Capitolo 2

3 giugno, Saint Cross Hospital.

Sento freddo, terribilmente freddo.
Mi guardo intorno: sono in un cimitero, circondata da tetre lapidi in marmo bianco.

Gli alberi scheletrici proiettano ombre scure sull'erba bassa, come artigli pronti a strapparmi via il cuore. Il vento sibila tra i rami producendo un lugubre canto che annuncia solo morte e tormento eterno.

Il verso di un corvo mi fa sussultare, quasi inciampo su una protuberanza del terreno, una radice forse.

La luna illumina lievemente una cripta più imponente delle altre. Ha un ampio portone in legno scuro che culmina con un timpano triangolare, sembra quasi un tempio greco in miniatura. Le piante rampicanti ne ricoprono le pareti regolari.

Mi stringo nelle spalle. Non sono una tipa che si spaventa facilmente, ma trovarsi in un posto come questo nel bel mezzo della notte non trasmette così tanta tranquillità.

Un colpo secco scuote violentemente il portone della cripta.

Cerco di allontanarmi, però i miei piedi sono come incollati al terreno.
Una goccia di sudore mi cola lungo la schiena: sono in trappola.

I cardini cedono con un rumore sordo e una figura avvolta da un lungo mantello nero con cappuccio emerge dall'oscurità. L'unica cosa visibile sono un paio di occhi grigio tempesta.

Mi si avvicina lentamente. I suoi passi non producono alcun rumore, noto con orrore. È come se galleggiasse a un palmo dal terreno, senza toccarlo.

Le sue dita fredde mi si serrano intorno al polso e lo sollevano fino all'altezza del mio viso.
Un tatuaggio nero è impresso nella sua parte interna: una piccola croce stilizzata dai bordi sottili.

Non ricordo di averne mai avuto uno, o di essermelo fatto recentemente. Anche se al momento non sono sicura più di niente, neanche del mio nome.
È come se nella mia mente ci fosse una nebbia che rende tutto sfuocato e indistinto.

"Da oggi ti occuperai delle anime perdute. Mi raccomando, abbine cura. È la parte più importante di ognuno di noi"

È come se la sua voce venisse da lontano.

All'improvviso si tira giù il cappuccio e io non posso fare altro che urlare.
Non c'è nessun volto, nessuna persona, solo il buio più assoluto.

Le spire del mantello si avvolgono intorno al mio corpo, come un involucro protettivo.
Non vedo più niente, non sento più niente, solo la Morte, solo il mio respiro irregolare.

"Lasciami andare! Lasciami andare!"
Due braccia forti mi tengono ancorata al materasso.
"Pam, va tutto bene. Era solo un brutto sogno. Ora sei al sicuro. Sei al sicuro" la calda voce di Owen ferma di botto le mie convulsioni.

Dove sono?

Apro piano gli occhi e la prima cosa che vedo è il volto preoccupato del mio migliore amico.
Ha ancora le mani sulle mie spalle, come per paura che possa ricominciare la mia esibizione da 'ragazza posseduta'.

Ha i capelli scompigliati e gli occhi cerchiati di scuro. Sicuramente non ha chiuso occhio questa notte, cosa che testimonia la piccola sediolina bianca posta accanto al mio letto.

Un attimo. Come bianca? Non c'è nulla di bianco nella mia casa.

Giro la testa di lato e noto una tenda bianca tutta intorno al mio letto. Anche il pavimento è bianco, come le lenzuola e il soffitto.
Non c'è dubbio: questa non è la mia stanza.

"Dove mi hai portata?" Biascico fra i denti. Ho un terribile mal di testa e sono ancora sconvolta per l'incubo appena vissuto.

Owen allenta la presa intorno al mio corpo e si fa un po' più indietro.

"In ospedale"
"Quale?"
"Quello dove lavora mio padre"

Dovevo aspettarmi questa risposta.

