Lupi

Il respiro è regolare, ma l'alito si condensa nell'aria ghiacciata e, in parte, si cristallizza sulla barba ispida.

L'uomo batte le mani per scaldarsi, i grossi guanti generano rumori attutiti che si perdono fra gli alberi.

Sono due ore che cammino, il sole ormai è allo zenith, mi chiedo quanti gradi ci siano, ma è sicuramente sotto lo zero.

Sto facendo una puttanata, lo so, ma quando ho un dubbio è qua che cerco risposte. Ho solo bisogno di un segno.

Riprende a camminare, come i suoi pensieri.

Quando ci lanciamo nell'ignoto dimostriamo che siamo liberi... dove l'ho sentita questa stronzata?

Il suo sguardo va oltre gli alberi, fino alle cime che si innalzano in lontananza.

Solo un segno.

Abbassa lo sguardo.

Ora devo bere.

Estrae una borraccia da sotto il giaccone in pelle di cervo, è l'unico posto dove metterla per non gelarne il contenuto.

Sorseggia a piccole dosi, è importante idratarsi, mormora a se stesso.

Guarda di fronte a lui. La foresta di conifere sembra diradarsi. Vede il canalone che dovrà risalire, quello che lo porterà al passo.

Cammina su un terreno coperto da sassi ed erba secca; l'inverno è iniziato da oltre un mese, il verde della stagione calda è solo quello degli abeti e dei pini, il resto ha assunto un tono marrone pastello, macchiato a tratti dal bianco delle prime nevicate.

Sale con passi lenti e decisi, il suo zaino è leggero, dentro c'è solo l'indispensabile.

Mentre cammina non può non essere rapito dal paesaggio che lo circonda: una distesa immensa di conifere avvolge la montagna e le sue valli, ma a incantare non è solo questo.

Lo stridio di un rapace gli fa alzare lo sguardo.

Si libra sopra di lui e volteggia in cerchi concentrici.

Ha un'apertura alare di almeno due metri, la grande coda squadrata... un'aquila!

È maestosa, questo è il suo regno e sa che io sono l'intruso.

Ben presto il rapace si allontana.

Ha capito che non sono il suo pasto, almeno finché sarò in vita.

Riprende il cammino, ma il suo sguardo sembra incupirsi.

Grosse nuvole si stagliano oltre le cime e il vento si sta alzando, un vento gelido.

Il tempo sta cambiando.

Accelera il passo.

Il sentiero è ripido, il respiro diventa affannoso.

Devo risalire in fretta il canalone e arrivare lassù.

Guarda in alto, dove la via scompare, inghiottita dalla prospettiva.

Continua la sua ascesa, aumentando l'andatura spera si possa scaldare un po'.

È al passo. Il sentiero sembra non essere più tracciato, ma c'è, lo sa.

Lì le ventate sono ancora più forti e gelide, ma ora potrà scendere dall'altro versante.

Ora, ha però una cosa da fare. Si mette al riparo di una grossa roccia che si staglia dal terreno erboso. Riprende fiato e beve un sorso d'acqua.

Sente le mani ghiacciate, i guantoni si sono irrigiditi e non sembrano più in grado di isolarlo dal freddo.

Se li toglie e si mette le mani sotto il giaccone, rimanendo in quella posizione per diverso tempo, fino a quando le dita non riprendono sensibilità.

Sfila lo zaino per estrarre un pezzo di carta ripiegata, è una mappa. La spiega e la posa sul terreno posandoci sopra un sasso per evitare che il vento la porti via.

La bussola.

Le mani intorpidite afferrano l'oggetto in ottone e lo posizionano sulla carta, allineando l'ago magnetico con il nord indicato sul foglio.

Studia la mappa, poi gira lo sguardo verso una pietraia.

È lì che devo andare.

*

Il vento si fa sempre più forte, gelide frustate alle quali non si può sfuggire.

Devo muovermi, non posso fermarmi.

