Capitolo 7

4 giugno, my house.

Mi sono appena resa conto che mi si vedono le costole.

Non mi ero accorta di essere così magra: la pelle chiara ricopre ogni centimetro del mio corpo come un velo tirato sopra le ossa sporgenti e le vene bluastre ricamano un reticolo all'interno delle mie braccia.
Sollevo lo sguardo - quello sguardo che ormai ha assunto il colore della cenere - e mi concentro sul mio viso; guance scavate, zigomi alti, labbra vermiglie ed una cascata di capelli candidi sono tutte cose che non riconosco come mie.
Ho finito di essere la ragazza d'ombra, ora assomiglio più ad un angelo caduto dai regni celesti.

Ormai non vedo più la Pamdora che sono sempre stata, e non intendo solo esteriormente, mi sento diversa, come se tutto ciò che ho vissuto fino a questo momento non contasse più niente.

Mi siedo sul letto e afferro la chitarra nera poggiata contro il suo bordo.
La posiziono sulle gambe e passo le dita sulle corde premendomela ancor di più contro il petto per assaporare le vibrazioni che percorrono la cassa armonica, poi inizio a suonare qualche nota.
Il mio rimedio a tutto è la musica; a volte lei è l'unica che riesce a capirti, perché tra tutte le persone che si divertono a scrivere, comporre, suonare, almeno una ha sicuramente provato ciò che stai provando in quel preciso momento, quindi esiste sempre la canzone giusta.

All'improvviso sento qualcuno bussare - o meglio, prendere a pugni la porta di casa.
Lascio la chitarra e mi alzo di slancio per poi precipitarmi in fondo alla scale. Sono quasi preoccupata, il 'qualcuno' in questione infatti sembra voler scardinare la porta.
"Sto arrivando!" Urlo, anche se non so a chi di preciso.
Afferro la maniglia e la tiro verso di me, per poi ritrovarmi di fronte ad un Gavriel con ancora il pugno alzato per aria.

"E tu che diavolo ci fai qua?!"
Tra tutte le persone che mi aspettavo di veder bussare alla mia porta lui era in fondo alla lista.
"Owen" dice soltanto, ma nella sua voce riesco a cogliere tutto ciò che c'è dietro al quel semplice nome: preoccupazione, paura.
"Cos'è successo?" Chiedo, dimenticandomi persino dei problemi che intercorrono fra noi due.

Ma lui, senza aggiungere altro, mi afferra per il polso e mi trascina verso la sua moto parcheggiata in fondo al vialetto di casa mia.
"Ti spiegherò una volta arrivati, ora non c'è tempo"

Avrei voluto tempestarlo di domande, però alla fine decido di mettere un lucchetto alla mia bocca e aspettare il momento giusto.
Mi siedo dietro di lui sul sellino della moto e stringo le braccia intorno alla sua vita; quando sposta le braccia per afferrare il manubrio sento le sue dita sfiorarmi le braccia nude.
Non ho fatto in tempo a cambiarmi, infatti indosso ancora la 'tenuta da casa', ovvero una t-shirt nera corta, un leggings dello stesso colore e il mio adorato paio di All Star scure.

Gavriel accelera in avanti e la moto quasi si impenna, quindi sono costretta a stringermi ancora di più alla sua schiena. Lo sento ridacchiare: ovviamente l'ha fatto apposta.
Non ce la fa proprio a mantenersi serio, anche se ho il dubbio che lo faccia solo per impedirsi di crollare.

Come lo so?
Uso anche io lo stesso metodo.

Mi porta di fronte ad un edificio abbandonato.
"Vuoi uccidermi per caso?" Chiedo sarcasticamente una volta scesa dalla moto.
Gavriel mi guarda serio con i suoi occhi di ghiaccio, percorre il mio corpo dalla testa a piedi.
"Credo sia più probabile il contrario... o almeno, quando succederà, tu ci sarai"
Barcollo leggermente all'indietro, come se mi avesse colpita una folata di vento. Non riuscirò mai ad abituarmi ai suoi cambi d'umore.

