12. La smetti di darmi del lei?

È una dannata settimana che sono in ansia, in attesa che questa stupida malattia si presenti una seconda volta.

La dottoressa mi ha dato una medicina da prendere, delle pastigliette blu, per evitare attacchi bruschi e per avere la prontezza di fermarmi in tempo qualsiasi cosa stia facendo e chiamare l'ambulanza. Lo so che ovviamente l'epilessia non avvisa, incombe all'improvviso senza curarsi di dove tu sia o di cosa tu faccia, ma per quello che mi ha detto la dottoressa la mia forma rara di epilessia si può più o meno controllare, il ché per un certo verso è positivo.

«Ti vedo pensierosa.» dice Niall sedendosi sul divano vicino a me.

«Ehm... Si, non ti preoccupare. Sto solo pensando a come dire a mamma della malattia.»

Mia madre è all'oscuro di tutto in più non la sento da giorni e sicuramente starà impazzendo. Non voglio dirglielo perché si preoccuperebbe troppo e prenderebbe il primo volo da Chicago per venire da me e non voglio che prenda decisioni avventate.
L'ultima volta che ho risposto alle sue chiamate insistenti è stato subito dopo che sono uscita dall'ospedale e ovviamente come potevo dirglielo?

«Brook, tranquilla.» mi rassicura Niall appoggiando la sua mano calda sulla mia spalla.

«Ho solo un sonno pazzesco e non ho voglia di parlarle. Nel giro di un quarto d'ora mi ha fatto cinque chiamate. Non è normale eh.»

«Brook è tua madre, è normale che si preoccupi!» esclama alzandosi dal divano per andare in cucina mentre il timer del forno squilla.
Oggi Niall ha deciso di viziarmi con dei biscotti con le scaglie di cioccolato; dei cookies in poche parole. Sì, è mezzanotte, e sì, sto ingrassando a furia di abbuffarmi ma non mi interessa. Anche se diciamolo, i cookies di Niall non sono tra i più buoni in circolazione.

«Ehm, Brook,» dice lui venendo con la teglia in mano, «Si sono bruciati.»

«Non ci posso credere.» borbotto scoppiando a ridere, «Niall, una cosa buona dovevi fare, una sola, e non l'hai fatta. Perché vivo ancora con te?»

«Perché mi adori. Semplice.» controbatte facendo spallucce per poi tornare in cucina.

«Non giurarci.» urlo per farmi sentire. «Dannazione,» esclamo sentendo il mio telefono vibrare, «È mia madre.»

«Rispondile.» dice Niall con fare autoritario, «Non potrai tenerla all'oscuro di tutto per molto Brook.»

«Ma è quello che ho intenzione di fare.» faccio spallucce.

«Brooklyn Williams, rispondi a quel dannato telefono. È tua mamma ed è giusto che lo sappia.» mi ordina.

«Niall, lo sai com'è fatta. Urlerebbe, sverrebbe, urlerebbe di nuovo, sverrebbe ancora una volta, urlerebbe per la terza volta e prenderebbe un volo immediato per venire qui.»

«Come vuoi!» urla strappandomi il telefono dalle mani e rispondendo al posto mio, «Salve Maryanne!» la saluta.

«No Niall, merda!» sussurro digrignando i denti.

«Sì, è qui vicino a me, si era appisolata quindi ho risposto io. Ora gliela passo.» conclude porgendomi il telefono.

«Io ti ammazzo.» dico coprendo il microfono del cellulare, «Mamma...» la saluto falsamente.

«Brooklyn Georgia Williams.» sbotta arrabbiata, «Perché diavolo non mi rispondi da sette giorni?»

«Mamma non chiamarmi con quel secondo nome.» le rispondo sbuffando. Quel nome è orribile, non è nemmeno il mio vero nome sull'anagrafe, lo usa sempre quando deve sgridarmi. «Ero impegnata a scuola, lo sai.» continuo cercando di giustificarmi.

