Begin

Titolo: Begin

Era primavera, verso ormai metà Aprile, e Jungkook si trovava in un campo di ciliegi per ammirare i loro fiori ormai sbocciati. Il ragazzo adorava gli alberi di ciliegie, adorava il profumo dei fiori, il loro colore.

Quella mattina era andato in un centro storico-culturale giapponese, solo per rispettare, come ogni anno, la loro tradizione dell'osservazione dei ciliegi fioriti.

Lui amava quella cultura e soprattutto quella tradizione. E poi rimanere in silenzio immerso nella natura e nel relax più totale lo faceva sentire bene.

Era impegnato nell'osservare un certo esemplare di albero quando sentì un fruscìo dietro le foglie, che si mossero quasi come se il vento avesse soffiato in quella direzione. Il fatto è che non c'era neanche il minimo spiraglio di vento in quel luogo, neanche una piccola brezza. Niente di niente.

Il moro si protrasse in avanti per scoprire cosa fosse stato a provocare quel movimento, ma tutt'a un tratto sentì un altro fruscìo proprio dietro di lui e si girò di scatto. Vide davanti a lui una ragazza vestita come una geisha giapponese.

«Mao...» disse il ragazzo con un filo di voce, senza quasi accorgersene.

La ragazza, sentendo pronunciare il suo nome in un luogo così sacro dove parlare era severamente vietato, fece segno a Jungkook di fare silenzio e tese un braccio nella sua direzione. Il ragazzo strinse la sua mano nella propria e seguì la ragazza nel corridoio principale, dal quale si potevano vedere vari giardini pieni di alberi di ciliege e nel quale, cosa più importante, si poteva parlare, cercando comunque di mantenere un tono adeguato e rispettoso.

«Ciao, Haru...» disse lei sorridendo una volta fuori dai giardini. Era quello il nome con cui la giapponese chiamava Jungkook, perché nella sua lingua voleva dire, tra le tante cose, "primavera". E ogni volta che lo guardava pensava, tra le tante cose, a quella stagione e a come portasse serenità e calma alle persone. Vedere gli alberi che respiravano all'unisono, mentre i loro rami ondeggiavano grazie ai leggeri venti primaverili. Vedere i fiori sbocciati e distese infinite di colori accesi, ma che non stancavano mai. E Jungkook era così: un ragazzo iperattivo, pieno di vitalità, ma talmente coinvolgente in tutto ciò che faceva che non ti potevi stancare neanche a volerlo.

Gli aveva affibbiato quel nome - che casualmente era anche stato il nome di suo nonno, dal quale aveva imparato ad apprezzare l'arte dei ciliegi e di tutta la natura in ogni sua forma - tanto tempo addietro.

Jungkook avrebbe tanto voluto abbracciare la geisha, saltarle al collo e farle vedere quanto le fosse mancata, ma quel luogo non gliel'avrebbe mai permesso. Allora Jungkook si limitò a dire: «È da tanto che non ci vediamo.»

«Già... cosa fai nella vita?» chiese la ragazza sorridendo.

«Lavoro in un bar non lontano da casa mia che posso benissimo raggiungere a piedi. Inoltre sto facendo dei corsi di Giapponese. Tu, invece, sei diventata una geisha?»

«Oh, no» disse accennando ad una sottile risata. «Ho indossato quest'abito solo per tradizione» rispose mantenendo sempre il sorriso sul volto. Se solo Jungkook non avesse visto la carnalità di quel sorriso dal profilo della ragazza, avrebbe pensato che fosse stato pitturato dal rossetto rosso che lo copriva.

«Mi sei mancata tantissimo, Mao... dove sei stata tutto questo tempo?»

La ragazza, che fino ad allora aveva continuato a camminare col suo ventaglio giallo aperto davanti al petto, si fermò di colpo davanti ad una parete vetrata che mostrava un altro giardino. Non era molto più rigoglioso degli altri, eppure Jungkook lo trovò bellissimo. Rimase incantato da quel panorama, avrebbe voluto entrarci, ma voleva prima conoscere la risposta di Mao alla domanda che le aveva posto poco fa e alla quale la ragazza stava ancora pensando. Voleva conoscere il motivo per cui si fosse fermata all'improvviso, ma soprattutto... voleva sapere perché il sorriso della ragazza si fosse spento in un istante.