Osservo assente l'edificio spettrale per qualche secondo, poi commento "Sarebbe stato meglio se la macchina di Owen avesse veramente colpito un albero, almeno ora non sarei qui"
Mi avvio verso la porta dai cardini arrugginiti, però Gavriel in un lampo mi si para difronte.
"Perché sei così egoista?" Mi rinfaccia.
"Egoista io? Avrei preferito mille volte morire più che diventare un mostro!"
Una risata roca risale dalla sua gola, mi prende per le spalle.
"Proprio non capisci, vero? Qualunque cosa tu avessi fatto il tuo destino non sarebbe cambiato: è tutto scritto, e noi miseri mortali non possiamo fare niente per cambiare il corso degli eventi"
Mi libero dalla sua stretta.
"Io non credo nel destino"
Scuote la testa rassegnato.
"Sei la Morte, Pandora. Ora tu sei il nostro destino"

Osservo Gavriel spalancare la porta con una mano, oltre la sua spalla vedo un'ampia scalinata che porta al piano di sopra.
Non capisco perché da un momento all'altro sembri passare all'odio più assoluto nei miei confronti. Lo raggiungo.
"Perché mi tratti così?" Chiedo.
"Ti ho rivelato il mio più grande segreto e tu stavi per scappare via senza dire una parola"
"Avevo paura"
Vedo qualcosa smuoversi nei suoi occhi.
"Non ti avrei mai fatto del male"
"Non eri tu a spaventarmi, ero io. La tua confessione, poi, ha reso più reale l'incubo che stavo vivendo: è stata la prima volta che l'ho detto ad alta voce"
Abbasso lo sguardo.

Prima o poi avrei dovuto affrontare questo discorso con lui, anche se abbiamo scelto il momento sbagliato.
"Io vedo le anime e le comprendo, tu le guidi verso il loro destino. Ecco perché avevo quella strana sensazione ogni volta che ti stavo vicino, come se tu fossi l'unica a capire come mi sentivo" spiega.
"E ora, ora cosa provi?"
Mi circonda la vita con le mani, sento i suoi palmi sulla pelle nuda.
"So solo che l'unica cosa che vorrei fare è..."

Un tonfo proveniente da piano di sopra, accompagnato da un rumore di vetri rotti ci fa sussultare entrambi.
"È Owen! Dobbiamo sbrigarci" esclamo.
"Seguimi"
Mi prende per mano e mi trascina verso la scalinata.

𖠄 *ೃ

Owen

4 giugno, abandoned orphanage.

Nell'esatto momento in cui ho visto il mio bracciale andare in frantumi, ho sentito la mia mente come invasa da ricordi che non sapevo di possedere.

Ho visto la stessa donna del dipinto, questa volta in carne ed ossa, mentre mi stringeva tra le braccia; ho visto Salem - la mia città natale - con i suoi alti tronchi scheletrici contornati da foglie di smeraldo, le sue abitazioni in legno scuro e le ampie vie ricoperte di sanpietrini; ma ho visto anche le fiamme dei roghi, i volti duri degli uomini che trascinavano donne innocenti e la folla inferocita che acclamava quelle torture immonde come se fossero spettacoli teatrali.

"Devi salvarti almeno tu, figlio mio. Ti manderò in un posto sicuro: andrai a vivere da un nostro discendente, William Abbott, ma per il resto del mondo voi sarete la famiglia Brooks. Ti amo con tutto il cuore piccolo mio, ricordalo sempre. Ora va e non voltarti."

Ecco le ultime parole che ha detto la donna del dipinto - la mia vera madre - dopo avermi dato il bracciale che ho portato per tutta la vita.
Poi ricordo di essere entrato in una specie di spirale luminosa, per ritrovarmi infine difronte alla casa dove ho trascorso la mia infanzia.
Nell'istante in cui William ha posato il suo sguardo su di me ho sentito che, non so come, mi aveva riconosciuto. Mi ha accolto in casa come se fossi suo figlio, mentre i ricordi dei primi dieci anni della mia vita andarono perduti fino a questo momento.

Mia madre si è sacrificata per salvarmi, è rimasta a Salem pur sapendo che il suo destino sarebbe stato bruciare sul rogo.
Mi ha lasciato quel bracciale per sopprimere i poteri che sapeva si sarebbero cominciati a manifestare all'età di undici anni, quegli stessi poteri che avrebbero potuto salvare la vita di Hannah, la donna che mi ha accolto fra le sue braccia nonostante fossi un estraneo.
Ho lasciato morire le due donne più importanti della mia vita.