«Sei una bugiarda. In una settimana non è possibile che non hai avuto il tempo per rispondere ad una stupida chiamata di questa povera madre

«Non mi va di discutere, mamma. Sono stata tutti i giorni a preparare i compiti in classe per i ragazzi.» mento.

«Quasi un mese di scuola e già prepari i compiti? Che insegnante pallosa.» dice ironica.

«Nah, i ragazzi mi vogliono bene... Ancora per poco.»

«Ti ho già detto mille volte che tu-»

«Si, che sono portata per questo lavoro. Ormai so a memoria questa cantilena

«Beh, se è vero!»

«Forza diglielo!» mi incita Niall gesticolando.

«No.» esclamo.

«No cosa Brooklyn?» chiede mia madre dall'altro capo del telefono.

«Diglielo.» continua lui.

«Smettila.» mimo con le labbra.

«Brooklyn, che succede?» insiste lei.

«O glielo dici tu o sennò...» sussurra facendo scorrere il suo pollice in una linea retta su tutta la sua gola, minacciando di sgozzarmi.

«Me la pagherai.» sbuffo, «Mamma devo dirti una cosa.»

«Sei incinta?» chiede lei imperterrita.

«No, mamma, no. Per l'amore del cielo. Ma si può sapere perché con te ogni cosa va a finire là

«Errore di percorso. Su avanti, continua.» mi esorta.

«Devi promettermi di stare calma, che non prendi decisioni affrettate e non urli e smanii. Okay

«Si, Brook. Ora parla.» farfuglia.

«Mercoledì scorso non sono stata bene, ho iniziato a vedere bianco e sono svenuta. Mi hanno portato in ospedale e la dottoressa mi ha detto che ho... che ho una forma rara di epilessia.»

Dall'altro capo del telefono non sento nulla, sento solo il respiro stranamente pacato di mia madre.

«M-ma n-non c'è da preoccuparsi, cioè è una forma rara che mi permette, per fortuna, d-di accorgermi quando sta per venirmi una crisi epilettica. È strano lo so, perché di solito le crisi epilettiche non avvisano ma la mia si. La dottoressa mi ha dato delle pasticche per tenerla un po' a bada.»

Ancora silenzio. Non capisco se sia svenuta o cosa.

«Lo sapevo! Lo sapevo con non dovevo dirglielo. Tu, tu...» sussurro indicando il biondo tinto davanti a me.

«Si...ehm,» risponde respirando pesantemente, «Come ti senti

«Beh, di certo non sono entusiasta della notizia ma devo pur continuare a vivere la mia vita. Capisci vero?»

«Si tesoro, capisco. L'importante è che sei consapevole dei rischi che corri

Tutto qui? L'importante è che sei consapevole?

Mia madre non sbraita. Sta arrivando l'apocalisse. Lei é sempre stata iperprotettiva e ora non dice nulla? Forse starà andando a qualche corso di meditazione ma non ci giurerei.
Non che io non sia felice della sua reazione, senza urla e svenimenti continui, ma la cosa mi sembra alquanto strana.

«Oh, okay.» esordisco brevemente.

«Tesoro, stai tranquilla
Ah, ora è lei che tranquillizza me?

«Si, mamma. Ora sono solo molto stanca, qui è mezzanotte. Ci sentiamo domani, okay?»

«Certo, buonanotte Brooklyn

Metto giù e poso il cellulare dall'altra parte del divano per rimettermi stesa su di esso. Sbuffo e guardo Niall che sta sfogliando un catalogo dell'IKEA.

«Niall,» lo chiamo, «Per caso hai detto tu a mia madre tutto l'accaduto?» domando con fare interrogatorio.

«No.» taglia corto lui distogliendo lo sguardo dalla mia figura.

«Sai, Horan, mi sembra alquanto strano che mia madre non abbia fatto la pazza a telefono. Conoscendola avrebbe sclerato anche per una piccola febbre, e invece ora mi sembra in fase Zen.»

