Capitolo VII - Tempo

"Mi hanno piantato così tanti coltelli che quando mi regalano un fiore

all'inizio non capisco nemmeno cos'è. Ci vuole tempo."

Charles Bukowski


La prima volta che Leia le aveva fatto usare il remoto per l'addestramento, le aveva ordinato di infilarsi il vecchio casco da pilota di Luke e di abbassare il paralaser. Rey non aveva fiatato in quel momento, non avendo il coraggio di contraddire il Generale Organa, ma dentro di sé aveva pensato che fosse ridicolo, oltre che pericoloso. Quel tipo di allenamento, tuttavia, si era rilevato piuttosto interessante, anche se faticoso. Richiedeva, infatti, una concentrazione notevole, ed era proprio questo a preoccupare Rey al momento. Non amava ammetterlo – anzi, forse non lo avrebbe confessato nemmeno sotto tortura – ma la presenza di Ben non l'aiutava a rimanere focalizzata sull'obiettivo.

Così, quando anche Ben saltò fuori con la proposta di usare il remoto – con tanto di paralaser abbassato, per giunta! – Rey decise di fingere spudoratamente di non averlo mai visto. Inarcò addirittura un sopracciglio con aria scettica, cercando di fargli cambiare idea: avrebbe accettato tutto, tranne di essere colpita più volte dal quell'aggeggio perché troppo presa dal fantasma che la fissava a qualche metro di distanza.

"È ridicolo," affermò la ragazza, inclinando le labbra in una falsa espressione imbronciata. In mano teneva il casco di Luke con una certa insicurezza mista a devozione.

La prima volta che l'aveva visto, era rimasta a bocca aperta. Era un casco incredibilmente simile a quello che aveva lei su Jakku. L'aveva indossato così tante volte sognando di pilotare davvero un caccia stellare, l'aveva lucidato e accarezzato con assurda nostalgia per quasi vent'anni... e ora ne aveva uno quasi uguale, ma che forse aveva visto più pianeti di quanti ne avesse visitati lei. Da una parte, non aspettava altro che infilarselo e sfidare il remoto in un duello agguerrito; dall'altra, invece, cercava disperatamente una scusa per evitare l'enorme imbarazzo che sentiva sarebbe giunto di lì a poco.

"Non ho molta esperienza con i remoti," mentì, squadrando la palla di metallo che giaceva sul terreno davanti ai suoi piedi. "Ma sono sicura che non sia piacevole essere colpiti da loro."

"Allora non farti colpire," rispose Ben, in attesa che lei si decidesse a dargli retta. Con le braccia incrociate sul petto, sembrava serio e divertito allo stesso tempo. Nonostante l'agitazione che l'aveva presa, Rey si sentì soddisfatta nell'osservare quel cambiamento positivo in lui. Vederlo sereno e lontano dai suoi demoni, almeno per un po', la rincuorava.

"Se non ci vedo come faccio?" chiese, sperando di non sembrare troppo infantile.

"Sono sicuro troverai un modo," replicò lui, chiudendo il discorso.

Così Rey, con un sospiro quasi melodrammatico, s'infilò il vecchio casco, guardò Ben come se stesse per andare in guerra e calò la visiera sugli occhi. Poi filò la spada laser dalla cintura e l'accese, impugnandola saldamente davanti al suo corpo, pronta a proteggersi dai colpi pungenti del remoto... e da un'eventuale umiliazione.

All'inizio non udì nulla, tranne un lieve ronzio proveniente dal basso. Lo sentì salire, ma il rumore era così discreto che presto si mischiò con quello del laser della spada. Nel giro di qualche secondo, aveva già perso le sue tracce.

Il remoto, guidato dai propri sensori interni, sembrò riconoscere il disorientamento della ragazza e ne approfittò, centrandola alla coscia destra. Il colpo, simile a una scossa elettrica, le fece emettere un grido di sorpresa.

Rey si allontanò di scatto, spostando la spada laser nella direzione da cui era partito il colpo, ma il remoto fu più veloce di lei. Una seconda scossa la colpì alla mano sinistra, facendole perdere la presa sull'arma. La spada laser cadde a terra, accompagnata dalle imprecazioni della ragazza.