"Perché? Ce ne sono tantissimi in città"

So quanto gli costa chiedere qualcosa a suo padre.
È da anni ormai che hanno impostato il loro rapporto su 'convivenza civile'. Niente parole d'affetto o gesti di aiuto reciproco, solo l'impegno a cercare di non litigare ogni volta che si trovano nella stessa stanza.

"Gli altri non sono definibili ospedali"
"Non dovevi farlo, Owen. Preferivo stare in mezzo al corridoio di un ospedale sovraffollato che farti vivere una simile situazione"

Lui sbuffa e si siede sulla sedia bianca, per poi incrociare le proprie dita con le mie.

"Non dirlo neanche per scherzo. Non c'è nulla che non farei per te"

Un sorriso mi spunta sulle labbra, come posso non volergli bene?

"Lo so. Però così mi fai sentire in colpa..."
"È stata tutta colpa mia"

Gli poso la mano libera sulla testa per accarezzargli i capelli chiari.
"È stato un incidente"
"È morta una persona, Pam!"

Owen si alza di scatto e comincia a camminare avanti e dietro nel piccolo cubicolo intorno al mio letto.

"La cosa peggiore è che non hanno ritrovato nessun corpo o traccia di sangue sulla strada. È come se la macchina si fosse schiantata contro un albero. Tutto fa pensare a un banale incidente causato da una distrazione, ma io so cosa ho visto. Sono colpevole! Ma non verrò mai punito per quello che ho fatto, perché nessuno lo sa"

Cerco di organizzare tutte le informazioni che Owen mi ha appena fornito. Tutto questo non ha senso.

"Com'è possibile che il corpo sia sparito? E l'albero poi... non c'era nessun albero"
"Si che c'era. E ora si ritrova anche con un tronco spezzato da una macchina invisibile, visto che la nostra non l'ha mai investito"

Mi siedo lentamente sul letto.
E se il corpo è quello che ho visto nel mio sogno? Se fosse sparito perché in realtà non esisteva? Ma allora come mai la macchina è riuscita a colpirlo in pieno?

"Hai già parlato con la polizia?"
"Si, ieri mattina. È tutto apposto, nessuna denuncia o multa. Solo un conto salato dal meccanico"

Ci metto un po' a realizzare quello che ha detto. "Come 'ieri mattina'?" Strabuzzo gli occhi per la sorpresa, quanto ho dormito?

"Dormi da un giorno e mezzo, Pam. Mi hai fatto preoccupare, sai?"
"E tu? Quand'è l'ultima volta che lo hai fatto?"
"Prima della festa"

Si allontana nuovamente dal mio letto e si appoggia al piccolo comodino grigio su cui è poggiata una lampada da lettura, una bottiglietta d'acqua e una copia della 'Gazzetta dello Sport' che sicuramente Owen avrà già letto.

Mentre lo seguo con lo sguardo una fitta alla testa mi fa socchiudere le palpebre per il dolore.
Subito mi ricordo della botta che ho preso sul parabrezza della sua auto.

Mi tocco la tempia con la mano destra: un cerotto rettangolare ha coperto la ferita.

Nel riabbassare il braccio noto un segno scuro all'interno del polso.
Lo avvicino al mio volto per vedere meglio: una croce è tatuata sulla mia pelle chiara.

"Owen?"

Il mio migliore amico si gira nella mia direzione. Ha le sopracciglia aggrottate, sicuramente stava cercando di trovare una spiegazione a questa strana situazione, senza però riuscire nell'intento.

"E questo cosa significa secondo te?" Sporgo la mia mano nella sua direzione.

Lui si avvicina e mi prende il polso tra le mani. "Non mi avevi detto che ti eri fatta un tatuaggio"

"Non ce l'avevo fino a prima dell'incidente"
Solleva le sue iridi verdi per piantarle nei miei occhi.
"Pam tutto questo non è normale, io credo che ci sia dietro qualcosa di pericoloso. Non so dirti se sia opera di qualche essere sovrannaturale o di uno strano esperimento, ma ti prometto che lo scopriremo presto"

Il rumore di una porta che si apre pone fine alla nostra conversazione.
Non mi va di essere visitata da qualche infermiera grassa e acida.

