Capitolo 4

Gavriel

1-2 giugno, Rocky Mountain College.

Butto giù il terzo bicchiere di rum della serata, dopo tutto questo tempo spero ancora che possa cancellare i miei problemi.
Sorrido tra me e me.
Non capisco perché sono venuto a questa festa: nessuno mi parla, nessuno mi degna della minima attenzione e, come se non bastasse, sembro la persona più depressa della sala.

Mi rassetto il ciuffo e faccio per alzarmi dalla sedia, questo posto è asfissiante; ma, non appena poso un piede a terra, noto una ragazza avvicinarsi spedita al bancone.

È vestita totalmente di nero, cosa che mette ancora più in risalto la sua carnagione pallida. Ha un viso che sembra scolpito nel marmo: zigomi alti, naso all'insù, occhi grandi dalle folte ciglia e labbra carnose dalla forma a cuore.

La vita magra è fasciata da una cinta in pelle, mentre la scollatura della canotta, che cerco di non fissare troppo, è adornata da una collana argentata.
Ha un fisico atletico ma non credo faccia sport, infatti il portamento sicuro manca un tantino di grazia.

Si accomoda sullo sgabello accanto al mio, ovviamente non mi degna di uno sguardo.
Io invece non riesco a scollarle gli occhi di dosso.

Il mio sesto senso mi dice che dovrei conoscerla, e lui non sbaglia mai. Diciamo solo che ho una certa affinità per le anime umane, riesco sempre a capire cosa si nasconde dietro le maschere che tutti portano per nascondere le proprie emozioni.

Percepisco qualcosa di diverso in lei, non so ancora in che senso, ma sono sicuro di avere ragione.

"Vodka liscia" ordina. Ha una voce leggermente roca ma melodiosa, sembra il suono del vento tra gli alberi.

Il ragazzo che si occupa di servire al bar poggia un bicchiere pieno di un liquido cristallino sul bancone e io lo spingo verso la ragazza dicendo "Questa ti dà subito in testa, piccola"

Subito mi pento di quell'affermazione, ma ormai è troppo tardi.
"Anche i tuoi pregiudizi sulle donne"
Senza guardarmi finisce l'intero bicchiere in un unico sorso, poi alza i suoi occhi neri su di me.
Un mezzo sorriso mi spunta sul viso: mi sono messo contro la ragazza sbagliata.

"Davvero, vacci piano. Non vorrei che cadessi tra le mani dell'uomo nero"
Aggiungo e lei mi rivolge uno sguardo infastidito, credo che sarebbe divertente continuare a prenderla in giro. Solo che alla fine sono certo vincerebbe lei.
"Ti svelo un segreto... sono io l'uomo nero!" E così dicendo si alza e sparisce nuovamente tra la folla come una piuma nera in mezzo alla tormenta.

Mi sollevo a mia volta, non sprecherò quest'occasione. Quella ragazza mi attira come il miele con le api, voglio saperne di più.
Mi immergo tra i ragazzi che ballano in mezzo alla pista alla ricerca del mio cigno nero e dopo un po' scorgo una chioma corvina ondeggiare tra i corpi ammassati.

Sta scuotendo i fianchi in un ballo sensuale mentre intona le stesse note della canzone che riempie la sala.
Un lampo mi attraversa la mente: quella voce... è la stessa che ogni tanto sento cantare nel bar dietro casa mia. Ecco perché mi è sembrata familiare da quando l'ho vista avvicinarsi al bancone.

Non mi ero mai soffermato a guardare la cantante del gruppo, mi sono sempre limitato ad ascoltare la sua voce con il capo chino sul mio solito bicchiere di rum.

Mi faccio avanti e, in uno slancio di audacia, le afferro la vita per poi tirarla contro di me.
Lei, o meglio Pandora, ora che ricordo il suo nome, si volta per guardare in faccia il suo assalitore e, non appena mi riconosce, esclama "Certo che non ti arrendi mai, eh"
Mi guarda con un lieve sorriso sulle labbra, segno che non sta per prendermi a pugni, almeno spero.