Tirò su la visiera, individuò l'arma tra l'erba e la raccolse. Quando rialzò la testa, il suo sguardo incontrò quello curioso di Ben.

"Ti stai divertendo?" chiese, sollevando le sopracciglia in modo provocatorio per nascondere l'imbarazzo, mentre si massaggiava distrattamente le zone colpite.

"Riprova," si limitò a rispondere lui.

Con un sospiro, Rey riabbassò il paralaser e accese la spada. Fece un respiro profondo, si concentrò sui battiti accelerati del proprio cuore ed espanse le sue sensazioni finché non riuscì a vedere il remoto come se lo stesse guardando con i propri occhi. Il piccolo robot tentò di colpirla più volte, ma lei riuscì a parare le scosse con facilità, seguendo rapidamente gli spostamenti del suo antagonista. I suoi movimenti, guidati dall'istinto, erano fluidi ed eleganti, come quelli di una Vulptex.

Dopo centinaia di colpi deviati, Rey spense la spada laser e si tolse il casco. Con il sudore che le imperlava la pelle, i capelli appiccicati al volto e il fiatone, aveva tutta l'aria di aver bisogno di riposo. Il suo sguardo, tuttavia, tradiva una certa soddisfazione.

"Cinque minuti di pausa," sospirò. "Quel piccoletto mi ha dato del filo da torcere."

"Questo perché ti ostini a usare i tuoi sensi al posto delle sensazioni." La voce di Ben aveva quel tono tranquillo e serio di ogni insegnante che si accinge a dare spiegazioni ai propri studenti, e Rey rimase sollevata nel sentirlo.

"Il tuo potenziale è enorme, ma a volte ti dimentichi di usarlo. Devi fidarti della Forza," continuò lui.

La ragazza annuì, riconoscendo un briciolo di verità in quelle parole.

Il suo sguardo si soffermò sul remoto che, congedato dall'addestramento, giaceva di nuovo sull'erba. "L'hai mai usato?"

"Più o meno," rispose lui, tenendosi sul vago.

Rey inclinò la testa, incuriosita. "Che vuol dire più o meno?"

Ebbe un tuffo al cuore quando l'espressione tipica di Han Solo riaffiorò sul viso del fantasma.

"Parli davvero troppo quando ti alleni."

La ragazza aprì la bocca per ribattere, ma un ronzio a lei noto catturò la sua attenzione. Ben aveva riattivato il remoto, cercando di tenerla lontana dai propri ricordi.

Rey sguainò nuovamente la spada laser, ancora incuriosita dalle parole di lui. Avrebbe atteso pazientemente la fine di quella sessione, se era questo che lui voleva.

***

Qualche ora dopo, Rey si buttò stremata sull'erba. Nonostante avesse passato tutta la vita ad arrampicarsi all'interno degli star destroyer precipitati su Jakku e a svolgere lavori tutt'altro che leggeri, quella sfida con il remoto l'aveva totalmente prosciugata. Usare la Forza per supplire alla mancanza della vista richiedeva più energie di quante ne servissero per smontare un intero caccia stellare.

Con la casacca zuppa di sudore, i capelli incollati al viso e la pelle bollente, Rey rimase immobile con gli occhi chiusi, attendendo pazientemente che il respiro le tornasse regolare. Il cuore le batteva nelle orecchie così furiosamente che per un attimo temette di rompersi i timpani.

Per quanto fosse vecchia e rudimentale, quella piccola palla di metallo e cavi elettrici di certo sapeva il fatto suo.

Quando il battito cardiaco si fece più calmo e regolare, riuscì a captare dei passi alla sua destra. Con riluttanza socchiuse le palpebre. La luce s'infilò crudelmente tra le ciglia, accecandola. Corrugando la fronte in una ridicola espressione infastidita, Rey si fece ombra con una mano e riaprì con cautela gli occhi.

La figura di Ben la sovrastava, allungandosi all'infinito verso il cielo. I contorni del suo corpo, in netto contrasto con la luce accecante del sole, apparivano sfuocati, quasi in movimento. Lo sguardo della ragazza riuscì a registrare solo pochi dettagli: le braccia conserte, le gambe divaricate saldamente ancorate al suolo, il mantello che gli ricadeva attorno.