«Mao...?» la chiamò il giovane.

«Vedi, Jungkook...» gli rivolse uno sguardo veloce e tornò subito a guardare il giardino, dal quale non aveva staccato gli occhi neanche per un secondo. Un'altra domanda si era fece strada nella mente del ragazzo: perché l'aveva chiamato col suo vero nome? Da quando si conoscevano, l'aveva sentita dire il suo nome soltanto una volta. Si ricordava perfettamente quel giorno, e le parole che lei disse: «Jungkook... un bel nome, ma io ti chiamerò Haru, che nella mia lingua madre significa "primavera". Tu mi ricordi lei.»
Jungkook non aveva mai capito perché le ricordasse la primavera, ma la cosa gli piacque fin da subito, quindi non si fece mai troppe domande. «All'inizio non avevo intenzione si sparire.»

Il ragazzo quasi trasalì. Era ancora sommerso nei suoi pensieri e Mao era rimasta zitta tanto a lungo che il moro si dimenticò che la ragazza fosse sul punto di iniziare un discorso.

«Eppure...» disse lui con un tono un po' accusatorio.

«Non giudicare una persona senza sapere la sua storia, non è corretto.»

«Scusa, è che... te ne sei andata all'improvviso e io non ho più avuto nessuno con cui parlare...»

«Lo so e per questo mi dispiace, ma ho avuto le mie buoni ragioni per andarmene... se tu vuoi te ne parlerò, ma non sarà facile, sappilo. Né per me che racconterò né per te che ascolterai.»

«Non sei obbligata a dirmelo, se non te la senti.»

«Non ti preoccupare, avrei dovuto parlarne con qualcuno prima o poi.» disse la geisha triste, per poi interrompersi. Tranne per quando aveva guardato Jungkook dritto negli occhi poco fa, non tolse lo sguardo dal giardino neanche per un secondo. Probabilmente stava cercando la forza in quella visione perfetta del mondo, in quel giardino tranquillo dove regnavano la pace e la bellezza della natura. E il moro le era rimasto accanto tutto il tempo, anche lui immobile nella sua posizione. «Qualche anno fa fui abusata e da lì rimasi incinta. Non sapevo a chi poter chiedere aiuto, avevo paura di dirlo ai miei genitori. Ma poi dovetti trovare la forza e confessai la violenza che avevo subito. Nel frattempo erano già passati tre mesi. Ero ancora in tempo per abortire... sarebbe stato un enorme rischio dopo tre mesi, ma ero ancora in tempo. Tuttavia i miei genitori non avevano abbastanza soldi per pagare una spesa medica del genere e il paese più vicino dove questa "pratica" era legale distava cento kilometri da casa nostra.»

Jungkook sembrò notare una lacrima scendere sul viso di Mao, ma non disse niente. Non voleva interromperla né, tantomeno, metterla in imbarazzo. Sistemò la sua posizione, diventata ormai scomoda, bilanciando meglio il peso sui suoi piedi e aspettò che la ragazza continuasse il racconto.

«Ovviamente, dovetti partorire il bambino. Non sai la gioia nei miei occhi quando vidi che era una femminuccia. Quando l'ostetrica me la mise sul petto - ancora sporca perché avevo espressamente chiesto di vederla per la prima volta come mamma l'aveva fatta, letteralmente - mi dimenticai dell'abuso. Mi dimenticai di un pensiero orribile che era stato sostituito da una cosa meravigliosa, da una creatura meravigliosa. Ed era mia figlia, la mia bambina. Quell'esserino minuscolo aveva fatto sparire ogni ricordo orribile in un battibaleno. Me ne presi cura fino a quando non mi accorsi del colore dei suoi occhi: erano azzurri. Io sono giapponese, ho gli occhi scuri. Il padre, se così si può definire, era europeo. Un turista ubriaco che mi fermò per strada, portandomi in un vicolo. E appena mi accorsi di quell'azzurro acceso, pensai: come farò a guardarla di nuovo negli occhi senza pensare a lui e a quello che mi ha fatto? Sarebbe stato impossibile, capisci?»

La voce le si incrinò, il senso di colpa che ancora la dominava trasparì evidente dalla sua voce e la piccola lacrima che prima le aveva attraversato la guancia, coperta da un leggero strato di trucco bianco, si trasformò in più lacrime, che le sbavarono leggermente il trucco agli occhi e sulle guance, facendone intravedere la pelle porcellanata.