Solo ora mi rendo conto di cosa ha provato veramente mio padre quando ha perso l'amore della sua vita: poteva salvarla da medico, ma poteva farlo anche da stregone. A quanto pare ha scelto la prima via, ma ha sbagliato.
Sono tornate al loro posto anche tutte le volte in cui Will - mio padre, ora è ancora più difficile dirlo - ha usato la magia in mia presenza; mi ha fatto dimenticare anche quelle, oltre che i ricordi della mia infanzia.

"Lo faccio per il tuo bene, hai già sofferto abbastanza"

Ricordo perfettamente quella frase, pronunciata poco prima di strapparmi tutti i ricordi di mia madre, Sarah - ora ricordo anche il suo nome.
Ho dimenticato tutto ciò che riguardava la magia, ogni incantesimo, ogni creatura, ogni volta che quella aveva fatto parte della mia vita; come quando Will ha modificato l'aspetto di Hannah per renderla più simile a me, in seguito ci siamo dovuti trasferire in South Carolina, ma ci abbiamo messo poco a ricostruici una vita e a passare per la 'perfetta famiglia Brooks'.

Mi siedo su una sedia e mi passo le mani tra i capelli scompigliandoli.
"Non posso credere che tutta mia vita sia stata una menzogna"
Ora capisco perché mio padre ha preferito allontanarsi da me in questi ultimi anni, si era stancato di nascondere i propri poteri.

All'improvviso la mia mente torna a focalizzarsi sulla stanza, non so per quanto tempo sono rimasto fermo a fissare la finestra.
Dov'è Gavriel?
Mi guardo intorno, ma di lui nessuna traccia; deve essere sparito dopo aver liberato i miei poteri. Ora che ci penso, ricordo di averlo sentito scendere le scale.
Esco dallo studio e mi dirigo verso la scalinata però anziché scendere, non so per quale motivo, proseguo nell'ala opposta del primo piano. Raggiungo una porta socchiusa e la spingo per entrare nella stanza.
Sembra la stanza di una bambina, vecchia e polverosa certo, ma non credo che esista qualcuno che vi abiti o che Gavriel abbia una figlia segreta.
Penso sia la stessa stanza da cui è uscito quando ho fatto cadere quel vaso.

Faccio qualche passo in avanti, l'odore di polvere e muffa mi fa bruciare la gola. Mi stropiccio gli occhi e, quando li riapro, quasi urlo per lo spavento.
"Chi sei, bel biondino?"
Una bambina dalle lunghe trecce mi sta guardando sospesa a mezz'aria, il suo corpo è traslucido e indossa un vestito non appartenente ai nostri tempi.

Rimango con la bocca spalancata.
Ci mancavano i fantasmi.
"Non avvicinarti!" Esclamo.
"Tu mi vedi?" Chiede la bambina svolazzando più vicina alla mia faccia e facendo finta di non aver sentito quello che ho appena detto.
Continuo a indietreggiare, devo uscire da questo posto; poso una mano sulla porta, che, quando sono entrato, si è richiusa alle mie spalle per la corrente creata dalla finestra rotta della camera.
Ma la bambina in un unico movimento viene inghiottita dal pavimento per poi riapparire ad un palmo dal mio naso. In quel momento percepisco un formicolio risalirmi lungo le braccia, accompagnato da un calore bruciante concentrato sui palmi delle mie mani.

"Ho detto di stare lontana!"
Slancio le mani in avanti e in quel momento i mobili della stanza cominciano a fluttuare a un metro dal pavimento, mentre il vetro della finestra va completamente in frantumi. Congiungo le dita e in un attimo tutti gli oggetti convogliano nel centro della camera schacciandosi tra di loro e provocando una pioggia di frammenti di vetro e metallo.
La bambina-fantasma con uno strillo scompare dalla mia vista attraversando il muro alla mia destra, come un topolino che ritorna nella sua tana dopo aver visto un gatto.

