2. La pergamena
2. La pergamena
I wanna be your slave
I wanna be your master
(Måneskin, "I wanna be your slave")
Quando Pansy Parkinson emerse, nel cuore della notte, dal dormitorio femminile con un paio di pergamene stropicciate in mano e una vestaglia color salvia, che lasciava scoperte le sue gambe dal ginocchio in giù, Blaise dovette fare violenza su se stesso per rimanere impassibile.
«Ho i racconti di Millicent», disse la ragazza, lasciando cadere le pergamene sul divano, accanto al compagno di casa.
«Eccellente», disse Blaise, accavallando le gambe, nel tentativo di nascondere la naturale reazione del proprio corpo alla vista di Pansy poco vestita e vicina a lui: «Vediamo cos'abbiamo qui...»
Gli occhi del ragazzo iniziarono a scorrere velocemente su una delle due pergamene, assorbendo ogni parola con volto impassibile, mentre la Parkinson si avvicinava al camino della sala comune di Serpeverde.
Il silenzio sembrò dilatarsi, interrotto soltanto dallo scoppiettare del fuoco nel camino e dai respiri di Pansy e Blaise, poi il ragazzo parlò: «Milly ci va giù pesante».
La Parkinson sorrise: «La fantasia non le manca».
«Aspetta, prima hai detto che si basa su cose reali!», disse Blaise, interrompendo la lettura per sollevare lo sguardo sulla ragazza e si pentì subito di averlo fatto; i capezzoli di Pansy erano ben visibili attraverso la stoffa sottile della camicia da notte e della vestaglia e Blaise aveva appena letto l'incipit di un racconto erotico, non proprio la combinazione ideale per mantenere il sangue freddo.
La Parkinson scrollò le spalle: «Il fatto che parta da eventi reali non vuol dire che non ci siano cose inventate o gonfiate per rendere la storia più accattivante».
«Quindi tu l'hai già letta?», chiese Blaise, con voce più basse e roca di quanto avesse preventivato, per poi schiarirsi rumorosamente la gola.
Pansy sorrise, il volto illuminato per metà dal colore aranciato delle fiamme nel camino: «Sì».
Per qualche secondo ci fu nuovamente silenzio, mentre Blaise rimaneva in attesa che Pansy aggiungesse qualcosa, oltre a quel misero sì, ma l'amica si limitò a scrollare le spalle e ad allungare le mani verso il fuoco, per scaldarle.
Blaise non insistette, anche se era sicuro che Pansy avesse trattenuto qualche sorta d'informazione, e si alzò, dirigendosi verso uno dei tavoli che occupavano la sala comune di Serpeverde dove aveva precedentemente lasciato tutto l'occorrente per scrivere.
«Cosa fai ora?», chiese la Parkinson, seguendolo con lo sguardo.
«Ora è il momento di essere più fantasiosi di Milly», disse Blaise, aprendo le labbra in un sorriso malizioso.
°◊°◊°◊°
Hermione era tornata ad Hogwarts da un paio di settimane e ancora non era riuscita a togliersi di dosso il senso di irrequietezza che provava.
Dove un tempo si era sentita a casa e protetta, ora non vedeva altro che fantasmi e dolore.
Ogni volta che entrava in Sala Grande rivedeva i feriti, i corpi dei cadaveri disposti sul freddo pavimento, la disperazione dei vivi.
Ogni volta che usciva dal castello per raggiungere le serre e frequentare le lezioni di Erbologia, Hermione ricordava l'adrenalina della battaglia e le sembrava di sentire la magia percorrerle la pelle, come una scarica di corrente elettrica.
Ogni volta che Hermione incrociava gli occhi di Ginevra Weasley, vedeva il volto privo di vita di Fred Weasley.
Ogni volta che la Preside McGranitt si sedeva alla tavolata dei professori, durante i pasti, Hermione non poteva fare a meno di cercare la lunga barba e gli occhiali a mezzaluna di Silente, prima di ricordarsi che Albus Percival Wulfric Brian Silente era morto da più di un anno, ormai.
Ogni volta che Draco Malfoy entrava nel suo campo visivo, vedeva le fiamme dell'Ardemonio e la follia negli occhi di Bellatrix Lestrange mentre la torturava.