Mi avvicino al suo orecchio e, tentando di tirar fuori il mio tono ammaliatore, le sussurro "È uno dei miei pregi"
"Perché ne hai altri?... di difetti, intendo"

Alzo gli occhi al cielo: e io che credevo di essere il più esasperante dei due.

La trascino nuovamente contro di me.
Se vuoi la guerra, guerra avrai.
"Devi smetterla di fare la ragazza insolente, o prima o poi troverai chi riuscirà a metterti a tacere"
La guardo con gli occhi leggermente socchiusi, è ancora più bella da questa distanza.

"Solo la Morte riuscirebbe in quell'arduo compito" scherza, poi aggiunge "credo che prenderò una boccata d'aria"
Cerca di divincolarsi, però io la tengo stretta contro di me.

Sento la sua pelle accaldata sotto i palmi delle mie mani, e con quella, ritorna la stessa sensazione di prima: c'è qualcosa in lei, qualcosa che la rende simile a me, qualcosa che la lega al mio mondo.

Questa volta non mi scappi.

"CHI VUOLE SENTIRE LA GRANDE PANDORA SUONARE?" Comincio a urlare all'improvviso, ora voglio vedere chi l'avrà vinta.

"Ssshh, lo sai che non suono a queste stupide feste!"
Sussurra premendomi una mano sulla bocca per farmi smettere di urlare.
È davvero adorabile: le sopracciglia aggrottate formano una piccola ruga nel mezzo della sua fronte alta e la sua espressione imbronciata la fa sembrare una bambina capricciosa.

Si osserva intorno, spaventata dal numero di teste che si sono appena girate nella nostra direzione. Poco dopo inizia ad alzarsi un coro di voci che intona il suo nome e un gruppo di ragazzi la trascina verso il palco.
Ha appena il tempo di mormorare quando ti prendo ti ammazzo.

Quando sale sul palco sembra totalmente a suo agio, anzi, ora che la osservo per la prima volta nel suo luogo naturale, mi sembra che sia nata per stare sotto le luci della ribalta.

"Ehm, mi serve una chitarra"
La sua voce rimbomba nella sala, dove ora è calato il silenzio, amplificata dal microfono.

Per fortuna mi è venuto in mente di portar dietro la mia: mi piace molto suonare, per questo speravo di poterla usare stasera; pensavo che, se gli altri mi avessero sentito suonare, tutte le voci riguardanti i miei 'poteri paranormali' sarebbero scomparse.

Prendo il mio strumento, che avevo lasciato nella sua custodia dietro li spalti, e lo passo a un gruppo di ragazzi in giacca di pelle dicendoli di darlo a Pandora.

La chitarra elettrica rosso fuoco giunge tra le sue mani e lei poco dopo incrocia il mio sguardo.
Le faccio l'occhiolino e indico la chitarra in questione, vedo l'ombra di un sorriso attraversarle il viso.

Forse ora comincerà a sopportarmi un po' di più.

𖠄 *ೃ

È stato il concerto improvvisato più bello della mia vita, non che ne abbia visti molti in vita mia, però lei ha qualcosa di speciale mentre canta: la chitarra non è uno strumento per lei, è qualcosa che appartiene interamente al suo corpo.

Appena scende dal palco le vado incontro, per quanto possa essere sexy in quel completo nero e argento, la mia chitarra è sacra e deve tornare al suo proprietario.

"Vuoi ancora ammazzarmi, piccola?"
"Primo: non chiamarmi piccola. Secondo: per questa volta sei salvo"
La sua risposta non si fa attendere.

"Mi sono perso qualcosa?" S'intromette un ragazzo che non conosco guardandoci malizioso. Sembra un surfista australiano, che nel mio caso è un sinonimo di 'pallone gonfiato'.

Pandora gli posa una mano sulla spalla, ha un'espressione abbastanza inquietante sul viso.
"Credo che tu abbia di più da raccontare al riguardo..."