Il terreno è coperto da un leggero strato di neve che scricchiola quando viene calpestata dagli scarponi, sembra vetro in frantumi.

Giorni fa è nevicato, alza lo sguardo, e ora sta ricominciando.

L'aria trasporta un pulviscolo bianco che si deposita sui vestiti e sul terreno; è polvere ghiacciata. Sono le avvisaglie della tormenta.

Il sole sta scendendo, fra poco farà scuro, devo trovare un riparo.

Fruga con lo sguardo tutto quanto gli sta attorno, non vede nulla che possa difenderlo dal freddo della notte, ma qualcosa lo colpisce.

Tracce.

Si china per osservare meglio.

Le impronte anteriori distano... ottanta, forse novanta centimetri, dalle posteriori e sono larghe tra gli otto e i dieci centimetri.

"Lupi, e più di uno", sussurra.

In questi luoghi non ci sono cani, nemmeno selvatici, né tantomeno in branco.

Segue per un po' le impronte.

Proseguono in modo quasi lineare, ordinato. È quello che fa il capobranco e gli altri gli vanno dietro. Un cane andrebbe a zig-zag e farebbe giri strani, tornando anche indietro. I lupi, no.

Vanno lungo il sentiero, non posso gettarmi in pasto a loro, devo fermarmi.

È solo in quel momento che vede un grosso albero caduto in terra. È ancora verde.

I venti degli scorsi giorni l'hanno sradicato. Gli abeti hanno radici superficiali, che spesso lambiscono la roccia, se sono esposti non reggono le forti raffiche.

Estrae un pugnale e inizia a tagliare dei rami.

Individua una specie di anfratto in mezzo all'albero, come fosse una grotta e, con i rami tagliati, cerca di rattopparne i buchi.

La neve ora sta scendendo copiosamente, la polvere si è trasformata in grossi fiocchi che il vento lancia in caotiche direzioni.

Il riparo è pronto, è rimasto solo il foro nel quale l'uomo prima infila lo zaino e poi entra, come in un igloo, dopo aver trascinato con sé altri rami, coi quali rattoppa quella specie di ingresso.

Fuori sembra scatenarsi l'inferno. Il vento è un urlo disperato che flagella le fronde degli alberi.

Nel rifugio improvvisato lo spazio non è molto, ma gli basta per estrarre dallo zaino il sacco a pelo e infilarsi dentro, dopo essersi tolto il giaccone e averlo deposto in terra a guisa di materassino.

Nel sacco mi scalderò, non ho bisogno del pastrano.

Folate d'aria si incuneano da ogni pertugio, ma quella cavità a lui pare una reggia. Mancherebbe solo un fuoco, cosa impossibile da fare e da pensare.

Trema.

Il tempo passa.

Il rumore del vento cala, ma solo perché l'anfratto viene pian piano ricoperto di neve.

Dal suo buco ovattato sente la tempesta come fosse in lontananza.

Ha fame, ma più ancora sonno.

Sa che ora può dormire, si sta scaldando, non rischia più l'ipotermia.

*

Si sveglia.

Il sole è sorto, lo intravede tra i rami coperti di neve.

Esce dal sacco a pelo e indossa il giaccone.

Ti rimetto nello zaino, sei stato indispensabile, amico mio.

Sposta i rami che han fatto da porta all'ingresso e un cumulo di neve gli cade addosso.

"Fanculo."

Quando esce con la testa dalla sua tana il paesaggio lo rapisce all'istante: è tutto immacolato e il sole splende su quella natura crudele e meravigliosa.

Riesce a trascinarsi fuori, lui e il suo zaino.

Deve esserne caduta almeno quaranta centimetri, ma era previsto.

Estrae dalla sacca due rudimentali racchette da neve, che si allaccia ai vecchi scarponi.

Prima di avviarsi, mette in bocca della carne secca e un tozzo di pane raffermo, beve due sorsi di acqua e, infine, si rimette in cammino.

Affonda nella neve fresca, ma mai come se non avesse le racchette.