Ogni pietra, corridoio e stanza del castello sembrava ricordarle che, fino a pochi mesi prima, aveva combattuto per la sua vita e quella dei propri amici tra quelle mura; che persone innocenti erano morte e che lei stessa aveva rischiato di morire.
Il giorno del suo diciannovesimo compleanno, Hermione s'impose di non lasciarsi distrarre da nessun ricordo negativo.
Ignorò il suo pessimo umore, dovuto alla notte quasi totalmente insonne che aveva trascorso, e si sforzò di sorridere a Calì, la sua unica compagna di stanza, quando le fece gli auguri e le chiese quali fossero i suoi piani per la giornata.
Hermione rispose vagamente, dato che non aveva organizzato nulla, e fuggí in Sala Grande, così da lasciarsi alle spalle gli occhi sempre rossi per il pianto di Calì e la loro stanza troppo silenziosa senza la voce squillante di Lavanda.
Ginny la accolse con un abbraccio caloroso, appena si sedette accanto a lei per la colazione, e le porse un piccolo pacchetto, che conteneva un buono regalo da utilizzare da Scrivenshaft.
Da quel momento in poi sorridere risultò più facile.
Hermione ricevette gli auguri da Neville, una pacca sulla schiena da Dean Thomas e una cioccorana da Seamus Finnigan.
Luna Lovegood abbandonò il suo posto al tavolo Corvonero, per consegnarle un pacchetto che conteneva un braccialetto fatto a mano, creato da ramoscelli intrecciati e piume colorate; braccialetto che in un primo momento Hermione aveva pensato essere un acchiappasogni babbano, prima che Luna le mostrasse come indossarlo intorno al polso.
Appena iniziarono ad arrivare i gufi con la posta del mattino, molti dei rapaci si fermarono di fronte ad Hermione, consegnandole biglietti d'auguri da parte di Molly Weasley, Kingsley Shacklebolt, Andromeda Black (con allegata una foto del piccolo Teddy), Hagrid e Viktor Krum.
Da parte di Harry e Ron ricevette un unico pacchetto, in cui trovò un libro di approfondimento sulla sua materia preferita, Antiche Rune, qualche cioccorana e una boccetta d'inchiostro cambia colore.
Quando ormai Hermione aveva terminato di gustarsi le sue uova strapazzate con pomodori abbrustoliti e pane tostato, Ginevra interruppe il silenzio per proporre qualcosa di diverso rispetto al solito per il diciannovesimo compleanno dell'amica: una festa.
«Prometto di non organizzare niente di troppo stravagante; qualche burrobirra, degli stuzzichini, musica e una torta. Saremo solo io, te, Neville, Dean, Calì e Seamus, una festicciola tra membri selezionati dell'Esercito di Silente, nulla di più».
In un primo momento, Hermione pensò di rifiutare categoricamente, decisa a non infrangere le regole di Hogwarts per una sciocca festa, poi si ricordò la sua risoluzione quella mattina, quando si era detta che il giorno del suo compleanno si sarebbe impegnata a lasciare da parte ogni pensiero negativo e triste ricordo, e infine decise di accettare la proposta di Ginevra; convinta che una festa avrebbe potuto effettivamente aiutarla a svagarsi.
Appena Hermione diede all'amica carta bianca, facendosi però promettere dalla giovane Weasley di non esagerare, Ginevra emise un suono acuto di pura gioia.
Hermione venne bandita dalla sala comune di Grifondoro per il resto della giornata, così da dare a Ginevra e agli altri abbastanza tempo per organizzare una festa coi fiocchi.
Così Hermione trascorse la mattinata a rispondere ai diversi biglietti di auguri, che aveva ricevuto durante la colazione, e a sorridere ogni volta che qualche altro studente le si avvicinava per augurarle un felice compleanno.
Successivamente trascorse qualche ora in biblioteca, a leggere qualche capitolo di un interessante libro sulla schivitù degli elfi domestici nel corso dei secoli.
Dopo pranzo optò per una passeggiata nel parco di Hogwarts — evitando accuratamente il luogo in cui si trovava la tomba di Albus Silente, così da tenere a bada i brutti ricordi — durante la quale decise di fare un salto alla capanna di Hagrid per salutarlo e ringraziarlo personalmente per gli auguri, infine, tornò verso il castello, dove decise di raggiungere l'Ufficio dei Prefetti e Capiscuola prima di cena.