"Pensavo avessi più resistenza, cerca-rottami."

Le sopracciglia di Rey si sollevarono, sorprese dal tono ironico di lui. Ma non era solo sorpresa, quella che provava. C'era anche sollievo. Ben aveva già dimostrato di saper essere provocatore e sarcastico quando si trovava in una posizione di vantaggio rispetto all'avversario. Era sollevata nell'osservare che era rimasto se stesso, nonostante tutto lo sconforto e il dolore che gli aveva visto negli occhi qualche giorno prima, sul Falcon.

Persa nelle sue riflessioni, Rey rimase con lo sguardo puntato verso l'alto, in silenzio. La mancanza di una qualsiasi reazione da parte della ragazza spinsero Ben a chinarsi, appoggiando un ginocchio a terra. "Stai bene?" le chiese, scrutandola con attenzione.

Con la testa ancora annebbiata per la stanchezza, Rey si sforzò di non mettersi a ridere di fronte a quella scena bizzarra. Prima che lui potesse percepire il suo divertimento attraverso la Diade, Rey domandò: "Che vuol dire più o meno?"

Ben aggrottò la fronte, incapace lì per lì di dare un senso a quella frase. "Cosa?"

La ragazza indicò con l'indice il remoto che giaceva immobile sul terreno, a qualche metro da lei. Il fantasma seguì la direzione del suo dito fino all'oggetto incriminato, per poi tornare indietro. Lo sguardo che le rivolse fu un misto di pazienza e rassegnazione. Si passò una mano tra i capelli, mettendosi a sedere sull'erba.

La ragazza si tirò su a sua volta, impaziente di sentire quell'aneddoto che si preannunciava interessante. A dir la verità, ogni particolare della sua vita la incuriosiva. Da quando aveva visto il piccolo Ben sul Falcon, in lei era nata una sorta di frenesia, di desiderio irrefrenabile; avrebbe voluto sapere tutto, ogni marachella fatta da bambino, ogni avventura intrapresa da adolescente. Si sentiva come un pozzo senza fondo, incapace di saziarsi delle informazioni che possedeva. Ne voleva ancora, e ancora, e ancora...

Ben però non dava alcun cenno di voler iniziare quel racconto. Se ne stava con la testa china, le labbra strette a formare una linea sottile.

Rey fece un respiro profondo e si concentrò sulle emozioni di lui, trovando proprio ciò che si aspettava: insicurezza e timore. Ma non si limitò a sondare la superficie. Si espanse ancora un po', cercando di intrufolarsi discretamente nella sua testa. Non si dovette sforzare a lungo: i sentimenti del fantasma si mostrarono apertamente, senza alcuna resistenza. Non c'era diffidenza in lui, solo imbarazzo. E nostalgia, anche. Pur non riuscendo a vedere i ricordi su cui stava rimuginando, sentiva che non erano negativi, anzi, erano quasi ridicoli. Forse era proprio quello a rendere Ben così indeciso.

Rey indugiò a lungo sul da farsi, chiedendosi se non fosse il caso di dire qualcosa... finché non arrivò a concludere che lui aveva bisogno solo di una leggera spinta, un minimo cenno di fiducia che gli permettesse di affrontare quella piccola insicurezza che non lo faceva parlare. Perché, si sa, tutte le insicurezze non affrontate hanno il vizio di diventare ostacoli insormontabili nel tempo.

Non ho paura, gli ricordò senza parlare.

Per qualche secondo, tutto rimase com'era: Ben restò immobile, con lo sguardo perso nel vuoto. La ragazza si chiese se l'avesse sentita, se i loro pensieri fossero ancora collegati nella Forza.

Decise di riprovare, ma non fece in tempo. Il fantasma rialzò la testa e la guardò. Gli occhi erano di nuovo vigili e attenti, quasi riconoscenti. Il cuore di Rey esultò per la vittoria e si mise in attesa.

"Avevo cinque anni," cominciò lui. La voce era pacata e calda, come quella di un genitore che racconta la favola della buonanotte ai suoi bambini. "Mio padre e Chewie erano appena tornati da uno dei loro viaggi. Fecero in tempo a salutarmi che subito qualcuno li chiamò, non ricordo per cosa. Scesero entrambi e mi dissero di aspettare lì."