La tenda che circonda il mio letto viene tirata dalla parte sinistra; un uomo sconosciuto si avvicina a me e Owen. Quest'ultimo contrae istintivamente la mascella.

L'uomo ha i capelli scuri striati di grigio e un paio di occhi verdi che mi ricordano tantissimo quelli del mio migliore amico.

All'improvviso un lampo mi attraversa la mente.
Stesse labbra sottili.
Stesso naso all'insù.
Stesso viso leggermente allungato.
Stessa aria affascinante.

"Che piacere fare la sua conoscenza, signor Brooks. Non posso dire che suo figlio mi abbia parlato molto di lei..."
E da quello che mi ha detto l'unica idea che mi sono fatta di lei è quella di un bastardo senza scrupoli.

Tengo l'ultima parte per me e sfodero uno dei miei migliori falsi sorrisi.

Il padre di Owen mi accarezza la guancia con il pollice.
Se non toglie subito quelle manacce dal mio viso, giuro che gli stacco il dito con un morso.

Non bisogna farsi ingannare dal suo sorriso perfetto e dai suoi denti tirati a lucido: dietro quella maschera da medico dolce e paziente si nasconde un mostro che, anziché stare accanto a suo figlio dopo la morte della moglie, ha scelto di fargli perdere entrambi i genitori in una sola volta.

Anche la mia situazione familiare non è mai stata il massimo, ma almeno i miei genitori mi hanno sempre trattata gentilmente.
Peccato che erano sempre fuori per lavoro e, quando restavano in casa, preferivano ricominciare la recita da famiglia perfetta: tutti i problemi venivano ignorati e non si comunicava praticamente mai.

Quando ho avuto l'occasione di trasferirmi per il college l'ho colta al volo: finalmente avrei avuto una casa tutta mia da arredare a mio gusto. Sarei stata me stessa, non quella bambolina tutta rosa e fiocchi in cui mi avevano trasformata.

Forse è proprio per quello che ho un'avversione contro tutto ciò che è troppo 'stile Barbie', come per esempio i colori pastello e i capelli a boccoli.

"Owen non mi aveva mai detto di avere una fidanzata così carina"

Quasi mi strozzo con l'acqua che stavo bevendo. Una piccola bottiglietta trasparente era stata lasciata accanto al mio letto per quando mi fossi svegliata.

"Per quanto suo figlio sia popolare al college e obbiettivamente 'super sexy' non è per niente il mio tipo. Troppo gentile e adorabile, preferisco tenerlo come migliore amico"

Cerco di fare una battuta per alleggerire la situazione. Visto che Owen, a parte lanciare sguardi di fuoco al padre, ha deciso di rimanere fermo come una statua e di fare il voto del silenzio.

"Oh, peccato. Vedo che ha continuato con il suo stile di vita da 'ragazzo facile', con chi ti sei divertito all'ultima festa?" Lo sguardo dell'uomo non è più accondiscendente, al contrario, sembra lanciare saette in direzione del figlio.

Sta cercando di farlo reagire, è evidente che odia essere ignorato; cosa che ha in comune con Owen.

"Hai deciso di perdere interesse per la mia vita molto tempo fa"
Il tono secco del mio migliore amico non promette niente di buono: l'ennesima lite è dietro l'angolo.

"Perché è venuto, signor Brooks? L'ospedale è grande e solitamente il primario non visita pazienti nelle mie condizioni..."

Prima regola: se attacchi Owen, attacchi la sottoscritta.

"Puoi darmi del tu, Pandora. E chiamami Will"
"Va bene, Will. Ora puoi spiegarci che ci fai qua?"

Mi alzo dal letto ma, non appena poggio i piedi a terra, vedo la stanza girarmi tutt'intorno.
"Pam!"
Owen si fionda verso di me prima che perda l'equilibrio e mi prende per la vita poggiandomi contro il proprio petto.