Non so a cosa lei stia alludendo, ma l'espressione sul viso del ragazzo mi da un senso di soddisfazione: almeno ora ho la conferma che non tratta solo me in quel modo, la cara Pandora ce l'ha con il mondo intero.

Si gira verso di me e mi porge lo strumento, un sorriso benevolo si allarga sul suo viso: quasi mi dispiace doverla salutare così presto.
"Sei stata degna di suonare la mia chitarra. Spero di rivederti presto" dico.

Sfortunatamente ho del lavoro da fare stasera a casa, e con 'lavoro' intendo i trucchetti paranormali che mi permettono di pagare la retta del college. Se non fosse per questo, senza genitori che che mi sostengono economicamente, non so dove starei ora.

Poi, dopo diciotto anni passati in orfanotrofio, visto che nessuno si è degnato di accogliere in casa un 'povero bambino disturbato', non mi posso lamentare della vita che ho ora.

"Come mai te ne vai così presto?"
Dovevo aspettarmi questa domanda.
"Domani ho un impegno e devo svegliarmi presto"
Prima bugia: partiamo bene.
"Responsabile, eh. Un altro dei tuoi pregi?"
"Sei soltanto all'inizio"

Con questa frase le scocco un leggero bacio sulla guancia e mi volto per andarmene. Ma poco prima di sparire tra la folla sento Pandora urlare "Ehi! Non mi hai detto il tuo nome!"

Sorrido senza voltarmi.
"Gavriel, mi chiamo Gavriel" urlo a mia volta, poi mi dirigo verso la fresca aria notturna.

𖠄 *ೃ

La casa dove compio i miei 'dialoghi' con le persone che hanno attraversato la soglia della nostra realtà è tutt'altro che rassicurante. Il fatto che fosse un vecchio orfanotrofio, viste le mie esperienze passate, non fa che peggiorare le cose.

Ha una larga scalinata che un tempo doveva essere maestosa, ma ora, se non si vuole cadere, bisogna stare attenti a dove si mettono i piedi perchè le assi sono rovinate.

Proprio in cima alla scala si apre un portico con un lampione rotto che dondola al vento. Il portoncino ha la serratura anch'essa rotta e, nel silenzio della notte, si sente il rumore dei cardini arrugginiti che, muovendosi, cigolano producendo uno stridio spettrale.

La prima volta che ho visto questo posto ricordo che un brivido mi ha attraversato la schiena, sembrava proprio il set di un film horror. Invece ora non mi fa più lo stesso effetto.

Entro, e un filo di luce che proviene da una finestra con le tende staccate illumina l'ampio ingresso. I mobili antichi e impolverati, semicoperti da teli bianchi, sembrano quasi muoversi. Una porta si apre sulla spaziosa cucina e una scala molto ampia porta al piano di sopra. Appesi al muro campeggiano quadri che rappresentano persone dallo sguardo inquietante.

Al secondo piano mi aspetta un lungo corridoio con i muri screpolati e l'intonaco cadente, una fila interminabile di porte chiuse e il buio quasi assoluto.

So che molte di quelle porte sono chiuse a chiave, quindi le sorpasso senza fermarmi.
Verso la fine del corridoio mi fermo davanti a una porta meno rovinata delle altre, un tempo era la camera di una bambina: ci sono ancora il piccolo letto con le lenzuola rosa, la mini scrivania e tanti giocattoli sparsi sul pavimento, tra cui bambole con gli occhi sbarrati che mi fissano.

Mi sono sempre chiesto che fine avesse fatto quella bambina, ma alla fine ci ha pensato lei stessa a raccontarmelo.

È morta di leucemia tanti anni fa, questo posto infatti è stato chiuso quasi cinquant'anni fa.
Non aveva nessuno che le stesse accanto, se n'è andata da sola, senza qualcuno che la piangesse o le tenesse la mano nei suoi ultimi attimi di vita.

"Gavriel! Sei qui per giocare?" Una bambina dalle trecce biondo miele appare attraversando il muro accanto al letto.

Parli del diavolo...

