My bloody valentine. (Alice e Niccolò) di alicehorrorpanic

San Valentino ed essere impazzita completamente.

Da più di mezz'ora stavo facendo avanti e indietro per la mia stanza, agitata e in preda al panico perché non sapevo cosa indossare ma soprattutto perché Gaia non rispondeva al telefono.

Stavo diventando un tutt'uno con il mio armadio e la faccenda mi stava preoccupando, avevo provato già dieci gonne, ma nessuna mi convinceva: una era troppo lunga, l'altra era corta, l'altra ancora mi faceva il sedere di una balena, per non parlare dei colori assurdi e vomitevoli.

La mia pazienza stava per esaurirsi e se quella donna non si decideva a rispondere alle mie chiamate sarei andata a prenderla con la forza e le avrei strappato tutti i capelli.

Sbuffai per la millesima volta e mi accanii mentalmente sul mio ragazzo, che solo qualche ora prima se ne era uscito tranquillo con un«stasera ti porto fuori a cena» mostrando il suo sorriso da spacca cuori, ma io volevo solo prenderlo a pugni nelle parti basse.

Non poteva pretendere che recepissi le sue parole, le analizzassi e prendessi coscienza in meno di cinque secondi.

Una donna doveva essere avvisata prima, almeno due settimane dal suddetto evento, ci voleva una buona preparazione sia psicologica che mentale.

Inoltre sarei dovuta andare dall'estetista, dalla parrucchiera, e soprattutto a fare shopping per trovare un vestito adatto invece di fare la caccia al tesoro nel mio misero e repellente  guardaroba.

Presi di nuovo il telefono che avevo lanciato sul letto precedentemente e composi il numero di Gaia, imprecando in turco affinché rispondesse.

Stavo appunto mandandola a quel paese quando udii la sua voce «bionda, si può sapere che è successo?»

Grugnii e strinsi gli occhi «ti ucciderò dopo, ora dimmi cosa cavolo devo indossare, sto impazzendo»

Silenzio.
Tutto quello che non mi serviva in quel momento «dimmi che sei viva» respirai.

Sentii una risata soffocata provenire dall'altro capo del telefono e mi innervosii «cazzo Gaia mi ascolti o no?»

«Scusa, è colpa di..del mio gatto» si corresse alla fine «un vestito per cosa?»

Aggrottai la fronte confusa «da quando hai un gatto tu?» la sentii ridere di nuovo e sbuffai «comunque mi serve un vestito perché quel cretino ha deciso di portarmi fuori a cena» urlai, per sovrastare le sue risate che mi stavano mandando al manicomio.

«Metti il tubino di capodanno, stavi benissimo» disse tutto d'un fiato, frettolosamente, come se si stesse trattenendo da fare altro, tanto che ci misi qualche secondo ad afferrare ciò che aveva appena detto.

«Ma l'ha già visto lui» mi opposi, sbuffando di nuovo.

«Bionda, sai a cosa interessa lui vederlo di nuovo? Tanto poi te lo toglie, è solo una copertura» in effetti, non aveva tutti i torti, quel vestito sarebbe durato solo qualche ora.

Mi schiaffeggiai la fronte e tornai all'attacco sentendola ancora ridere «ma il tuo gatto ti fa ridere così tanto?»

Sentii dei rumori strani e un'altra risata soffocata «si, mi sta graffiando» annaspò «comunque metti quel vestito e non pensarci più, ora devo staccare, buon San Valentino» e mi riattaccò il telefono in faccia.

Fissai lo schermo per qualche secondo imbambolata, alzai le spalle e feci partire la canzone dei Green Day.

«I don't wanna go back home
I don't wanna kiss goodnight
Let us paralyze this moment til it dies
To the end of the earth
Under the Valley of the Stars
There's a car crashing deep inside my heart
It cries
Red alert is the color
Of your paper valentines
Intertwined on this moment passing by
Do you wanna be my valentine?
So come away with me tonight
With cigarettes and valentines
Cigarettes and valentines!»

Mi intrufolai di nuovo nell'armadio e stesi sul letto quel benedetto vestito nero, corto fino alle ginocchia e senza maniche.

Meno di mezz'ora dopo ero pronta con i miei capelli biondi ondulati e i tacchi, che mi avrebbero frantumato le caviglie e fatta stramazzare al suolo.

Raccattai borsa e cappotto dal letto e scesi giù per aspettare il mio principe azzurro e il suo bianco destriero.

Storsi il naso e constatai che il mio principe era un «bad boy» in sella a una moto ruggente, niente cavallo bianco, niente mazzo di rose rosse, niente frasi romantiche.

Immersa nei miei pensieri da inguaribile sdolcinata cronica non mi accorsi del tizio misterioso appostato a pochi metri da me, che mi stava fissando in un modo per niente rassicurante.

Mi schiarii la voce cercando di stare calma e non fuggire come una maratoneta e iniziai a calpestare l'asfalto sotto i piedi nervosamente.

Respira.
Inspira.
Respira.

«Ti devo venire a prendere o vuoi aspettare domani mattina?»

Il cuore mi saltò fuori e portai una mano sul petto per lo spavento.

Mi girai al rallentatore per guardare nella sua direzione e scoprii di essere una vera rimbambita, non avevo riconosciuto il mio ragazzo sulla sua potente moto, solo perché era buio pesto e i lampioni non facevano il loro unico lavoro di illuminare la strada.