Lo sguardo di Ben, di nuovo perso nei ricordi, sorrideva.

"Così ho cominciato a girovagare per il cargo," continuò. "All'epoca mi sembrava enorme. Sono andato verso la scacchiera, era il mio gioco preferito... anche se in realtà non avevo idea di come funzionasse."

Rey si morse le labbra, trattenendosi dal ridere. Non voleva interromperlo, visto quanto ci aveva messo per convincerlo a parlare. Con una certa soddisfazione, notò che non era l'unica a essere divertita.

"Lì vicino c'era la sacca di Luke, l'aveva lasciata lì dopo la morte del suo vecchio maestro e non l'aveva più toccata. Non serve che ti dica cosa c'era dentro..."

"Il remoto," rispose lei.

Ben annuì. "Non sapevo cosa fosse né a cosa servisse, così l'ho acceso."

"Spero tu abbia abbassato il paralaser," lo provocò Rey, facendolo sorridere. Fu un sorriso vero, ironico e contagioso.

Ben strappò un filo d'erba, rigirandoselo tra le dita pallide. Negli occhi aveva un'espressione tra il rallegrato e l'imbarazzato.

"Sono scappato," confessò.

Rey lo guardò accigliata. "Come, scusa?"

"Non sapevo potesse sparare."
"Non spara, dà scosse elettriche," precisò lei.

"Ero un bambino!" tentò di giustificarsi lui.

"E quindi?"

"Facevano male, e non avevo niente con cui difendermi. La fuga era la soluzione migliore."

Rey rise. Era una risata delicata, la sua, come quella di una madre che vede il proprio figlio fare qualcosa di ridicolo. Si sentì sopraffatta da una dolcezza nuova, a lei sconosciuta. Una dolcezza che l'aveva afferrata quasi con violenza, abbracciandola stretta come se non volesse più lasciarla andare. Un sentimento curioso, sconosciuto, che pensava non avrebbe provato mai.

"Perché non hai usato la Forza?" gli chiese.

Ben aggrottò la fronte, pensoso. "Non lo so. Ero così spaventato che pensavo solo a correre per salvarmi la pelle."

"E chi ti ha sottratto alla morte?" domandò lei, con tono melodrammatico. Provava l'intenso desiderio di canzonarlo, almeno un po'.

"Mia madre," rispose Ben serio. "Mi aveva sentito urlare."

"Stavi addirittura urlando?!"

Rey avrebbe potuto scherzare così per ore. Non sapeva da dove saltasse fuori tutta quell'ilarità, quella voglia smisurata di prenderlo in giro. Non era mai stata una tipa scherzosa, su Jakku la comicità non era vista di buon occhio.

Avrebbe voluto bearsi in eterno di quella leggerezza che l'aveva invasa da capo a piedi. Avrebbe voluto farlo davvero.

Eppure non voleva forzare la mano. Stava danzando sul ghiaccio, su una lastra ancora troppo sottile per lasciarsi andare. Doveva fare un passo alla volta, con cautela. Bastava anche il più piccolo sbaglio, un movimento calibrato male, e il ghiaccio si sarebbe rotto.

Era necessario, dunque, che guardasse il modo di reagire di Ben. Doveva basarsi su ciò che la Diade le permetteva di intuire.

Ben al momento sembrava imbarazzato, ma allo stesso tempo felice. Rey lo guardò, lasciandosi investire dai sentimenti di lui; coraggio, timidezza, determinazione. E speranza, viva e vibrante. La speranza di riuscire, un giorno, a liberarsi di ogni peso, ogni senso di colpa, ogni ricordo doloroso.

Ma c'era anche qualcos'altro. Una sorta di spossatezza mentale. Ben era stanco, come se quella "confessione" fosse stata terribilmente faticosa, come se si fosse dovuto sforzare per aprirsi con lei, per stare al gioco.

Rey avrebbe voluto cavalcare quell'onda all'infinito, ma per Ben non era così semplice. Si era nutrito di sangue e rancore troppo a lungo. Le ferite prodotte dalla delusione e dal tradimento avevano iniziato a guarire con la sua redenzione, ma di tanto in tanto tornavano a prudere, come a ricordargli che continuavano a essere lì, imperterrite. Ci voleva serenità, calma. Soprattutto, ci voleva tempo.