Il mio respiro si è fatto pesante, sento il petto alzarsi e abbassarsi velocemente. Mi stringo la testa tra le mani e cado in ginocchio, sento le schegge ferirmi la pelle delle gambe ma non mi importa.
Un misto di paura e rabbia si rimescola nella mia mente, mi rendo conto di non potermi controllare.
"È tutto una bugia!"
I resti dei mobili cominciano a muoversi, mi alzo in piedi e mi avvicino al vortice bruno che si è appena risollevato dal pavimento di legno. Lo fisso per qualche secondo, poi chiudo gli occhi e urlo ancora.

Mio padre come aveva potuto nascondermi tutto questo, i genitori non mentono ai propri figli.
Almeno così credevo.

𖠄 *ೃ

"Che vuol dire che Owen è uno stregone?!"

Gavriel mi ha appena spiegato il motivo della sua incursione in casa mia. Anche se ancora stento a crederci.

"Vuol dire quello che ho appena detto" esclama esasperato, trascinandomi attraverso l'ampio ingresso dell'edificio.
"Ma... come?"
"Ancora non lo so, però credo che dopo aver distrutto l'amuleto tutti i ricordi siano tornati al loro posto"
Decido di sorvolare sulla questione amuleto, invece chiedo "Però io in tutto questo che c'entro?"
"Devi sapere che normalmente uno stregone inizia a sviluppare i propri poteri all'età di undici anni e nel corso del tempo, con l'aiuto dei propri familiari, impara a controllarli. Per Owen invece non è stato così: la magia è rimasta intrappolata per otto anni nel suo corpo ed ora è stata liberata improvvisamente. Sai come funziona una pentola a pressione, vero?"
"Credo di aver afferrato il concetto, ma ancora non hai risposto alla mia domanda"

Siamo arrivati in cima alle scale, Gavriel svolta a sinistra e io lo seguo a ruota, non ha ancora mollato la presa sulla mia mano.
"I maghi sono molto più sensibili di noi umani, per loro è pericoloso provare emozioni forti come la paura, la rabbia o l'amore; possono diventare facilmente loro schiavi e non riuscire più a controllarsi. Per questo è meglio che Owen veda una 'faccia amica' anziché un ragazzo che conosce a malapena"
Entriamo in una stanza allestita come uno studio, mi guardo intorno senza capire.
"Uhm... Owen ha già capito come rendersi invisibile?"
Gavriel ignora il mio commento "L'avevo lasciato in questa stanza per mantenerlo tranquillo fino al nostro arrivo, ma ovviamente quel ragazzo non sta stare fermo". Fa un respiro profondo.
"Tanto la casa è abbandonata, no?"
Vedo un lampo attraversare i suoi occhi, come se una consapevolezza si fosse concretizzata nella sua mente.
"Oh merda, Annabelle!" Esclama, per poi correre nella direzione opposta con la sottoscritta al seguito come un sacco di patate.

L'elenco di domande che devo ancora fargli si allunga sempre più.

Arriviamo davanti a un'altra stanza e quello che ci ritroviamo di fronte è uno spettacolo terrificante.
Al centro del pavimento c'è Owen circondato da un vortice di legno, vetro e metallo che lascia intravedere appena la sua figura.
"Owen!" Urlo. Subito le schegge fermano la loro rotazione e un'attimo dopo sembrano voltarsi nella mia direzione; Gavriel fa appena in tempo a trascinarmi al suolo che queste si conficcano nella porta alle mie spalle.
"Ma sei impazzita per caso!?" Il ragazzo è letteralmente steso su di me e si tiene sui gomiti per permettermi di respirare, sento ogni suo muscolo e osso a contatto con il mio corpo.
"Che cosa gli è successo?"
Gavriel si alza lentamente tirandomi su per un braccio e assicurandosi di non essere più sulla traiettoria di lancio.
"Ha incontrato Annabelle"
"Non capisco"
Cosa può fare di male una ragazza?
"Lei è un fantasma. Ti assicuro che è innocua, ma Owen non poteva saperlo"
Lo guardo con gli occhi spalancati. "Allora frequenti anche i fantasmi"
"È una bambina. Poi non è che gli esseri umani siano così gentili con me" Noto una punta di amarezza nella sua voce e improvvisamente mi sento in colpa per come l'ho trattato.
Gli poso una mano sulla spalla.
"Risolveremo questo casino e poi potrai presentarmi la tua amica"
Mi sorride.
"Certo"