"Annabelle, che bello rivederti. Mi spiace, ma sono qui per lavoro"

Il suo viso tondo, dalle guance paffute, assume un'espressione imbronciata. Incrocia le braccia al petto, arricciando il piccolo vestito tutto fiocchi e merletti, e mi raggiunge camminando come una piccola principessa insolente.
"Tu lavori troppo! E mi trascuri sempre!"

Attraverso il corpo traslucido di Annebelle riesco a vedere le assi del pavimento piene di polvere e muffa.
"Non è vero, bambolina"
So che è una bugia: ultimamente sono stato per i fatti miei la maggior parte del tempo, dimenticandomi della povera bambina che ha me come suo unico amico. Mi sento leggermente in colpa, anche perché questa piccola peste si diverte a farmelo pesare.

"Si invece. Tu vai alle feste a giocare con le belle ragazze e mi lasci qui tutta sola tra i giocattoli rotti"
Le sorrido divertito "E tu come fai a saperlo?"
Lei raggiunge il letto e vi si siede sopra senza alzare il minimo sbuffo di polvere, inizia a dondolare i piedi.
"Ti ho visto venire a prendere la moto dal marciapiede di fronte alla mia camera" Indica la finestra dai vetri anneriti.

Il lato negativo di essere un fantasma, o, come li chiamo io, frammenti d'anima, è che non puoi lasciare il luogo della tua morte volontariamente, ma solo se vieni evocato da qualcuno o se porti a termine il compito per cui sei rimasto ancora su questo mondo.

Ho provato molte volte a chiedere ad Annabelle quale fosse il suo, ma lei si è sempre limitata a una scrollata di spalle come risposta.

"E cosa ti dice che non sia andato a fare la spesa?"
"Il fatto che tu cucini da schifo, quindi prendi sempre cibo d'asporto, e che indossi la tua maglietta da festa"
Abbasso lo sguardo sull'indumento in questione, una t-shirt nera con il logo dei Pink Floyd, poi rivolgo uno sguardo colpevole alla bambina.

Ovviamente non le ho detto del mio talento segreto per la cucina; i fantasmi, infatti, possono sentire il profumo del cibo ma non possono mangiarlo, cosa che farebbe impazzire chiunque. Per questo ho preferito dirle che non so cucinare, sennò sono sicuro che mi avrebbe chiesto di portarle una torta al cioccolato che mi sarebbe toccato mangiare da solo.

"Hai vinto"
Annabelle mi rivolge uno sguardo soddisfatto, che poco dopo si trasforma in un'espressione maliziosa.
"E chi hai conosciuto di bello?... e non rispondermi 'nessuno', lo vedo dalla tua faccia allegra"

Questa bambina è una causa persa, mi conosce meglio di chiunque altro.

"Pandora, la cantante del gruppo che suona al bar dove passo le mie serate"
Annabelle fa un urletto, ama i pettegolezzi.
"E com'è da vicino?"
"Fin troppo carina"
Si alza dal letto e comincia a saltellare nella mia direzione "Voglio sapere altro" ordina.

Sto per risponderle quando sento la porta d'ingresso al piano di sotto scricchiolare, segno che sono arrivati i miei clienti.
"Devo andare, Annabelle. Te lo racconterò la prossima volta"
Mi guarda male.
"Domani"
"Ma..."
"Ho detto domani!" Mi fa la linguaccia e sparisce dalla parete da cui era apparsa dieci minuti fa.

È proprio testarda.

𖠄 *ೃ

La stanza è totalmente al buio. Solo delle basse candele, ormai quasi del tutto consumate, mi permettono di distinguere le sagome di chi ho davanti, rischiarandone i contorni con la loro luce tremula.

Un uomo basso dai baffi da tricheco, vestito con abiti costosi, e un ragazzo di vent'anni circa dai capelli spettinati e dallo sguardo penetrante, i suoi occhi sembrano argento vivo.

Stanno seduti dall'altro lato del tavolo rotondo, con le mani strette in grembo, mentre vagano con lo sguardo sulle pareti piene di ragnatele e quadri raccapriccianti.