E Rey era pronta a concedergli tutto ciò di cui aveva bisogno.

***

"È bipolare, non me lo spiego altrimenti."

Finn, visibilmente indispettito, lanciò la sua cena accanto a quella del Generale Dameron. Aveva un'espressione perplessa, come se stesse cercando di risolvere un dubbio esistenziale. Si sedette sulla panca e cominciò a rovistare nella zuppa col cucchiaio, facendo venire a galla quelli che sembravano essere pezzettini di carne. Poe sperò che non si trattasse dei Porg che Chewbacca aveva riportato da Ahch-To mesi prima.

"Di chi stai parlando?"

Finn alzò la testa, fissandolo sbalordito. "Non è ovvio?"

"Direi di no..."

"Di chi vuoi che parli? Di Rey, naturalmente!"

Poe annuì lentamente, tutt'altro che convinto. "Naturalmente," ripeté. I suoi occhi vagarono sul volto dell'amico, cercando di capire cosa stesse pensando e, in particolare, cosa lo rendesse così... isterico.

"È successo qualcosa?" domandò infine, incapace di trovare una soluzione da solo.

"Non la riconosco più."

Poe sospirò. Adorava Finn, lo riteneva il suo migliore amico, dopo BB-8. Certe volte però sapeva essere davvero esasperante.

"Puoi essere un po' più esauriente?"

Finn mise giù il cucchiaio, incrociò le braccia, appoggiò i gomiti sul tavolo e si sporse verso l'amico. Gli occhi, spalancati, gli davano un'aria inquietante.

Niente di buono, si disse Poe.

"Oggi ho chiesto a Rey di aiutare Rose con un caccia. Un problema al radiofaro, niente di grave..."

Poe gli fece cenno di proseguire, agitando la mano. "Arriva al punto."

"Rey ha detto di sì!" strillò Finn, allargando le braccia come se avesse rivelato la notizia più bizzarra della Galassia.

Poe continuò a fissarlo, incapace di rielaborare l'informazione, finché non comprese che non c'era proprio un bel niente, da rielaborare.

"Non ho afferrato."

L'ex assaltatore fece un respiro profondo, chiedendosi come facesse l'amico ad essere così distratto. "Non si è lamentata. Neanche il minimo accenno di rifiuto. Non ha procrastinato né obiettato. Niente di niente."

"È un bene, Finn. Vuol dire che si sta riprendendo. Aveva solo bisogno di tempo."

"Ascoltami," sussurrò Finn, avvicinandosi ancor di più a Poe per non farsi sentire da orecchie indiscrete. "Fino a qualche giorno fa Rey era intrattabile. Andava chissà dove con la scusa di allenarsi, e spesso tornava più incattivita di prima. E poi, tutt'a un tratto, diventa una formica operosa..."

"Formica operosa?" ripeté Poe, mettendosi a ridere.

"Per settimane è stata scontrosa, bugiarda e sfaticata. Ora invece torna dalle sue fantomatiche sessioni di addestramento tutta contenta, in pace con la Galassia intera!"

Poe chiuse gli occhi, prendendosi la testa tra le mani. Era tutto fin troppo ridicolo. "Finn, quello che dici è assurdo. Punto."

"Poe." La nota implorante nella voce del ragazzo spinge il Generale Dameron ad alzare la testa. Finn lo stava prendendo per sfinimento. "C'è qualcosa di diverso in lei. Succede qualcosa quando si allena. Lo sento."

"Invece di usare il tuo super intuito da Force sensitive, perché non glielo chiedi direttamente?"

"È assurdo," sbottò Finn

"Concordo." Poe annuì. "È veramente assurdo."

Ma Finn non aveva intenzione di arrendersi, non ancora. "Leia ti direbbe di fidarti della Forza."

"Io mi fido di ciò che vedo, Finn. Se pensi che Rey abbia un qualsiasi problema, va' da lei e diglielo."