«Sai, Williams, le persone cambiano.» tenta di giustificarsi.

«Una donna di cinquant'anni non cambia le sue abitudini da un momento all'altro, Niall maledetto.» esclamo buttandogli addosso uno dei tanti cuscini che adornano il divano.

«Brutta stron-» non fa in tempo a finire la frase che prendo un altro cuscino e glielo lancio addosso con veemenza.

Sicuramente questa serata non finirà bene, per nessuno dei due.

***

«Ragazzi, mancano 5 minuti alla fine dell'ora, quindi sbrigatevi a consegnarmi questi dannati compiti.» annuncio alla classe.

Noto negli sguardi degli alunni attacchi di panico, ansie improvvise e possibili morti istantanee ma purtroppo il tempo è quello che è.
Non ho fatto un compito esageratamente difficile, andiamo! Essendo al primo anno il loro programma è molto basilare, infatti il compito è sul poema epico in generale. Argomenti che si sentono dalle elementari.

«Ecco a lei professoressa Williams.» dice un ragazzo bassino con le lentiggini. Ovviamente non ricordo il nome ma sicuramente ricorderò il modo in cui dice "professoressa Williams". Non per qualcosa ma ha la esse moscia.

«Vedete ragazzi! Queste sono le persone serie!» esclamo scherzando, rivolgendomi alla classe.

«Si ma Sam è un secchione prof!»
dice un altro ragazzo all'ultimo banco.

«Un compito più difficile non poteva mettercelo eh.» si lamenta un'altra ragazza con il ciuffo blu e i capelli a caschetto mentre mi porge il suo compito. Credo si chiami Nadine. Ripeto, credo.

«Andiamo ragazzi, era facile.» dico gesticolando.

«Si come no.» ripete il ragazzo di prima con tono insolente. Per essere un ragazzino di sedici anni è molto loquace e polemico.

«Dovete imparare a lamentarvi di meno e a scrivere di più.» borbotto alzando un sopracciglio.
Non appena finisco di parlare suona la campanella.
Tutti si alzando per consegnarmi il compito ed escono silenziosamente dalla classe.

«Ragazzi, state calmi, sono sicura che sia andato bene. Lo so, siete in gamba. Se casomai a qualcuno fosse andato male lo chiamerò all'interrogazione. Arrivederci.» cantileno mentre si accingono ad uscire dalla classe.
Una volta sicura di essere rimasta la sola in classe prendo la mia agenda per controllare i miei impegni nei prossimi giorni, non che siano tanti, per rendermi conto di quando possa correggere questi maledetti compiti in classe.
Dopodomani pomeriggio Niall mi ha obbligata ad andare con lui all'IKEA di Londra. Ormai si è fissato: vuole cambiare il colore delle pareti della sala e della sua stanza da letto.

Potrei correggerli tra oggi e domani, anche perché voglio avvantaggiarmi; nei prossimi giorni ho programmato altre verifiche e per mia sfortuna ho poco tempo per fare tutto.

Oltre al pensiero sul come e quando dire a mia madre della malattia questi giorni sono stati abbastanza tranquilli. Non ho visto Harry, il ché ha migliorato notevolmente le mie giornate. E sono stata a casa a riposare più del dovuto.

Di colpo bussano alla porta.
Mi giro e vedo Hannah.

«Ehi Brook!» mi saluta, «Posso entrare?»

«Certo, hai anche bisogno di chiederlo?» le rispondo ironica.

«No hai ragione.» ride, «Senti, ho visto che in quest'ora la tua classe è impegnata in un progetto di musica-»

«Ah non lo sapevo.» la interrompo corrugando la fronte.
Odio quando nessuno mi avvisa di queste cose. Possono sembrare banali ma se le venissi a sapere prima potrei organizzare meglio il mio tempo.

«Si, scusa, è una cosa che abbiamo saputo poco fa in segreteria.» mi spiega.

«Oh, okay, tranquilla.»