Mi affaccio oltre la porta, è di nuovo tutto traquillo.
"Tu rimani qua, io cerco di parlargli. È solo spaventato, non voleva farci del male"

Mi ricorda un cucciolo lupo che ho incontrato durante un campeggio fatto con Owen. Aveva perso il suo branco, era solo e spaventato. Quando ho cercato di dargli qualcosa da mangiare mi ha quasi azzannato la mano, però alla fine con un po' di pazienza abbiamo fatto amicizia. In quel momento ho compreso il legame indissolubile che esiste tra paura e rabbia, sono facce di una stessa medaglia.

Muovo qualche passo verso il vortice di frammenti affilati e poco dopo percepisco la mano di Gavriel stringere la mia.
"Insieme" sussurra.
In risposta stringo la presa intorno alle sue dita e questo sembra bastare.

Di fronte al corpo di Owen sento le schegge stridere tra di loro.
Intravedo il capo chino del mio migliore amico e decido di inginocchiarmi alla sua altezza, Gavriel fa lo stesso.
"Non mi riconosci?"
Un pezzo di vetro sibila nella mia direzione, mi sposto velocemente sulla sinistra, ma non abbastanza, lo sento incidere la pelle della mia guancia. Gemo per il dolore ma nonostante tutto mantengo lo sguardo fisso su di lui.
Sento Gavriel tremare al mio fianco: so che vorrebbe fare qualcosa, qualunque cosa.

"So cosa stai cercando di fare. Ma dovrai uccidermi per liberarti di me, perché qualunque cosa accada sai che non ti abbandonerò mai"
Owen alza lentamente la testa, i suoi occhi, solitamente verdi, ora risplendono violacei.
"Vattene via. Non sono più l'Owen che conosci"
La sua voce è rotta ma decisa, intravedo gocce di sudore imperlargli la fronte per lo sforzo.
"Non è vero! Io vedo sempre lo stesso ragazzo che mi copre quando mi assento alle lezioni per provare con il mio gruppo, che mi accompagna a scuola con le sue adorate macchine decappottabili, che ama leggere romanzi fantasy, che ha superato con la testa alta tutti gli ostacoli che la vita gli ha posto innanzi"
Sciolgo la presa sulla mano di Gavriel e mi rimetto in piedi per poi avanzare senza paura nella nube di schegge. Miracolosamente neanche una mi colpisce.
"Tu non capisci, tutto il mio passato non è mai esistito. Non appartengo nemmeno a quest'epoca, io non dovrei essere qui. Se ci pensi è colpa mia se ti trovi in questa situazione"
Lo afferro per le spalle aiutandolo ad alzarsi.
"Non dirlo neanche per scherzo. Tu dovresti sapere che il passato non definisce chi siamo, è ciò che facciamo, le nostre scelte presenti, che ci rendono noi stessi. Potrai anche essere uno stregone proveniente dal passato, ma per me resterai sempre il mio surfista californiano"
Vedo un sorriso sbucare sul volto del mio migliore amico, mi posa una mano sulla guancia.
"Mi dispiace per quello e... grazie" dice riferendosi al taglio sul mio viso.
"Non ti preoccupare. Dopo avermi causato un trauma cranico, questo è una sciocchezza"
Mi guarda con le sopracciglia aggrottate per qualche secondo, poi scoppia a ridere. Mi attira a sé e mi stringe fra le braccia.

"Sai qual è il tuo problema, Owen?"
"Uno dei tanti vorrai dire..." scherza.
"Ti preoccupi troppo per gli altri e non riesci a fare altrimenti. Ma credo anche che questo sia il tuo più grande pregio: sei una persona sensibile.
Ed essere una persona sensibile vuol dire percepire un tono di voce distante durante una telefonata, riconoscere l'ansia, la paura e la tristezza nella faccia degli altri. Essere sensibile vuol dire fare caso a tutto, e con "tutto" intendo veramente qualsiasi cosa: un fiore sconfitto dal vento, un cane solo, un colore diverso del cielo, un sorriso più sentito, una parola colorata in mezzo a tante parole anonime. Essere sensibili vuol dire vivere dieci, cento, mille vite ogni giorno. Quando sei sensibile non puoi fregartene, farti gli affari tuoi, lasciar perdere. Chi è sensibile, se sa di aver ferito qualcuno si tortura per ore ed ore pensando alla sensazione che gli ha fatto provare. Chi è sensibile fa una fatica immensa, ma nonostante tutto continua ad essere sè stesso perché non riesce a farne a meno. Forse è per questo che ormai non potrei più fare a meno di te: io sono egoista, egocentrica e superficiale, mentre tu sei tutto il contrario."
"Oggi hai deciso di farmi commuovere, vero?"
Annuisco con un sorriso di finta superiorità e Owen mi da un buffetto sulla testa.