"Sei stata stesa per troppo tempo, non puoi rimetterti in piedi come se niente fosse"
Will cerca di cambiare argomento e mi poggia una mano sulla fronte.

Mi scanso con uno scatto "Io sto bene! Ma Owen no! E tu sei così vigliacco che preferisci vederlo con la scusa di controllare come sta una sua amica ricoverata in ospedale, più che andarlo a trovare direttamente al nostro college!"

Stringo i pugni lungo i fianchi e percepisco il corpo di Owen contrarsi contro la mia schiena.

"Tu non sai niente!"

Il mio migliore amico fa per rispondere ma lo blocco con un gesto della mano: è qualcosa fra me e Will, era da mesi che avrei voluto dirgliene quattro.

"Ah, no! Allora non so che invece di stare accanto a tuo figlio, hai preferito rifugiarti in questo stupido ospedale; non so che persona debole sei stata, visto che Owen è stato costretto a farsi forza per entrambi; non so quanto Hannah, quella moglie che dici di aver amato più di ogni cosa al mondo, sarebbe delusa da te. Hai deciso di buttare al vento l'unico legame che ti era rimasto con lei!"

Mentre parlavo mi sono avvicinata sempre di più al corpo di Will, lasciando Owen da solo vicino al mio letto. Vorrei tanto prenderlo per le spalle e scuoterlo finché non capisce cosa si sta perdendo.

"Io non ce la faccio a stare con lui! Mi ricorda troppo Hannah: Owen ha i suoi stessi capelli biondi e lo stesso sorriso che riesce a scaldarti il cuore. Ma soprattutto è un ricordo perenne del fatto che io non sono riuscito a salvarla!"

La madre di Owen era morta durante una delicata operazione al cuore. Soffriva di un insufficienza cardiaca grave, si era arrivati al punto di dover impiantare un piecemaker all'interno del suo torace. Il suo cuore, infatti, non riusciva più a pompare abbastanza sangue nel corpo.

Una sera si è sentita male e suo marito l'ha operata d'urgenza.

Alla fine non ce l'hanno fatta: si era creata una bolla d'aria a livello delle carotidi, il cervello non ha ricevuto ossigeno per più di dieci minuti e Hannah non si è più risvegliata.

Il padre di Owen ha portato quel peso per tutti questi anni: era il migliore in quel campo, ma non è bastato.
Era talmente concentrato sul cuore di sua moglie da aver trascurato tutto il resto, errore che, secondo lui, ha portato alla morte di Hannah.

Che sia vero o meno, da quel momento in poi la famiglia Brooks è andata in frantumi.

"Non è stata colpa tua, papà. Perché non me ne hai mai parlato?"

Mi volto e noto che Owen ha gli occhi lucidi.
Mi tornano subito in mente tutte quelle volte in cui gli avevo proposto di andare insieme da suo padre per chiarire le cose una volta per tutte.

"Già mi vedi come un estraneo, non volevo apparire anche come un mostro" Will abbassa lo sguardo in direzione dei propri piedi.

"Tu non sei un mostro. Hai avuto soltanto paura... sei umano"

Metto una mano sulla spalla di Owen, sapevo che da tempo il suo unico desiderio era quello di riavvicinarsi al padre, solo che il suo 'orgoglio maschile' e la paura di essere respinto lo avevano bloccato più volte.

Io non mi fido ancora del tutto di Will. Lui, invece, sembra credere alle sue parole.
Tipico di Owen: ha un animo troppo gentile ed è facile spezzargli il cuore o ferirlo, specialmente se sei una persona a cui tiene particolarmente.

Ragion per cui, a volte, mi comporto nei suoi confronti come una sorella maggiore iperprotettiva.

"Io vado in bagno. Voi vedete di fare i bravi" annuncio puntandoli un dito contro.

