2.Sogni dolorosi
Chloé si strinse forte nelle spalle, mantenendo gli occhi ancora fissi sul terreno di ghiaia che si trovava sotto ai suoi piedi.
A circondarla, una distesa di alberi verdi e rigogliosi, uno svelto viavai di gente indaffarata per il lavoro, e qua e là lo scalpiccio dei piedi di un bambino.
Ma la tranquillità e la spensieratezza che regnavo nel parco quasi facevano a botte con il suo stato d'animo, tanto freddo e cupo da congelare l'aria.
- Signorina Bourgeois? -
In un attimo, il corpo di Chloé fu sbalzato indietro sul proprio lettino, e quel brutto sogno svanì, soffocato dalla voce della sua psicologa.
- Mi racconti che cosa ha visto, una volta lì. -
Allora Chloé sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di riprendere contatto con la realtà.
- Un parco. - rispose, poi, atona.
Sapeva benissimo che la dottoressa Lemaire non l'avrebbe mai lasciata andare con così poche informazioni, ma in quel momento non riuscì a dire altro.
Aveva la gola molto secca, e il solo cercare di parlare le provocava un forte pizzicore alle corde vocali.
- Com'era? - le domandò la donna, inducendola a continuare.
- Pieno di gente. -
Esitò per un attimo, prima di ricominciare a pensare.
- Le... - deglutì. - Le persone andavano avanti e indietro in modo molto frettoloso, come in una di quelle strade trafficate del centro. -
- E lei che cosa faceva? - la psicologa si chinò in avanti per prendere qualche appunto.
- Nulla. Rimanevo seduta lì, sulla panchina, e continuavo a fissare il terreno. Non riuscivo più a distogliere lo sguardo. -
- Guardava qualcosa nello specifico? -
- No. Non c'era niente da guardare. -
A quel punto, la dottoressa Lemaire la guardò dritta negli occhi, la penna stilografica sospesa in aria, la curiosità insita nella sua voce.
- E dopo? Cosa è successo? -
Chloé sospirò, ma il macigno che aveva sul cuore si fece ancor più pesante.
- Una donna si è avvicinata a me e mi ha parlato. -
- No, in realtà mi ha... Prima mi ha afferrato per una spalla e poi mi ha detto... -
- Ha detto di essere mia madre. E di non avermi mai voluta abbandonare. -
A quel punto non poté far altro che portarsi due dita sotto agli occhi, nel chiaro tentativo di trattenere le lacrime.
La dottoressa Lemaire annuì, continuando a scrivere.
- E... Che aspetto aveva? Se lo ricorda? -
- N-no, io... Io non riuscivo a guardarla. Non riuscivo a... A-a spostare lo sguardo su di lei. Ero come bloccata in quella posizione, non potevo muovermi. - fu proprio allora che iniziò a piangere, e la sua voce si incrinò.
- Mi dispiace, io... - tirò su col naso, imbarazzata.
- Non c'é nulla di cui dispiacersi. Sfogarsi le fa bene, mi creda. - la psicologa la tranquillizzò, mantenendo un tono di voce caldo e premuroso.
- Ora... Provi a raccontarmi tutto ciò che le viene in mente, anche il più piccolo ed insignificante dei suoi pensieri. -
- Riguardo a... Mia madre? -
- Riguardo a qualsiasi cosa. -
- Va bene. -
Chloé strappò un fazzoletto di carta da un contenitore posto vicino al suo lettino, e si soffiò il naso con forza.
- Okay, allora... Ehm, sto pensando che... - - Be'... - esitò, non riuscendo a trovare le parole adatte.
- Non abbia timore: può prendersi tutto il tempo che vuole. -
Chloé annuì, già rincuorata.
Si fermò per un istante, e chiuse gli occhi per focalizzarsi interamente sui propri pensieri.
- Sì, ecco... Sto pensando a tutte quelle volte in cui, da piccola, i miei compagni mi chiedevano dove fosse mia madre. E... E io stessa non sapeva dar loro una risposta, perché... -
Tirò su col naso.
