CAPITOLO 17.

Sono passati tre lunghissimi giorni da quel maledetto venerdì.
Tre giorni di apatia totale, in cui non ho proferito parola con nessuno.
Non ho la forza nemmeno di scendere per mangiare, dovrei dare spiegazioni ai miei e non meritano di sapere cosa mi ha fatto quel verme, almeno non per ora, anche se credo gli abbia accennato qualcosa Isaac.
Dovrò essere io a dirglielo, ma quando la ferita non brucerà più così tanto.

Ho deciso di non andare a scuola stamattina, per prendermi altro tempo per me, per riflettere a mente lucida.
Sono qui, nel mio letto a fissare il nulla da tre interminabili giorni.
Non riesco a farmi capace di come si è rivelato quel ragazzo che credevo di amare alla follia.
Fino a quel momento andava tutto così bene, o meglio, più o meno, ma per colpa mia.
Avevo intenzione di raccontare a Jason del bacio con Cameron, ma mai nella vita avrei immaginato, nemmeno nel più remoto dei pensieri, di vedere ciò che ho visto.
Mi ha distrutta, ha distrutto la mia vita.
Tutto ciò che credevo esistesse fino ad ora in realtà non è mai esistito, se non nella mia immaginazione.
Ero così piena di Jason e di quello che provavo per lui, che non mi sono accorta di tutto il resto.
Non è mai esistito il mio ragazzo, non è mai esistito il mio migliore amico, non è mai esistito un bel niente, se non bugie e tradimenti su tradimenti.

Decido sia ora di dare una svolta alla mia vita. Accendo la cassa e la collego al mio telefono e faccio partire la playlist. Quando comincia alzo tutto il volume per immergermi totalmente nella musica.
Chiudo gli occhi, e quando li riapro faccio la prima cosa che mi viene in mente: distruggere tutto ciò che mi ricorda di loro.
Comincio dalle foto: straccio tutte quelle che avevo appeso per la stanza in mille pezzi.
Mi capita tra le mani la foto che mi ha dato Ray prima di partire: noi tre, San Valentino, io e Jason che ci baciamo e Ray da solo. Ad oggi credo che forse quella sola in questa foto sarei dovuta essere io, non lui.
Una lacrima mi scende sulla guancia, e la asciugo con il dorso della mano. Urlo, urlo più che posso, per permettere alla tristezza che mi invade di uscire dal mio corpo, di andare via per sempre portando con sé le brutte persone che credevo le più importanti della mia vita, quelle che si sono prese gioco di me e che mi hanno presa in giro.
Distruggo tutti i regali, tutto ciò che trovo davanti agli occhi che in un modo o nell'altro ha a che fare con loro.
Quando ritengo di aver finito, mi siedo sul letto e chiudo gli occhi per un attimo, poi mi alzo.
Vado in bagno e, passando davanti allo specchio, noto una versione di me che probabilmente non avevo mai visto.
Mi sono ridotta come uno straccio, ho lasciato io mi riducesse così.

È il momento di mettere un punto a questa situazione.
Entro nella doccia e comincio a lavarmi, poi esco e mi vesto, indossando un semplice pantalone di tuta con una t-shirt nera, poi indosso le scarpe.
Oggi c'è il primo allenamento con la squadra, e non posso mancare. Quindi, anche se non sono in vena, decido di andarci.
Preparo le mie cose e le metto nello zaino, per nasconderle ai miei genitori e scendo di sotto lasciandolo sul divano.
Mi guardano come se avessero visto un raggio di sole in un mondo che vive al buio.
Mia madre viene subito ad abbracciarmi, e io ricambio l'abbraccio, cercando di non piangere.
"Mangia qualcosa, ti prego" mi implora.
"Okay" dico con un filo di voce.
Mi siedo a tavola e lascio che mia madre apparecchi.
Mi porge davanti un piatto di pasta al sugo, e io mi costringo a mangiarlo, ma solo per non sentirmi male durante gli allenamenti.
Finisco l'intero piatto sorprendendomi, ed esco di casa, dicendo ai miei che sarei andata a studiare da Cheryl.

Arrivo a scuola con qualche minuto di ritardo, ma le ragazze che sono in squadra con me mi rassicurano di essere in tempo.
Entro nello spogliatoio ed indosso il costume, notando che mi sta un po' stretto.
Dovrò provvedere a comprarne uno nuovo.
Lego i capelli in uno chignon scombinato e metto la cuffia.
Prendo gli occhialini ed entro in piscina, dove l'odore di cloro invade le mie narici. Ora si che mi sento a casa.
Il fischio dell'allenatore ci richiama e ci dirigiamo tutte nella sua direzione, disponendoci a semicerchio intorno a lui.
"Benvenute in squadra ragazze!" dice soddisfatto e sorrido lievemente.
"Dovremmo impegnarci duramente per le competizioni di quest'anno, le squadre che sfideremo sono davvero forti. Ma so che con il dovuto allenamento possiamo farcela!" continua con un sorriso. Spero di non deluderlo.
Ci spiega il tipo di esercizi che faremo oggi e successivamente entriamo in acqua. Lascio che l'acqua accarezzi il mio corpo, cosa che ho sempre amato di questo sport: la sensazione di essere così leggera, così libera di essere me stessa.