"Sissignora!" Entrambi si portano una mano vicino alla fronte come due soldati.

Non credo di riuscire a sopportare contemporaneamente due esemplari di 'Owen', in più ho assolutamente bisogno di cambiarmi: odio i vestiti da ospedale, sono troppo bianchi e deprimenti.

"Sono passato da casa tua e ti ho preso dei vestiti. Sapevo che cambiarti sarebbe stata la prima cosa che avresti fatto"

Owen mi sorride inclinando la testa di lato, è l'essere più adorabile del mondo con quella sua aria da cucciolo smarrito.

"Ti ho mai detto che sei il migliore?"

Sa sempre ciò di cui ho bisogno. Dal mio canto, mi fido talmente tanto di lui da avergli lasciato una copia delle mie chiavi di casa.

"Centinaio più centinaio meno"
Fa finta di contare sulle punte delle dita con espressione altezzosa mentre mi passa uno dei suoi borsoni da basket.

Lo afferro ridacchiando, poi mi ricordo di chiedere "Oggi posso tornare a casa, vero?"

Will mi fa un sorriso "Certo che si, vedo che ti sei ripresa del tutto. Devi solo fare alcune analisi di routine e firmare vari documenti, poi sarai libera"

Che bella notizia.

𖠄 *ೃ

Il corridoio dell'ospedale non è grigio e inquietante come me l'aspettavo: ha un pavimento in mattonelle azzurrine che risplendono come se fossero state appena tirate a lucido e delle pareti bianche con alla base una striscia celeste e una acquamarina.

Una serie di porte tutte uguali a quella da cui sono appena uscita ricopre l'intero corridoio.

Lo percorro fino in fondo e noto che sulla destra c'è un ascensore.
Non perdo tempo a premere il bottone per l'apertura delle porte.

La discesa sembra durare secoli: con la fortuna che mi ritrovo ero capitata all'ultimo piano.
Sarei anche potuta andare al bagno privato della mia camera, ma sto morendo di fame e al piano terra so esserci un bar che vende delle ottime brioches.

Mi merito almeno una colazione decente.

Arrivata a destinazione chiedo informazioni a un'infermiera dall'aspetto gentile che mi indica una porta bianca accanto al banco informazioni.
Dietro il vetro sono seduti due uomini dalle espressioni annoiate che rispondono monotonamente alle domande dei pazienti.

Il bagno del piano terra è diviso in due parti: a sinistra c'è la zona pubblica con due porte e i soliti omini stilizzati a indicare quella delle donne e quella degli uomini, mentre a destra c'è la zona privata, ovviamente chiusa a chiave.

Tiro fuori la piccola chiave argentata che Will mi ha prestato e apro la porta.

Una piccola anticamera quadrata con diversi appendiabiti spartisce altri due ambienti, gli spogliatoi maschili e femminili.

Entro in quello di mia competenza e mi guardo intorno. Una serie di armadietti grigi ricopre le pareti chiare, delle panche riempiono lo spazio lasciato vuoto nel centro, mentre due porte rompono la continuità dell'ambiente: le docce e il bagno.

Appoggio il borsone su una panca e lo apro. Sono proprio curiosa di vedere che vestiti ha scelto per me Owen.

Scopro presto che si tratta di un paio di pantaloni gessati con uno strappo sul ginocchio destro, una maglioncino nero corto, una cinta con la fibbia argentata e un paio di anfibi con le catene.

Indosso il tutto e vado ad osservarmi allo specchio del bagno.
Niente male, Owen ha buon gusto.
Anche se dopo tutte le volte in cui mi sono divertita a dargli lezioni di moda in stile gotico, era il minimo che potesse fare.

Mi passo le dita fra i capelli per cercare di sciogliere i nodi che si sono creati durante la mia lunga dormita.

Mi torna di nuovo in mente la persona che Owen ha investito la sera della festa, mi ricorda troppo quella del mio sogno.
Un brivido mi percorre la schiena: sarà solo suggestione, anche se il tatuaggio sul mio polso è reale quanto quello del sogno.