Mi guardo intorno, la cortina di frammenti è diventata ancora più fitta, tanto da non far intravedere nemmeno un filo di luce.
Stranamente in questo momento mi sento al sicuro, come se nulla possa farmi del male. Credo che questo sia il mio ambiente ideale: niente luci, niente colori, niente suoni.
"Non ho paura del buio." Dico, più a me stessa che ad Owen, ma lui mi risponde lo stesso.

"Perché mai una stella dovrebbe avere paura del buio?"

𖠄 *ೃ

Owen

È stato facile rimettere a posto la stanza. Mi è bastato concentrarmi su ogni singola scheggia e ordinarle di tornare al proprio posto. Persino la polvere è sparita.

Le mie emozioni hanno deciso di lasciarmi in pace e per questo devo ringraziare Pandora: è l'unica che riesce a farmi ragionare. Anche se non se ne rende conto, pur sembrando una menefreghista dal cuore di ghiaccio, quando tiene a una persona farebbe di tutto per lei.
Con la mia migliore amica, infatti, vale la regola 'o tutto o niente'; se decidi di avvicinarti a lei, premesso che riuscirci non è facile, devi essere cosciente dei rischi di avere accanto una persona come Pandora. Sarebbe disposta a tutto per vederti felice, anche a costo di autodistruggersi: è una bomba a orologeria, ci vuole poco a scatenare la leonessa che è in lei.

Finito il mio piccolo spettacolo di magia, abbiamo cercato di chiarire la situazione: io ho raccontato la mia storia, Gavriel ci ha presentato Annabelle e ha parlato a Pandora dei suoi poteri e del suo lavoro, mentre lei ha cercato di strangolarci entrambi.
"Siete due imbecilli! Come vi salta in mente di combinare un casino del genere senza la sottoscritta. Tu, Gavriel, non avresti dovuto abbandonare da solo Owen in questo posto putrescente, mentre tu, biondo che non sei altro, non dovevi spostarti dallo studio di Gavriel"
Siamo seduti sul letto di Annabelle, mentre la piccola ci svolazza intorno tutta contenta. Sarà felice di aver incontrato in un unico giorno altre due persone con cui poter parlare.
"Finita la ramanzina, mamma?" Chiede Gavriel ridacchiando.
"Si" sbuffa lei con le braccia incrociate e con un lieve broncio sul viso.

"Quindi è lei la ragazza fin troppo carina di cui mi hai parlato in un paio di occasioni?"
Annabelle si intromette nella conversazione con un sorrisetto malefico che, sul suo visetto d'angelo, la fa sembrare ancora più adorabile.
L'espressione di Gavriel cambia in un lampo, si alza in piedi di scatto e si piazza di fronte alla piccola.
"Annabelle è veramente simpatica, ama scherzare..."

La scena è veramente comica: il ragazzo saltella a destra e sinistra per cercare di coprire la bambina, ma lei a sua volta si sposta nella direzione opposta per sbucare oltre il braccio di Gavriel. Alla fine, stanca del 'gioco', attraversa il petto del moro e si siede accanto a Pandora.
"In effetti sembri davvero una principessa, apparte per i vestiti ovvio" Annabelle la guarda pensierosa mentre ticchetta con un dito sulle proprie labbra, poi spalanca gli occhi e batte le mani, come se avesse appena risolto una difficile equazione algebrica.
"Al piano di sotto c'è una stanza enorme con tanti vestiti, posso scegliere quale farti indossare? Ti preeegooo" supplica la piccola con gli occhioni da cerbiatto e le mani giunte.
Pandora fa un piccolo sorriso, sicuramente non avrà resistito al tenero viso di Annabelle.
"Perché no"

La bambina urla di gioia "Sei la migliore, sono felice di avere una nuova amica"
Dietro di loro vedo Gavriel con il viso illuminato da un vero sorriso: deve tenere veramente tanto ad Annabelle.