Stringe in mano la mappa. Ha individuato i riferimenti che gli servono per proseguire.

Entro sera sarò al capanno.

Il bianco lo avvolge, tutto attorno a lui ha un aspetto candido o quasi.

Le tracce degli animali sono molte, più di quanto si aspettava.

I selvatici sono schivi e si tengono lontani dall'uomo... saggezza ancestrale.

Di colpo si ferma.

Ma non vorrei che fossi proprio tu a smentirmi.

A poche decine di metri una figura imponete di colore bruno scuro, si staglia sulla neve bianca.

Un orso, cazzo.

Estrae il coltello, non ha altre armi.

Non devo muovermi, devo stare fermo, se scappo sono spacciato. Non ho una sola fottuta possibilità.

Ma non sono in letargo in questo periodo?

Il plantigrado lo vede, sembra indeciso, poi viene verso di lui.

Merda.

La lama da venticinque centimetri strofina sul giaccone, più per nervosismo che altro.

L'orso si ferma, ha visto il bagliore del sole riflesso dal coltello.

Sembra indeciso.

L'uomo lo sente rugliare, è un verso che si può percepire solo se si è molto vicini, e lui è maledettamente vicino.

Ora il coltello sfrega sul pantalone, non sa nemmeno di fare questo gesto, è solo istinto, puro istinto di sopravvivenza.

Un ultimo brontolio dell'orso segna la fine di quell'incontro.

Lo guarda allontanarsi, e solo allora cominciano a tremargli le gambe.

"Cazzo, cazzo, cazzo."

*

Il cammino diventa lento, la neve ha questo potere e il tempo passa, inesorabile.

Ho ancora poche ore di luce.

Qualcosa attira la sua attenzione, un lamento.

Estrae il coltello.

Non vede nulla.

Poi di nuovo quel lamento, sembra un guaito.

È quello di un lupo.

Ce l'ha di fronte, è un grosso maschio.

Incrocia i suoi occhi gialli, velati dal dolore: l'animale è intrappolato in una tagliola.

"Ci mancava solo questa."

L'uomo cerca di avvicinarsi, ma il guaito si trasforma in un ringhio.

Lui alza le mani, "Tranquillo, non ti faccio nulla."

Le sue parole non rassicurano la bestia che inizia a digrignare, mostrando le terribili zanne.

L'altro si ferma.

Che cazzo sto facendo?

"Senti... io ora mi avvicino e ti libero, ok? Poi ognuno se ne va per la propria strada, intesi?"

La risposta è un'altra ringhiata.

Sono a meno di un metro di distanza; vede la zampa che freme, nell'inutile tentativo convulso di strapparsi via quei ferri.

"Buono, buono."

Il lupo sembra una furia, sta facendo di tutto per liberarsi e quello che fa gli deve provocare un dolore straziante, perché il suo ringhiare si trasforma presto in un sordido latrato e infine in un pietoso guaire.

"Tranquillo, voglio solo aiutarti."

Sembra rassegnato, non ha più la forza di divincolarsi, lo vedo dai suoi occhi. In lui traspare più dolore che ferocia.

"Tranquillo."

Avvicina la mano al corpo e lo accarezza, l'animale non reagisce.

"Tranquillo."

Eccola, una schifosa tagliola.

Con i guanti afferra le morsette metalliche macchiate di sangue, il lupo resta immobile.

Ci sono amico, fra poco sarai libero.

Con forza, allarga i ferri.

È allora che il lupo si avventa sul braccio e vi infila i lunghi canini, poi capisce di non essere più imprigionato e fugge, zoppicando.

L'uomo si tocca il braccio, il grosso pastrano di pelle di cervo l'ha protetto, si è solo procurato una slabbratura nel tessuto, ma le fauci non sono arrivate al braccio.

"Mi sforzerò di vederlo come una specie di ringraziamento...", sussurra guardandolo in fuga.

Dopo aver controllato la presenza di ferite, rialza lo sguardo, il lupo è tornato sui suoi passi e si è riavvicinato.