All'improvviso la mia attenzione viene catturata di nuovo dai miei capelli.
Tra le ciocche scure ne spicca una bianca come la neve, che mi sta succedendo?

Mi appoggio alla parete, le parole del sogno mi ritornano in mente.

"...ti occuperai delle anime perdute"

Chissà cosa voleva dire.

Faccio mente locale: ero in un cimitero, di notte, e una figura incappucciata esce da una specie di tomba monumentale per dirmi che devo occuparmi delle anime; da quel momento ho un tatuaggio a forma di croce, i capelli mi stanno scolorendo e ricordo che poco prima di morire la persona attualmente scomparsa mi ha detto una frase di cui non ho ben capito il senso.

"Tu sarai la prossima..."

La prossima a fare cosa? A morire? Ma allora come farei ad occuparmi delle anime?

La testa mi scoppia, non riesco proprio a trovare il nesso connettore tra tutti questi strani avvenimenti.

La domanda principale però rimane una sola: chi era?

Il cimitero, il cappuccio nero e la pelle cadaverica sono tutti elementi che mi ricordano terribilmente un fumetto che ho letto la settimana scorsa, dove il protagonista veniva perseguitato dalla Morte in persona. Alla fine lei lo catturava e lo legava in una cappella funeraria per trasformarlo in un proprio discepolo.

Mi viene da ridere.

Ho preso proprio una bella botta in testa per pensare cose così assurde.

Alla fine decido di uscire dal bagno, sarà meglio tornare in stanza prima che mi diano per dispersa, ovviamente dopo aver fatto una colazione adeguata.

Così prendo l'orribile completo bianco dell'ospedale e lo chiudo nel borsone di Owen, poi lascio la stanza.

***

"Che significa che non potete darmi il numero della sua stanza?"

Sento una voce risuonare nell'ingresso, mi sembra familiare, ma all'inizio non ci do peso, almeno finché non sento il mio nome.

"La signorina Pandora Esposito non può ricevere visite al momento"
Riconosco l'infermiera che mi ha dato informazioni per raggiungere gli spogliatoi e subito dopo noto un ciuffo spettinato sbucare da dietro la sua figura esile.

"Come mai non potrei?" M'intrometto sorridendo e la ragazza si gira guardandomi con i suoi grandi occhioni chiari.
Ora che la guardo meglio, devo ammettere che ha un viso molto grazioso. Ora capisco il perché degli sguardi lanciati dal resto del personale mentre parlavo con lei.

"Il figlio del primario ha detto che devi riposare..."
"Con Owen me la vedrò io"
Le sorrido una seconda volta, come per invitarla a lasciarci soli.

Lei coglie subito il messaggio e, dopo averci salutati velocemente, si dilegua.

"Gavriel, cosa ti porta alla ricerca della sottoscritta?"

Ma lui, invece di rispondermi, mi abbraccia calorosamente e io rimango lì, ferma come un palo.
Non sono abituata agli abbracci da parte degli sconosciuti.

"Ho saputo stamattina al college del vostro incidente, così sono uscito prima e mi sono precipitato qui per vedere come stavi"

Ancora non capisco il suo interesse.
Rimango a fissarlo con un sopracciglio alzato.

"È da molto tempo che volevo parlarti, so che tu non mi hai mai notato, tra tutti i fan che vengono ai tuoi concerti, però ti ho sempre ammirata"

In effetti è vero, non do molto peso alle persone che vengono ai miei concerti, o meglio, alle persone in generale. A meno che non siano miei amici, come Owen o gli altri membri della mia band.

"Alla festa ho solo colto l'occasione di conoscerti, visto che il tuo cane da guardia ti aveva lasciata da sola"

Lo guardo divertita "Owen non è il mio 'cane da guardia', me la so cavare anche da sola"

Sembra molto diverso dal ragazzo della festa: ha smesso di fare battute e sembra sincero in quello che mi sta dicendo.