«Comunque, stavo dicendo...» continua, «Volevo ripagarti del caffè che mi hai offerto l'altra volta. Ti va se domani ci vediamo e te ne offro uno?»

«Anche se non devi ripagarmi di niente, assolutamente si, voglio uscire.» rido.
Al diavolo i compiti!
Mi ci vuole proprio uscire dopo giorni passati a casa. E non mi va nemmeno di deprimermi pensando e ripensando a questa maledetta malattia.

«Ti passo a prendere io! Lasciami l'indirizzo.» mi dice.

«Guarda, ti do il mio numero.» dico strappando un pezzo di carta da delle scartoffie che ho in mezzo all'agenda.

«Perfetto.» dice lei afferrando il biglietto col numero, «Ti passo a prendere per le cinque, ci stai?»

«Si, non ho nulla da fare, la mia vita è super monotona.» rido.

«Mai quanto la mia.» scherza, «Okay, vado. Se Harry mi vedesse ora avrebbe da ridire, come sempre, quindi è meglio che torni in segreteria.»

«Ma come fai a sopportarlo?» chiedo riducendo gli occhi in due fessure.

«Ci vuole pazienza con gli uomini.» dice timida.

«Si ma con Styles ci vuole un martello.» ironizzo.

«Si, anche.» ride lei.

«Non so come tu faccia,» ridacchio, «Ad ogni modo vai, sennò se la prende pure con me e non ho voglia di sentirlo. Ci sentiamo dopo.» la saluto.

«Certo, a dopo.» mi saluta lei uscendo dalla classe.

Di colpo sento il telefono vibrare. Sono sicura al 100% che sia Abby. Ha chiesto a Harry di cambiarle il giorno libero, quindi ora starà a casa e sicuramente, come sempre, vuole dirmi cose inutili, tanto per occupare il suo tempo da casalinga.

Guardo lo schermo, ed infatti è proprio lei.

Abby: Ricordati che mi hai promesso di andare a fare shopping. Ci tengo. E ricordati che tra una settimana c'è il compleanno di Stacey. Sarà un compleanno all'insegna della vecchiaia e del bingo, quindi preparati.

Come immaginavo.
Cose futili.
La conosco da poco ma è così prevedibile che a volte mi sembra di conoscerla da una vita.
E devo darle una medaglia perché mi ha ricordato del compleanno si Stacey.
Stacey è l'insegnante di Religione, ed ha 50 anni. È una persona molto materna ed ha un carattere molto pacato. Ogni volta che parla mi ricorda molto mia nonna, ma in senso buono.
Se fossi mancata al suo compleanno stile "tè delle cinque" non mi avrebbe perdonata molto facilmente.

Devo anche ricordarmi che devo andare a fare shopping con Abby. Ha insistito così tanto e non avevo voglia di sentirla predicare ogni singolo giorno e lamentarsi su quanto ormai i suoi vestiti siano poco adatti al suo nuovo look.

A pensarci bene mi servono nuovi vestiti; li ho tutti vecchi e alcuni si stanno logorando nel vero senso della parola!
Sono una persona a cui non è mai interessato l'abbigliamento o robe simili e quando ero un'adolescente non curavo molto il mio aspetto fisico perché lo trovavo una cosa superficiale.
Ovviamente la mia visione è cambiata nel tempo, è sempre bello vedere una ragazza curata con un filo di trucco. Anche perché poi ho scoperto l'universo maschile e allora il mio modo di vedere delle cose è cambiato, e non sempre in meglio.
Ne è un esempio Harry Edward Styles.

Brooklyn: Va bene, quando vuoi andare a fare shopping?

La sua risposta non tarda ad arrivare, ovviamente.

Abby: Oggi?

Brooklyn: Oggi devo cercare di correggere i compiti dei ragazzi, così me li levo.