Finn chinò la testa, sconfitto. Come poteva dire a Poe di quella presenza sinistra che aveva percepito vicino a Rey, così estranea e allo stesso tempo così familiare? Poe era sempre stato poco tollerante nei confronti della Forza. Si fidava delle proprie conoscenze e delle proprie capacità, non ammetteva nient'altro. Il che era paradossale, visto che aveva visto con i suoi stessi occhi ciò di cui la Forza era capace. Eppure Poe era così: permaloso, avventato e, certe volte, irrazionale.

Fu proprio quando Finn ammise la sconfitta che la voce dell'amico si fece risentire: "Magari ha degli incontri segreti con qualcuno durante i suoi allenamenti"

L'ex assaltatore raddrizzò immediatamente la testa, piantando lo sguardo in quello di Poe. Aprì la bocca per chiedergli a chi si stesse riferendo, ma con disappunto notò che il suo interlocutore stava già ridendo. Aveva approfittato della sua apprensione – nonché della sua gelosia malamente repressa – per prendersi gioco di lui.

"Non è divertente," sibilò a denti stretti, tornando a concentrarsi sulla sua cena, chiaramente indispettito.

"Lo è, invece."

***

C'era qualcosa che gli sfuggiva. Un particolare che continuava a sporgersi verso di lui per poi ritrarsi immediatamente. Sapeva che era un dettaglio importante, un elemento che non doveva scappargli, eppure non riusciva a raggiungerlo. Così se ne stava lì, Ben Solo, con le braccia incrociate sul petto e le gambe saldamente ancorate al terreno, perfettamente immobile. Lo sguardo, attento e leggermente irrequieto, era fisso su Rey, impegnata nell'ennesima sfida contro il remoto. Ben ne analizzava scrupolosamente i movimenti, il modo in cui impugnava la spada laser, i passi felini mentre seguiva il suo avversario senza vederlo. Il paralaser le lasciava scoperta solo le labbra, strette per la concentrazione.

A Ben non serviva guardarla negli occhi per sapere cosa stesse provando, e non solo grazie alla Diade. La tensione della ragazza sarebbe stata visibile a chiunque; guizzava in ogni singolo nervo, facendole fremere i muscoli e accelerandole il respiro.

Il remoto quasi la colpì, sfiorandole il braccio destro. La posa della ragazza s'irrigidì, per poi scattare improvvisamente, come se volesse invertire i ruoli e passare dalla difesa all'attacco. Ben fece per intimarle di concentrarsi e di focalizzarsi sull'obiettivo, ma non ce ne fu bisogno. Rey si ricompose e la sua impulsività svanì con la stessa velocità con cui era arrivata.

Fu proprio in quel momento che Ben riuscì a individuare quel dettaglio nascosto che continuava ad assillarlo. Lo trovò proprio lì, nelle mani della ragazza che stritolavano la spada laser, negli arti tesi pronti a contrattaccare, nella forza bruta che le scorreva in tutto il corpo.

Rey non possedeva lo stile di combattimento di Luke, né di qualsiasi altro apprendista Jedi che avesse conosciuto. Non era aggraziata, leggera o elegante come il suo vecchio Maestro. Al contrario, Rey era istintiva, arrogante, aggressiva. Il suo stile era grezzo, quasi presuntuoso. Per quanto controllo cercasse di avere, l'energia che le ribolliva dentro intorbidava ogni gesto.

No, non aveva appreso lo stile di Skywalker.

Aveva ereditato quello di Kylo Ren.

Probabilmente l'aveva appreso tramite la Diade, durante i loro contatti nella Forza. Aveva acquisito non solo le sue capacità, imparando in un attimo ciò che un normale padawan avrebbe assimilato solo dopo anni e anni di pratica, ma anche la sua foga e il suo potere indomito. Ecco perché gli aveva sempre tenuto testa, perfino durante il primo scontro sulla Base Starkiller. Ecco perché era stato così facile e naturale combattere al suo fianco contro le Guardie Pretoriane di Snoke. I loro modo di muoversi, di affrontare il nemico, di maneggiare le spade laser... Rey aveva copiato da lui tutto ciò che sapeva sul combattimento.

E probabilmente Luke l'aveva visto, doveva essersene accorto. Chissà com'era stato per lui vedere la Forza bruta e immatura di Rey, per poi duellare contro Kylo Ren su Crait e rivedere esattamente le stesse mosse, la stessa tecnica.