Come al solito mi hanno contattato tramite il mio sito web, una pagina che ho creato per permettere ai miei 'clienti' di rintracciarmi senza espormi troppo. Altro motivo per cui non svolgo le sedute a casa mia.

Mi schiarisco la voce e vedo i due sobbalzare lievemente.
"Siete pronti?"
L'uomo produce un brontolio che io interpreto come un si.

Prendo in mano una spazzola d'argento dalle setole morbide che il ragazzo aveva poggiato sul tavolo non appena erano arrivati, sul retro sono scolpiti dei fiori in bassorilievo.
Per invocare un frammento d'anima, infatti, ho bisogno di un oggetto che apparteneva alla persona quand'era ancora in vita.

"Dite il suo nome con me" ordino, ho bisogno di attirarla verso di noi, di percepirla.
Subito si alza un coro di voci che ripete "Vanessa, Vanessa, Vanessa..."

Secondo quanto mi hanno raccontato, era la fidanzata del ragazzo.

È morta un mese fa: il suo cuore si è fermato, ma non è stato un infarto, solo non ha avuto più la forza di continuare a battere. Lei soffriva di anoressia, malattia che molte volte viene sottovalutata, non mangiava più, non dormiva, continuava a fare esercizi su esercizi, nella speranza di raggiungere quella perfezione a cui tanto aspirava.

Stringo la spazzola tra le mani e faccio un respiro profondo. Sondo lo spazio intorno a me alla ricerca di un segno.

Una corrente d'aria fa svolazzare lievemente le tende scure che coprono la finestra squadrata in fondo al mio studio, se così si può chiamare una stanza con un tavolo al centro. Le candele si spengono del tutto e la temperatura si abbassa di qualche grado. Osservo l'uomo nell'intento di stringersi nella propria giacca di velluto nero che però non riesce neppure ad abbottonare sulla sua pancia tonda.

All'improvviso sento una presenza dietro la mia schiena, so che è lei.
Mi alzo e mi volto lentamente: ora inizia la parte peggiore.

La cosa che odio di più del mio potere è il fatto che non si limita a farmi vedere i frammenti d'anima, ma mi fa anche percepire le loro emozioni, le loro paure, i loro rimpianti.
Ogni volta è un'esperienza straziante, soprattutto perché, quando compio questi rituali, di fronte a me ci sono sempre delle persone a cui lei o lui teneva; persone che, quando entrano in questo posto, sono degli estranei, ma che, quando escono, mi sembra di conoscere da tutta la vita.

Vanessa mi guarda con le labbra leggermente socchiuse, non sembra felice di essere stata evocata.
Le sue iridi chiare sembrano perdersi nel bianco della sclera, mentre le ciglia bionde delineano il contorno dei suoi occhi come una corona di spighe di grano.

"Perché disturbi il mio riposo" Con un turbinio di stoffa candida, Vanessa scatta in avanti con un'espressione arrabbiata sul volto. I capelli chiari le ricadono ai lati del collo come lisci spaghetti dorati, mi posa le mani sulle spalle e io, attraversato da una scossa improvvisa, lascio cadere la testa all'indietro.

Sento l'uomo lanciare un urlo, la sua sedia sfrega sul pavimento quando si alza per andare a rifugiarsi all'angolo della stanza. Il ragazzo, al contrario, mi si avvicina.

"È lei?" Chiede in un sussurro.
Ma io non riesco a rispondere, una marea di emozioni nuove, di ricordi, mi hanno riempito la mente.
Mi sembra di annegare: appena cerco di afferare un'immagine, o una frase, quella mi sfugge; poi succede ancora, e ancora, come se fossi nel centro di un uragano senza fine.

Quando lei alla fine mi lascia andare, riesco a respirare di nuovo.
Faccio due respiri profondi e apro lentamente gli occhi, la testa mi fa male da impazzire.
"Si, è lei" rispondo boccheggiando.
Ho l'affanno come se avessi corso per venti chilometri senza fermarmi.