- Be', perché mio padre non me l'ha mai data. -
Sospirò, chiudendo gli occhi per un secondo di troppo.
- Lui non l'ha nominata neanche una singola volta nelle nostre conversazioni. Non mi ha mai permesso di conoscerla anche soltanto attraverso delle semplici fotografie, dei video, delle lettere... Nulla. -
- E credo che sia colpa sua se non sono ancora riuscita a dimenticarla. -
A quel punto smise improvvisamente di parlare, ed appoggiò la testa sullo schienale del suo lettino, cercando di riprendere fiato.
- E perché pensa di doverla dimenticare? -
Chloé si girò a guardarla con entrambe le sopracciglia aggrottate, quasi si trattasse della domanda più stupida che le fosse mai stata posta.
- Ma é ovvio il perché: così non starei più male per lei. - rispose, senza alcuna esitazione.
- Quindi lei crede che, se avesse avuto la possibilità di cancellarla completamente dalla sua vita, ora sarebbe più felice? -
La sua pareva quasi una domanda retorica, tanto che Chloé dovette rifletterci un po', prima di poter ribattere.
- Io... Io non lo so, insomma... Credo di sì. -
Si issò velocemente a sedere, lo sguardo perso verso il fondo della stanza e le labbra curvate all'ingiù in una smorfia di tristezza.
- O forse no... Forse continuerei comunque a sentirmi così... -
I suoi occhi azzurri erano ormai spenti, puntati altrove, e la postura delle sue spalle incurvate in avanti tradiva una certa insicurezza, o forse persino paura.
Paura di essere irrecuperabile persino per la terapia.
Paura di non riuscire più a ritrovare la propria serenità, in un mare di ricordi sbiaditi e di errori imperdonabili.
Nonostante tutto, però, circa un'oretta e mezza dopo, Chloé uscì dallo studio della sua psicologa con un peso in meno sopra al petto, e si ritrovò a tirare su un lungo sospiro di sollievo.
Iniziare quelle sedute era stata la decisione migliore di tutta la sua vita, doveva ammetterlo.
Non avrebbe mai pensato che riflettere ad alta voce riguardo ai propri sentimenti potesse essere così liberatorio, ma in effetti lo era eccome.
Sognare sua madre l'aveva resa molto nervosa, tanto che quella mattina aveva faticato parecchio ad alzarsi dal suo letto, e l'unica cosa che avrebbe voluto fare era rimanere accucciata sotto le coperte per tutta quanta la giornata.
Ripensare a lei diventava sempre più doloroso: era come riaprire una vecchia cicatrice per farla sanguinare ancora e ancora e ancora una volta.
D'altro canto, sua madre era sempre stata il più grande chiodo fisso della sua mente, e se non pensava a lei finiva per pensare a Sabrina, in un circolo vizioso senza fine.
"Oh, Sabrina, Sabrina..."
Non importava quante volte ci avesse provato, perché non riusciva proprio a levarsela dalla testa.
E ora che finalmente credeva di aver fatto un passo in avanti con lei...
Be', aveva realizzato di essersi soltanto illusa.
Perché il coraggio con cui aveva imbrattato di inchiostro quel foglio, la sera prima, ora era svanito completamente, lasciando spazio alla paura.
Paura di allontanarla da sé, di vederla andare via per sempre come aveva fatto sua madre.
Paura profonda ed infida, che la tormentava da tutto il santo giorno, e proprio a causa dello stupidissimo sogno che aveva fatto.
E se quello fosse stato un presentimento?
Se il destino avesse voluto mandarle un messaggio, dirle di fermarsi, di tornare indietro sui suoi passi per evitare di commettere un errore?
In fin dei conti, quante altre possibilità c'erano che sognasse sua madre proprio la notte in cui aveva scritto quella lettera?
- Ehi, Marinette... Scusami tanto per l'orario, so che é quasi ora di pranzo, ma ho realmente bisogno di parlare con te, perché...
Be', lo sai... Tu sei una dispensatrice di ottimi consigli.
Perciò... Sì, insomma, chiamami appena puoi. -
Chloé gettò il proprio cellulare all'interno della borsa, passandosi una mano sul viso con aria stanca.