"Ricordi cosa ho detto, amico? Poi ognuno per la sua strada, ok?"

Viene fissato da due occhi gialli, ma non sono più angosciati, ora sono tornati a essere quelli di un lupo.

Ma anche dalle iridi di chi gli sta innanzi non trapela alcun timore.

Due sguardi del genere non possono che accettare la partita patta.

La fiera scappa e si allontana, quasi non zoppica più.

L'avventuriero si incammina dalla parte opposta, con la strana sensazione di aver fatto la cosa più giusta, oltre che la cosa più stupida.

Ma i suoi pensieri durano poco.

Un dolore lancinante gli sale dal basso e le sue urla squarciano l'aria.

Cade in terra.

"Cazzo! Cazzo!"

Si tiene la gamba. Mentre cerca di sollevare il piede fuori dalla neve, fuoriescono le due ganasce di ferro che glielo avvolgono.

Un'altra maledetta tagliola, avrei dovuto pensarlo. La neve le ha coperte, maledizione.

*

Poco prima del calare del sole l'uomo raggiunge il capanno fatto di tronchi di legno.

Zoppica, fasce insanguinate gli stringono una caviglia.

Guarda quasi incredulo quella specie di baracca.

Ce l'ho fatta.

Entra, è sfinito. Lascia cadere lo zaino in terra e si butta sulle assi di una branda.

Non può rimanere lì per molto, se si addormentasse potrebbe non svegliarsi più.

Deve alzarsi, accendere un fuoco, far bollire dell'acqua e medicarsi la ferita, oltre a bere e mangiare. Solo dopo potrà dormire.

Quando dispiega il sacco a pelo su quella specie di giaciglio, si sente soddisfatto. Ha fatto quanto doveva e la ferita era solo superficiale, nulla di rotto, ha solo perso del sangue.

Sono quasi alla fine del mio viaggio, pensa, mentre le fiamme nel focolare in sasso riscaldano e illuminano il locale.

Domani ripartirò e saprò cosa sia giusto fare. Per le scelte difficili va liberata la mente da ogni tossina, ma solo se si arriva al limite la si libera veramente.

Il sonno lo aggredisce subito, per quanto sia scomodo, sta dormendo al caldo e al sicuro.

Le tenebre avvolgono il capanno e il fuoco col tempo si spegne.

Qualcosa sveglia l'uomo, qualcosa che proviene da lontano.

Ululati.

E si stanno avvicinando.

Si alza, con le braci che languono sta tornando il freddo.

Guarda fuori dalla grata in ferro di una piccola finestrella, solo buio, buio totale.

Tende l'udito, per ascoltare il minimo rumore, nulla.

Forse se ne sono andati.

Poi capisce, sono lì fuori, li sente e ne percepisce l'odore.

Stanno girando attorno al casotto, come se lui fosse un animale da preda.

Si gira di scatto, cos'è questo rumore? Pensa.

Stanno grattando alla porta con le unghie. Sia in basso che in alto.

Se li immagina ritti sulle zampe a ridosso dell'ingresso.

La porta si muove, scricchiola, ma sembra reggere.

Si precipita verso il focolare. Vi butta gli ultimi ceppi e cerca di riaccenderlo, il fiammifero si spegne più volte, soffia sulle braci.

Impreca, gli trema la mano, poi ecco le fiamme che avvolgono la legna secca.

Rimane lì, vicino al fuoco, pronto ad afferrare un pezzo ardente per poi brandirlo in aria. Al coltello non pensa nemmeno, sarebbe inutile.

Fuori dalla finestra gli sembra di vedere ombre che ringhiano e occhi selvatici che lo fissano, ma forse è solo la sua immaginazione. Lo sfregare alla porta, però, è reale.

Passa un tempo interminabile, che dura forse tutta la notte.

Quando sorge l'alba capisce che è possibile che se ne siano andati.

Guarda dal finestrino senza veder nulla.