Il ragazzo, che ora è a un passo dal mio corpo, mi guarda incredulo.

"Alex!" Esclama Vanessa all'improvviso, sembra che si sia accorta delle altre persone presenti nella stanza soltanto ora.

Allora è così che si chiama.

"Senti Alex..." lo vedo spalancare gli occhi al suono del suo nome, che lui aveva avuto cura di non riferirmi "...hai a disposizione cinque minuti per dirmi cosa devo comunicarle o chiederle, poi devo rompere il contatto. Più di così non resisto, capito?"

Per me è uno sforzo enorme riuscire a trattenere in un posto diverso dal luogo della loro morte i frammenti d'anima.
Se li incontro per caso non ho questo problema, per fortuna.

"Traquillo, ho una sola domanda e poi potrai lasciarla andare" si passa una mano sullo zigomo destro, come per fermare una lacrima che ancora non ha avuto il coraggio di scendere, poi guardandomi negli occhi chiede "Perchè?"

Perchè?
È una domanda così facile, eppure darvi una risposta è la sfida più ardua. Per la maggior parte delle volte non lo sappiamo neppure noi, agiamo e basta, ma poi finiamo sempre a domandarcelo da soli.

Il problema sorge quando le ragioni sono troppe, quando ormai non c'è più niente che si può fare per cambiare idea, perché quella parola, quel gesto, che avrebbe potuto salvarci non è arrivato in tempo.

Gli occhi di Vanessa si scuriscono di colpo, come acqua tinta d'inchiostro.
Non c'è bisogno che mi dia la risposta, la conosco già, come tutto ciò che ha vissuto, tutto ciò che ha pensato.

Sento la sua mano posarsi sulla mia guancia, questa volta è un tocco leggero, simile al vento che soffia in spiaggia ai primi di maggio.
Non sono mai stato più sicuro di una risposta in vita mia, forse perché l'unica cosa di cui sono stato sempre certo è che i miei fantasmi, come li chiamavo quando ero piccolo, non mi avrebbero mai mentito.

A mia volta poso una mano sulla spalla di Alex: non sarà facile per me quanto per lui.
In un attimo sento la voce di Vanessa riempirmi la mente, le orecchie, la gola, fino a raggiungere il mio cuore.

"Alex, so che non sono mai stata la ragazza perfetta, con le mie manie di sentirmi bella come una star di Hollywood e con tutte le volte che ti ho lasciato aspettare davanti a casa per ore perché dovevo finire di allenarmi. Mi dispiace se ogni volta che andavamo a cena fuori ti costringevo a finire anche quello che c'era nel mio piatto, se ti riempivo la testa con tutti i miei problemi inutili. Ma io non riuscivo a capirlo, non capivo che a te tutto quello non importava, ti bastava solo vedermi sorridere per trovarmi bellissima.
Però non esistevi solo tu nella mia vita, c'erano tante, troppe, persone che non perdevano occasione per criticarmi, per sottolineare tutti quei difetti che magari fino a un momento prima neanche avevo notato.
Ma loro che ne sanno? Che le parole possono distruggere le persone.
Perchè ogni volta che dici qualcosa, stai scegliendo se salvare o distruggere chi ti sta difronte. Prima di dire qualunque cosa bisogna rifletterci a fondo, perché basta una sola parola per fare la differenza. Peccato che non lo capiamo mai in tempo"

Guardo un'ultima volta il frammento d'anima negli occhi, una lacrima traslucida le sta accarezzando la guancia, come un piccolo ruscello lucente; poi lascio andare il filo che fino a questo momento l'aveva trattenuta in questa stanza e lei scompare senza produrre il minimo rumore.

La luce delle candele inonda nuovamente la stanza.

Alex è rimasto immobile, gli occhi spalancati e le mani tra i capelli scuri, il suo viso è distorto da un'espressione quasi folle.