Abby: E allora dimmi tu quando vuoi andare, siccome ogni volta che propongo qualcosa hai da ridire, rompi palle :*

Brooklyn: Che donna simpatica :P. Comunque non lo so... Ho già promesso a Niall di andare all'IKEA un giorno di questi, e domani Hannah mi ha chiesto di andare a prenderci un caffè. Così devo organizzarmi per finire di correggere questi dannati compiti. Ne ho quattro pile.

Abby: Hannah?

Brooklyn: Si Hannah.
La segretaria. Deficiente.

Abby: Ah, si, ce l'ho presente ma non ci ho mai parlato. È la scopamica di Harry giusto?
P.S. Deficiente tu.

Brooklyn: Si, ma... non credevo fossero scopamici, cioè pensavo stessero più o meno insieme.

Abby: Harry Styles non è tipo da relazioni. Almeno non lo è da un po'. Lui scopa e basta.

Brooklyn: Tipo Christian Grey di Cinquanta sfumature, solo che almeno lui alla fine diventa un minimo sentimentale. Povera Hanna.

Abby: Tanto non sarebbe la prima. Comunque propongo sabato prossimo, ma non voglio scuse.

«Signorina Williams.» mi chiama una voce maschile sull'uscio della porta. «Vieni nel mio ufficio.»

Harry dispotico Styles. Questa giornata stava andando così bene. Ed è strano che non mi abbia dato del lei.
Deve aver capito che se mi da del lei gli arrivano palle da bowling sul suo dragone verde.

Ma ora che diamine vuole?

«Allora,» esordisce una volta entrati nel suo ufficio, per poi sedersi sulla sua sedia di pelle, «Volevo parlarti delle gite dei ragazzi.»

Oh santo cielo, grazie!
È la prima volta che, venendo nel suo ufficio, non ha da ridire qualcosa. Ad esempio "vestiti diversamente" oppure "arriva in orario" o anche "smettila di essere così amichevole con i ragazzi" e tanto altro.
Che tra parentesi non capisco che problemi abbia con il mio modo di approcciarmi con gli alunni. Voglio dire, si, magari gli do confidenza ma so come farmi rispettare, senza ombra di dubbio.
Rimango in silenzio aspettando che continui quello che ha da dirmi.

«Silenziosa oggi?» mi chiede con fare provocatorio.
Eccolo, ci risiamo.

«Sto aspettando che continui. Io personalmente non ho nulla da dirti.» ribatto acida.

«Come sei acida.» mi prende in giro.

«Se non l'avessi capito questi giorni senza incrociarti sono stati i più belli di tutta la mia vita, quindi ti prego, non far cessare quest'aurea paradisiaca che mi sta intorno.»

«Signorina Williams, non credevo fosse capace di dire così tante cattiverie in una frase.» si finge offeso.

«Non darmi del lei.» gli ordino.

«No, in realtà è lei che dovrebbe mostrare più rispetto. Sono sempre il suo preside.» dice abbastanza irritato dal mio comportamento.

Quest'uomo ama darmi fastidio, la cosa è certa. E per me vale lo stesso; amo dargli fastidio.

«Okay,» sbuffo, «Allora, signor Styles, cosa deve dirmi riguardo queste dannate gite?»

«Okay, ora va meglio.» dice compiaciuto. Odio dargliela vinta. È solo che facendo così mi risparmio le sue battutine inutili. «A novembre le classi seconde andranno per tre giorni in gita. Non abbiamo ancora deciso dove portarli ma deve essere una tappa stimolante per la loro cultura.»

"Stimolante per la loro cultura." lo imita la voce nella mia testa con tono abbastanza irritato.

«Volevo semplicemente sapere se lei è disposta ad accompagnarli, eventualmente.»

«Devo regolarmi con i miei impegni,» ovvero nessuno, «e devo parlarne con Niall.»

«Lei ha impegni signorina Williams?» mi chiede con una faccia da pesce lesso stupito che colpirei volentieri con una padella.

«Si, signor Styles. Ho impegni.» dico a denti serranti.