"Che classi frequenti al college?" Chiedo incamminandomi verso il bar.

"Nessuna delle tue, ecco perché non mi hai mai visto. Sennò sarebbe stato difficile non notare un ragazzo come me" si indica con un gesto teatrale, poi aggiunge "E il cibo della mensa mi fa schifo, quindi vado a mangiare nel parco vicino al college"

Alzo gli occhi al cielo, mi rimangio ciò che ho appena pensato.

Ordino un cappuccino e una brioche con le gocce di cioccolato fondente, poi mi siedo a uno dei tavolini del bar, è rotondo con due sedie in metallo.
Gavriel si accomoda di fronte a me.

"Quindi sei tutta intera?" Si stravacca sulla sedia portandosi entrambe le mani dietro la nuca, mentre guarda preoccupato il cerotto sulla mia fronte.

Sotto le luci della sala riesco ad osservare meglio i suoi lineamenti: mascella squadrata, labbra sottili, occhi animati da una lieve malizia, irresistibili fossette sulle guance.

Il ciuffo sfumato con l'estremità biondo ghiaccio mette in risalto i suoi occhi cristallini. Però la cosa che attira maggiormente la mia attenzione è una cicatrice che gli attraversa il naso in orizzontale, chissà cosa gliel'ha procurata.

"Si, sto bene" mi riscuoto dalla mia analisi e mi sforzo di rispondere.

Gli racconto com'è andato l'incidente, o almeno la versione data dalla polizia, evito di fare accenni a cadaveri scomparsi o strani tatuaggi.

Una volta finita la colazione ci alziamo entrambi e lo accompagno nuovamente all'ingresso.
"Sei stato carino a passare, comunque" Non mi riconosco, io non sono così gentile di solito.

"Mi ha fatto piacere rivederti. Magari qualche volta possiamo andare a pranzare insieme al parco" mi propone imabarazzato grattandosi la nuca.

"Solo se lasci il tuo ego a casa"
"Siamo un pacchetto completo"
Si sporge in avanti per darmi un bacio sulla guancia, ormai è diventata un'abitudine vedo, poi sparisce dietro porta scorrevole.

Poco prima che questa si chiuda dietro le sue spalle noto che ha le nocche delle mani fasciate.
Chissà cosa gli è successo.

Alla fine decido di tornare nella mia stanza: mi mancano ancora analisi da fare e scartoffie da firmare, preferisco di gran lunga le mie mattinate all'università.

𖠄 *ೃ

Quando rivedo la mia porta di casa, mi sembra quasi un miraggio, così come la mia cara camera da letto total-black.

Owen mi ha riaccompagnata in macchina, una nuova macchina che ha tirato fuori da chissà dove, e mi ha dato appuntamento nello stesso punto alle otto e mezza di domani mattina.

Non posso saltare altre lezioni.

Mi butto a peso morto sul letto: mi sono svegliata da appena sei ore, ma ho di nuovo sonno.
Mi sento come una vecchia, visto che mi fa male ovunque.

Mi metto pancia sotto e affondo la testa in uno dei cuscini sparsi sul copriletto cremisi.
Non appena mi giro su un fianco, sento il rumore di qualcosa che si accartoccia.

Subito dopo noto un piccolo biglietto abbandonato sul letto e ora finito sotto la mia spalla.
Lo prendo in mano, non appena inizio a leggere mi si gela il sangue nelle vene.

"Ti sarai chiesta chi fossi molte volte nelle ultime ore, ora avrai la risposta.
Voi mi avete uccisa, ti ho perseguitato nei sogni e ora ti lascio la mia eredità.
Tu sarai il nuovo Mietitore. Perché così il destino ha scelto per te"

Dopo tutte le storie assurde che ho letto, ora dovrei aspettare il solito eroe dei fumetti che verrà a salvarmi dal mostro che vuole catturarmi.

Ma se questa volta il mostro fossi io?

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