Chissà com'era stato, per Skywalker, affrontarlo un'ultima volta, vedere l'unico nipote in preda alla violenza, all'ira e all'implacabile desiderio di uccidere.

Le parole che aveva rivolto a Luke gli rimbalzavano ancora in testa.

Distruggerò lei. E te.

Rey percepì il groviglio di pensieri in cui Ben si stava immergendo. Rinfoderò la spada, sollevò il paralaser e disattivò il remoto. Vedendola sfilarsi il casco, lui riemerse dalle sue congetture. Sembrava lievemente stordito, come se si fosse perso qualcosa e il suo cervello cercasse di rimediare a quel buco temporale.

Rey non poté fare a meno di sorridere davanti a quell'espressione un po' spaesata, tanto era strano vederla sul viso sempre serio e attento di Ben. "Va tutto bene?"

Ben annuì. Gli occhi tornarono immediatamente riflessivi e vigili. "Stavo solo pensando."

La ragazza rimase ferma, con il casco sottobraccio, in attesa. Sentiva che di lì a poco avrebbe aggiunto qualcosa.

E, infatti, non dové aspettare a lungo.

"Alla battaglia di Crait," aggiunse Ben.

Rey fece un passo verso di lui, il volto serio. Ben non le aveva mai parlato di Kylo Ren di sua spontanea volontà da quando era morto. Non sapeva se esserne preoccupata o meno, ma sicuramente ciò la innervosiva. Come sarebbe stato per lui affrontare di nuovo la parte peggiore di sé?

Ma il volto affilato del fantasma sembrava imperscrutabile, immerso nei ricordi. Gli occhi scuri rivedevano Crait, le impronte cremisi sul terreno imbiancato dal sale, le macerie degli sky speeder in fiamme, le file degli enormi AT-M6 che aspettavano pazientemente un suo ordine che li autorizzasse a sparare.

Poi, inevitabilmente, rivide Skywalker, il viso solcato dalle rughe, gli occhi lucidi e iniettati di sangue. E quell'espressione pentita ma risoluta mentre si scusava con lui.

Rey intravide distintamente Luke nella memoria di Ben, come se ce l'avesse davanti. Si perse in quella visione, il mondo cominciò a svanire attorno a lei. Non si accorse nemmeno della propria voce mentre sussurrava il nome del suo vecchio Maestro.

Furono le parole di Ben a riportarla alla realtà.

"Aveva perso qualsiasi speranza di farmi tornare al Lato Chiaro. Non era lì per salvarmi, ma per distruggermi," mormorò con tono calmo, quasi distaccato. "E anche io. Li volevo tutti morti." Posò lo sguardo impassibile su Rey, scrutandola. "Compresa te."

Quelle parole non provocarono in Rey alcuna reazione. Avrebbe dovuto esserne colpita, forse angosciata. Ma non provava niente di tutto ciò. Si limitava a guardare il volto impenetrabile di Ben, i capelli scompigliati, gli occhi nascosti sotto le lunghe ciglia. Da quando aveva capito che poteva essere totalmente se stesso con lei, Ben aveva iniziato ad aprirsi sempre di più. Quell'atto di fiducia immensa, quel gesto d'accettazione e d'amore incondizionato che gli aveva dimostrato a bordo del vecchio mercantile di Han Solo, gli aveva fatto finalmente comprendere che non aveva bisogno di nascondersi dietro una maschera fredda e impassibile; Rey non aveva paura di lui, non temeva né Kylo né tanto meno Ben. Così lui aveva cominciato a disfarsi, pezzo dopo pezzo, di quel muro che aveva innalzato per difendere Rey da se stesso. E Rey, immensamente grata del cambiamento, benediva tutto ciò che attraversava le crepe di quella barriera.

"L'avrei ucciso, se lui fosse stato veramente lì."

"La guerra è guerra, Ben. Nessuno di noi è innocente."

Il tempo sembrò dilatarsi all'infinito, mentre sprofondavano l'uno negli occhi dell'altra. Non c'era odio nello sguardo di Ben, né confusione, né tormento. Neanche angoscia. I sensi di colpa avevano cominciato pian piano a lasciare la presa su di lui. Stava estirpando tutto il veleno che gli era rimasto sotto la pelle, goccia dopo goccia.