Ricordava chiaramente la prima volta che aveva messo piede in quella stanza, all'inizio del quinto anno, quando lei e Ron erano stati scelti come Prefetti; l'impazienza di dimostrare di essere più che in grado di gestire un impegno tanto importante, la fierezza di poter sfoggiare a testa alta la spilla che aveva sul petto...
Poterci entrare nuovamente con il titolo di Caposcuola causava a Hermione un'egoistica soddisfazione.
Una volta di fronte alla porta dell'Ufficio dei Prefetti e Capiscuola, Hermione si bloccò e la fronte le si aggrottò alla vista della pergamena, ripiegata su se stessa e fissata contro il legno della porta, sulla quale c'era scritta la parola "Leggimi".
La Caposcuola si guardò intorno, ma non notò nessuno nelle vicinanze.
Come precauzione cercò di scoprire di quali incantesimi fosse stregata la pergamena e ne trovò due; uno per attaccare l'oggetto alla porta, l'altro per renderlo invisibile a tutti coloro che fossero passati di fronte all'Ufficio; tutti tranne lei.
Con un gesto reso brusco dalla curiosità, Hermione staccò la pergamena dalla porta e pronunciò la parola d'ordine per entrare nell'Ufficio dei Prefetti e Capiscuola.
Ignorò la bozza dei turni di ronda del mese di Ottobre — che Malfoy dovava aver già iniziato a compilare — e, sedutasi al grande tavolo rettangolare al centro della stanza, aprì la pergamena.
Se fino a poco prima si era aspettata un semplice biglietto d'auguri, magari inviatole da una persona molto timida e riservata, o una lettera di lamentele da qualche studente insoddisfatto del suo lavoro come Caposcuola, Hermione dovette ricredersi appena mise a fuoco il testo.
Sarebbe stato un errore pensare che ogni minimo dettaglio non fosse stato stato preventivamente calcolato.
C'era un motivo ben preciso se la ragazza sdraiata in quel letto di seta e vellutati petali di rosa rossi — rossi come l'intimo che aveva indossato fino a poco prima, fino a quando non le era stato sfilato in modo volutamente lento e lascivo — era legata da spesse corde scure alla testiera in ferro del letto e gli occhi le erano stati coperti da una cravatta, su cui spiccavano i colori di Serpeverde.
Il petto della giovane donna si sollevava bruscamente ad ogni suo respiro, le labbra le si muovevano, ma nessun suono vi usciva, a causa dell'incantesimo "Silencio" che le era stato lanciato — incantesimo che avrebbe smesso di funzionare, nel caso in cui la ragazza avesse deciso di interrompere quella dolce tortura pronunciando la parola "Finite" — e ogni tanto le sue braccia cercavano di liberarsi dalle corde, che la legavano e la tenevano ferma.
«Non muoverti».
La voce giungeva da un posto non ben definito alla destra della ragazza e non sembrò sortire l'effetto desiderato, dato che la bocca della ragazza sembrò aprirsi ancora di più, nel tentativo di comunicare qualcosa, e le braccia le si mossero violentemente, decise a liberarsi dalla corda intorno ai polsi.
Ci fu una pressione sul materasso e un altro corpo nudo si fece strada tra i petali rossi e le lenzuola, fino a quando non fu abbastanza vicino alla ragazza da avvolgerla col suo profumo maschile e il calore della sua pelle.
Bastò un semplice movimento di bacchetta del ragazzo e gemiti colmi di desiderio e supplica riempirono la stanza irrealmente silenziosa, fino a poco prima.
«Ti prego, non ce la faccio più, ti prego, ti prego».
L'uomo sapeva di cosa aveva bisogno la donna, sapeva di aver aspettato più del solito, prima di salire su quel letto con lei, ma ogni volta che facevano quello stesso gioco e la guardava — nuda, cieca, muta e legata, la pelle arrossata dal desiderio e i seni turgidi esposti e tentatori — era incredibile il senso di potere che provava.
Era come bere un lungo sorso d'acqua fresca dopo una calda giornata estiva.
Le mani dell'uomo afferrarono i fianchi della donna, bloccandoli contro il materasso, prima di abbassare le labbra sui seni esposti e iniziare a riempirli di attenzioni.