"Ottimo lavoro ragazze, a mercoledì!" dice il mister a fine allenamento mentre io e le altre usciamo dalla piscina.
Tolgo gli occhialini e sfilo la cuffia, per poi andare a fare la doccia.
Asciugo lentamente i capelli e quando ho finito indosso di nuovo i vestiti che avevo prima.
Prendo la borsa ed esco, per dirigermi in centro per comprare un costume nuovo.
Spero con tutta me stessa di non incontrare nessuno, semplicemente perché nessuno sarebbe in grado di capire come mi sento.
Esco dal grande cancello d'entrata della scuola e mi incammino verso i negozi, quando una voce mi chiama. Oh no!
"Ciao Allie" la voce di Cameron risuona nella mia mente mille volte, prima che io risponda.
"Ehm.. ciao" mi limito a rispondere. Non abbiamo più parlato da quel bacio, e devo dire che sono abbastanza in imbarazzo, poi dopo tutto quello che è successo..
Indossa la divisa della scuola ed ha con se il borsone, quindi deduco abbia appena finito gli allenamenti, proprio come me.
"Come.. come va?" chiede, percepisco l'imbarazzo anche nella sua voce, infatti porta la mano dietro la testa e si massaggia la nuca: tipico di Cameron.
"Va" rispondo fredda, voltandomi e continuando a camminare.
"Dove stai andando?" mi chiede raggiungendomi.
"A comprare un costume nuovo" dico senza guardarlo.
"Ti accompagno" si impone, come al solito.
"Cameron, non ho voglia dei tuoi giochetti, non oggi" mi fermo per guardarlo, e il suo sguardo penetra nei miei occhi.
"Allora vieni con me senza fare storie" sorride. Ma come si fa a dire di no?

Arriviamo alla macchina e appena salgo indosso la cintura. Alla fine ho ceduto, anche perché con questo ragazzo ho perso in partenza. Mi avrebbe seguita per tutto il tragitto se avessi detto di no, quindi ho preferito evitare.
"Cosa vuoi ascoltare?" chiede accendendo la radio.
"Niente" rispondo continuando a guardare avanti. Sento il suo sguardo su di me, ma non risponde e spegne la radio.
"Sei strana" ammette, e vorrei tanto urlargli il motivo per il quale sono così 'strana', ma me ne sto zitta.

"Arrivati" dice dopo circa dieci minuti. Siamo davanti ad un centro commerciale qui a Miami, in un parcheggio pieno zeppo di auto. Come la troviamo di nuovo la macchina?
Proseguiamo senza parlare, Cameron ogni tanto mi guarda e io cammino con lo sguardo basso. Odio sentirmi così vulnerabile, e odio ancora di più sentirmi in questo modo davanti a lui.
Entriamo nel grande magazzino e l'aria condizionata avvolge il mio corpo, provocandomi un brivido. In questo posto la usano in modo scorretto, sembra di essere in inverno, c'è quasi bisogno del cappotto.
Camminiamo per il centro finché non noto un piccolo negozietto che vende articoli sportivi.
Sembra averlo notato anche Cameron, infatti quando mi giro verso di lui noto che è già dentro.
Entro anch'io e noto con mio grande piacere che ci sono infiniti modelli di costumi, alcuni più semplici altri impreziositi da tessuti più particolari e anche delle pietre luminose.
Decido di rimanere sobria prendendo quello nero, anche se sono troppo tentata di acquistare quello arancio fluo. Cameron mi ha guardata con una faccia orribile dopo che gliel'ho mostrato, ma infondo so che piaceva anche a lui.
Andiamo verso la cassa e, quando arriva il mio turno, passo il costume alla commessa.
"Sono trenta dollari" dice con un sorriso. Prendo il portafoglio dallo zaino ma, quando rivolgo lo sguardo verso la cassa, noto di essere stata preceduta da Cameron.
"Fai finta che è un regalo" afferma sorridendo.
Potrei sciogliermi da un momento all'altro, ma non posso lasciarglielo pagare, così quando usciamo dal negozio lo imploro quasi di prendersi i soldi, ovviamente i miei sono tutti tentativi vani.

Dopo aver cenato in un piccolo ristorante nel centro, usciamo e all'aria calda torna ad impadronirsi del mio corpo. Tutti questi sbalzi di temperatura mi uccideranno prima o poi.
Gironzoliamo nel parcheggio per quindici minuti, senza trovare la macchina. Quando però le speranze sembrano essere svanite: "Eccola" strilla Cameron indicandola e ridendo, io lo seguo.
"Andiamo al mare" propongo. Ho voglia di passare del tempo con lui, ho voglia di scoprirlo, perché mi sta mandando fuori di testa. Ed è da quando sono con lui che ho smesso, per la prima volta dopo giorni, di pensare a Jason.
"Stavo per chiedertelo" risponde.