Il fuoco ormai è spento e non vi è più legna da ardere.

Ora deve uscire.

Ha già addosso il giaccone, non gli resta che rimettere nello zaino il sacco a pelo e altre poche cose.

È pronto per riprendere il cammino.

Esce, il sole sta sorgendo.

Forse può fare a meno delle racchette, che lascia appese allo zaino.

Vede le tracce dei lupi nella neve. Si trattava di un branco, erano almeno una mezza dozzina.

Poi capisce che pensare al passato è un errore, un grave errore.

Sono sbucati dal nulla e ora sono di fronte a lui, nove belve, oltre a un grosso maschio davanti a tutti. Lo fissano.

L'uomo si lancia verso la baracca, ma il predatore gli è già addosso e lo atterra.

Rotolano nella neve. Inizia una lotta selvaggia, dove perde lo zaino. Pensa al coltello, ma non può prenderlo, può solo tenere il lupo per il collo cercando di allontanare i denti dalla sua gola. Se avesse la meglio su quella belva ne avrebbe contro altri nove, ma a questo non pensa. Nella lotta per la sopravvivenza non si ragiona in questo modo.

Vede avvicinarsi anche gli altri... è finita, pensa.

La bestia gli è sopra, con le fauci spalancate, una bava calda gli cola addosso; sta per essere sbranato.

Un verso di dolore lacera l'aria, il suo aggressore si volta verso un altro lupo.

I due si fissano mostrando le zanne, latrati rabbiosi lasciano il posto a morsi sul collo di entrambi.

Quello che è sopraggiunto è possente, in poco tempo ha la meglio e il più debole si allontana con la coda tra le gambe.

Le altre fiere non si sono mosse, hanno solo assistito.

Vuole me, deve essere il capobranco e nessuno può portargli via il primo assaggio.

Uno sguardo selvaggio si incontra con quello dell'uomo e in quegli istanti di tregua lui nota che l'animale deve essere rimasto ferito nella lotta, perché vede il suo pelo chiazzato di rosso.

Ma non c'è sangue sulla neve, e quello sui peli sembra sangue rappreso, raggrumatosi attorno a una zampa.

Il lupo continua a fissarlo, poi si allontana, seguito da tutti gli altri.

Solo allora lui capisce.

Adesso so chi sei.

Lo guarda andarsene, forse non lo rivedrà più. Si rimette lo zaino in spalla e sospira.

Si sposta in avanti il guantone e guarda il Rolex in platino con quadrante in madreperla.

"È ora di tornare."

Alcuni giorni dopo
nell'ufficio direzionale del trading della K&J Bank

"Com'è andato il weekend?"

"Passabile", se non fosse che ho giocato a vestire i panni di un trapper di fine Ottocento.

Alcuni graffi sul viso e un incedere zoppicante, anche se appena accennato, non rendono convincente la sua risposta.

"Non raccontarmi minchiate."

L'uomo che aveva appena parlato sogghigna e allenta il nodo, impeccabile, alla cravatta di Marinella, per poi riprendere il discorso. "La fanciulla aveva le unghie troppo affilate?"

L'altro lo osserva senza rispondere, il suo sguardo sembra oltrepassarlo, come farebbe un fascio di neutrini.

"Dai, raccontami qualcosa, fra meno di mezzora apre la Borsa e oggi sarà una giornata intensa, soprattutto se hai ancora quella pazza idea di shortare sulle AI-Logic", si ferma per un attimo, "Perché tu hai ancora quell'idea, vero?"

"A quanto le danno all'avvio?"

"A trenta e diciotto. Potremmo vedere come aprono. Se salgono non facciamo nulla, se partono in calo..."

"Partiranno in calo... e scenderanno, in picchiata."

"Ottimo, se lo dici tu."

"Abbiamo in prestito una serie di pacchetti azionari delle AI-Logic per un valore indicativo di duecento milioni."

"E questo significa che vuoi shortare di brutto", annuisce l'altro storcendo la bocca in una smorfia a metà strada tra la soddisfazione e l'incredulo.