Neanche allora Jungkook disse niente, e Mao gliene fu grata. Voleva finire il discorso senza interruzioni, perché se qualcuno l'avesse fermata lei non sarebbe più stata capace di riprendere ad andare avanti.

«Allora feci una cosa orribile, forse anche più della violenza che avevo subito io. Un giorno, quando mio padre era al lavoro e mia madre era uscita a fare la spesa, presi la bambina e dei soldi, molti soldi - o almeno... per noi erano molti - e me ne andai. Abbandonai la bambina vicino ad un cassonetto in un posto abbastanza isolato, ma dal quale passava comunque un po' di gente. Lei era ancora dormiente, fasciata nella sua copertina di lana, quando la appoggiai a terra, ma appena mi voltai e feci qualche passo in avanti, si mise a piangere. Non so con quale coraggio, ma strinsi i denti e continuai a camminare. Le avevo dato anche un nome bellissimo, si chiamava Hana, che vuol dire "fiore". Avrei potuto prendermi cura io di quel fiorellino, avrei potuto crescerlo e farlo diventare una pianta, ma decisi di metterlo a terra perché potesse essere raccolto da un'altra famiglia che amasse i fiori ancora più di me.»

Stava piangendo. Quelle poche lacrime erano diventate una marea. Il moro decise allora di ignorare la sacralità del posto, che impediva addirittura il minimo contatto fisico, e prese la mano di Mao che non stava sorreggendo il ventaglio tra le sue. Era fredda, come il ghiaccio. Nonostante quel gesto, Jungkook continuò a non emettere alcun suono.

«Aspettai un autobus e me ne andai. Sparii per sempre dalla vita dei miei genitori, arrivando qui, in questo quartiere, e iniziai da capo. Ottenni un lavoro come lavapiatti durante il sabato e la domenica e come commessa durante il resto della settimana. Lavoravo sette giorni su sette per riuscire a guadagnare abbastanza. Un giorno però, incontrai un sacerdote giapponese e in poco tempo divenne il mio protettore. Su consiglio del sacerdote, decisi di affidare ai Kami, le nostre divinità, il mio corpo, facendo voto di castità, in cambio di protezione eterna. E adesso vivo presso questo sacerdote e più nessuno ha cercato di farmi del male da allora.»

Le lacrime erano sparite. La voce, durante le ultime frasi, non era sembrata più spezzata. Aveva ripreso il controllo sulle sue emozioni, mentre Jungkook l'aveva perso. Senza neanche accorgersene, si era messo a piangere insieme a lei.

Cercò di parlare, ma ci riuscì solo dopo qualche minuto di puro sforzo fisico per fermare le lacrime in avanzamento, gesto che gli bloccò il collo provocandogli solo un dolore tremendo.

«Mao, io... non so davvero cosa dire. È una storia assurda, orribile!» Jungkook fu tentato più volte di abbracciarla per dimostrarle quanto lui le fosse vicino e per darle tutto il suo supporto, ma non voleva esagerare col contatto, soprattutto dopo aver sentito del voto ai Kami.

«Avrei un'altra confessione da farti, Haru... una cosa che avrei voluto dirti da un sacco di tempo. Dal primo giorno in cui ti ho visto, io ti ho amato.»

Per il moro quella notizia fu scioccante. Si concesse qualche secondo per metabolizzare la nuova e poi scoppiò: «Anche io ti amavo, Mao! Avremmo potuto crescere quella bambina insieme, avresti potuto venire da me e ti avrei protetto da tutto e da tutti. Perché non mi hai mai confessato il tuo amore?!»

«Per lo stesso motivo per cui sono sicura che anche tu non mi abbia detto niente... per la paura del rifiuto. E poi eravamo migliori amici, lo siamo stati fin dall'inizio. Ci siamo sempre stati, fin dall'inizio. Non volevo rovinare tutto.»

«Avremmo potuto essere una famiglia» continuò il ragazzo piangendo. Questa volta fu Mao a infrangere le regole del contatto e lo abbracciò.

«No, Haru, non saremmo stati mai niente» disse con un filo di voce tenendo il ragazzo tra le sue braccia, la faccia di lui affondata nell'incavo del collo di lei.

«Non avresti dovuto soffrire così tanto, non te lo meritavi.»