Ci furono altri gemiti, altre suppliche e la donna provò a muovere i fianchi in alto, in cerca di un contatto, in cerca della frizione che necessitava per raggiungere l'apice del piacere.
Ma l'uomo sembrava deciso a punirla per non aver ascoltato il suo precedente ordine e non le diede ciò di cui aveva bisogno, limitandosi a succhiare e mordere con delicatezza i seni e il collo esposto della donna.
In un primo momento le suppliche si fecero più insistenti, poi vennero sostituite da semplici gemiti a metà strada tra i dolore e il piacere ed infine tutto quello che poteva sentirsi nella stanza, era il nome dell'uomo, pronunciato come una preghiera dalle labbra arrossate della donna.
«Draco, Draco, Draco, Draco, Draco».
Hermione Granger sollevò lo sguardo dalla pergamena e si passò una mano sul viso, cercando di calmare il battito impazzito del proprio cuore e la sensazione di calore che si era annidata, subdolamente, nel suo basso ventre.
Chi poteva aver incantato una pergamena che conteneva un racconto erotico su Draco Malfoy alla porta dell'Ufficio dei Prefetti e Capiscuola in modo tale che solo lei, Hermione Granger, lo potesse trovare e leggere?
Era forse uno scherzo? Un tentativo di farla sentire a disagio? Un modo per farla eccitare?
Con la fronte aggrottata e il volto in fiamme, Hermione tornò a leggere, decisa ad arrivare fino in fondo, prima di continuare a interrogarsi sulle motivazioni che potevano esserci dietro a quel racconto.
La tortura durò ancora qualche minuto, giusto il tempo necessario per permettere a Draco Malfoy di lasciare un vistoso succhiotto color vinaccia sul collo delicato della donna, poi le mani dell'uomo smisero di tener premuti i fianchi di lei verso il materasso e li trascinarono verso l'alto, permettendo alla donna di sentire la portata della sua eccitazione.
Un verso strozzato emerse dalle labbra socchiuse della ragazza, suono che si trasformò in un gemito di piacere, quando l'erezione dell'uomo iniziò a farsi strada dentro di lei.
La donna aveva aspettato da talmente tanto quel momento, che quasi non riusciva a credere di aver finalmente ottenuto quello che voleva e calde lacrime iniziarono a rigarle il viso.
L'uomo iniziò a muoversi con movimenti lenti e controllati, poi si fece più veloce, e una richiesta sfuggì dalle labbra della donna: «Voglio guardarti, Draco, ti prego, permettimi di guardarti».
Il movimento dei loro bacini che si scontravano ritmicamente s'interruppe e, per qualche secondo, ci fu silenzio, poi Draco parlò: «Dimmi che sei mia».
La donna non esitò nemmeno un istante, prima di dire: «Sono tua, Draco, solo tua», per poi aggiungere subito dopo in un sussurro: «Ti prego, ti prego».
L'istante successivo, l'uomo riprese a muovere i proprio bacino contro quello della donna e, con un gesto brusco, le sfilò la cravatta verde-argento che le aveva coperto, fino a quel momento, gli occhi.
Draco Malfoy premette le proprie labbra contro quelle della donna, saggiando la dolcezza di quella bocca in un bacio confuso e passionale, che lasciò entrambi senza fiato.
Il corpo di lei si tese violentemente appena raggiunse l'orgasmo, inarcando la schiena e gemendo il nome dell'uomo.
Draco Malfoy raggiunse l'apice del piacere poco dopo, abbandonando momentaneamente il volto tra i seni della donna, il respiro affannato e le mani che accarezzavano con dolcezza il corpo premuto sotto il suo.
Bastò un veloce incantesimo per liberare la donna dalle corde che la tenevano ferma, poi le mani di Draco Malfoy iniziarono a massaggiare e a riempire di baci la pelle arrossata dei polsi, facendo sospirare di gioia la ragazza.
Quando Draco coprì i loro corpi con le lenzuola e strinse il corpo della donna contro il proprio, le sussurrò all'orecchio: «Sei stata molto brava, Hermione, molto brava».
Hermione Granger lanciò lontano da sé la pergamena, emettendo un debole gemito colmo di sorpresa, mentre con gli occhi sbarrati e il volto bollente cercava di togliersi dalla mente le immagini, che quel racconto aveva magistralmenete evocato nella sua mente.