"Sono stato io..." sussurra con la voce rotta "...l'ho uccisa io. Per me, era perfetta. E io l'ho lasciata andare, senza mai dirglielo, senza mai farle sapere come la vedevo io. Forse, proprio quello, avrebbe potuto salvarla. Se io non fossi stato così vigliacco, magari ora sarebbe qui"
Alex continua a scuotere la testa convulsamente, come se non volesse convincerci delle sue stesse parole.

L'uomo, che fino a quel momento era rimasto nascosto nell'angolo buio della stanza, si fa di nuovo avanti; si avvicina al ragazzo e lo scuote per il braccio "Non dire sciocchezze, non è mai stata colpa tua. Ancora non capisco perché ho accettato di partecipare a questa pagliacciata, è stato solo uno spreco di tempo e denaro"

Il suo viso è diventato paonazzo come quello di un würstel cotto, sembra che stia per perdere definitivamente la pazienza. Cosa che avrei trovato parecchio divertente, se non fosse che al momento non mi sento al massimo della felicità.

"Non è stata affatto una pagliacciata, anzi, mi ha aiutato a capire"
"Ma sentilo, sembra un pazzo delirante. Che cosa gli hai fatto, tu? Lo hai ipnotizzato?" L'uomo si rivolge a me, osservandomi come se fossi uno scarafaggio alieno.
"Ho fatto solo il mio lavoro. Lei invece dovrebbe essere più comprensivo nei confronti di suo figlio"

Non è la prima volta che i miei clienti se la prendono con il sottoscritto: la verità fa male, soprattutto se va oltre la scienza e la conoscenza umana.

"Noi ce ne andiamo!"
Credo di aver superato il limite, non avrei dovuto fare quel commento, ma è stato più forte di me.
Afferra Alex per un gomito e lo strattona verso la porta, solo che lui non si muove di un millimetro.
"Io non me ne vado" dice fermo.
"Come scusa?" L'uomo piega la testa di lato, convinto di non aver capito bene.
"Io non vengo con te! Sei solo un'uomo senza scrupoli, e fino alla fine hai contaminato anche me"

È la stessa impressione che mi ha fatto non appena l'ho visto, solo che questo l'ho tenuto per me.

"Non c'è più speranza ormai" Alex si allontana dal padre per aprire una finestra. Poi si sporge dal davanzale stringendo con le mani il legno marcio e pieno di schegge e abbandonando la testa in avanti. Sembra un fantoccio privo di vita in questo momento.

Sento che dovrei dire qualcosa in questo momento, ma non sono mai stato bravo con le parole. Preferisco difendermi con una maschera di sarcasmo, più che esprimere ciò che provo.

Il volto dell'uomo in un attimo cambia espressione "C'è sempre speranza, Alex. Ti prometto che ti aiuterò a superarlo; sarò una persona migliore, per dimostrarti che tutti possiamo cambiare e imparare dagli errori"

Al suono di quelle parole la mia mente torna lucida, guardo meglio Alex che si è appena accomodato sul davanzale della finestra.
Lui non vuole andare avanti.

"Questa volta passo. Addio papà."

Mi lancio in avanti: i miei muscoli non rispondono come dovrebbero, sono ancora stanchi per lo sforzo di evocare Vanessa.
Sfioro il bordo del jeans di Alex, ma non riesco ad afferrarlo, le mie mani sono scivolose di sudore.

"Alex!" Urlo e sento che la mia voce per un attimo si è sovrapposta a quella di una ragazza, quella ragazza.

Sento l'orologio a pendolo rintoccare quattro volte, nello stesso istante in cui vedo il suo corpo precipitare nel vuoto, dalla finestra del mio studio posto al quarto piano della struttura.
Si abbatte sul marciapiede come un tassello del domino: il primo a cadere, quello che tu decidi di spingere con un dito.

Le gocce di pioggia cominciano a ticchettare sul suo corpo, non mi ero accorto che avesse cominciato a piovere.

Questa volta non vedo nessun frammento d'anima liberarsi dal suo petto, vedo solo un corpo senza vita.

Immobile.

Come il mio respiro.

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