Arriviamo in spiaggia e ci sediamo per terra, con un tramonto mozzafiato proprio davanti a noi. Amo questo momento della giornata, è il mio preferito. E sono davvero fortunata da poter essere qui, al mare, per vedere uno spettacolo del genere.
Mi piacciono i tramonti come questo, pieni di luce, quelli che irrompono da qualche angolo nascosto del cielo, con quei colori che variano dal rosa al viola, al giallo e all'azzurro. Quei tramonti che ti ricordano perché sei vivo.
Respiro l'aria che viene dal mare, dà ancora quella calda sensazione d'estate; mi riporta indietro nel tempo, a quando il mio unico problema era dover scegliere cosa indossare per il falò della sera.
Mi volto per guardare Cameron, che è seduto accanto a me ed ha chiuso gli occhi. Lo imito per godermi a fondo questa emozione, mista tra nostalgia di un qualcosa che è probabilmente finito troppo in fretta, come non ti saresti mai aspettato, e serenità: la serenità di poter ricominciare da capo, anche se con qualche parte mancante, anche se più fragile di quanto non lo sia mai stata.
Apro gli occhi per concentrarmi su di lui: è così calmo in questo momento, chissà cosa sta pensando. È entrato nella mia vita come un tornado, e mai avrei pensato di poter aver a che fare con uno così. Si sa, i ragazzi più fighi della scuola sono quelli pieni di sé, che non vanno oltre il proprio riflesso allo specchio, che vanno con una ragazza diversa ogni sera, dimenticandola totalmente il giorno dopo. Ma Cameron no, lui è diverso. Si, è vero, ha anche lui una barbie a portata di mano, ma quando siamo insieme c'è un qualcosa che si crea che non riesco a spiegare a parole, qualcosa di cui non ero neanche a conoscenza. Tuttavia, anche se non riesco a definire questo mix di emozioni, mi piace ciò che sento, mi fa sentire libera e mi dà quella spensieratezza che credevo aver perso. Mi allontana dai miei pensieri, permettendomi di concentrarmi solo sul momento che sto vivendo, come se tutto il resto non esistesse.
Siamo qui senza parlare, eppure pare di aver detto tutto, come se Cameron fosse in grado di leggermi nella mente. È esattamente così che mi sento, sembra di essermi aperta con lui senza aver detto assolutamente nulla.
È proprio vero che a volte un silenzio vale più di mille parole.
Il cielo diventa man mano sempre più scuro, facendo svanire quei colori meravigliosi, e dando spazio al venticello fresco tipico dell'autunno che sta per arrivare.
Passare del tempo con lui, questo ragazzo misterioso e un po' pieno di sé, mi ha alleggerita da quell'enorme peso che mi opprimeva il cuore, per un attimo ho staccato la spina da quel dolore lancinante.
"Credo sia ora di andare" è lui a rompere quel silenzio durato forse un po' troppo, ma che mi aveva fatto capire infinite cose.
Ho finalmente capito, dopo giorni di agonia, che non devo dar modo ad uno stupido ragazzo di ridurmi nel modo in cui mi sono ridotta e, seppur ha fatto, fa, e farà male ancora, sarà sempre più bello allontanarsi da questo dolore. Lo farò con il sorriso, con il mio modo solare e vivace di vedere le cose, anche quando mi pareva tutto nero, cosa mi ha sempre contraddistinta e ciò che più mi piace di me: vedere sempre il buono in tutto, anche se spesso fa male. Scovare sempre la luce, anche se solo un puntino lontano nel buio, infondo al tunnel.
"Credo di sì" rispondo finalmente.
Ci alziamo senza proferire parola, in quel silenzio che ha regnato per l'intero pomeriggio, che non è per niente imbarazzante.

Comincia a camminare e io lo seguo, arrivando alla macchina dopo qualche minuto.
"Grazie" sussurro quando siamo ormai partiti.
"Di?" chiede voltandosi per un secondo verso di me.
"Oh.. ehm.. nulla" balbetto.
Torna a guardare la strada ed io continuo a guardarlo. Quei lineamenti così puri e semplici, rendono il suo viso così armonioso anche se con un'espressione così seria.
Appena siamo davanti casa faccio per scendere, ma lui mi ferma.
"Grazie a te" dice e io mi fermo.
"Di?" ripeto le sue stesse parole.
"Non hai idea di quanto mi abbia fatto stare bene stare con te oggi" spiega e il mio cuore fa una capovolta, ma che mi prende? Sorrido timidamente.
Comincia ad avvicinarsi, portando la sua mano sulla mia guancia, permettendomi di sentire tutto quel calore di cui avrei bisogno in questo momento. Sento il profumo ormai familiare del suo respiro, che come al solito sa di menta, ma non posso, così lo fermo. Non posso soffrire di nuovo, e per quanto mi piaccia tutto quello che si sta creando con lui mi sento così vulnerabile che un'altra delusione sarebbe il male per me.
"Non posso, scusa" affermo e scendo dall'auto.
Rimane a guardare finché non entro in casa, e quando mi volto verso di lui prima di varcare la soglia mi sorride, e io non posso far altro che ricambiare.

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