Pandora esce dalla stanza con la piccola che le fluttua al seguito, mentre io mi alzo e mi avvicino al ragazzo.
"Mi aiuterai a controllarli, vero?" Chiedo, riferendomi ai miei nuovi poteri - mi fa ancora strano pensare a quella parola.
"Certo, Owen. E comunque mi ero sbagliato, sai?"
Lo guardo interrogativo.
"Su cosa?"
"Su tutto. Tu non sei un pallone gonfiato come pensavo, anzi in un certo senso sei tutto ciò che io vorrei essere, mentre Pandora, nonostante tutto ciò che sta passando, continua a preoccuparsi per i suoi amici. Sono contento di avervi conosciuto, davvero"
Sono colpito dalle sue parole, alla fine avevo ragione a volermi rivolgere a lui.
"Gavriel, tu non sei un mostro come credi: è tutta colpa degli altri, non riescono a vedere oltre i loro pregiudizi. Capisco che quando ti senti ripetere per tanto tempo gli stessi insulti, le stesse parole crudeli, finisci per crederci anche tu. Ma ora devi solo lasciarti aiutare, alla fine troverai anche tu il tuo posto e noi ti aiuteremo a cercarlo"

Gavriel si passa una mano sul ciuffo color ghiaccio, sembra in imbarazzo. Sicuramente non è abituato a sentirsi rivolgere parole del genere.
Sta per rispondere quando la porta della camera si apre di nuovo, Pandora fa il suo ingresso con indosso un look nuovo di zecca.
"Vedo che alla fine qualcuno ha indossato qualcosa della mia collezione di vestiti vintage" ridacchia Gavriel.
Il 'qualcosa' in questione era un body scuro, un paio di pantaloni di pelle nera e degli stivali con lacci e fibbie argentate: un perfetto stile punk insomma.

Pandora fa una piroetta e io non posso fare a meno di soffermarmi sul suo fondoschiena, la pelle lucida glielo fascia come una calzamaglia.
"Che ne dite?"
"Che culo... ehm, volevo dire, sei bellissima Pam" mi correggo guardando l'espressione esasperata della mia migliore amica; che ci posso fare, mi piace prenderla in giro.
Gavriel mi da una pacca sulla spalla "Certe cose è meglio pensarle: prendi esempio da me, amico"
Scoppio a ridere, un po' per la battuta del ragazzo, un po' per la faccia scandalizzata di Pandora.
"Da quand'è che siete in combutta contro di me?"

Faccio un passo verso di lei ma mi blocco non appena vedo la sua espressione mutare all'improvviso, una smorfia di dolore di dipinge sul suo viso.
La vedo accasciarsi sul pavimento mentre si afferra il polso con il tatuaggio, un terribile urlo si leva dalla sua gola.
"Pandora!" Faccio per gettarmi verso di lei, però Gavriel mi afferra per un braccio tirandomi all'indietro.
"Non c'è niente che possiamo fare, il momento è arrivato. Ora deve cavarsela da sola"

Una nube scura comincia a risalire dalle fessure tra le assi del pavimento per poi circondare il corpo di Pandora, lei ci rivolge uno sguardo terrorizzato: sicuramente si starà chiedendo perché non facciamo niente per aiutarla.
Cerco di slanciarmi ancora verso di lei, ma la stretta di Gavriel intorno alle mie spalle è troppo salda.
Mi dispiace, Pam. Mi dispiace tanto.

In un secondo la nube la circonda del tutto poi, com'è apparsa, scompare nel nulla portando con sé anche corpo della mia migliore amica.
Gavriel lascia la presa e io mi volto infuriato nella sua direzione.
"Ora che si fa, genio?" Urlo. Non posso credere che l'abbia lasciata andare così.
In risposta il ragazzo solleva il suo sguardo azzurro ghiaccio su di me e con voce seria afferma:

"Aspettiamo"

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