Quello che aveva appena inviato era il quarto messaggio vocale della giornata, nonché il più impaziente di tutti.
Marinette non rispondeva alle sue chiamate da ben due giorni, e la cosa stava seriamente iniziando a preoccuparla.
Perché temeva di aver perso perfino l'unica amica che le era rimasta, e la cosa peggiore era che non ne conosceva neppure il motivo.
Che si fosse offesa per qualcosa?
Che si fosse stancata della sua insistenza?
Che non volesse più essere sua amica?
"Nah! Avrà sicuramente avuto degli impegni importanti, nulla di più", scosse la testa per scacciare via i pensieri negativi, cercando di convincersi che le sue erano soltanto paranoie prive di senso e lasciando perdere la faccenda.
Nel farlo, socchiuse gli occhi per un secondo e si massaggiò le tempie con i polpastrelli.
Quando li riaprì, lo sguardo le cadde irrimediabilmente sul contenuto della sua borsa ancora aperta, tra cui sbucava, in piena vista, un foglio alquanto "sospetto".
Inutile dire che il minuto successivo lo aveva già tirato fuori e riletto a mente per la ventunesima volta.
Ma non c'era più niente da fare ormai: ad ogni singola lettura le pareva il testo più brutto che avesse mai scritto in tutto l'arco della sua vita.
Ora riconosceva che il suo era stato un gesto impulsivo, addirittura folle, e che le parole che aveva usato ne risentivano parecchio.
Peraltro, non c'era revisione che tenesse, perché ogni riscrittura lo avrebbe soltanto rovinato ancor di più, ne era certa.
Avrebbe dovuto gettarlo nella spazzatura sin da subito, e invece continuava a tenerlo nella sua borsa come se si trattasse di un oggetto di immenso valore.
Ma che diavolo le passava per la testa?
- Argh! - borbottò, infastidita, gettandolo via dalla propria vista.
Così, il foglio ricadde al suo fianco, sulla panchina su cui era seduta.
Alla fine aveva pensato e ripensato così tanto a quel sogno che ci era finita veramente, in un parco.
"Magari qui il destino mi darà qualche altro segnale", aveva riflettuto tra sé e sé, prima di calpestare il terreno con le scarpe.
Ma non avrebbe mai immagino ciò che sarebbe accaduto di lì a breve.
Perché, all'improvviso, ecco che una folata di vento sollevò in alto la lettera e se la portò via, lasciandola senza parole.
- No! - gridò Chloé, alzandosi di scatto dalla panchina e iniziando a rincorrerla con tutte le proprie forze.
Forze, in realtà, piuttosto limitate, considerati i tacchi a spillo che portava ai piedi.
- No, no, no, no! Torna qui! -
Come se non bastasse, nell'inseguirla una delle sue décolleté rimase incastrata in un buco del terreno, e la sua caviglia si contorse in modo innaturale, provocandole un gran male.
- Ahi! - esclamò, accasciandosi a terra per il dolore.
Si massaggiò la caviglia con entrambe le mani, cercando di issarsi nuovamente in piedi, ma senza alcun risultato.
Tutto d'un tratto, però, qualcuno le si avvicinò per cercare di aiutarla.
- Oh, cavolo... È tutto a posto? -
Chloé alzò lo sguardo di scatto, nell'udire una voce calda a profonda proveniente dalle sue spalle.
E quelli che incontrò furono gli occhi più belli che avesse mai visto.
Talmente belli che non riuscì più a smettere di fissarli neanche per un secondo.
- Io... Sì, sto bene. - deglutì a vuoto, cercando di riprendere fiato.
- Anche se credo di aver preso una storta. -
- Sì, be'... Lo immaginavo: ho visto la scena. - ridacchiò, per poi schiarirsi velocemente la voce.
- Ehm... Comunque, mentre venivo qui ho trovato questa. È tua, non è vero? - le domandò.
E quando Chloé vide ciò che aveva tra le mani, per poco non scoppiò a piangere per la felicità.
- Oddio, la mia lettera! -
Serena
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