Rey captò infine qualcos'altro, un ultimo dettaglio che fino a quel momento non aveva avvertito. Una scintilla di nostalgia, una punta di amarezza stemperata dal passare del tempo. Ben si era soffermato su un ultimo ricordo.

Rey rivide se stessa, in piedi davanti all'entrata del Falcon, impegnata a far salire gli ultimi superstiti della Resistenza. Rilesse la sorpresa e la rabbia con cui aveva guardato Kylo Ren appena si era accorta dell'ennesimo contatto nella Forza. Poi gli aveva chiuso il portellone del mercantile corelliano in faccia, lasciandolo solo con un Hux decisamente irritato.

"Quello sì che è stato un colpo basso," affermò Ben, con le labbra stiracchiate in un timido sorriso sarcastico.

Il cuore di Rey perse un battito a quell'osservazione. Le volte in cui Ben aveva usato con disinvoltura la sua ironia si contavano sulle dita di una mano. La invase un'ondata inspiegabile di gioia a quell'ennesima dimostrazione di spirito, di schiva ilarità.

Eppure, insieme a quel barlume di speranzosa felicità, percepì anche un flebile rimpianto che, sottile come una spina, le si era fastidiosamente infilato sotto la pelle. Aveva desiderato così a lungo e così intensamente di conoscere il vero Ben, di sentirlo parlare con il cuore in mano... E allora perché sentiva di nuovo la solitudine accucciarsi dietro di lei, pronta ad attaccarla di nuovo?

***

Dopo il verde di Takodana e il blu di Ahch-To, l'oro di Jakku le sembrava troppo abbagliante, troppo fastidioso.

I piedi affondavano nella sabbia, risucchiati dal loro stesso peso. I muscoli le dolevano, la gola reclamava disperatamente anche la più piccola goccia d'acqua.

Si sentiva sfinita, svuotata, leggera come una nuvola senza pioggia. Le girava la testa così violentemente che faceva fatica a distinguere il terreno dal cielo. Avevano lo stesso colore: una tempesta di sabbia si avvicinava, offuscando l'orizzonte. Rey avrebbe voluto mettersi a correre, cercare un posto dove ripararsi, ma le gambe non le obbedivano. Continuava a guardare davanti a sé, socchiudendo le palpebre per proteggersi dalla sabbia. Sapeva che sarebbe apparso qualcosa che doveva assolutamente vedere.

E quel qualcosa non si fece attendere molto.

Una figura nera si stagliò contro l'oro del pianeta. Le lunghe gambe si dirigevano verso di lei con larghe falcate, la sabbia non osava ostacolarle. Il mantello, agitato dal vento, si muoveva di vita propria.

Ben avanzò nella sua direzione. Ed era vivo, concreto e reale tanto quanto lei.

Si fermò a meno di un metro di distanza, sovrastandola. Gli occhi scuri, nascosti dai capelli scompigliati dal vento, brillavano di luce propria.

Rey concentrò tutte le sue energie sulle gambe, cercando di liberarsi dall'abbraccio soffocante del deserto. Si allungò verso di lui e finalmente lo abbracciò.

Sentì il calore della sua pelle, scaldata dal sole e dal vento bollente. Percepì ogni muscolo vibrare a contatto con il suo corpo, la solidità delle mani che la stringevano, ricambiando l'abbraccio.

Ma durò solo per un breve istante.

Il corpo di Ben cominciò a sfaldarsi sotto le sue dita, disintegrandosi. Si trasformò in sabbia ruvida e rovente. I minuscoli granelli le s'infilarono sotto le unghie mentre cercava di artigliare ciò che rimaneva del giovane Solo.

Le gambe non la ressero più, cadde sulle ginocchia.

Si fissò le mani vuote.

Le ultime manciate di sabbia le erano scivolate dalle dita, perse per sempre.



Note:

La questione dell'apprendimento dei poteri tramite la Diade è presente nella novellizzazione di Star Wars: Gli Ultimi Jedi di Jason Fry. Purtroppo non posso vantarmi di averlo inventato io.

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