"Dai ordine di vendere subito, appena aprirà in calo, questo darà il colpo di grazia al titolo. Poi ti dirò quando ricomprare."

"Giusto, come sempre", si gira verso gli operatori in sala, già davanti ai loro monitor, "Sentito, ragazzi? La mamma ha detto che dobbiamo fare la spesa e ci ha prestato i soldini: duecento milioni di dollari."

"Non sono soldi, sono azioni, dobbiamo solo sperare che crollino e...", negli occhi del trader sembra brillare un lampo animalesco, "... ti assicuro che crolleranno."

Chi gli sta di fronte prova un brivido inaspettato, poi si ricompone e un sorriso torna sulla sua faccia, "E ora, capo, ti è rimasto qualche minuto per raccontarmi del tuo weekend? Non avevi detto che avresti fatto qualcosa di selvaggio? Doveva essere una gattina molto selvatica, se ti ha ridotto così."

"Sì, è stata una cosa molto selvatica."

"Vai a farti fottere, non mi dici mai un cazzo. Allora parliamo di lavoro: so che non fai insider trading, ma chi ti ha dato la dritta sulle AI-Logic? tanto so che non me lo dirai."

Lui replica con sufficienza, "Qualcuno dagli occhi gialli."

"Cosa? Che tu frequentassi gente strana, mi era noto, ma esseri dagli occhi gialli... chi cazzo era? Uno con l'itterizia?"

Nessuna risposta, il suo interlocutore non lo sta nemmeno ascoltando, la sua mente sta andando ad alcuni giorni prima, fuori da un capanno nel mezzo di una sterminata foresta sulle montagne rocciose.

I lupi si sono allontanati e lui, quasi d'istinto, guarda l'ora e pensa che sia il momento di tornare, ma solo quando rialza lo sguardo, capisce che quel momento non è ancora arrivato.

Il lupo ferito dalla tagliola sta tornando, seguito dagli altri.

Vede le sue zanne imbeversi di bava e i suoi occhi giallastri sembrano saettare lampi di odio.

L'uomo si volta, non ha bisogno di fare congetture e corre verso l'ingresso del capanno.

L'animale è in corsa, ormai gli è vicino.

Prima che lui possa gettarsi all'interno viene azzannato a una gamba.

Si butta verso la porta socchiusa, che si spalanca e lo fa ricadere all'interno.

Il lupo rilascia i denti dalla gamba e tenta di affondarglieli nella gola, ma subito rovina a terra alcuni metri avanti; ha appena ricevuto una botta, con la forza di due piedi uniti assieme. Chi ha sferrato il colpo arretra verso la porta, la quale sbatte e si chiude. Appena in tempo, pochi secondi e anche le altre belve avrebbero fatto irruzione.

Senza rendersene conto, l'uomo strattona il catenaccio e blocca l'entrata.

La bestia è di fronte a lui, sorpresa dal fatto che la sua preda abbia opposto una tale resistenza.

La bava della belva bagna il pavimento e un sinistro ringhiare invade lo spazio attorno.

L'uomo si chiede cosa sia cambiato, se, sia cambiato qualcosa.

Ora so, veramente, chi sei.

Quelle immagini e quelle sensazioni rimarranno impresse nella sua memoria per sempre, come quello che succederà dopo.

Ma lui non si ciba di ricordi e torna con il pensiero lì dov'è, negli uffici di una Banca di trading.

Abbassa lo sguardo e fissa il rolex in platino da quaranta kappa, "È ora di muoversi", poi si volta verso il collaboratore, "Non era una gattina, era un lupo."

L'altro lo guarda perplesso, "Intendi uno tosto come noi? Uno con grossi peli sulle palle?"

La prima risposta è un sorriso strano, seguita da parole sibilline, "Sì, aveva grossi peli addosso, e non solo sulle palle."

"E ora, a quelli là fuori... dimostriamo di essere dei lupi."

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