Aveva improvvisamente bisogno di una doccia.
Fredda.
°◊°◊°◊°
Draco Malfoy aveva trovato la pergamena in biblioteca.
Si era allontanato dal tavolo che aveva occupato per studiare, giusto il tempo necessario per andare in bagno e, quando era tornato, aveva trovato tra i propri libri quel semplice pezzo di pergamena anonimo, su cui si trovava una sola parola: "Leggimi".
E lui l'aveva fatto, aveva aperto la pergamena e aveva iniziato a leggere, fino a quando le guance non gli si erano colorate di un rosa soffuso e le mani aveva iniziato a tremargli.
Aveva scorso le parole con occhi famelici, immaginando con fin troppa precisione ogni dettaglio che veniva descritto, dai petali rossi sul letto alle suppliche che venivano mormorate al fittizio Draco Malfoy.
Leggere l'ultima riga del racconto fu come ricevere un incantesimo Aguamenti in pieno viso e l'intero corpo del ragazzo si tese in uno spasmo a metà strada tra il ribrezzo e la sorpresa.
La prima reazione di Draco, appena si riprese dal turbamento, fu di piegare nuovamente la pergamena e riporla tra i suoi libri di testo, mentre con gli occhi grigi scrutava la Biblioteca, alla ricerca di un volto colpevole, un sorriso divertito nella sua direzione o sguardi curiosi.
Nessuno sembrava però prestargli attenzione, erano tutti intenti a leggere i libri che avevano di fronte o a cercare tra gli alti scaffali altri libri in cui poter affondare i loro nasi.
L'unico con un'espressione, secondo Draco, sospetta era Blaise Zabini, che stava sorridendo da orecchio a orecchio, mentre scriveva un tema.
Ma poteva considerarsi un'espressione sospetta?
Cosa c'era poi di tanto strano nel trovare Blasie Zabini intento a sorridere durante la stesura di un tema?
Zabini sorrideva in continuazione e senza alcun motivo ogni santissimo giorno...
E poi, pensandoci bene, Draco non riusciva proprio a trovare un motivo per cui Zabini avrebbe dovuto scrivere un racconto simile e lasciarglielo sul banco.
Anche se...
Draco si mosse appena sulla sedia e fu un quel momento che si rese conto — con considerevole ritardo — dell'erezione che premeva contro la patta dei suoi pantaloni.
La divisa di Hogwarts — composta da pantaloni neri, camicia bianca, maglione scuro e mantello — era abbastanza castigata da coprire, fortunatamente, quella zona improvvisamente sveglia del suo corpo, ma Draco non riuscì comunque a sopprimere il leggero mugolio colmo di sofferenza e disagio che emerse dalla sua gola.
Non era la prima volta che si ritrovava con un'erezione in un momento poco consono — era dal quarto anno che gli capitavano situazioni simili — e non era neanche la prima volta che si eccitava pensando ad Hermione Granger.
Eppure le sue guance si tinsero di un rosa acceso e le sue labbra si arricciarono in una smorfia.
Chiunque fosse stato a lasciargli quella pergamena sul banco gliel'avrebbe pagata.
***
Buonsalve popolo di Wattpad!
Eccoci al secondo capitolo — che ho riscritto talmente tante volte ormai da aver perso il conto e continuo comunque a non essere soddisfatta! — di questa storia, sono consapevole che per il momento non è ancora successo nulla di eclatante, ma spero comunque di avervi incuriosit* abbastanza da spingervi ad andare avanti con la lettura.
Ho deciso, a inizio capitolo, di citare una canzone dei Måneskin ("I wanna be your slave"), sappiate che succederà ancora in futuro; primo: perché mi piace molto come canzone e secondo: perché trovo che il testo si adatti particolarmente all'idea che ho, al momento, della storia che voglio creare.
Spero abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa pensate di questi due primi capitoli, del piano di Blaise e delle reazioni di Hermione e Draco nel leggere il racconto che li vede come protagonisti.
Vi ricordo che potete trovarmi anche su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp; e nel caso voleste sostenere il mio lavoro, ho un account anche su Ko-fi, di cui potete trovare il link nella mia bio!
Un bacio,
LazySoul_EFP
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