ricordi non m'ingannano era un argomento che preferiva evitare accuratamente.
Potrebbe essere suo figlio ma, in quel caso, perché si è rivolto a lui chiamandolo 'Theodore' e non 'papà'?
E, sempre in quel caso, dov'è sua moglie? O la sua compagna?
Il giorno seguente decido di svolgere alcune ricerche personali, tenendo Ashley all'oscuro di tutto, e mi reco nel grazioso quartiere in cui Theodore abita; apro il cancelletto socchiuso, mi avvicino alla porta d'ingresso ed osservo le due targhette posizionate appena sopra il campanello, su cui sono incisi due nomi maschili: 'Theodore Bagwell' e 'Benjamin James Bagwell'.
Non c'è una terza targhetta con un nome femminile e questo mi fa pensare ad una possibile terza opzione: forse l'ex compagno di mia madre si è trasferito a Chicago in seguito ad un brusco divorzio e ciò ha compromesso il rapporto che ha con suo figlio; questo, almeno, spiegherebbe perché Benjamin non lo chiama 'papà'.
Dopo un momento di esitazione decido di suonare il campanello, con la speranza che qualcuno venga ad aprirmi, e nel frattempo cerco di trovare un'ottima scusa che non mi costringa a confessare il pedinamento del giorno precedente; i secondi passano velocemente, ma dall'altra parte della porta continua a regnare il silenzio più assoluto, faccio un secondo tentativo e poi mi allontano, delusa, perché ormai è chiaro che non c'è nessuno in casa.
Tuttavia non sono intenzionata ad arrendermi così facilmente e decido di fare un secondo tentativo qualche giorno più tardi, quando non devo recarmi a lavoro per l'ennesimo turno massacrante, e questa volta la fortuna è dalla mia parte: sotto il portico, intento a leggere un libro a gambe incrociate, c'è il ragazzino che mi rivolge un cenno di saluto.
Resto subito colpita dal colore dei suoi occhi, perché sono della stessa sfumatura di azzurro di un cielo estivo e completamente spoglio di nuvole.
"Stai cercando Theodore? Sei una sua amica?" mi domanda, inclinando il viso verso sinistra.
"Sì e... Sì"
"È laggiù" risponde lui, indicandomi un albero, e poi torna a concentrarsi sulle pagine del libro, lasciandomi confusa.
Capisco il senso delle sue parole non appena mi avvicino all'albero: alcune assi sono state inchiodate sul tronco in modo da formare una piccola scala che conduce ad una casetta di legno costruita sopra a due robusti rami; proprio dalla costruzione in miniatura proviene il rumore incessante di un martello che batte contro una superficie metallica, probabilmente quella di un chiodo.
Le mie supposizioni si rivelano esatte quando, dopo essermi arrampicata sulle assi, sbuco attraverso una botola che c'è sul pavimento della casetta e vedo Theodore impegnato a costruire il tetto: affianco a lui ci sono dei chiodi, sparpagliati, un cacciavite ed altri attrezzi.
È così concentrato che non si accorge della mia presenza.
"Disturbo?" chiedo, ad alta voce, per sovrastare il rumore.
Lui si blocca immediatamente, con il martello a mezz'aria, ma sul suo volto non appare un'espressione sorpresa, bensì un mezzo sorriso compiaciuto.
"Guarda, guarda..." dice poi, posando l'oggetto a terra "e così, alla fine, la mia inseguitrice ha deciso di palesarsi"
"Come sapevi che ero io?" domando, spalancando gli occhi, senza provare a difendermi o a fingere di non capire; ed in tutta risposta ricevo un altro mezzo sorriso, prima che riprenda ad occuparsi del tetto.
"Non lo sapevo, Gracey, quel giorno non sono riuscito a vedere in faccia la persona che mi stava seguendo. Ma dal momento che tu sei qui, ed io non ti ho mai dato il mio indirizzo, direi che il cerchio si restringe notevolmente, non credi?"
"Sì, direi che il cerchio si restringe notevolmente" mormoro, a mia volta, sedendomi a gambe incrociate sulle assi di legno "e poi, dal momento che non mi hai lasciato il tuo indirizzo, dovevo trovare un modo per proseguire la conversazione che abbiamo lasciato a metà dentro quella caffetteria"
"Sei sempre stata una ragazzina sveglia, intelligente e furba, ma è meglio se la tua carriera di stalker inizia a finisce qui, Gracey, perché potrebbe procurarti parecchi guai... Come è andato l'appuntamento?"
"Appuntamento?"
"Sì, quello che ti ha fatto correre fuori dalla caffetteria. Era un appuntamento romantico?"
"Ohh, no, no, no... Non era nulla di simile! Dovevo accompagnare la mia coinquilina ad un provino. Sai... Supporto morale" dico, guardandomi attorno, attorcigliando una ciocca di capelli con l'indice destro: non sono mai stata brava ad inventare bugie, ma preferisco evitare ancora di raccontargli il vero motivo per cui mi trovo a Chicago "io non ho un ragazzo"
"Buon per te, Gracey. E ricorda sempre quello che sto per dirti: i ragazzi sono solo degli animali con uno scopo ben preciso in testa, che non ha nulla a che fare con una cena a lume di candela o con una passeggiata al chiaro di luna. Compiono questi gesti solo per assicurarsi di arrivare il prima possibile al loro obiettivo"
"Ma in questo modo includi te stesso nella categoria"
"Io sto parlando di ragazzi. Non di uomini. E, comunque, esistono sempre delle rare eccezioni"
"E tu come eri da ragazzo? Eri come tutti gli altri o facevi parte delle rare eccezioni?"
"Ero... Un ragazzo" risponde, evasivo, senza darmi ulteriori spiegazioni.
Il silenzio ripiomba tra noi, e grazie ad esso noto un particolare che finora è sfuggito ai miei occhi.
"La tua mano sinistra" mormoro "l'ultima volta che ti ho visto avevi una protesi. Come riesci a muoverla perfettamente? E perché indossi quel guanto?"
"Gracey, è tardi. Forse faresti meglio a tornare a casa ora, non credi?".
Theodore non mi guarda, continua a fissare le tavole di legno che compongono il tetto della casetta, ma capisco ugualmente che le mie parole, in modo del tutto involontario, lo hanno irritato; e così sono costretta ad alzarmi dal pavimento ed a scendere la scaletta, mentre lui riprende il lavoro lasciato a metà.
"Non è andata molto bene, vero?".
Mi volto in direzione del ragazzino, ed annuisco con il capo.
"A quanto pare sono arrivata nel momento sbagliato... O forse, più semplicemente, non gradisce la mia presenza"
"La colpa non è tua, non è arrabbiato con te, è semplicemente di pessimo umore. Qualche giorno fa ho dimenticato di prendere le mie medicine e così abbiamo trascorso una notte in ospedale. E Theodore crede che la colpa sia sua. Forse dovresti riprovare a fargli una sorpresa uno dei prossimi giorni, sono sicuro che sarà più calmo... E sono sicuro che se porterai con te dei biscotti al cioccolato gli tornerà il buonumore. Sai, a lui piacciono molto i biscotti al cioccolato"
"Davvero?" domando, sorpresa.
"Sì, sono i suoi preferiti" risponde Ben, annuendo.
Rivolgo un sorriso al mio complice inaspettato e poi esco dal vialetto, chiudendo il cancelletto alle mie spalle.
Credo che seguirò il suo consiglio.
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