«Lo so, ma la gente non ha quello che merita, ha quello che le capita. E nessuno di noi può farci niente*.»

«Se solo l'avessi saputo prima... se solo l'avessi saputo, ora staremmo crescendo quella bambina insieme.»

«Mi dispiace, Haru... mi dispiace davvero tanto.»

E la ragazza, contro qualsiasi regola, sia del luogo sacro sia del suo patto con i Kami, prese il viso del moro tra le mani e lo avvicinò al suo, fino ad azzerare le distanze per concludere la storia con un bacio. Quello era di certo un amore impossibile, ma che sarebbe durato in eterno.

THE END

conclusa alle h 4:04 AM + aggiunta delle 4:17/4:18 AM
revisione conclusa alle h 3:30 PM
iniziata il giorno: 30/08/2019
conclusa il giorno: 31/08/2019
parole: 2082 (solo storia)
parole: 2638 (totali)

* SOLO e SOLTANTO questa frase non è mia

Spazio Autrice

ciao ARMY! spero che questa os sul nostro golden maknae vi sia piaciuta. ci ho lavorato davvero tanto e scriverla per me è stato bellissimo!
spero che vi regali le stesse emozioni che ha regalato a me :)

detto questo, buon compleanno jeon jungkook, e baci a tutte.

qui sotto vi lascio lo speciale!

*SPECIALE*

Caro Jeon Jungkook,

molto probabilmente non leggerai mai questa storia né quello che ti sto scrivendo adesso.
Ma io voglio comunque scrivere ciò che provo per te, per renderlo noto a tutti, o almeno a chi leggerà...

Secondo me sei una tra le persone più care al mondo. Non sei solo un bravo cantante e un eccezionale ballerino. Non sei solo bello come lo schifo. Sei anche buono. Sei una meraviglia di persona, una di quelle belle, sia fuori che dentro.

Ti impegni e dai il massimo per qualsiasi cosa tu faccia. Ho visto alcuni Run BTS! quest'estate e davvero... non ho mai visto una persona impegnarsi così tanto per un semplice gioco!
Tu l'impegno lo metti in ogni cosa, pure in quella che sembra la più stupida, e questo ti fa onore.

Inoltre hai un valore fondamentale che è il rispetto.
Mi ricordo di quando i BTS ti hanno fatto uno scherzo per il tuo diciassettesimo compleanno, dicendoti che stavi sbagliando la coreografia. Tu, come al tuo solito, hai dato il massimo, ed eri anche convinto di avere ragione e di non star sbagliando, perché in effetti non stavi sbagliando.
Ma quando hai sentito Namjoon dirti che dovevi concentrarti di più, ti sei scusato e hai provato ancora e ancora, mostrando una forza di volontà incredibile e rispettando il tuo Hyung e leader della band.

Poi sei dolce, ovviamente quando non provochi le fan a saltarti addosso, ma... hai la dolcezza nel sangue. La stessa dolcezza che hanno i bambini. Faresti di tutto per i tuoi Hyung, sono la cosa più importante che hai, l'hai detto tu stesso. E anche questo dimostra quanto tu sia buono!

Jeon JungKook, hai una voce stupenda. La prima volta che ho ascoltato Euphoria, ho premuto il tasto "ripeti" per tutto il giorno e anche per i giorni successivi. Dire che l'ho ascoltata un centinaio di volte quel giorno è dire poco, e non sto scherzando.

Poi ho ascoltato la tua cover di We Don't Talk Anymore, e mi sono innamorata di te una volta di più. Leggere il testo e sentire te che pronunciavi quelle parole, quasi fossero state tue, mi ha fatto venire i brividi. Penso che la tua cover sia molto meglio dell'originale.

Kookie, mio caro Kookie. Tu non sai quanto ti amo. Tu non sai le notti che ho passato pensando a te e a quanto fossi tremendamente stupendo.
Penso che se ti dovessi mai incontrare sverrei.

Sei una delle persone migliori del mondo e ti ringrazio per aver reso quest'anno uno dei più belli della mia vita (insieme ai tuoi "fratelli")

Ti amo, Jeon Jungkook, spero solo tu un giorno possa saperlo <3

Auguri, piccolo mio, e ricorda... non importa quanto crescerai, per me rimarrai sempre il bambino dei BTS, il meraviglioso bambino dei BTS!

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