Tossii imbarazzata e lo guardai con nonchalance «un cavaliere che si rispetti viene a salvare la sua principessa indifesa» dissi raggiungendo la sua postazione vicino al marciapiede.

Lui mi guardò con un sopracciglio alzato e accennò una risata, mentre si rigirava il casco tra le mani «principessa indifesa? Ma se ci siamo solo io e te qua» si fermò per un minuto e poi mi osservò serio «non mi avevi riconosciuto?» si trattenne ma dopo due secondi scoppiò a ridere, facendo un baccano assurdo.

Sbuffai e gli diedi un pugno su una spalla «divertente, davvero» conclusi e incrociai le braccia al petto, iniziando ad avanzare lungo il marciapiede.

«Dove cazzo vai adesso» lo sentii imprecare e vidi con la coda dell'occhio che mi stava seguendo con il suo bolide, spingendosi con le gambe.

Testa alta e petto in fuori continuai ad avanzare, incontrando sul cammino alcuni esseri umani accompagnati dal loro fedele cane e una figura misteriosa, con una cuffia verde, una lattina di birra in una mano e una sigaretta nell'altra.

Lo superai velocemente e respirando affannata, fino a quando il cuore non mi saltò in gola a sentire delle mani stringermi i fianchi.

Sussultai spaventata e cercai di staccarmi di dosso quelle manacce ma inutilmente, poiché il tizio si avvicinò al mio orecchio.

Calma e sangue freddo.
Com'era quella mossa di difesa?
E dove cazzo era il mio ragazzo?
Mi aveva abbandonata in mezzo alla strada come una principessa indifesa?

«Toglimi le mani di dosso» sibilai in preda a due secondi di coraggio e lo sentii immobilizzarsi.

Oddio, magari questo aveva un coltello nascosto da qualche parte.

«Ti sei davvero offesa?» sospirò sul mio collo e il mio cuore riprese a battere.

Respirai a pieni polmoni mormorando un «portami via da qui» e mi voltai verso di lui, trovandomelo quasi appiccicato addosso.

Sorrise inarcando un sopracciglio e mi condusse con un braccio sulla spalla verso il suo abile destriero, ovvero una moto fiammante.

Indossai il casco e mi strinsi a lui sedendomi nella parte dietro «allora, andiamo al ristorante?» chiesi senza nascondere una traccia di eccitazione.

«Mh, in realtà ho prenotato tra un'ora»

«Ah» riuscii solo a dire «e quindi dove andiamo?»

«In un posto» rispose tranquillo, mettendo in moto.

I capelli mi svolazzavano, l'aria ci colpiva in pieno e la strada appariva vuota apposta per noi.

Mi sembrava tutto così impossibile, come se fossi stata catapultata in un film americano e ora stessi realizzando il mio sogno.

Si fermò di colpo facendomi sobbalzare e mi guardai intorno: eravamo nell'area verde sotto il ponte che collegava le due parti della città, solo le luci delle case e dei lampioni smorzavano quell'oscurità che stava raccogliendo tutto.

Mi sentii togliere il casco e mi prese per mano, portandomi in uno spiazzo di erba vicino al fiume, proprio come un film commedia, e ci sedemmo vicini guardandoci con imbarazzo.

Si passò una mano tra i capelli a disagio «non vorrei fare un discorso da schifoso romantico, che non sono» ridacchiò nervoso «ma mi vedo costretto a dire che è il primo San Valentino che passo con una ragazza» si fermò qualche secondo «una sola intendo»

Feci una smorfia contrariata e disgustata ma non lo interruppi, volevo vedere fino a che punto si lasciasse andare.

«E mi sento strano» continuò, mettendosi le mani nelle tasche dei jeans scuri.
«Strano?»
Annuì e riprese «come se mi fosse mancato sempre un qualcosa, un pezzo, e ora che l'ho trovato mi sembra quasi surreale»

«Ma io sono reale» ironizzai.

Accennò una risatina e si morse il labbro «lo so, forse anche troppo»

Boccheggiai per qualche secondo confusa prima che lui mi ipnotizzasse con i suoi occhi celesti «ti posso parlare» e fece una smorfia divertita «ti posso toccare» mi sfiorò una guancia con le nocche «ti posso prendere in giro» mi racchiuse il mento in una mano facendomi fare un'espressione decisamente buffa «e ti posso..amare»

«Amami allora» scrollai le spalle e gli presi il volto tra le mani, che lui aveva girato volutamente per non incontrare i miei occhi.

«Lo faccio già» rispose, accarezzandomi un braccio.

«Mi puoi baciare anche» ribattei piccata come una maestrina che segnava le dimenticanze del proprio alunno con la penna rossa.

Si scompigliò i capelli senza nascondere un sorriso «me lo merito un bacio da te?» la sua voce aveva assunto un tono quasi disperato.

«Ma io volevo un bacio da te» mi puntai.

«Allora non vuoi baciarmi» concluse desolato e deluso, senza nascondere un sorriso di scherno.

Sbuffai e mi inginocchiai davanti a lui, mettendomi le mani sui fianchi «io voglio baciarti ma voglio che lo fai tu»

Mi guardò per qualche secondo in attesa, come se si aspettasse che cambiassi idea e dopo lo vidi avvicinarsi e lo sentii: il suo respiro sul mio collo, la sua bocca sulla mia guancia e le sue labbra sulle mie.

Mi baciò come se fossi il suo ossigeno e avesse paura di restare senza, si strinse a me con forza e mi appoggiai a lui, finendo insieme sdraiati una sopra l'altro sull'erba.

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