«Ad ogni modo, mi faccia sapere e-»

«La smetti di darmi del lei? Non l'avevamo già superata la fase delle formalità? È scocciante, quindi smettila. Non vorrei ricordarti le amate filippine, o la palla sui tuoi gioielli.» sbotto più acida di prima.

«Punto primo: non abbiamo la stessa età. I miei 27 anni non si avvicinano ai suoi miseri 24,» ma sta scherzando vero? Ditemi che scherza, «Punto secondo: la smetto quando voglio. Siccome la sua insolenza non cessa non cesserà nemmeno il mio darle del lei. Punto terzo: si, mi ricordo delle filippine e tutto il resto ma pensa che mi importi? Beh affatto. Potrei farla fuori nel giro di 10 minuti.»

Sbuffo pesantemente.
Non ne posso più. Ho i nervi a fior di pelle e voglio uscire da questa dannata stanza.

«Okay, signor Styles. Se vuoi scusarmi ora ho da fare. Se questo è il tuo atteggiamento scordati completamente che io ti faccia il piacere di accompagnare dei quindicenni arrapati in una tappa "stimolante", o come diavolo vuoi chiamarla. Arrivederci.» esclamo furiosa mettendomi in piedi, per poi raggiungere la porta.

«Signorina Williams.» mi richiama.
Io inevitabilmente alzo gli occhi al cielo e mi giro.

«Cosa vuoi, Styles?»

«Deve imparare a non finire le conversazioni così. Mi dà alquanto fastidio.» dice stringendo una penna stilografica tra l'indice e il pollice talmente forte che se potesse parlare griderebbe aiuto.

«Quando imparerai a non darmi del lei, io imparerò a non finire le conversazioni così.» concludo uscendo dalla stanza senza salutarlo.

A Harry danno fastidio molte cose. Molte e troppe per i miei gusti.
È troppo perfettino, maniaco del controllo e dispotico, nonché nevrotico e presuntuoso.
"I miei 27 anni non hanno nulla a che fare con i suoi miseri 24."
Già, uomo vissuto.

«Stronzo.» sussurro troppo ad alta voce.

«Oggi siamo incazzati eh.» sbuca Louis alle mie spalle, «Scommetto che sei stata da Harry.»

«Sono così prevedibile?» rispondo accennando un lieve sorriso.

«Ormai si. Non vi sopportate.» dice ridendo.

«Louis, dammi un buon motivo per non legarlo ad una sedia e torturarlo.» bofonchio.

«Mi piacerebbe molto aiutarti a torturarlo ma ti dà duemila sterline al mese, quindi non ti conviene.»

«Ah giusto... Mi paga.» rido.

«Ora buco?» mi chiede.

«No, per quello che ho capito la mia classe ha un progetto di qualcosa e quindi sono impegnati anche nella mia ora. E tu?»

«Idem.» sorride.

«Ma tu non fai mai niente?» lo prendo in giro.

«Ehi! Mi sento profondamente offeso!» esclama fingendosi ferito,  «No, effettivamente non faccio niente ma intanto mi guadagno da vivere con poco. Mica sono come te che ho tre lauree.» dice per poi assumere un'espressione strana.

«Che? Io mica ho tre lauree.» gli rispondo ridendo.

«Ehm, si infatti... Si fa per dire.» dice imbarazzato.

«Wow ragazzo. Tu sei strano.»

«Non sai quanto.» mi fa l'occhiolino, «Comunque ora devo andare da Styles. Mi ha "convocato nel suo ufficio".» dice mimando le ultime parole con le dita.

«Si, dovrà parlarti della gita.» gli dico.

«Ah, figo. Adoro andare in gita.» urla facendo una piroetta su se stesso.

«Tu hai davvero qualche malattia mentale eh.» 

«E tu mi stai offendendo troppo!» afferma allontanandosi.

«Ti voglio bene.» urlo.

«Anche io.» dice per poi scomparire dietro la parete.

Adoro Louis.
È così genuino e sincero. Non potevo chiedere compagnia migliore.
Spero che questo possa durare a lungo...

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